Edith Stein. La donna e l’empatia

L’esigenza della sperimentazione personale, della radicale immersione nel pensiero e quindi nell’azione sembra essere la cifra caratteristica della vicenda filosofica ed esistenziale di Edith Stein. Una complessa vicenda connotata da una profonda coerenza e continuità, che la rendono veramente un esempio di armonia esistenziale e filosofica.1

Seguendo questa convinzione, tenterò di rileggere alcuni momenti filosofici della scrittura della santa alla luce della fenomenologa. In particolare, vorrei tentare di rileggere gli scritti sulla donna2 alla luce delle conquiste fenomenologiche derivanti dalla sua definizione di empatia, che costituisce un punto fermo ed un presupposto non solo del filosofare, ma soprattutto dello stare al mondo come donne (e uomini) che Stein non ha mai rinnegato.

Gli scritti sulla donna sono solidamente ancorati alla dottrina cristiana ma, al tempo stesso, sono il luogo nel quale possiamo leggere con maggiore chiarezza il grande guadagno femminista della posizione proposta dalla filosofa.3 Edith Stein è infatti una filosofa che riesce a superare gli steccati dottrinari, evidenziando elementi teoretici preziosi per la discussione sulla specificità della donna.

L’elemento di continuità e di necessaria armonia, che si riconosce così chiaramente nella sua vicenda umana, nel suo vivere in assoluta continuità e compresenza l’ebraismo e il cristianesimo, lo ritroviamo anche nella sua elaborazione teorica di una «antropologia duale», che costituisce una novità fondamentale nel pensiero antropologico.4

1. La pratica fenomenologica

Per capire il senso specifico delle posizioni di Stein, è necessario ritornare brevemente alle fonti che più hanno influenzato la filosofa, prima tra tutte la fenomenologia, che costituisce l’alveo filosofico di formazione, la cui impostazione husserliana è determinante, al di là delle differenze critiche, per il senso di libertà che trasmette alla filosofa.

Scopo della fenomenologia è la chiarificazione e con ciò l’ultima fondazione di ogni conoscenza. Per raggiungere tale scopo, la fenomenologia esclude dalle sue considerazioni tutto ciò di cui si può dubitare e che può essere in qualche modo eliminato.5

Stein impara dunque una modalità di analisi che si basa in maniera non mediabile, sull’epoché e l’attesa, come preliminare necessario del pensiero. Questa astensione, questo «lasciar essere» come preambolo alla conoscenza, la conducono a concentrare la propria attenzione su un tema specifico, quello dell’empatia. É l’empatia, infatti, il grande nodo della fenomenologia, che va affrontato in maniera radicale. Stein, come è noto, ne farà il suo argomento di tesi di dottorato,6 e ne conserverà per tutta la vita l’impostazione teoretica.

Con l’empatia si parte da una fondamentale «riduzione fenomenologica» per cercare di cogliere le datità essenziali, ossia ciò che non scompare con il dubbio. Ciò di cui ci accorgiamo è l’evidente differenza tra il coglimento dell’oggetto come altro da me, e la persona come altro.7

Se cominciamo con l’evidente manifestarsi del fenomeno che ci viene rivelato nella sua concretezza e pienezza attraverso il mondo della nostra esperienza, ci renderemo subito conto che il fenomeno di un individuo psicofisico è decisamente diverso da quello di un Oggetto fisico. Infatti, il fenomeno non si dà soltanto come corpo fisico (phsysicher Körper), bensì anche corpo come corpo proprio (Leib) dotato di sensibilità, come corpo cui appartiene un Io capace di avere delle sensazioni, di pensare, di sentire e volere, infine come corpo che non fa parte solo del mio mondo fenomenico, ma è esso stesso centro di orientamento di un simile mondo fenomenico, di fronte a cui si trova, e con il quale io sono in commercio reciproco.8

Siamo in grado di cogliere immediatamente l’estrema complessità dell’individuo che abbiamo di fronte. Questa percezione dell’altro è in se stessa qualcosa di estremamente complesso, perché non si limita alla semplice consapevolezza di una presenza, ma riesce a «leggere» questa presenza, cogliendone dei movimenti interni, dei sentimenti e delle volontà.

Infatti dall’espressione del volto e dei gesti degli altri non solo so quel che vedo, ma anche quel che si nasconde nel loro intimo […] posso sentire uno che dice delle cose sconsiderate e quasi contemporaneamente vederlo arrossire; in tal caso non solo mi si manifesta la vergogna dal suo rossore, ma capisco pure che egli è consapevole di aver detto cose sconsiderate. […] Dunque, tanto la motivazione quanto il giudizio sulla sua sconsideratezza non sono stati espressi mediante una «apparizione sensibile».9

2. Una conversione fenomenologica

Gli anni di studio della fenomenologia, l’approfondimento della modalità empatica, sono tutti elementi essenziali come prodromi alla conversione al cattolicesimo. Indubbiamente nella pratica fenomenologica, Stein ritrova la possibilità di cogliere delle «evidenze» in grado di condurla ad una scelta. Potremmo dire, allora, che la sua è una conversione fenomenologica, lei stessa racconta dei «segni» che l’hanno progressivamente accompagnata sulla via di una scelta di vita inaspettata.

Stein racconta alcuni di questi momenti determinanti nella sua autobiografia, Storia di una famiglia ebrea, che l’hanno aiutata a cogliere (empaticamente) l’essenza del cristianesimo nella dimensione del quotidiano. Primo tra tutti, l’incontro con Max Scheler, filosofo ebreo da poco convertitosi, ma anche l’atteggiamento del lutto nella moglie di Adolf Reinach, nonché una semplice sconosciuta inginocchiata a pregare in una chiesa.

