Jim Baggott, Massa, Adelphi, Milano 2019, 287 pp.
Immaginiamo di avere in mano un cubetto di ghiaccio, di circa 2,7 cm di lato. È freddo e un po’ scivoloso. Pesa pochissimo, ma sappiamo che un peso ce l’ha. Di che cosa è fatto il cubetto di ghiaccio? E come domanda secondaria ma importante: che cosa ne determina la massa? (p. 195).
L’excursus storico-teoretico sintetico e riepilogativo magistralmente condotto in risposta a queste due domande, al capitolo 16 del libro, giustifica la lettura del testo di Baggott per Adelphi, il terzo volume dopo Il bosone di Higgs (2015) e Origini (2017). Un testo scritto con competenza specifica e afflato letterario, gusto dell’aneddoto e attenzione pedagogica verso il lettore (alla fine di ogni capitolo vi è un paragrafo riassuntivo dal titolo Cinque cose che abbiamo imparato, in cui l’autore propone i concetti fondamentali del capitolo in cinque proposizioni semplici). È scandito in quattro Parti per un totale di sedici capitoli, più una Prefazione e un Epilogo (questo forse unico punto dolente del libro, in quanto è stranamente sbrigativo su argomenti come teoria della supersimmetria, teoria delle stringhe e gravità quantistica). Alla fine del testo le Note, dove sono spesso riportati dettagli e sviluppi tecnici; un Glossario dei termini principali; una Bibliografia scelta per approfondire e un Indice analitico per la ricerca dettagliata. Dentro questo schema, la trattazione si segue molto scorrevolmente e lascia sempre aperta la domanda fondamentale che spinge il lettore a proseguire: «che cos’è, esattamente, la materia?» (p. 13). Seguiamone il percorso con il nostro pezzo di ghiaccio tra le mani.
Per i filosofi dell’antica Grecia e poi Lucrezio «l’acqua era uno dei quattro elementi, assieme alla terra, all’aria e al fuoco. Gli atomisti sostenevano che la sostanza materiale non può apparire improvvisamente dal nulla e non può essere suddivisa all’infinito arrivando al nulla. Gli atomi dei Greci avevano proprietà specifiche di dimensione, forma, posizione e peso (o massa)» (p. 195). Il nostro cubetto di ghiaccio dev’essere pertanto composto di atomi, e gli atomi non possono esistere se non nello spazio vuoto. Gli atomi dei filosofi meccanicisti «Bacone, Boyle e Newton, tra gli altri – non erano molto più raffinati. […] Newton ipotizza che tra gli atomi agiscano forze sulla cui natura non si sbilancia, a parte suggerire che potrebbero esserci già note sotto forma di gravità, elettricità o magnetismo» (p. 196).
Si è dovuto rivolgersi alla chimica e agli studi sui pesi relativi degli elementi come idrogeno, carbonio e ossigeno, per «risolvere» «il mistero». L’acqua è dunque un composto che consiste di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno: H₂O. «Questo risponde parzialmente alla prima domanda: il nostro cubetto di ghiaccio consiste di molecole di H₂O organizzate in un reticolo regolare» (p. 196). Inoltre, per la legge di Avogadro, una mole di una data sostanza chimica contiene circa 6×1023 «particelle» discrete. «L’acqua H₂O ha un peso molecolare relativo di 2×1+16=18. Per puro caso il nostro cubetto di ghiaccio pesa circa 18 grammi, e questo significa che rappresenta suppergiù una mole d’acqua. […] Deve quindi contenere circa 6×1023 molecole di H₂O» e questo dovrebbe rispondere alla seconda domanda sulla massa. Eppure sappiamo che si può andare oltre. «Thompson, Rutherford, Bohr e molti altri fisici del Novecento» hanno rilevato «che la massa del cubetto di ghiaccio risiede nei protoni e nei neutroni dei nuclei degli atomi di idrogeno e ossigeno. Ciascuna molecola di H₂O consta di 10 protoni e 8 neutroni; se ci sono 6×1023 molecole nel cubetto, e se trascuriamo la piccola differenza di massa tra un protone e un neutrone, concludiamo che il numero totale di protoni e neutroni è 108×1023» (p. 197), ovviamente se ignoriamo gli elettroni! Si continua così ad essere in sintonia con gli atomisti greci. «Certo, la nostra visione della natura e della composizione della materia è molto più raffinata della loro, ma le conclusioni sono essenzialmente le stesse. Ad “atomi” abbiamo sostituito “particelle elementari”. Trascurando il piccolo contributo degli elettroni, attribuiamo la massa del cubetto di ghiaccio alla massa dei protoni e dei neutroni che contiene» (p. 197). Ma non è finita qui. Sappiamo infatti che protoni e neutroni non sono particelle elementari, ma consistono di tre quark ciascuno, dunque moltiplicando per tre otteniamo che i 108×1023 protoni e neutroni diventano 324×1023 quark. «È dunque qui che risiede tutta la massa. Giusto? No. È qui che vengono a galla tutti i nostri pregiudizi atomistici» (p. 198). Si scopre infatti che la somma delle singole masse dei quark raggiunge appena «un misero un per cento» delle masse del protone e del neutrone. Il restante 99 per cento «sembra mancare all’appello. Dov’è l’inghippo?» (p. 198).
