In un lampo. Il tutto e le parti in Lévi-Strauss

1. Introduzione

Il rapporto tra la società e gli individui che la compongono costituisce uno dei problemi più spinosi per le scienze umane, in particolare per la sociologia e l’antropologia, chiamate a dar ragione dell’agire del singolo nella sua interazione con l’agire collettivo. A partire dal XIX secolo la riflessione filosofica e sociologica ha elaborato prospettive alternative al classico modello atomistico (il tutto è la somma delle parti) orientandosi piuttosto verso modelli organicistici (le parti come funzioni di un tutto che le trascende). Si pensi a Hegel, Comte, Royce, Peirce e, nel XX secolo, alla Scuola sociologica di Durkheim: il punto di partenza di queste differenti prospettive è che non sia possibile comprendere l’agire del singolo al di fuori della comunità e di quella logica sociale che al vivere comune dà corpo e consistenza.

Pur condividendo questa impostazione di fondo, Lévi-Strauss dà però un taglio completamente originale al problema del rapporto tra il tutto e le parti e, più specificamente, tra la comunità e i suoi componenti. Si tratta di un taglio che si distingue tanto dal modello atomistico quanto dal modello organicistico. Due sono le metafore cui ricorre l’antropologo strutturalista nel pensare la relazione tra la totalità («struttura») e le parti: il gioco e la musica. Attraverso la composizione musicale e, in particolare, il gioco degli scacchi è possibile chiarire l’originalità di tale approccio come una «logica della disgiunzione inclusiva». Per illustrare tale prospettiva seguiremo un percorso in tre tappe lungo l’itinerario intellettuale di Lévi-Strauss: simultaneità, scacchi e musica sono le tre figure che ci faranno da guida.

2. Simultaneità

La nozione di simultaneità è onnipresente nell’opera di Lévi-Strauss, si potrebbe quasi dire che costituisca la lente attraverso cui l’antropologo strutturalista vede il mondo. Un esempio paradigmatico è il modo in cui egli rilegge criticamente il tema dello scambio nella sua Introduzione all’opera di Marcel Mauss. Quando Mauss inizia a confrontare le ricerche etnografiche di Boas sul rito del potlach e quelle di Malinowski sul rito del kula gli si compone sotto gli occhi, come in un puzzle, un’immagine della socialità umana del tutto inedita. Il risultato di quella composizione, che si arricchisce via via di altre tessere dando vita al celebre Saggio sul dono del 1923, costituirà la tomba dell’idea di homo oeconomicus. Ossia di quella idea – suggerita da Adam Smith e divenuta in seguito «fondamento antropologico» della teoria economica classica – secondo la quale, ai primordi dell’umanità, gli individui entrerebbero in relazione tra loro iniziando a scambiarsi beni per ragioni di utilità, mossi cioè dai propri privati bisogni e desideri. Così, secondo un modello atomistico, sorgerebbero l’economia e la socialità umana. Tutt’altra immagine emerge invece dalle ricerche degli etnografi che Mauss sapientemente compone in un unico quadro: come le formiche di un termitaio o le api di un alveare, gli uomini agiscono e interagiscono tra loro in base a una logica che li sovrasta. Una «forza» – questa l’espressione usata da Mauss1 – sembra governare le loro azioni. Quella forza che obbliga a donare, a ricevere, a restituire.

Ora, ciò che il Saggio sul dono concepisce come una triplice obbligazione (donare, ricevere, restituire), è colto da Lévi-Strauss nel suo carattere unitario. Egli non vede all’opera una forza obbligante in ciascuno dei momenti che scandisce la vita sociale delle popolazioni primitive, ma vi vede, da subito, un fenomeno solo: lo scambio. Lo scambio in quanto base fondante della socialità umana. E se lo intende come qualcosa di unico, anziché di tripartito, è perché concepisce le fasi del dono, del suo accoglimento e del controdono, spesso distanti nel tempo e nello spazio, come se fossero simultanee. Lo scambio si delinea allora come una totalità sintetica che non risulta dalla somma delle parti, ma che è semmai loro condizione di possibilità. Nell’unità dello scambio, come pensata da Lévi-Strauss, le parti sono non soltanto le fasi che ne scandiscono la temporalità, ma anche i soggetti coinvolti: le parti che donano, ricevono e restituiscono doni sono tali solo in quanto partecipano del tutto. Ecco le sue parole: «È lo scambio che costituisce il fenomeno primitivo, non le operazioni distinte in cui lo scompone la vita sociale. Qui, come altrove, ma qui soprattutto, si sarebbe dovuto applicare un precetto che lo stesso Mauss aveva già formulato nel Saggio sulla magia: “L’unità del tutto è più reale di ciascuna delle sue parti”».2