Proprio Max Scheler, come racconta Stein,

aveva molte idee cattoliche e sapeva divulgarle facendo uso della sua brillante intelligenza […] Fu così che venni per la prima volta in contatto con un mondo che, fino ad allora, mi era stato completamente sconosciuto. Ciò non mi condusse ancora alla fede, tuttavia mi dischiuse un campo di «fenomeni» dinnanzi ai quali non potevo essere cieca.10

La fenomenologia le permette di vivere in continuità armonica il passaggio dall’ebraismo al cristianesimo, svolgendo la funzione di guida e, in un certo senso, garanzia di libertà del pensiero nella fede. Anche quando arriverà a parlare di filosofia cristiana, lo farà ammettendo che ogni filosofia degna di questo nome, non può che ammettere le proprie insufficienze, lasciando aperto il campo alla fede e alla teologia. Pur giungendo a riconoscere una dipendenza della filosofia dalla fede (materiale e formale), Stein non la abbandona mai in nome della rivelazione,11 ma tenta piuttosto di portare avanti una dimostrazione di una possibilità di «integrare» i due campi, sulla base della natura antropologica dell’essere umano, analogicamente in rapporto con il Creatore da sempre.

L’empatia messa in atto la aiuta a cogliere, a questo punto, il vissuto e l’evidente verità di alcuni momenti, come quella preghiera da parte di una sconosciuta; incontrata in una chiesa di Francoforte nel 1916.

Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti che avevo visitato ci si recava solo per la funzione religiosa. Qui, invece, qualcuno era entrato nella chiesa vuota […] come per andare a un intimo colloquio.12

È proprio questo «intimo colloquio» a colpirla, questa dimensione personale dell’incontro con il Cristo cattolico, che per Stein giustifica lo sforzo dell’accoglienza, in una sostanziale continuità armonica con le radici ebraiche. In questo apprezzamento della dimensione personale del rapporto con Dio, conta molto la fenomenologia di Husserl, che le insegna a puntare l’attenzione sul Leib, il corpo vivente, come punto di partenza dell’indagine filosofica. Conseguenza sarà un forte interesse per la mistica.

Come dicevamo, è l’armonia la cifra della vicenda esistenziale di Edith Stein, quella che lei vive esplicitamente; basti pensare alla lettera al Papa Pio XI, nella quale esordisce con queste parole: «Padre Santo! Come figlia del popolo ebraico, che per grazia di Dio è da 11 anni figlia della Chiesa cattolica». Firmando, poi, «Dott. ssa Edith Stein. Docente dell’Istituto tedesco di Pedagogia scientifica». Ebrea, quindi, ma anche cattolica e fenomenologa.13 Questa «fenomenologia della fede» la avvicina ad altri incontri eccezionali, quello con santa Teresa d’Avila prima, e san Giovanni della Croce, in seguito.

L’esperienza mistica — come vedremo brevemente — rappresenta, in un certo senso, l’ordalia della pratica empatica, una messa alla prova totale. Se, come abbiamo visto, nell’empatia Stein sottolinea sempre la separatezza, che è, in un certo senso, incommensurabile e viene sempre conservata tra io e altro; tuttavia, questa separatezza non annulla la dimensione relazionale, anzi diviene l’unica garanzia di una possibile relazione reale, non falsata dalla scomparsa della persona.

3. La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia

Gli scritti rappresentano un luogo importante, che ci permette di riflettere sulla concezione antropologica e nel quale possiamo trovare concentrati ed operanti tutti i temi della Stein. Si tratta di testi composti da Edith Stein per motivazioni diverse e in tempi diversi, spesso, con una finalità didattico-dottrinaria. Tuttavia, in nessuno di essi, Stein rinuncia ad esercitare la propria intelligenza per giungere al margine dell’ambito di fede, nella convinzione di una complementarietà perfetta.

Non potrò darne un resoconto dettagliato di tutti gli scritti, ma mi limiterò a coglierne all’interno di alcuni di essi una serie di spunti interessanti.

La prima caratteristica è la sistematica contestualizzazione storica delle riflessioni che ella propone; Stein, infatti, non si pone mai del punto di vista dell’assoluto ma parte dalla particolarità per svolgere un’analisi sempre legata al centro vivo della questione. Correlata a questa sensibilità storica vi è la considerazione delle azioni, delle rivendicazioni e delle conquiste del «Movimento femminile» di cui ella si sente — giustamente — parte attiva. Il particolare punto di vista — quello cristiano cattolico — a questo punto, viene giocato come elemento di ulteriore ricchezza, come uno stimolo di sensibilità supplementare rispetto alla questione femminile.

Così, infatti, comincia Problemi dell’educazione della donna (1932):

Quale forma debba assumere l’educazione della donna, è un argomento intorno a cui si accese una viva folla all’inizio del Movimento femminile […] Oggi è diventato di nuovo uno scottante argomento di attualità. É evidente che per accedere veramente a questa problematica e necessario partire dalla situazione odierna della donna. Ma sorge qui subito una difficoltà: si può parlare in generale della situazione della donna?14

Due punti: la situazione odierna della donna e l’interrogativo fondamentale sulla possibilità di parlare in generale della donna, di una essenzializzazione indiscriminata della questione, che ne annullerebbe la realtà. In questo senso, non bisogna mai dimenticare che bisogna misurarsi con un Leib e non con un Körper.

Il contesto storico costituisce la particolarità temporale, primo elemento di cui tener conto. In secondo luogo, il discorso non può mai riferirsi a generici modelli, a specie asettiche.

Dovremo occuparci in seguito del problema se esista la donna come una specie universale. Ad ogni modo se si parla della situazione della donna, non si intende parlar certo della specie, ma di tutto ciò che cade sotto la specie universale, cioè dei tipi e degli individui; la varietà è così grande, che a stento si può parlare di una situazione comune a tutte.15

L’analisi tipologica si impone quando si approccia un tema così complesso, per poter evitare ogni fraintendimento o svalorizzazione.

