Il furore del Nulla e l’infinita vanità del Tutto

1. Introduzione

Il contesto entro il quale ogni enunciato sull’essere umano acquista un significato completo è il medesimo luogo in cui ogni coscienza è riconosciuta solo da altre coscienze: questo è l’angolo del mondo più intimamente legato ai contenuti dell’arte, tanto che la crisi dell’uno è sempre associata alle contraddizioni emergenti nell’altra. Eugenio Montale, contribuendo a collocare l’esperienza poetica nel flusso ineludibile della comunicazione di massa, ha voluto esprimere questo concetto anche in occasione della consegna del Premio Nobel per la letteratura (1975):

Non solo la poesia, ma tutto il mondo dell’espressione artistica o sedicente tale è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana […] Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. È come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un’epoca sterminata, possa ancora parlarsi).1

L’arte rende manifesta l’incapacità dell’uomo di giungere ad una sintesi unitaria della propria esperienza, condizione che costringe l’io a rinunciare alla concezione unitaria del mondo. Questa simultanea indeterminazione dell’uomo e del mondo è alla base della creazione, perché «anche il creare è un dar forma al proprio destino»,2 mentre il loro legame è l’assurdo. Per effetto di questo principio eupoietico l’uomo fruisce della maggior varietà di esperienze possibili rinnegando, nel contempo, la filosofia del “tutto o niente” e qualsiasi atteggiamento che introduca una scala di valori nell’esperienza. Se da un lato la filosofia esalta la natura metafisica del Tutto e la scienza gli conferisce il significato di “apertura logica” di un sistema, dall’altro scienza e filosofia divergono molto nel cercare di ammettere il Nulla, o di liberarsene. Albert Camus afferma che questi versanti estremi della conoscenza, fra i quali sussiste una relazione di reciprocità, sono due ampie linee di discontinuità in quella che Martin Heidegger definisce «intima storia dell’esistenza umana»3: la prima è generata dal divario tra “negare” e “creare”; la seconda è la condizione di chi, sfuggendo ai vincoli del tutto, sceglie tra “approvare” e “distruggere”, salta dal consenso alla rivolta. Il Nulla e il Tutto sono i contrassegni delle sponde di un fiume verso le quali, sospinto dal flusso del divenire, l’uomo oscilla nella condizione di “ente creato” da Dio, dall’ambiente naturale e artificiale, dalle ideologie, dall’economia e dalle politiche delle società attuali.

2. La fine del rapporto tra realismo e formalismo

Riferendomi a quanto Tito Lucrezio Caro scrisse di Epicuro, analogamente, potrei dire di Albert Camus che processit longe flammantia moenia mundi «si spinse oltre le mura fiammeggianti del mondo».4 Oltrepassando il divenire eracliteo e le rassicuranti analogie kantiane dell’esperienza, egli ha indicato all’uomo una nuova e più reale possibilità di affermazione, senza la quale non gli rimarrebbe altro che nascere e morire, un’orbita «progressivamente estesa, ma sempre incompiuta»,5 la rivolta metafisica e il suo logico sviluppo: la rivolta storica (o rivoluzione). Questa costituisce un valore irriducibile dell’uomo, tanto che la storia dell’umanità è da considerarsi come la cronologia delle sue rivolte: «La coscienza viene alla luce con la rivolta […] L’uomo in rivolta vuole essere tutto, identificarsi totalmente con quel bene di cui a un tratto ha preso coscienza e che vuole sia riconosciuto e salutato nella propria persona, o niente, vale a dire definitivamente scaduto per opera della forza che lo domina».6

Il Nulla si rapporta al vuoto — inteso come estinzione dell’ente di fronte alla totalità rispetto alla quale può essere compreso7 — e contiene in sé sia l’estensione della sua negazione che il fondamento di una nuova creazione; il Tutto rappresenta la totalità dell’ente, la comprensione dei suoi determinanti, la verità verso la quale conduce e l’ampiezza del consenso scaturito da tale certezza. La percezione del legame esistente fra questi due opposti domini semantici giustifica l’ansia di Jean-Baptiste Clamence, il protagonista di La caduta (A. Camus, 1956), sulle sponde della Senna: «Devo ammettere che non misi piede sul lungo Senna. Quando ci passavo, in macchina o in autobus, si faceva in me una specie di silenzio. Credo, che aspettassi. Ma attraversavo la Senna, non accadeva nulla, mi tornava il respiro».8 Per voce narrante dello stesso Clamence, «né il cuore né l’immaginazione partecipavano a quell’inquietudine».9 Egli, un ex avvocato parigino, sa bene che la capacità di scegliere appartiene alla ragione e alle sue illuminanti prospettive: «Non attraverso mai un ponte di notte».10 Questo personaggio abbandona il suo studio legale per gestire un bar nel quartiere dei marinai e alla confessione privata preferisce quella pubblica: «Ero vissuto a lungo nell’illusione di un generale consenso, mentre addosso a me, distratto e sorridente, si scagliavano, da ogni parte, giudizi, frecciate e scherni. Dal giorno in cui mi misi in allarme, divenni lucido, sentii tutte le ferite insieme, perdetti di colpo le forze. Allora, l’universo intero intorno a me si mise a ridere».11 La rivolta è simile all’arte, quando non cede alle tentazioni del conformismo: «frange l’essere e l’aiuta a traboccare»12 gli argini della propria complessità. L’esperienza del rapporto tra arte e condizione umana lega Albert Camus alle vicende del regista Luchino Visconti: entrambi lasciano l’uomo solo con la propria angoscia, ma Visconti ci restituisce intatta la realtà nella sua ricchezza di contenuti ontologici, mentre Camus dissolve il rapporto fra realismo e formalismo, per consentire all’uomo di esprimere l’inappagabile desiderio di essere liberato. Il regista Luchino Visconti non si rassegnò mai all’idea di un’arte nata, secondo i metodi e gli oggetti che gli sono propri, dalla rinuncia dell’intelletto ai ragionamenti su fatti concreti e, come Camus, ammette che «l’idea di un’arte avulsa dal suo creatore non è solamente fuori di moda, ma è falsa».13 A ciò si deve il carattere omnicomprensivo delle sue opere, che non escludono persino le sensazioni più evanescenti.14 Con la capacità di descrivere i grandi temi dell’esperienza umana, Visconti disse: «I corvi volano a schiera, le aquile volano solitarie».15