Ma questo tutto che cos’è? Nella sua Introduzione Lèvi-Strauss si guarda bene dal definirlo, consapevole che esso è una totalità che si manifesta solo nelle sue parti. Si limita infatti a dire: Mauss ne aveva pur intuito qualcosa proprio nel Saggio sulla magia, mettendovi al centro la nozione di mana. Tentare di definire il mana, come noto, è un’ardua impresa. Infatti, il padre dello strutturalismo subito dopo aggiunge: mi rifiuto di seguire Mauss «quando egli va a ricercare la nozione di mana in un ordine di realtà diverso da quello delle relazioni che essa aiuta a costruire».3 Il mana – che è ad un tempo sostantivo, aggettivo e verbo – non sarebbe insomma dell’ordine delle cose, delle qualità, delle azioni, bensì dell’ordine della relazione. E infine chiosa: quando parla di mana, l’uomo primitivo esprime l’esigenza di una «totalità non percepita».4 Un tutto che è più reale di ciascuna delle sue parti ma che non si dà (non è percepito come totalità) se non nelle sue parti: così, secondo l’antropologo strutturalista, andrebbero letti il mana nel Saggio sulla magia e lo scambio nel Saggio sul dono. Per ricorrere a una metafora molto cara a Lévi-Strauss, quella del gioco, potremmo raffigurarci questa «totalità non percepita» come le regole che presiedono un gioco da tavola, ad esempio la dama o gli scacchi: a differenza delle pedine, le regole non sono visibili sulla scacchiera, eppure queste governano i movimenti di quelle. Dobbiamo perciò intendere la totalità come un insieme di a priori? Invero, l’approccio dell’antropologo francese, guardato a fondo, mostra una ricchezza e un’originalità che non si lasciano ricondurre nelle strettoie del trascendentalismo kantiano, aprendo piuttosto la via a una prospettiva immanentista che oggi, sotto il nume tutelare di Spinoza, orienta larga parte del dibattito filosofico. Si accede a tale via se si comprende la simultaneità di gioco e regole così com’è pensata da Lévi-Strauss.

3. Scacchi

I riferimenti al gioco sono onnipresenti nell’opera dell’autore (in particolare in Primitivi e civilizzati, in Razza e storia, nel Pensiero selvaggio). Vi è indubbiamente una predilezione per la roulette, ma nelle Strutture elementari della parentela troviamo invece gli scacchi. Il tema è sempre lo scambio (lo scambio delle donne quale fondamento di tutti gli altri scambi) che qui è paragonato al gioco degli scacchi.5 È un’analogia fugace ma, a ben guardare, la metafora degli scacchi sembra attraversare tutta l’opera come un fiume carsico: che cos’è la struttura dei legami di parentela se non un’immensa scacchiera (su cui vengono mosse le pedine del dono, in primis le donne)? Approfondiamo la metafora e vi ritroveremo sul fondo la simultaneità. Una breve spiegazione in tre mosse del quadro generale, anche se noto.