Nel saggio sui Problemi dell’educazione della donna Edith Stein procede ad una puntuale ricostruzione storica delle tappe fondamentali dell’educazione della donna; momenti che hanno messo in luce — all’interno di una cultura sostanzialmente protestante — la necessità di una rinnovata concezione dell’educazione, a cui a suo dire non può mancare la considerazione delle caratteristiche naturali della donna.

Per questo motivo, per comprendere il discorso sull’educazione non possiamo mai prescindere dalla conoscenza della concezione antropologica della Stein, che emerge d’altra parte chiaramente in più punti.

Non si tratta certo di uno studio o una campionatura, ma di una considerazione dell’essere umano nella sua ontologica distinzione, nel suo essere uomo e donna, come chiarisce bene in chiusura del saggio Ethos della professione femminile.

[…] vorrei proporre un problema che mi si è presentato continuamente mentre riflettevo su questo tema: perché nel programma dei nostri incontri si pone la professione della donna a fianco di altre professioni chiaramente determinate, come quella del medico, del sacerdote, ecc.? Perché anche altrove si parla spesso di professioni della donna, ma mai della professione dell’uomo? Non vi è forse per l’uomo, in modo analogo che per la donna, una corrispondenza o eventualmente una opposizione fra doti individuali e doti maschili? Non è vero anche per lui che le particolarità virili devono, o dovrebbero essere in consonanza con la professione che sceglie e a cui si forma? Ancora: non vi è anche qui un contrasto fra la natura corrotta dal peccato, e la stessa natura ricondotta alla sua purità?16

Per Edith Stein non è possibile parlare di tendenza, natura o compiti, se non all’interno di una antropologia duale dato che

Iddio ha creato l’uomo maschio e femmina, l’uno e l’altra a propria immagine. Solo quando le rispettive caratteristiche maschili e femminili sono pienamente sviluppate, si raggiunge la massima somiglianza possibile col divino.17

4. Antropologia duale e struttura differenziata dell’individuo

Risulta interessante ricordare brevemente che cosa intende quando si definisce «antropologia duale», la specifica posizione filosofica di Stein, come suggerito da Ales Bello. Possiamo riferirci, ad esempio, ad un passaggio di Problemi dell’educazione della donna

Sono convinta che la specie uomo si articoli in due specie: specie virile e specie muliebre, e che l’essenza dell’uomo, alla quale nell’un caso e nell’altro nessun tratto può mancare, giunge in due modi diversi ad esprimere se stessa, e che solo l’intera struttura dell’essenza renda evidente l’impronta specifica. Non solo il corpo è strutturato in modo diverso, non sono differenti solo alcune funzioni fisiologiche particolari, ma tutta la vita del corpo è diversa, il rapporto dell’anima col corpo è differente, e nell’anima stessa è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità, come il rapporto delle potenze spirituali tra di loro.18

Se la specie uomo è costituita da un insieme di corpo (Leib), psiche e spirito, il numero di variabili e diversità è costituito tuttavia da molti più fattori; prima di tutto il sesso, il corpo nella sua materiale diversità, che pone necessariamente su piani differenti perché diverse sono le potenzialità offerte dalla natura. E, poi, l’attitudine personale e la volontà.

La specie femminile dice unità, chiusura dell’intera personalità corporeo-spirituale, sviluppo armonico delle potenze; la specie virile dice elevazione di singole energie alle loro prestazioni più intense.19

In questa differenziazione non vi è una valutazione da parte della pensatrice, che non costruisce alcuna scala gerarchica di valore, ma ritiene che

L’uomo e la donna hanno gli stessi tratti fondamentali umani nella loro essenza, e alcuni di questi prevalgono non solo nei sessi, ma anche negli individui di questo o di quel sesso. Perciò alcune donne possono presentare una forte approssimazione alle specie virile, e viceversa.20

La differenza è determinata dalla presenza di elementi o caratteristiche proprie dell’altro sesso,21 che si declinano al loro volta in modo diverso, a seconda delle scelte di vita che si compiono. Stein compie una approfondita analisi dei «tipi»22 che si possono incontrare in questo senso, con possibilità diverse di realizzazione.23 Per questo motivo, Stein pensa che, anche se la capacità riproduttiva rende la donna essenzialmente aperta al matrimonio e alla maternità, esistono tuttavia diverse modalità di realizzazione24 per lei, che non implicano necessariamente il matrimonio. Esiste un’altra via per esplicitare la propria «fecondità», sia sul piano intellettuale che pratico, nell’ambito — ad esempio — dell’insegnamento.

Stein spesso espone quali siano le modalità di realizzazione riservate alle donne in questo stato di decadimento dalla grazia di Dio, bisogna ricordare, infatti, che per Stein la condizione temporale è sempre ipotecata dal peccato originale, che ha portato ad una «degenerazione specifica».

La degenerazione specifica dell’uomo è quella di tendere a un dominio brutale (su tutte le creature e specialmente sulla donna) e a rendersi schiavo del proprio lavoro fino a compromettere il proprio equilibrio umano. La degenerazione specifica della donna è il legame servile verso l’uomo, e l’immergersi nella vita corporea e sensuale.25

Fine dell’educazione sarà quella di aiutare a colmare questi difetti, a correggere ciò che deriva dal peccato, ma, in maniera evidente per Stein, non può prescindere dalla grazia divina per agire in maniera completa.

Il modello che guida l’idea di educazione è per Stein la figura di Maria. Potremmo dire che la valutazione del suo esempio costituisce la chiave di volta di un femminismo cristiano26 che Stein, saldandosi perfettamente alla sua formazione fenomenologica, riconosce come caratteristica specifica e originale della sua scelta religiosa.

Le molte figure femminili che con Maria punteggiano il Vangelo, hanno una funzione dirompente rispetto alla mentalità dell’epoca: Gesù, infatti, affida alle donne alcune delle rivelazioni fondamentali. Importante fattore di rivoluzione della mentalità diventa anche la verginità di Maria, perché rende possibile un modello di vita femminile non accompagnato da generazione, giustificando una alternativa alla destinazione biologica.