L’aquila manifesta familiarità con il mondo, con l’unità dei suoi costituenti e con le leggi che lo regolano; i corvi sembrano più intenti a conservare la conoscenza della propria specie che a conquistare l’unità della vita, il punto supremo della creazione divina. L’aforisma del regista può essere correlato alla distinzione russelliana tra percezione semplice e complessa: «la percezione complessa consiste nella familiarità con un intero combinata con l’attenzione per le sue parti […] la percezione semplice di un complesso consiste nell’attenzione per l’intero combinata con la familiarità con le sue parti».16 Tuttavia, né la forte vivacità nella costante ricerca degli elementi del vero, né «l’ininterrotto filo di sinopia su cui corre la sua opera di poeta»,17 salvarono Luchino Visconti dall’insuccesso del film Lo straniero (1967), tratto dall’omonimo racconto di Camus.

Visconti aveva invano tentato di sottrarsi all’impegno, all’ostinazione del produttore e all’ingerenza della vedova Camus, perché nella veste di co-autore dell’opera non poteva non essersi chinato sull’anima di Meursault, il protagonista del racconto, non poteva non aver colto in quell’uomo, come una sorta di premonizione, il vuoto dell’animo che «diventa un abisso dove la società può perire».18 In Visconti, rappresentazione e visione dell’opera esprimono lo spesso principio fenomenologico: «l’esperienza è possibile solo mediante una rappresentazione della connessione necessaria delle percezioni».19 Interpretando Kant, il regista effettua una “rappresentazione della coscienza” (appercezione), mentre lo spettatore è orientato verso una “rappresentazione mediante la coscienza” (percezione). Dato che lo spazio, che nella concezione kantiana è assoluto, costituisce la mera possibilità dei fenomeni esterni, l’unità sintetica delle rappresentazioni si differenzia rispetto alle regole della determinazione generale del tempo20: permanenza (rapporto al tempo stesso come durata); successione (rapporto nel tempo come serie); simultaneità (rapporto nel tempo come insieme di tutta l’esistenza). I costituenti del vero devono sussistere nel tempo, ogni cambiamento avvenire secondo il nesso di casualità e tutti gli elementi sono tra loro in una reciproca azione universale. La certezza delle analogie kantiane dell’esperienza — l’unità della natura nella connessione di tutti i fenomeni21 — è messa in dubbio proprio da Albert Camus, che nega qualsiasi condizione, o regola a priori, tale da rendere possibile una natura e le sue leggi.