Primo. La scacchiera dei legami di parentela è disegnata da due ordini di linee: filiazioni (linee verticali) e alleanze matrimoniali (linee orizzontali). Se le linee verticali hanno una natura intrinsecamente gerarchica, dispiegandosi tra padre e figlio e figli dei figli, quelle orizzontali, che uniscono in parentela moglie e marito e i rispettivi clan familiari, hanno invece un carattere più arbitrario e spiccatamente politico, diremmo quasi politico-economico. Le linee orizzontali sono cioè il frutto di un’abile tessitura: i matrimoni sono combinati per stabilire alleanze con un altro clan, magari nel villaggio accanto, mediante lo scambio delle figlie, date in sposa e spedite a vivere nella casa del marito. La donna è insomma la prima forma di moneta, il primo mezzo di scambio attraverso cui la tribù estende la propria rete familiare e il proprio potere sul territorio. E questo non solo nei sistemi patrilineari. Anche nei sistemi matrilineari, nonostante la donna ne porti il filo, la tessitura della parentela è sempre affare di uomini: la donna va normalmente a risiedere nel villaggio del marito e lì non è che la punta dell’ago, portatore del proprio filo di discendenza, in cui l’autorità è sempre e comunque maschile. Per dirla con Lévi-Strauss, «la filiazione matrilineare è la mano del padre o del fratello che si stende fino al villaggio del cognato».6

Secondo. Come intuibile da quanto appena detto, in queste strutture di parentela c’è ben poco di «naturale»: la scacchiera, più che fotografare un dato di fatto o, per così dire, «di sangue», è il risultato di una vera e propria strategia politico-territoriale, risponde insomma a ragioni «di suolo».7 Essendo le ragioni del sangue (linee verticali) indistricabilmente intrecciate a quelle del suolo (linee orizzontali), l’intera scacchiera, nel suo complesso, è, per usare le categorie di Lévi-Strauss, più un artefatto culturale che un dato naturale (sia detto tra parentesi, l’antropologo qui gioca con le categorie di natura e cultura, che altrove sottopone a critica, consapevole di quanto esse vadano prese con le pinze e non assunte in modo ingenuo). Questo artefatto è poi la base di tutta la vita sociale delle popolazioni primitive: le regole di condivisione e distribuzione del cibo ricalcano infatti i legami di parentela, ossia la regola di distribuzione delle donne, su cui viene a organizzarsi ogni altro tipo di scambio e, dunque, l’intera rete dei debiti e dei crediti simbolici.8

Terzo. Le linee verticali delle filiazioni e le linee orizzontali delle alleanze disegnano delle caselle («padre», «figlio», «sorella», «zio», «suocero»…) ognuna delle quali è un ruolo definito da regole prestabilite e occupa una precisa posizione nell’economia dell’insieme. Essere «zio» significa avere determinati obblighi e prerogative, ossia debiti e crediti simbolici: svolgere una certa funzione anziché un’altra in una determinata cerimonia, doversi relazionare alla sorella in un modo, ai figli della sorella in un altro, fare dei doni a x e riceverne da y, poter prendere moglie entro questa categoria di donne e non entro quest’altra. Detto in termini strutturalisti, la casella «zio» ha un puro valore posizionale: essa non è che l’insieme dei rapporti differenziali (debiti/crediti) con tutte le altre caselle. A guidare l’analisi di Lévi-Strauss è cioè la logica della disgiunzione inclusiva.

Tale logica ha il suo modello di riferimento nella linguistica di De Saussure (ogni segno linguistico ha un puro valore posizionale determinato dal rapporto differenziale con tutti gli altri segni) ma il medesimo principio è rintracciabile, ancor prima, in Hegel (il sillogismo disgiuntivo hegeliano, che i medievali chiamavano modus tollendo ponens, risponde alla medesima logica: «A è B» solo in quanto «A è o B o C o D» ma «A non è né C né D»). Qui però, trattandosi di antropologia, ricorriamo alle parole di un’antropologa, che dice il medesimo in un linguaggio più «umano»: «Le persone sono integralmente costituite dalle loro relazioni».9 Come però sono date queste relazioni? Con questa domanda ci avviciniamo al tema della simultaneità. Tutte le linee e tutte le caselle hanno un punto di propulsione: l’unione sessuale. Ogni unione è un punto in cui l’asse verticale e quello orizzontale s’incrociano e nuovamente si dipartono (nuovi figli, nuove alleanze). È in quel punto che, ogni volta, l’intera scacchiera si rigenera. Perciò, la regola che stabilisce chi può unirsi con chi determina le combinazioni possibili di linee e la distribuzione delle caselle sulla scacchiera (i ruoli e le regole che ne conseguono). Si tratta della regola madre: la proibizione dell’incesto.