Maria è «Corpo mistico»,

Maria è il simbolo più perfetto della Chiesa perché ne è prototipo e origine. Ne è anche un organo particolarissimo; l’organo da cui fu formato tutto il corpo mistico, anzi il capo stesso. Per questa sua posizione organica centrale ed essenziale, la chiamiamo volentieri cuore della Chiesa. Le espressioni corpo, capo e cuore sono certo delle immagini; ma ciò che s’intende esprimere è certamente una realtà. Il capo e il cuore svolgono infatti, nel corpo umano, un compito d’eccezione: tutti gli altri organi e membra da loro dipendono nel loro essere e nel loro agire; e fra capo e cuore vi è una connessione specialissima.27

Allo stesso modo, la Stein indica la missione della donna in una maternità sui generis, ossia che «non si ferma alla cerchia ristretta dei congiunti o degli amici personali, ma che si diffonde ovunque vi siano affanno e pena, sull’esempio della Madre della Misericordia».28

In questo senso, Stein legge il compito dell’accademista, che acquisisce un guadagno proprio dal fatto di essere cattolica, come ricorda in Compiti delle accademiste cattoliche di Svizzera.29 Si tratta di coltivare una dedizione che «non è uno spersonalizzarsi per svanire nel nulla indiano o nel collettivismo russo: no, è un donarsi all’Essere (Dio), un elevare la propria persona al di sopra di sé, un infrangere le barriere della propria personalità nell’immensità dell’essere (il vero superumanismo!), un elevare i propri compiti verso gli oggetti (professione), verso gli uomini (direzione), verso le anime (apostolato)».30

Se dobbiamo indicare quale siano le professioni che più si adattano alla donna, non possiamo per Stein parlare in senso assoluto, ma dobbiamo cogliere realmente ciò che viene denominato chiaramente dal termine tedesco Berufen, che significa professione ma anche vocazione o chiamata. Questa chiamata implica una persona che risponda a qualcuno che chiami, ossia Dio. Si tratta di una chiamata che parla al cuore dell’essere umano, alla sua persona come complesso intreccio di «Io, anima, spirito, persona»^[31] che sono in stretto rapporto, ma non coincidenti.

Pur restando ferma la libertà umana, per Stein il compito della donna si esplica in una molteplicità di professioni, ma è fondamentalmente legato alla sua natura, alla sua capacità di cogliere il particolare:

Il modo di pensare della donna, e i suoi interessi, sono orientati verso ciò che è vivo e personale e verso l’oggetto considerato come un tutto. […] Ciò che non ha vita, la cosa, la interessa solo in quanto serve al vivente e alla persona, non in se stessa. […] E a questo atteggiamento pratico ne corrisponde uno teoretico: il suo modo naturale di conoscere non è tanto concettuale e analitico, quanto contemplativo e sperimentale, orientato verso il concreto.31

E, ancora, la donna è colei che è naturalmente più portata all’empatia, ed è proprio questa caratteristica a renderla importante per lo sviluppo della società e della politica.

Stein parla chiaramente di una differenza sessuale non solo a livello fisico, ma anche a livello di anima. Certo di per sé questa natura non assicura nulla, come abbiamo già detto, ma indica una strutturale apertura empatica della donna, che può essere sviluppata per assicurare una riuscita, un perfezionamento della persona.

La filosofia può dimostrare che alla specie dell’uomo spetta anche l’individualità, nel senso di particolarità propria; ma percepire le singole individualità non è compito della filosofia, ma di una funzione specifica dell’esperienza, che non usiamo quotidianamente nel rapporto con altri uomini. Questa differenziazione dell’umanità in una illimitata molteplicità di individui è intersecata da un’altra più semplice: la differenziazione sessuale […] Si deve concepire la distinzione tra uomo e donna in modo che tutta e intera la struttura dell’uomo in quanto tale sia interessata alla differenziazione sessuale, oppure che questa si estenda solo al corpo o a quelle funzioni dell’anima che sono necessariamente legate ad organi corporei, mentre lo spirito dev’essere considerato libero? Questa concezione viene seguita non solo dai circoli femminili, ma anche da alcuni teologi. Se si dovesse accettare questa seconda concezione, si dovrebbe impostare la formazione spirituale senza tenere nessun conto dei sessi; diversamente l’opera formativa deve tener conto della specifica natura dello spirito.32

Come si diceva in apertura, l’empatia è il presupposto indispensabile per poter cogliere l’alterità, valorizzandone nello specifico l’individualità irriducibile.33

La svolta idealistica della fenomenologia si combatte sul terreno dell’empatia, perché nell’atto empatico non si può mai giungere ad una riduzione eidetica dell’altro, come non ci si può mai confondere con il vissuto altrui,34 ma si mantiene sempre una distanza trascendente. Noi, di fatto, «ci rendiamo conto» (gewahren) dell’altro, non lo possediamo mai, né diventiamo mai «medesimi» dell’altro.

Empatizzando la gioia dell’altro, io non provo alcuna gioia originaria, questa non sgorga viva nel mio Io e non ha nemmeno il carattere di essere-stata-viva-una-volta, come la gioia ricordata, tantomeno quello di essere fantasticata senza vita reale… Nel mio vissuto non originario mi sento lo stesso accompagnato da un vissuto originario che non è vissuto da me e tuttavia esiste e si manifesta nel mio vissuto non originario.35

La donna dimostra di essere naturalmente portata all’empatia, e perciò maggiormente in grado di dare spazio in maniera autentica all’alterità. E questa capacità empatica è esplicitata da una persona — non da un essere idealizzato — nei confronti di un’altra persona.