3. Il ruolo della rivolta nell’ordine del pensiero

La lettura di Lo straniero, un libro in cui «tutto è vero e niente è vero»,22 dove «ogni frase nasce e muore all’istante»,23 suggerisce che nell’ordine dei fenomeni correlati alla esistenza umana, non sopraffatto dalla “infinita vanità del Tutto”,24 trova un proprio luogo anche il Nulla, proprietà irrazionale di quella parte del mondo che si è retratta ad ogni forma di condizionamento dopo la sua stessa creazione. Prima dell’uomo, il mondo ha sperimentato più volte gli effetti della rivolta metafisica25 per dare risposta, unificandoli, ai due interrogativi che sottendono la sua rinascita: è possibile la creazione? è possibile la rivoluzione? L’arte si pone nel mezzo e suggerisce le risposte. Mediante l’arte, l’individuo e la società sono sottratti alle negazioni razionali dei deterministi: si riconciliano in tal modo creazione e rivoluzione, rifiuto e consenso, singolare e universale. Secondo Camus, l’uomo è “in rivolta” nel momento in cui rifiuta «il furore del nulla e il consenso alla totalità»26 ed insieme si rende conto che il mondo gira intorno ad un limite, l’irrazionale, a cui il razionale conferisce la propria misura: «né il reale è interamente razionale, né il razionale interamente reale».27 La sussistenza del Nulla nel mondo e nella vita degli uomini testimonia la comune necessità, nella ricerca di una sintesi creatrice, di non sacrificare l’irrazionale alla capacità repressiva del Tutto ed ai valori assoluti dell’essere. Per B. Russell, il mondo reale è la terminologia usata per denominare una gerarchia di entità. Per fortuna, contro ogni dimostrazione di insostenibilità, i filosofi non sono mai stati disattenti alle descrizioni di entità ritenute irreali. Di fatto, non sussistono premesse epistemologiche in grado di restringere ad un soggetto l’area di scelta degli oggetti con i quali stabilire una data relazione, o di condannare alcune entità come oggetti incapaci di fornire un contributo alla conoscenza del mondo. Russell considera il concetto di familiarità come l’aspetto più semplice e diffuso dell’esperienza: «la familiarità è una relazione binaria tra un soggetto e un oggetto, che non hanno necessariamente la stessa natura».28 A questo punto è opportuno fornire alcune definizioni, facilmente deducibili da quanto già esposto: «i soggetti […] sono entità che hanno familiarità con qualcosa, e gli oggetti [sono definiti] come entità con cui qualcosa ha familiarità. In altre parole, i soggetti sono il dominio e gli oggetti sono il controdominio della relazione familiarità».29 In conseguenza di ciò, restando nei campi della logica e della psicologia, «i fatti cognitivi verranno definiti come fatti che comportano la familiarità o una qualche relazione che presupponga la familiarità».30 Come può un lettore di Lo straniero, il cui autore non si volge mai verso di lui suggerendogli un minima interpretazione del testo, utilizzare questi enunciati ed avvertire la sensazione di avere in mano la verità? Il prete che Meursault accoglie nella sua cella, in attesa della condanna a morte, quel prete che entra nella cella così pieno di certezze non può che essere la personificazione del lettore: «La sua presenza mi pesava e mi dava fastidio. Stavo per dirgli di andarsene, di lasciarmi»;31 «Riversavo su di lui tutto il fondo del mio cuore con dei sussulti misti di gioia e di collera».32 Per Albert Camus la presenza del lettore è scomoda per due ragioni: 1) egli è perfettamente consapevole di quanto parziale sia la visione del mondo di un lettore; 2) sente di non poter sperimentare nuove forme di pensiero senza abbandonare definitivamente i consueti punti di riferimento dello scrittore. Per B. Russell, è solo l’umile analista che può scoprire la gloria della sintesi: «L’analisi può essere definita come la scoperta dei costituenti di un dato complesso e del modo in cui sono combinati […] La sintesi può essere definita come la scoperta di un complesso che consiste di dati costituenti combinati in un dato modo».33 Posto che l’attenzione sia la modalità di selezione, da parte di un soggetto, di tutti gli oggetti percepiti e destinati a stabilire con esso una relazione di familiarità, ci troviamo di fronte a due naturali risultati dell’analisi: a) possiamo avere familiarità con il complesso senza averne con i costituenti; b) possiamo avere familiarità con i vari costituenti senza avere familiarità con il complesso. La sintesi, quindi, non può che condurre alla familiarità sia per il complesso che per i suoi costituenti. Secondo Kant, dare all’esperienza un’unità sintetica significa applicare i postulati del pensiero empirico34: 1) ciò che s’accorda colle condizioni formali dell’esperienza (per l’intuizione e pei concetti) è possibile; 2) ciò che si connette con le condizioni materiale dell’esperienza (della sensazione) è reale; 3) ciò la cui connessione col reale è determinato secondo le condizioni universali dell’esperienza è (esiste) necessariamente. Se l’esperienza è sempre costituita da fenomeni condizionati, è data anche l’intera somma di tutte le condizioni e persino l’assolutamente incondizionato (che non è nell’esperienza, ma nell’idea):

questo incondizionato si può pensare o come semplicemente consistente nella serie intera, in cui, dunque, tutti i membri senza eccezione sono condizionati, e solo il tutto di essa sarebbe assolutamente incondizionato — in tal caso il regresso si dice infinito — ; o l’assolutamente incondizionato è soltanto una parte della serie, a cui tutti gli altri membri sono subordinati, ma che, a sua volta, non sta sotto un’altra condizione.35

Nel primo caso la serie è infinita, cioè senza inizio né fine, nel secondo esiste un primo elemento della serie, ovvero l’inizio del mondo. L’universo è il Tutto incondizionato, il complesso delle cose create, sussistenti e interagenti; il Nulla è l’insieme degli enti che si autoescludono dall’universalità delle leggi presupposte alla creazione, che si ribellano all’assoluto e rivendicano una nuova condizione non in antecedentia, ma in consequentia a partire da una propria sintesi creatrice.

Lo straniero di Albert Camus fa emergere la possibilità che, nell’attualità umana, abbia un importante ruolo sintetico anche la “condizione di non-familiarità con il tutto e con tutte le parti di cui è costituito”: assumo questa proposizione come enunciato per la definizione del concetto di estraneità. Mentre ciò che è familiare scaturisce “in regresso” dai dati condizionati dell’esperienza, l’estraneo è un fenomeno all’accadere del quale non emergono vincoli o condizionamenti, che siano di pregiudizio all’uso “in progresso” dell’intelletto. Nelle prime laconiche battute del libro, con l’immediatezza di una vera novità letteraria, Camus sembra possedere la forza necessaria per eludere il determinismo kantiano su cui poggia la Teoria della conoscenza di Russell: «Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so […] Ho chiesto due giorni di permesso al principale e con una scusa così non poteva dirmi di no»36. La narrazione è pervasa dal sentimento di estraneità che il protagonista avverte nei confronti della propria esistenza, includendone i poli estremi, nascita e morte. Camus, ponendosi oltre il nichilismo ed il totalitarismo, affermando che l’assenza di principi e l’incondizionato asservimento ad essi sono “stati” del medesimo sistema, contrappone al consenso per il tutto la familiarità e al rifiuto del nulla l’estraneità. Camus, con la rivolta, sottrae l’uomo a quell’isolamento da cui si può uscire soltanto rimettendo in discussione i fondamenti dell’intero processo conoscitivo, ad una vita che non soffre più di fronte alle inevitabili interruzioni.