Per rispondere alla domanda si deve considerare che i quark non sono particelle indipendenti e autosufficienti come quelle che immaginavano gli atomisti antichi, ma sono fluttuazioni fondamentali di campi quantistici elementari, che possiedono, insieme ai gluoni, una «carica» di colore. «Che cos’è, di preciso? Non abbiamo modo di saperlo con certezza», ma sappiamo che «nessuno ha mai visto una carica di colore “nuda”, ossia netta, non bilanciata», perché «secondo la QCD […] avrebbe un’energia quasi infinita» (p. 199). Dunque il quark si circonda di una nuvola di «gluoni virtuali» che riescono a mascherarne la carica scoperta. Ma «l’energia è tale da produrre non solo particelle virtuali […] ma anche particelle reali. Nel parapiglia che si crea nel tentativo di ricoprire la carica esposta, si produce anche un antiquark, che si accoppia al quark originale formando un mesone». Cioè «la natura non ha altra scelta che cercare un compromesso: non può ricoprire completamente la carica di colore ma può schermarla con l’antiquark e i gluoni virtuali. L’energia si riduce così a livelli quanto meno accettabili» (p. 199). «Ciò significa che la massa del protone e del neutrone è in gran parte dovuta all’energia dei gluoni e del mare di coppie quark-antiquark creato dal campo di colore» (p. 200).
Ma quindi questo significa, tirando le somme, che la maggior parte della massa del protone, il 90 per cento, è dovuta all’energia delle interazioni tra i quark e i gluoni che lo costituiscono! I risultati sono confermati dalla QCD-lite e la QCD su reticolo. E se questo non bastasse, dobbiamo ricordare che i quark hanno anche una carica elettrica: come per l’elettrone, «ci saranno quindi contributi alla massa dovuti all’interazione tra i quark e il campo elettromagnetico da essi stessi generato» (p. 201). L’ultimo passaggio è l’interazione con il famigerato bosone di Higgs, il costituente considerato «responsabile» della massa delle particelle. I calcoli delle masse relative, infatti, constatano che «la stabilità del protone e del neutrone – e quindi la nostra stessa esistenza – dipende dalla differenza di massa» tra il quark denominato «u» e il quark «d» che li compongono: «qual è l’origine di questa differenza? Perché il quark d è più pesante del quark u?» (p. 202). «Qui che arriviamo al limite delle conoscenze attuali» (p. 202). Il quark d interagisce con il campo di Higgs in maniera più intensa rispetto al quark u, ma non sappiamo ancora come e perché.
Quello che ad oggi possiamo concludere sul nostro cubetto di ghiaccio, è che se la maggior parte della massa del protone e del neutrone è dovuta all’energia delle interazioni al loro interno, allora l’espressione di Wheeler «massa senza massa» si addice propriamente alla nostra indagine, «giacché abbiamo il comportamento che tendiamo ad attribuire alla massa, senza bisogno della massa come proprietà» (p. 203). È stata questa «la grande intuizione» di Einstein, ossia che m = E/c2 e «fu sicuramente preveggente quando scrisse “La massa di un corpo è una misura del suo contenuto di energia”» (p. 203).
Per tanti secoli ci siamo aggrappati alla convinzione che la materia sia una parte fondamentale del nostro universo. Ci siamo persuasi che è la materia ad avere energia. «Addentrandoci sempre più in profondità – dai corpi agli atomi, dagli atomi alle particelle subatomiche, dalle particelle subatomiche ai campi e alle forze quantistiche –, abbiamo perso completamente di vista la materia, la sua tangibilità. Nel momento in cui la massa è diventata una qualità secondaria, il risultato di interazioni tra campi quantistici intangibili, la materia ha perduto il suo primato. Ciò che riconosciamo come massa è un comportamento di questi campi, non una loro proprietà intrinseca. […] La massa è semplicemente una manifestazione fisica di quell’energia, non il contrario. La conclusione è piuttosto sconvolgente dal punto di vista concettuale, ma allo stesso tempo straordinariamente affascinante» (p. 204): è l’energia a regnare sovrana!