Stein lo riafferma chiaramente nel saggio Valore della femminilità e sua importanza per la vita del popolo, parlando proprio della capacità tutta femminile di procedere per «particolarità»:

L’orientamento della donna è personale; e ciò ha un senso molteplice. Anzitutto ella partecipa volentieri con tutta la persona a ciò che fa. Poi ha un interesse particolare per la persona viva concreta, e ciò, sia nei riguardi della propria vita personale, sia per le persone estranee o i valori personali altrui. […] L’orientamento verso la persona è giustificato e valorizzato dal fatto che proprio la persona sta all’apice di ogni valore oggettivo. Ogni verità è conosciuta dalla persona, ogni bellezza è contemplata apprezzata dalla persona. […] tra le creature, proprio la persona rappresenta la sua immagine più alta [di Dio]36

5. Mistica e empatia

La capacità di cogliere la persona, luogo del rispecchiamento trinitario in Dio, rende la funzione e la presenza della donna essenziale non solo nel condurre la gioventù alla Chiesa, nella formazione di una «umanità in senso pieno», ma forse anche più adatta ad un’esperienza eccezionale come l’incontro mistico con Dio. Se, infatti, «dietro a tutto ciò che nel mondo ha valore, vi è la persona del Creatore»,37 sarà possibile coglierne la presenza reale grazie all’empatia?

Torniamo così all’interrogativo essenziale sulla mistica, ossia è possibile un incontro personale con Dio?

Solo un breve ma doveroso accenno alla questione mistica. Sappiamo che la lettura della vita di Santa Teresa fu un passaggio fondamentale per la conversione della Stein, così come lo studio dedicato alla Scientia crucis di San Giovanni della Croce, che occupò gli ultimi anni di lavoro della filosofa. La mistica si configura come un vissuto d’incontro, un luogo nel quale è possibile l’incontro personale con Dio.

Certo, la dimensione personale deve essere intesa in senso analogico — ed è su questo punto che viene in soccorso San Tommaso d’Aquino e la sua analogia entis.38 Il suo valore dal punto di vista cognitivo è particolare, totalmente diverso dalla dimensione gnoseologica della conoscenza: non implica infatti un possesso, una sparizione dell’altro nell’io, ma un «io mi rendo conto», un sapere certo che è immediatamente emotivo e spirituale. L’empatia come modalità di relazione con ciò che è altro da me, che è totalmente libero dal mio controllo, assicura la permanenza della differenza, quel particolare distinguersi gli uni dagli altri pur rimanendo in comunicazione.

Ma cosa succede se questa prospettiva empatica, come esperienza umana e filosofica, tenta di applicarsi ad un’esperienza ineffabile come quella mistica. Qual è dunque il rapporto tra la capacità empatica e l’esperienza mistica?

L’empatia pone in uno stato di ricettività, di apertura che sicuramente ben predispone all’esperienza mistica. L’esperienza di Dio, però, si connota come esperienza negativa, come negazione della conoscenza, come buco nero del sapere, assenza di punti di riferimento logici.

I riferimenti mistici fondamentali nella storia di Edith Stein sono Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce. In questi due mistici, larga parte dell’esperienza è mediata in modo fondamentale dal corpo. Il corpo al centro della fenomenologia, il Leib con la sua ricchezza, non è composto dai soli sensi, ma anche da psiche e spirito. In questo senso, la mistica appare come la più alta forma del vivere umano, la più completa possibilità di sviluppo della complessa statificazione che è l’uomo e, al tempo stesso, la valorizzazione piena di tutti gli aspetti.39

Anche in questo caso, è la continuità armonica a prevalere, un costante richiamo ad una unitarietà nella ricerca che non può che condurre alla Verità. Stein pensa, infatti, di completare il suo Essere finito e Essere eterno con un confronto tra le posizioni di Heidegger e Teresa d’Avila, che alla fine vince sul filosofo tedesco.

Scrive Ales Bello:

Perché la Stein sceglie proprio una santa del Cinquecento e un pensatore del Novecento e neppure un esponente della filosofia cristiana, anzi un suo oppositore? Forse proprio per far risaltare, quasi provocatoriamente, l’efficacia e l’attualità della descrizione spontaneamente resa da santa Teresa, sulla base di ciò che aveva «provato». Una descrizione che avvalora il lavoro di scavo che segue il metodo fenomenologico e lo conduce sempre di più nella profondità interiore, in quel luogo già indicato filosoficamente da sant’Agostino e ricordato anche da Husserl. Spontaneamente fenomenologia, santa Teresa coglie bene la struttura dell’essere umano, meglio di chi, pur dicendo di seguire il metodo fenomenologico […] non sa metterne in evidenza tutte le dimensioni e rimane alla superficie; ed è proprio ciò che è accaduto a Martin Heidegger. Egli ha cercato di analizzare l’esistenza, ma è rimasto alle porte del castello, non ha saputo penetrare in esso.40

Attraverso l’insegnamento di San Tommaso d’Aquino, Stein cerca di trovare una mediazione tra la filosofia, la mistica e il sistema. Da lui impara che solo il particolare è sicuro, l’universale è astrazione e, perciò, bisogna partire sempre dal particolare.

Altro interessante concetto è l’analogia entis, il singolare rapporto che intercorre tra Creatore e creatura, legame e insieme distacco. Distacco che può essere trasceso solo tramite la grazia. Come ricorda a proposito Ales Bello, la mistica viene a costituire una via alternativa alla verità, non in contrasto con quella filosofica, ma una conferma della sua sensatezza.41

Una Scientia crucis è anche lo scopo — mai abbandonato — della speculazione della Stein: l’idea che si ritrova anche nei suoi riferimenti filosofici — basti pensare a San Tommaso — di accompagnare la ragione fino alle porte della fede, di cogliere fenomenologicamente l’evento «altro», Dio.

Parlando di San Giovanni, Stein identifica nel Cantico spirituale il luogo poetico dell’incontro — all’interno della creazione — con Dio.