Con queste parole, egli annuncia il dramma del rapporto tra pensiero e rivolta: «In quella che è la nostra prova quotidiana, la rivolta svolge la stessa funzione del “cogito” nell’ordine del pensiero: è la prima evidenza. Ma questa evidenza tare l’individuo dalla sua solitudine. È un luogo comune che fonda su tutti gli uomini il primo valore. Mi rivolto, dunque siamo». In analogia a quanto Camus ha raggiunto nella prosa, Montale è vicino alla coscienza umana che, in ascolto di sé, dilata le proprie esperienze nel mimetismo poetico:

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,

arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro

di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto

alberi case colli per l’inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto

tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.37

L’assurdo, contenuto segreto e inalienabile delle vicende umane, si esprime nella simultaneità delle due condizioni analizzate: così, la familiarità per la vita non è disgiunta dalla estraneità alla vita.

4. Il divorzio fra essenza ed esistenza

È come se la vita impedisse all’uomo di osservare se stesso come uno “stato puro” della natura. Cosa s’intende per stato puro? Tale concetto, sia nell’ambito della fisica classica che quantistica, si riferisce alla quantità massima d’informazione che un soggetto può avere riguardo ad un oggetto esaminato. Siano P (x) e Q (x) le probabilità di un evento x calcolate in due diverse condizioni procedurali. La distanza tra le due rappresentazioni euristiche è conosciuta come divergenza di Kullback-Leibler38: qui denotata con D (P/Q), assume valori compresi tra zero e infinito e, non essendo simmetrica, non può essere assunta come una distanza fisica. Omettendo la trattazione matematica e semplificando il simbolismo, si ottengono per tale distanza due condizioni estreme relative all’interpretazione del medesimo fenomeno x:

  1. certezza: D (P/Q) = 0 che implica P = Q
  2. assurdità: D (P/Q) = infinito che implica P “diverso da” Q

Come conseguenza logica dell’ennesimo tentativo platonico di plasmare un evento sull’idea, la transizione dei determinanti dell’essere dal mondo sensibile al mondo intelligibile (e viceversa) genera asimmetrie, che in tale contesto sono evidenziate con la notazione:

D (P/Q) “diverso da” D (Q/P)

Vi è certezza solo quando la verità su un evento osservato è indipendente dalle condizioni che lo hanno determinato, il resto non è altro che lo spazio concesso dagli uomini all’assurdità. Mentre la nascita è il momento in cui l’uomo inizia a percepire i determinanti biologici, culturali e sociali dell’esistenza, separati tra loro dalla massima distanza euristica, il processo di apprendimento che caratterizza la vita rende minima tale distanza: in quale momento, tuttavia, l’uomo può sentirsi certo di aver riunito stabilmente, se non definitivamente, “essenza” ed “esistenza”? Sant’Agostino s’interpella su questo argomento ontologico e chiede invocazione a Dio/Verità: «Quanto cammino hai fatto al mio fianco, o Verità, per farmi sapere quello che devo evitare, quello a cui devo tendere, in questa esposizione di quello che ho potuto intravedere del mio intimo, che vuole chiedere le tue direttive. Ho corso tutto l’universo esteriore per quanto mi era possibile […] nulla vi ho potuto trovare dove Tu non fossi, ma niente vi trovai che fosse Te».39 L’insicurezza di tale condizione è percepita dall’uomo in tutto il corso della vita, a tal punto da invocare, in Dio, un legame forte con i fondamenti della verità, dai quali dipende l’unità dell’esperienza.

Per Camus, questa invocazione è rivolta all’uomo in un costante accrescimento vitale, che coincide con l’assurdo e lo alimenta della separazione tra volontà e conoscenza. L’io, riluttante alla certezza e alla verità, permane in uno stato di indeterminazione, non potendo realizzarsi in via definitiva l’identità affermata da Schopenauer tra il “soggetto della volontà” e il “soggetto della conoscenza”.40

In effetti, nel pensiero camusiano, si avverte la separazione fra i possibili esiti euristici delle determinazioni del volere e del conoscere, alle quali l’intelletto fa ricorso come diversi contesti procedurali della libertà di agire. Dalla lettura di Lo straniero si enucleano un evento, due condizioni in cui è possibile osservarlo, una misura della loro divergenza: l’evento è la morte; le condizioni sono il ricevimento di un telegramma dall’ospizio, che gli comunica il decesso della madre, e il rumore secco e assordante del grilletto, che preannuncia l’uccisione dell’arabo.