Squadernando in oltre 600 pagine la mappa planetaria dei legami di alleanza e filiazione nelle diverse società (con un rigore e una lucidità di analisi davvero stupefacenti), l’opera di Lévi-Strauss mostra come la proibizione dell’incesto sia l’unica regola presente trasversalmente presso tutte le popolazioni e civiltà, tanto da potersi considerare il fondamento universale della cultura umana.10 Anzi, in rapporto alla tradizionale dicotomia natura/cultura (ogni cultura con le sue regole è sempre particolare, solo le leggi di natura sono universali) essa costituisce uno «scandalo»,11 scrive l’autore, poiché, essendo una regola culturale ma con la stessa universalità delle leggi naturali, sembra doversi collocare sul crinale tra natura e cultura, o nel punto di conversione dell’una nell’altra. Pur trovando applicazioni differenziate, in tutte le società essa risponde sempre alla medesima istanza: si tratta di assegnare le donne secondo un principio di condivisione.

La proibizione dell’incesto, spiega infatti Lévi-Strauss, «non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o la figlia. È la regola del dono per eccellenza».12 Essa va dunque intesa nel suo meccanismo generale, al di là delle peculiarità locali, secondo la logica della disgiunzione inclusiva, nel suo duplice funzionamento negativo-positivo (non solo per ciò che proibisce ma anche per ciò che permette): «Il fenomeno fondamentale che risulta dalla proibizione dell’incesto è il medesimo: a partire dal momento in cui io mi vieto l’uso di una donna, che così diviene disponibile per un altro uomo, c’è da qualche parte un uomo che rinuncia ad una donna che, perciò, diviene disponibile per me. Il contenuto della proibizione non si esaurisce nel fatto della proibizione: quest’ultima viene stabilita soltanto per garantire e fondare, direttamente o indirettamente, immediatamente o mediatamente, uno scambio».13

La proibizione dell’incesto, come la intende Lévi-Strauss, non è dunque una regola di contenuto quanto un puro principio formale (è infatti definita «regola in quanto regola»,14) ossia il principio generatore della scacchiera e di tutte le sue caselle nel loro reciproco differenziarsi.15 È una «legge della Natura» nel senso in cui la intenderebbe Spinoza: non un ordine o un comandamento,16 bensì una «composizione di rapporti».17 Se l’unione sessuale è il punto di propulsione delle linee, laddove esse ogni volta si (ri)attualizzano, la proibizione dell’incesto è la loro virtualità, la loro relazione in potenza e il loro principio di dispiegamento: è l’evento della scacchiera e la sua logica interna di distribuzione.

Si inizia allora a intuire in che senso le parti, le caselle della scacchiera, non esistano indipendentemente dal tutto che le istituisce. Se ne comprende la portata in questo commento di Viveiros De Castro alle Strutture: «Mia sorella è mia sorella perché è una sposa per qualcun altro: le sorelle non nascono come sorelle senza nascere al tempo stesso come spose; la sorella esiste perché vi sia la sposa; ogni “donna” è un termine – una metarelazione – costituita dalla relazione simmetrica tra le relazioni di “sorella” e di “sposa” (la stessa cosa, evidentemente, vale per gli “uomini”)».18 Per dirla con Spinoza, ogni termine è un modo, ossia un nodo (nexus) o complesso di nodi (connexio) in connessione tra loro.19