Il Cantico spirituale ripropone l’intero percorso mistico — non solo nel commento, ma anche nelle strofe — ed è scritto da un’anima affascinata da tutte le attrazioni della creazione visibile. […] Il poeta rinuncia a priori a spiegare tutto. Egli vuole solo «dare alcune spiegazioni generali» e lasciare ai versi «tutta la ricchezza del senso».42

Nonostante la scrittura poetica43 conservi, volutamente, il tono allegorico, si ritrova chiaramente l’interpretazione: «Il rapporto dell’anima con Dio, quale lo ha previsto Dio dall’eternità come scopo della sua creazione, non può essere designato più precisamente che attraverso il legame sponsale».44

Il rapporto tra gli sposi è un rapporto tra persone, e nulla può aiutarci a cogliere la persona dell’Altro come l’empatia. Esperienza mistica come consapevolezza di una presenza che non coincide con noi, in cui non avviene confusione o perdita di sé, ma anzi una conferma di sé all’interno del rapporto fondante della nostra persona,45 quello con Dio persona.

In questo tipo di esperienza, d’altra parte, nessuno ha saputo meglio descrivere l’accadere mistico come santa Teresa d’Avila, proprio perché donna.


  1. «Anche in Edith Stein la circolarità fra teoria e prassi è molto chiara, fra la sua vita e le sue idee si coglie un nesso fortissimo e una coerenza straordinaria. Ciò non vuol dire che ella non abbia cambiato le sue idee nel corso della sua vita, che il suo percorso esistenziale non sia stato dinamico e in qualche momento imprevedibile, ma fra le sue convinzioni e i suoi comportamenti c’è stata sempre una profonda corrispondenza» (A. Ales Bello, Introduzione, in E. Stein, Vado per il mio popolo, a cura di A. Ales Bello, Castelvecchi, Roma 2012, p. 9). Cfr. soprattutto A. Ales Bello, Edith Stein o dell’armonia. Esistenza, Pensiero, Fede, Edizioni Studium, Roma 2009. ↩︎

  2. E. Stein, Die Frau. Fragestellungen und Reflexionen, ESGA 13, M. A. Neyer (ed.), Herder, Freiburg-Basel-Wien 2002; La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 1999. ↩︎

  3. Non a caso, infatti, il pensiero di Stein è stato studiato con attenzione da molti pensatori e pensatrici anche distanti dalle sue posizioni religiose, segno della capacità della filosofa di giungere a problematizzare teoreticamente nodi essenziali del pensiero. Cfr., ad esempio, G. Gaeta. - C. Bettinelli - A. Del Lago, Vite attive. Simone Weil, Edith Stein, Hannah Arendt, Edizioni Lavoro, Roma 1996; S. Courtine-Denamy, Trois femmes dans de sombres temps. Edith Stein, Hannah Arendt, Simone Weil ou amor fati, amor mundi, Albin Michel, Paris 1997; L. Boella, Cuori pensanti. Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, Tre Lune, Mantova 1998; L. Boella - A. M. Buttarelli, Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina, Milano 2000. Come chiarisce Boella: «[…] Edith Stein può essere accostata ai ‘cuori pensanti’ del Novecento solo con la dovuta cautela, o almeno con l’impiego di strumenti interpretativi che tengano conto dell’unicità della sua vicenda esistenziale. Vita e pensiero si sono, infatti, intrecciati in Edith Stein in una maniera che sembrerebbe parlare da sé, tale da far coinvolgere in un unico, immenso ‘cuore pensante’ la partecipazione alla fase più feconda della rivoluzione del pensiero operata dalla fenomenologia, le catastrofi storico -politiche del Novecento, e l’esperienza più intima e insieme assoluta della fede» (L. Boella, Prefazione, in P. Manganaro - F. Nodari (edd.), Ripartire da Edith Stein. La scoperta di alcuni manoscritti inediti, Morcelliana, Brescia 2014, p. 7). ↩︎

  4. In questo contributo mi servirò spesso degli studi compiuti da Angela Ales Bello, che ha determinato in maniera essenziale la ricezione e, soprattutto, la comprensione di questa autrice. In Italia, ma non solo. Ciò che reputo estremamente interessante nell’impostazione di ricerca di Ales Bello, è l’apertura e il dialogo con le altre dimensioni della filosofia al femminile, anche non religiose, oltre al suo costante tentativo di armonizzare le prospettive, pur mantenendone chiari i confini. In questo dimostra di essere una perfetta allieva di Edith Stein. ↩︎

  5. E. Stein, Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, M. A. Sondermann (ed.), Herder, Freiburg-Basel-Wien, 2008; Il problema dell’empatia, a cura di E. Costantini e E. Schulze Costantini, pref. A. Ales Bello, Edizioni Studium, Roma 1985 (d’ora in poi Empatia), p. 67. ↩︎

  6. Il testo dell’Empatia, discusso nel 1916, verrà pubblicato nell’anno successivo, rimane un testo fondamentale, non solo per la comprensione esatta della studiosa, ma per la questione fenomenologica in generale. ↩︎

  7. La grande forza etica e teoretica del concetto di empatia, in senso generale, non smette di stimolarci, come scrive Manganaro: «L’atto empatico ascrive all’altro un vivere come il mio. È un atto formativo e performativo: fonda l’agire solidale, educa ai valori etici e civili, testimonia la comunità come relazione personalistica all’essere. […] L’empatia è il più potente antidoto al male che attanaglia Europa e Occidente: l’ipertrofia dell’ego, il rifiuto di uscire da sé, per andare verso l’altro. Attraverso una mappa del sentire, si delinea una micro-antropologia filosofica, che annulla distanza e distanze. Nel tempo e nello spazio. Humanitas, communitas» (P. Manganaro, Empatia, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2014, pp. 11-12). ↩︎

  8. Empatia, p. 70. ↩︎

  9. Empatia, p. 71. ↩︎

  10. E. Stein, Aus dem Leben einer judischen Familie und weitere autobiographische Beitrage, ESGA 1, M. A. Neyer (ed.), Herder, Freiburg-Basel-Wien 2002; Dalla vita di una famiglia ebrea, a cura di A. Ales Bello e M. Paolinelli, Città Nuova OCD, Roma 2007, p. 306. Il testo, composta tra il 1933 e il 1938, interrompe la sua narrazione al 1916. Sicuramente Stein continuò a lavorarci anche dopo, ma probabilmente parti sono andate perdute a causa della guerra. ↩︎