La Corte svolge il medesimo ruolo dell’io, in quanto deve giudicare Mersault come lo stesso uomo che si è mostrato indifferente alla morte della madre e non sa dare alcuna spiegazione per i quattro colpi di pistola sparati ad uno sconosciuto. Dov’è l’assurdità nell’intera vicenda? Solo una definitiva condanna unirebbe “ciò che Mersault vuole” e “ciò che Mersault sa” nell’accadere degli eventi, l’assoluzione li separerebbe fino al punto di rendere impossibile il verificarsi degli eventi narrati nella vita dello stesso uomo, estinguendo l’intero racconto. Nel primo caso Mersault potrebbe essere condannato a morte (come di fatto avviene), nel secondo caso verrebbe meno il principio di unità della sua esistenza. La congiunzione tra la conoscenza necessaria alla formulazione di un giudizio su un fatto accaduto e la conoscenza delle cause associate al prodursi del medesimo fatto, per quanto sia contemplata dal principio di ragion sufficiente, per Albert Camus non costituiscono una prova ontologica dell’esistenza di un’io determinato, capace di includere entrambe, bensì sono la testimonianza della modificazione e conseguente generazione di un io indeterminato, indeterminazione indotta dalla comparsa o scomparsa nel tempo degli stati di coscienza del soggetto. Soltanto l’essere umano che muore per suicidio o per condanna, le due sole condizioni in cui l’influsso del volere sul conoscere non è basato sull’identità dei relativi soggetti, ma sulla legge di causalità, va incontro ad un’esperienza dove si estinguono al tempo stesso il sé ed i suoi principi, mentre l’uomo vivente segue l’incompiuto moto rivoluzionario che lo porta sempre alla ricerca di una nuova sintesi creatrice. Per assurdo, l’esistenza richiede il senso dell’unità di tutte le esperienze, mentre la sottrae alla volontà del soggetto. Già negli anni’30, con l’opera poetica Quattro quartetti, Thomas Stearn Eliot aveva condotto la poesia verso l’attiva ricerca di una relazione di reciprocità fra i sillogismi nascita/creazione e morte/dissoluzione, segno tangibile di un’epoca che dal decadentismo giungeva ad una lucida coscienza di sé:

Nel mio principio è la mia fine. Volta per volta Le case s’alzano e cadono, crollano, sono ingrandite, Son demolite, distrutte, restaurate, o al loro posto C’è un campo aperto, o una fabbrica, o una strada di circonvallazione. Da vecchie pietre costruzioni nuove, da vecchio legname nuovi fuochi, Da vecchi fuochi cenere, e dalla cenere la terra.41

Eliot cercava, come Camus, il tertium non datur tra l’uomo e la vita, tra Dio e il mondo, ovvero il fulcro del movimento che congiunge i principi dell’essere ai modi d’essere: «Chi è il terzo che sempre ti cammina a fianco? /Se io conto, ci siam soltanto tu ed io insieme/Ma se io guardo innanzi a me per la strada bianca/C’è sempre un altro che ti cammina a fianco».42 Albert Camus non ha dubbi: il terzo elemento dato è l’assurdo. Tale principio risolve e dimostra l’antinomia tra l’azione e il valore che gli viene attribuito. L’assurdo è il legame fra i termini di una contraddizione e per mostrarlo, o per dargli un ruolo creativo, occorre separare l’ente dall’insieme dei suoi determinanti. L’assurdo separa Dio dal mondo, l’uomo dalla vita, ma li riunisce in un rinnovato universo:

In tutti questi casi, dal più semplice al più complesso, l’assurdità sarà tanto più grande quanto più crescerà la divergenza fra i termini del mio paragone. Assurdi vi sono matrimoni, sfide, rancori, silenzi, guerre e persino paci. Per ciascuna di queste cose, l’assurdità nasce da un confronto. […] L’assurdo è essenzialmente un divorzio, che non consiste nell’uno o nell’altro degli elementi comparati, ma nasce dal loro confronto.43

Nella condizione di assurdità, l’uomo vede persino una possibilità di conciliazione fra i due punti estremi della filosofia occidentale, il Nulla e il Tutto, ed è il solo legame che li unisca. Mediante la comune scoperta dell’assurdo, l’uomo e Dio imparano di nuovo a vedere.

5. La partecipazione universale all’essere: trascendenza, scelta, progetto

Quando l’essere umano — come unico soggetto a cui sia riconosciuta tale competenza — si pone razionalmente di fronte ai determinanti dell’esistenza umana avverte un senso di vuoto, una lacuna della conoscenza, ovvero la disgregazione e la separazione degli elementi che dovrebbero costituirlo dando forma alla sua stessa vita. L’importanza di inserire la questione del rapporto fra platonismo e aristotelismo, all’interno del pensiero di Albert Camus, origina dagli studi sul neoplatonismo svolti negli ultimi decenni, che hanno evidenziato una diffusa tendenza della Scolastica ad integrare il tema platonico della “partecipazione all’essere” nell’ontologia di Aristotele. Stephen L. Brock, sul modo in cui l’assioma di Boezio, diversum est esse et id quod est «diverso è l’essere e ciò che è», viene trattato da Tommaso d’Aquino, scrive:

Participare, dice [Tommaso], è come partem capere: prendere parte. In seguito egli distingue vari modi di prendere parte a qualcosa. Uno è quello secondo cui il partecipante riceve in modo particolare ciò che appartiene ad un altro in modo più universale o comune. È così che una specie partecipa alla natura di un genere. Un secondo modo di partecipare è quello del soggetto all’accidente e della materia alla forma. Un altro ancora è la partecipazione dell’effetto alla causa; […] Finalmente, c’è il modo di partecipare già esemplificato a proposito della distinzione tra esse e id quod est: quello del concreto all’astratto.44

Secondo quest’ultima interpretazione, esse ha il significato ontologico dell’essere in modo astratto, in tutta la sua universalità e perfezione; id quod est, invece, è riferito al modo concreto con cui il soggetto dell’esse partecipa all’actus essendi. Rispetto a questa forma di partecipazione, le dottrine platoniche e aristoteliche confluiscono nell’affermare che “ciò che viene partecipato” si colloca al di fuori dell’essenza del “partecipante”, concezione che include ed esplicita la differenza fra uomo e essere uomo. Se il monismo di Spinoza ammette, nella forma estrema «Deus sive Natura», un rapporto riflessivo tra “essere” e “ciò che è”, il pluralismo fenomenologico di Edmund Husserl supera i condizionamenti determinati dall’assioma di Boezio e riformula la questione dell’actus essendi in termini di identità: l’essere e ciò che è sono la stessa cosa. Con Albert Camus, il tema della partecipazione si arricchisce di ulteriori elementi creativi e la trasforma in rivolta:

Pensare è innanzitutto voler creare un mondo (o limitare il proprio, il che si riduce alla stessa cosa); è partire dal dissidio fondamentale che separa l’uomo dalla sua esperienza, per trovare un terreno di intesa secondo la sua nostalgia, un universo infascettato di ragioni o rischiarato da analogie, che permetta di risolvere l’insopportabile divorzio.45

Così, domando alla creazione assurda quanto pretendevo dal pensiero: la rivolta, la libertà e la diversità. Più tardi, essa manifesterà la sua inutilità profonda. Nello sforzo quotidiano, in cui l’intelligenza e la passione si mescolano e agiscono una sull’altra, l’uomo assurdo scopre una disciplina, che costituirà la parte essenziale delle sue forza.46

L’uomo, non è solo biologicamente e spiritualmente formato, ma storicamente, culturalmente e socialmente situato nella realtà: si ribella, così, a un destino fatale solo nella conclusione.

Lontano, finalmente libero dalle filosofie totalizzanti, l’essere umano è capace di autoprogettarsi, dando a se stesso il carattere della singolarità, della irripetibilità. La vita, i cui determinanti non sono presupposti all’esperienza, conduce l’uomo odierno verso la responsabilità per le proprie esperienze, nella trascendenza del pensiero (la rivolta), nell’ampiezza delle scelte (la libertà), nella creazione di opere e progetti (la diversità). La rivolta è solo una delle componenti sulle quali è forgiata la rivoluzione: quest’ultima è una forma di partecipazione che implica “il fare”, più che “l’essere”, e si articola lungo le tre direttrici indicate da Camus: la rivolta, la libertà e la diversità.

Il termine rivoluzione, nella sua etimologia latina (revolvo, is, volvi, volutum, ere, verbo transitivo) significa “far rotolare, svolgere, rinnovare, ritornare a”. Tuttavia, mentre la rivoluzione scientifica produce verità che si collocano fuori dal tempo, le rivoluzioni filosofiche a cui Camus fa riferimento storicizzano l’umanità in una catena di tempi presenti, richiedono al singolo di essere cosciente, ma non dipendono interamente dalla sua volontà: «Il presente e la successione dei presenti davanti a un’anima cosciente è l’ideale dell’uomo assurdo».47 Partecipare, per Camus, significa rompere l’unità dell’esperienza e il suo unico termine opposto è “conservare”. Questa rottura genera due lacerazioni nell’ontologia statica dell’essere, che nascono dalla simultanea percezione del Nulla e del Tutto: su queste sponde, l’uomo non può fermarsi in contemplazione. Nel contempo, viene obliata sia la possibilità di una creazione ex nihilo, il caos informe dei Greci da cui il furore divino trae le opere tanto ammirate dagli uomini, che l’impossibilità di oltrepassare il culmine della creazione, la vanità del vero che non si può interpellare, la perfezione delle opere e il loro perpetuarsi nelle generazioni successive. L’uomo di Camus distrugge l’imperituro e sostituisce al verbo conservare le azioni per costruire il proprio presente: saltare, scegliere, creare. L’alternativa sarebbe alienante: fermarsi, ubbidire, produrre. È proprio in quest’ultima condizione — in cui il pensiero umano non riesce più a sottrarsi all’inevitabile irrigidimento concettuale e all’autorità derivante dall’esperienza già vissuta — che sono nati i sistemi totalitari del XX secolo. Albert Camus vuole cogliere col pensiero il contributo offerto da ogni singolo uomo alle tragedie dell’umanità, separare l’angoscia dell’individuo dalla quiete incantata in cui rischia di permanere la memoria della collettività a cui appartiene. Italo Calvino scrive:

Le foglie del ginko cadevano come una pioggia minuta dai rami e punteggiavano di giallo il prato. Io passeggiavo col signor Okeda sul sentiero di pietre lisce. Dissi che avrei voluto separare la sensazione d’ogni foglia di ginko dalla sensazione di tutte le altre, ma mi domandavo se sarebbe stato possibile. Il signor Okeda disse che era possibile. […] la pioggia delle foglioline del ginko è caratterizzata dal fatto che in ogni momento ogni foglia che sta cadendo si trova a un’altezza diversa dalle altre, per cui lo spazio vuoto e insensibile in cui si situano le sensazioni visive può essere suddiviso in una successione di livelli in ognuno dei quali si trova a volteggiare una e una sola fogliolina.48

Il sacrificio collettivo delle foglie, che sorge dall’abisso della libertà, fa dell’autunno uno dei luoghi privilegiati del silenzio. Su quel tappeto giallo, in una folla anonima, ogni singola foglia si concede un’attesa priva del suo oggetto. Il problema, dunque, non è trovare un futuro per l’attesa, bensì dargli un contenuto esistenziale che possa esprimersi in termini di partecipazione.

L’allegoria di Calvino ci illumina sul fatto che, nella partecipazione all’essere, il Tutto resta l’unico depositario del tempo, del divenire, mentre ai suoi costituenti è concesso di relazionarsi soltanto allo spazio e all’omogeneità delle sue superfici: quindi, esiste un unico presente a cui ognuno deve assoggettarsi. Vediamo in che modo Camus tenta di coniugare l’attesa alla costruzione di un tempo presente. Ho già accennato all’assioma di Boezio e alle sue interpretazioni. Quello che emerge in Camus è la necessità, diversamente dall’epochè husserliana, di mantenere la distinzione tra esse e id quod est e di cercare, senza escluderne l’identità, una relazione che li unisca. Tra il realismo dell’essere e il formalismo di ciò che è non esiste una chiara relazione d’ordine, la quale porterebbe agli esiti scontati del platonismo o dell’aristotelismo, e lo scrittore francese si spinge oltre. Se dalla realtà e dalla forma scaturiscono due distinte modalità operative attraverso le quali l’uomo può osservare i fenomeni, così l’essere e ciò che è, in quanto strumenti di conoscenza, sono separati tra loro da una distanza, i cui valori estremi hanno il significato di termini contrapposti:

nulla o tutto

certezza o assurdità

identità o diversità

familiarità o estraneità

In conformità ai contenuti del precedente paragrafo, per evidenziare l’asimmetria di tale distanza utilizzo la seguente notazione: D (essere/ciò che è) “diverso da” D (ciò che è/essere). Camus ci mostra una realtà che si lascia esplorare sia “conoscendo per mezzo dell’essere”, sia “partecipando alle diverse forme dell’essere”: tra queste due modalità non esiste subordinazione alcuna, ma una relazione non-commutativa, che non assume lo stesso valore in entrambe le direzioni. Per Albert Camus, la conoscenza è ora sinonimo di partecipazione ed introduce, nella storia del pensiero filosofico, un sistema culturale non più basato sull’alternanza tra platonismo e aristotelismo, ma sulla riconosciuta capacità dell’individuo di colmare, con le sue scelte ed azioni, quel sentimento dell’attesa prodotto dal crescente divario tra essere ed esistere nella società contemporanea.

6. Conclusioni

Albert Camus parla dell’assurdo e non ci offre una definizione conclusiva, ma solo rappresentazioni parziali e transitorie. È su questo punto che dobbiamo interpellarlo. A salvaguardia dell’unità di un oggetto, svelata alla luce dell’essere, la sua possibile definizione non è altro che la relazione tra pensante e pensato stabilitasi nell’atto stesso del “domandare”. Il grado di conoscenza che precede la formulazione della domanda è, quindi, correlato a ciò che il soggetto intende ottenere con quella domanda e al vantaggio che l’oggetto a sua volta ne trae. È come dire che il soggetto e l’oggetto si distinguono tra loro soltanto per effetto di un diverso modo di rapportarsi all’interrogazione.

L’uomo di Camus, ribelle e memore del nefasto “credere, obbedire, combattere”, vuole essere nulla o tutto: non si limita più a chiedere cosa siano questi oggetti del pensiero, vuole semplicemente parteciparvi. L’uomo si distingue dal Nulla e dal Tutto per il modo di porre, nello stesso istante, le due essenziali domande metafisiche: Cos’è il Nulla? Cos’è il Tutto? Albert Camus ci sorprende nel momento stesso in cui, a questi due estremi domini della conoscenza umana, offre la possibilità concreta di formulare la domanda opposta: Chi è l’Uomo? La definizione di assurdo a cui posso giungere in conclusione dell’articolo è la seguente:

L’assurdo è lo stato transitorio del divenire in cui la coscienza dell’uomo, tesa alla costruzione del presente, permane nella percezione simultanea del Nulla e del Tutto.

Il Nulla e il Tutto sono, per l’uomo contemporaneo, le due aperture logiche del proprio divenire.


  1. E. Montale, Nobel Lecture. http://nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1975/montale-lecture-i.html (23.06.2010) ↩︎

  2. A. Camus, Il mito di Sisifo. tr. it. di Attilio Borelli. VIII edizione Tascabili Bompiani, RCS Libri s.p.a., Milano(2009). La creazione senza domani, p. 112. ↩︎

  3. M. Heidegger. Che cos’è la metafisica?. a cura di Franco Volpi. Adelphi Edizioni s.p.a. Milano (2001). Prefazione alla traduzione giapponese di “Che cos’è la metafisica?”, p.121. ↩︎

  4. Tito Lucrezio Caro, La Natura. tr. di Francesco Giancotti. VII edizione Garzanti Editore s.p.a., Milano (2008). Libro I, v. 70 — 75, p. 7. ↩︎

  5. A. Camus. L’uomo in rivolta. tr. it. di Liliana Magrini. V edizione Tascabili Bompiani, RCS Libri s.p.a., Milano(2008). La rivolta storica, p. 123. ↩︎

  6. A. Camus. L’uomo in rivolta. cit., L’uomo in rivolta, p.19. ↩︎

  7. M. Heidegger. Che cos’è la metafisica?. cit., La risposta alla domando, p. 53. ↩︎

  8. A. Camus. La caduta. X edizione Tascabili Bompiani, RCS Libri s.p.a., Milano(2008). p. 25. ↩︎

  9. A. Camus. La caduta. cit., p. 36. ↩︎

  10. A. Camus. La caduta. cit., p. 9. ↩︎

  11. A. Camus. La caduta. cit., p. 45. ↩︎

  12. A. Camus. L’uomo in rivolta. cit., L’uomo in rivolta, p.21. ↩︎

  13. A. Camus, Il mito di Sisifo. cit., La creazione assurda, p. 94. ↩︎

  14. Il contenuto del film Vaghe stelle dell’Orsa (1965), Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia, suggerisce una risposta affermativa alla domanda di Bertrand Russell: «L’esperienza include le sensazioni vaghe e periferiche?». Secondo il filosofo inglese «la questione che dobbiamo considerare è se l’attenzione costituisce l’esperienza o se facciamo esperienza anche delle cose su cui non ci concentriamo». B. Russel, Teoria della conoscenza. A cura di E. Ramsden Eames, Saggio introduttivo di Michele Di Francesco. Newton & Compton editori s.r.l., Roma (1996). Descrizione preliminare dell’esperienza, p. 77. ↩︎