  11. «Perciò la fede ha per la filosofia un doppio significato. La filosofia vuole la verità nella più ampia estensione possibile e che dia la maggiore certezza possibile. Se la fede rende accessibili verità, che non sono raggiungibili per altra via, allora la filosofia non può rinunciare a questa verità di fede senza abbandonare, per l’appunto, la sua esigenza universale di verità e inoltre senza correre il rischio che si insinui anche la falsità nell’insieme di conoscenza che le rimane, perché nella connessione organica di tutta la verità può capitare che ciascuna singola parte sia vista in una falsa prospettiva, se sono recisi i legami con il tutto. Perciò si deve concludere che c’è una dipendenza materiale della filosofia dalla fede. Quindi, se è propria della fede la più alta certezza che l’uomo possa raggiungere e se la filosofia avanza la pretesa di dare la più alta certezza raggiungibile, allora essa deve fare propria la certezza della fede. Ciò accade assumendo in sé, per l’appunto, la verità di fede; inoltre, commisurando tutte le altre verità a questa come criterio ultimo. Da ciò deriva una dipendenza formale della filosofia» (E. Stein, La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino. Tentativo di confronto, in Ead. La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, a cura di A. Ales Bello, Città Nuova, Roma 1999 (III), p. 68). ↩︎

  12. Dalla vita di una famiglia ebrea, p. 468. Interessante sottolineare nella vicenda di Simone Weil, filosofa per altri versi molto diversa da Stein, il riconoscimento della stessa “evidenza” fenomenologica di alcuni eventi che ella considera come esempi di pura fede. Tappe essenziali della sua conversione alla figura di Cristo (ma non alla Chiesa) sono, in effetti, una serie di persone incontrate dalla filosofa francese, e considerate incarnazione di una verità eterna ed innegabile. Cfr. R. Chenavier, Simone Weil. L’attenzione al reale, a cura di F. Negri, Asterios, Trieste 2016, p. 61 e ss.; F. Negri, La passione della purezza. Simone Weil e Cristina Campo, Il Poligrafo, Padova 2005; cfr. anche J. F. Thomas, Simone Weil et Edith Stein. Malheur et souffrance, Culture et Vérité, Namur 1992. ↩︎

  13. Come sottolinea bene Manganaro, la scrittura di questa lettera si colloca in un periodo di ripensamento e riaffermazione, da parte di Stein, di una stretta continuità tra vicenda filosofica ed esistenziale: «In questa accorata denuncia ciò che colpisce, conducendo a un’inversione di prospettiva, è l’esplicito riferimento al sangue ebraico di Cristo: sangue di un’umanità “santissima”, scrive Edith Stein, sangue sacrificale, sangue dell’Agnus Dei. […] Nel settembre dello stesso anno, Edith Stein comincia a scrivere la sua autobiografia, Dalla vita di una famiglia ebrea. Anche in questo caso, ci troviamo di fronte a un vissuto come segno: logos e testimonianza negli anni del nazionalsocialismo […] il cui obiettivo è mostrare come sia possibile superare il mero dato biografico in una ricerca sulle fonti, in una fenomenologia della storia intesa come biografia “non conformista”» (P. Manganaro, Persona-Logos. La sintesi filosofico-teologica in Edith Stein, Lateran University Press, Roma 2015, pp. 114-115). ↩︎

  14. Problemi dell’educazione della donna in La donna…, p. 153. ↩︎

  15. Problemi … in La donna…, pp. 153-154. ↩︎

  16. Ethos della professione femminile in La donna..., p. 66. ↩︎

  17. Ivi, p. 66. ↩︎

  18. Ivi, p. 204. ↩︎

  19. Ibidem↩︎

  20. Problemi… in La donna…, p. 205. ↩︎

  21. Jung parla di Animus e Anima presenti in ognuno di noi, come parte maschile nella donna e parte femminile nell’uomo ↩︎

  22. Questa analisi tipologica permette a Stein di mantenere una molteplicità di elementi in opera, nella determinazione della persona “donna”: gli elementi materiali, il “dato biologico”, ma anche i fattori formativi, di volontà personale, di diversità, in definitiva, di esprimere quella eccezionale unicità che ogni donna porta con sé, e che non può venir liquidata con una categoria Come per l’uomo, d’altra parte. Un altro pensatore che, a dispetto della vulgata sul suo conto, ha praticato in maniera interessante un’analisi tipologica della donna è Friedrich Nietzsche. Cfr. F. Negri, “Ti temo vicina, ti amo lontana”. Nietzsche, il femminile e le donne, Mimesis, Milano 2011. ↩︎

  23. Problemi… in La donna…, p. 206 e ss. ↩︎

  24. «Certo, per tutto il sesso femminile, il matrimonio e la maternità sono il primo compito; ma non lo sono per ogni individuo particolare. Vi possono essere donne chiamate a particolari opere culturali, e a queste sono consone le loro doti» (Ivi, pp. 205-206). ↩︎

  25. Ivi, p. 207. ↩︎

  26. Fondamentali, su questo punto, le parole di Ales Bello: «Preliminarmente propongo una tesi, forse provocatoria, che deriva da un confronto fra culture e religioni diverse: solo sul suolo fecondato dall’esperienza cristiana si delinea un’antropologia che si mostra attenta alla duplicità dell’essere umano maschile e femminile. […] Parecchi episodi contenuti nei Vangeli sono significativi ed emergono figure di donne, che non sono state dimenticate nella tradizione cristiana; la prima e la più importante è proprio la figura di Maria» (A. Ales Bello, Differenza sessuale e domanda antropologica in G. Richi Alberti (ed.), Al cuore dell’umano. La domanda antropologica 1, Marcianum Press, Venezia 2007, pp. 45-46). ↩︎