  15. Il contributo è di Angiola Maggi, già Presidente del Circolo “George Sadoul” di Ischia, in: Gli anni verdi. Luchino Visconti ad Ischia. Catalogo a cura di Tonino Della Vecchia, Comune di Forio (3 — 30 settembre 2001), p. 7. ↩︎

  16. B. Russell, Teoria della conoscenza, cit., Analisi e sintesi, p. 211. ↩︎

  17. A. Maggi, Gli anni verdi. Luchino Visconti ad Ischia, cit. p. 7. ↩︎

  18. A. Camus, Lo straniero. tr. it. di Alberto Zevi. XXIV edizione Tascabili Bompiani, RCS Libri s.p.a., Milano(2009). Parte Seconda, cap. IV, p. 125. ↩︎

  19. I. Kant. Critica della ragion pura. tr. it. di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo-Radice. Gius. Laterza & Figli s.p.a., Roma-Bari (2005). Dottrina trascendentale degli elementi, Parte II, I. Anal. trasc., Lib. II, Cap. II, Sez. III, p. 158. ↩︎

  20. Ibidem, p. 159. ↩︎

  21. Ibidem, p. 182. ↩︎

  22. A. Camus, Lo straniero. cit., Parte Seconda, cap.III, p. 112. ↩︎

  23. S. Perrella, Meursault felice. In A. Camus, Lo straniero, cit., p. 167. ↩︎

  24. Ultimo verso della poesia di Giacomo Leopardi A se stesso, scritta nel 1835. G. Leopardi, Canti. Arnoldo Mondadori Editore s.p.a., Milano (1987). XXVIII, p. 191. ↩︎

  25. Secondo la definizione di Camus, «La rivolta metafisica è il movimento per il quale un uomo si erge contro la propria condizione e contro l’intera creazione». A. Camus, L’uomo in rivolta. cit., Parte II, La rivolta metafisica, p. 31. ↩︎

  26. Ivi, Parte IV, Rivolta e Arte, p. 298. ↩︎

  27. Ivi, Parte V, Il pensiero meridiano, p. 323. ↩︎

  28. B. Russell, Teoria della conoscenza, cit., Descrizione preliminare dell’esperienza, p. 73. ↩︎

  29. B. Russell, Teoria della conoscenza, cit., Definizioni e principi metodologici della teoria della conoscenza, p. 118. ↩︎

  30. Ibidem↩︎

  31. A. Camus, Lo straniero, cit., Parte Seconda, cap. V, p. 146. ↩︎

  32. Ivi, Parte Seconda, cap. V, p. 147. ↩︎

  33. B. Russell, Teoria della conoscenza, cit., Analisi e sintesi, p. 203. ↩︎

  34. I. Kant. Critica della ragion pura. cit., Dottrina trascendentale degli elementi, Parte II, I. Anal. trasc., Lib. II, Cap. II, Sez. III, p. 184. ↩︎

  35. Ivi, Dottrina trascendentale degli elementi, Parte II, II. Dialettica trasc., Lib. II, Cap. II, Sez. I, p. 285. ↩︎

  36. A. Camus, Lo straniero, cit., Parte Prima, cap. I, p. 7. ↩︎

  37. La poesia di Eugenio Montale è contenuta nella raccolta Ossi di Seppia (1920 — ’27). ↩︎

  38. J. Jost, External and internal complexity of complex adaptive systems. Theory in Bioscience (2004). Vol. 123, p. 69 — 88. ↩︎

  39. Sant’Agostino, Le Confessioni. tr. di Carlo Vitali. Ventottesima edizione, RCS Libri s.p.a., Milano(2005). Libro X, Cap. XL, p. 527. ↩︎

  40. A. Schopenauer, Sulla quadruplice radice del principio di ragione sufficiente. tr. di Sossio Giametta. RCS Libri s.p.a., Milano(2000). Cap. VII, p. 203 — 207. ↩︎

  41. T. S. Eliot, Quattro quartetti. tr. it. di Filippo Donini. Garzanti Editore s.p.a., Milano(1984). East Coker, p. 21. ↩︎

  42. T.S. Eliot. La terra desolata. Tr. it. di Mario Praz. Giulio Einuadi Editore, Torino (1983). Ciò che disse il tuono, p. 45. ↩︎

  43. A. Camus, Il mito di Sisifo. cit., Il suicidio filosofico, p. 30. ↩︎

  44. S. L. Brock, La “Conciliazione” di Platone e Aristotele nel commento di Tommaso D’Aquino al De Hebdomadibus. Acta Philosophica I, 14 (2005), p. 11 — 34. ↩︎

  45. A. Camus, Il mito di Sisifo. cit., Filosofia e romanzo, p. 96. ↩︎

  46. A. Camus, Il mito di Sisifo. cit., La creazione senza domani, p. 112. ↩︎

  47. A. Camus, Il mito di Sisifo. cit., La libertà assurda, p. 58. ↩︎

  48. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore. La Biblioteca di Repubblica, Arnoldo Mondadori Editore s.p.a., Milano (1994). Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna, p. 170 — 179. ↩︎