  27. Compito di guidare la gioventù alla Chiesa, in La donna, pp. 263-264. ↩︎

  28. Valore della femminilità per la vita del popolo, in La donna, p. 290. ↩︎

  29. Cfr. Ivi, pp. 291-299. ↩︎

  30. Ivi, p. 293. ↩︎

  31. Ethos della professione femminile, in La donna, p. 52. ↩︎

  32. Problemi… in La donna…, pp. 197-199. ↩︎

  33. Questa è infatti la critica che Stein muove a Lipps: «É conforme alla nostra tesi il fatto che, attraverso quella seconda forma del ricordo, dell’attesa, dell’empatia, il soggetto dei vissuti ricordati, attesi, empatizzati non è Oggetto nel vero senso della parola; nondimeno quel che noi contestiamo è che possa verificarsi un perfetto ricoprimento dell’altro Io che ricorda, attende, empatizza e cioè che i due Io possano diventare uno solo»(Empatia, p. 81). ↩︎

  34. Laura Boella, che molto si è dedicata allo studio di Stein, ricorda i chiarimenti nei confronti di Scheler, e propone una corrispondenza tra Einfühlung e il Nachfühlen o Nachleben di Scheler; cfr. L. Boella, Grammatica del sentire. Compassione Simpatia Empatia, Cuem, Milano 2012, p. 104 e ss. Cfr. anche Ead., Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Raffaello Cortina, Milano 2006. ↩︎

  35. Empatia, p. 63. ↩︎

  36. Valore della femminilità e sua importanza per la vita del popolo in La donna…, pp. 280-281. ↩︎

  37. Ivi, p. 281. ↩︎

  38. Ovviamente ci sarebbe molto da dire sul confronto con San Tommaso che Stein porta avanti in Essere finito e essere eterno. Per una elevazione al senso dell’essere↩︎

  39. Molto convincente, sulla questione della mistica, la posizione di Manganaro: «Occorre molta dimestichezza con gli scritti di Edith Stein, per comprendere fino in fondo quel desiderio giovanile di lavorare sulle idee di empatia e di alterità, poi portato a compimento, con grande coerenza, come necessità teoretica, fino alla proposta inaudita di una sua verticalizzazione. Il sentire dentro l’altro, posto quale fondamento dell’identità personale e relazionale, diviene ora il sentire dentro l’Altro, l’ulteriorità che abita l’anima nel paradosso d’una trascendenza interiore. Quando si esce dal proprio ego abbandonandosi, allora si è per-l’altro e con-l’altro come in se stessi, nel ritmo agostiniano del rede in te ipsum, trascende te ipsum. La cifra di questo personalismo fenomenologico non può più essere ignorata, ma opportunamente inserita nel dibattito storico-teorico degli anni ’30 sulla filosofia cristiana, sull’umanesimo integrale e sul personalismo comunitario, solitamente scritto alla sola area francese di ricerca. […] Edith Stein offre un contributo rigoroso per l’istituzione di una filosofia della mistica quale disciplina autonoma, con un proprio statuto epistemologico. […] Nell’Erlebnis mistico, in questione è il riempimento del vissuto da una fonte non ego-logica, non proveniente in prima istanza da ciò che è proprio: una possibilità che Husserl, il maestro, aveva già lasciato alla penna delle sue allieve» (P. Manganaro, Edith Stein: da Breslavia al mondo, in P. Manganaro - F. Nodari (edd.), Ripartire da Edith Stein, op. cit., pp. 42-43). Cfr. anche Manganaro, P. Filosofia della mistica. Per una pratica non-egologica della ragione, Lateran University Press, Città del Vaticano 2008. ↩︎

  40. A. Ales Bello, Edith Stein o dell’armonia. Esistenza, Pensiero, Fede, Edizioni Studium, Roma 2009, p. 117. ↩︎

  41. «Si potrebbe dire che l’analisi della mistica costituisce una sorta di conferma della validità della descrizione essenziale della struttura della soggettività ottenuta attraverso il metodo fenomenologico. Ciò emerge moto chiaramente nell’iter di ricerca di E. Stein, che dopo aver analizzato accuratamente la costituzione dell’essere umano attraverso le nozioni di coscienza e di vissuti e aver mostrato come a livello coscienziale sia possibile il riconoscimento delle dimensioni fondamentali di cui l’essere umano stesso è costituito, cioè la corporeità, la psichicità e lo spirito, e degli atti e delle operazioni a essi relativi, si imbatte nel 1921 nell’Autobiografia di santa Teresa d’Avila ed esclama: “Questa è la verità!”. […] La verità di cui si parla, quindi, può essere quella relativa alla costituzione stessa dell’essere umano aperto verso l’alterità sia essa quella degli altri soggetti che quella del mondo fisico che quella di Dio». (A. Ales Bello, Edith Stein. Patrona d’Europa, Piemme, Casale Monferrato 2000, p. 136). ↩︎

  42. Scientia crucis, pp. 270-271. ↩︎

  43. «[…] è evidente pensare alle difficoltà del conseguente significato. L’espressione poetica, insieme con il contenuto, sembra derivare dallo Spirito Santo. Allora, subito ci diverrà chiaro che, neppure l’espressione diretta non può per nulla afferrare quanto lo Spirito lascia sperimentare e comprendere all’anima nell’interiore. Perciò i commenti si aggrappano ad immagini e paragoni, per farne comprendere qualche cosa» (Scientia crucis, p. 283). ↩︎

  44. Ivi, p. 282. ↩︎

  45. Cfr. E. Baccarini, “Pensare” l’uomo a partire dall’evento cristiano, in E. Baccarini - M. D’Ambra - P. Manganaro - A. M. Pezzella (edd.), Persona, Logos, Relazione. Una fenomenologia plurale. Scritti in onore di Angela Ales Bello, Città Nuova, Roma 2011, pp. 467-479. ↩︎