La consanguineità della sorella, dunque, non è un dato biologico di base, ma è istituita: è un artefatto culturale, allo stesso titolo dell’affinità della sposa. Che i legami di parentela siano un artefatto interamente culturale è abbastanza ovvio nella nostra cultura – appunto! – dove, sin dal tempo dei romani, si può essere padri senza avere coi figli legami di sangue, ma qui si sta suggerendo altro. Posto che, se tutto è un «artefatto culturale», niente lo è (sicché è la stessa distinzione natura/cultura ad essere qui in questione,20) il punto è un altro, ossia che il legame di sangue (sorella) è dato per differenza dal legame di affinità (sposa) e viceversa. E questa differenza, che unisce disgiungendo, è istituita dalla proibizione dell’incesto, ossia dalla logica della disgiunzione inclusiva che dice: A è o B o C (o sorella o sposa). Le caselle non esistono l’una senza l’altra (inclusione) pur non essendo l’una l’altra (disgiunzione) ma tale relazione, a sua volta, non esiste se non simultaneamente alla relazione con tutte le altre caselle e con tutte le relazioni tra caselle: «È la relazione con l’altro sesso (quello tra me e mia sorella/sposa) che genera la mia relazione con il mio stesso sesso (mio cognato)»21 e via procedendo per differenziazioni inclusivo-disgiuntive. Ciò significa: tutte le caselle della scacchiera non possono che darsi, virtualmente, in un colpo solo e la proibizione dell’incesto è questo evento, questo «invio»,22 questa virtualità nel suo farsi in atto, la differenza di potenziale che tutte le attraversa simultaneamente.

4. Musica

Come il gioco e gli scacchi, anche la musica è un tema onnipresente nell’opera di Lévi-Strauss e accompagna il suo pensiero come un basso continuo (in un senso, come vedremo, letterale: il basso continuo come ciò che, nella musica barocca, fornisce la struttura armonica).23

Se ad esempio nel Crudo e il cotto troviamo un’analogia tra musica e mito,24 in Mito e significato l’autore arriva a mostrare che alcuni miti sono costruiti «come una sonata, o una sinfonia, o un rondò o una toccata»,25 fornendo anche un’esemplificazione di questa analogia strutturale attraverso il confronto tra una certa categoria di miti e la fuga di Bach. Ma, al di là di queste citazioni e fugaci analogie, la musica sembra rivestire un ruolo fondamentale nel modo in cui Lévi-Strauss pensa. Nel modo in cui pensa, ad esempio, le strutture elementari della parentela, ossia la nostra scacchiera (e, in generale, qualsiasi struttura). Ciò detto, andiamo con ordine.

Della scacchiera, la proibizione dell’incesto è, dicevamo, principio generatore, evento, costituendo in questo senso il fondamento universale della cultura umana (o, se ben s’intende Lévi-Strauss, fondamento della stessa differenza natura/cultura). Ma questa «regola in quanto regola», che attraversa come una differenza di potenziale tutte le caselle, a sua volta, da dove deriva? Domanda impertinente, che chiede del fondamento del fondamento. Di solito, giunti a questo punto, si invoca il buon Dio. È ciò che fa ad esempio Borges alla fine di una bellissima poesia dedicata proprio agli Scacchi: se i pezzi sulla scacchiera sono mossi dai giocatori, questi ultimi sono a loro volta prigionieri d’una loro scacchiera «fatta di nere notti e bianchi giorni», quali pedine nelle mani di Dio. Sulla nostra scacchiera sociale, se le pedine del dono (in primis la donna) sono scambiate da una casella all’altra, gli uomini che le muovono sono a loro volta incasellati (sono appunto «caselle», ossia ruoli) dentro una logica più grande di loro, che non governano ma che li governa (la proibizione dell’incesto quale principio formale inclusivo-disgiuntivo che distribuisce tutte le caselle e le loro relazioni). Ed ecco la domanda impertinente di Borges:

«Dio muove il giocatore, e questi il pezzo. Che dio dietro di Dio la trama inizia di tempo e sogno e polvere e agonie?»26

Questa retrocessione del fondamento può essere applicata anche a quella «regola in quanto regola» che per l’antropologo francese è alla base dell’agire sociale in quanto strutturarsi del sociale stesso. Ecco, questa mossa di Borges non è però la mossa di Lévi-Strauss. Rinviando a una trascendenza, il gioco del rinvio può proseguire all’infinito, come ironicamente suggerisce Borges (c’è sempre una scacchiera dietro la scacchiera). Non è così che pensa lo strutturalista, non è questa la sua Stimmung, non è questa la tonalità in cui la musica suonerebbe al suo orecchio. Non è questo il rapporto tra il tutto e le parti, come pensato da Lévi-Strauss, questo è semmai il modo in cui lo pensa il Parmenide di Platone (che costringe infatti i suoi personaggi a moltiplicare le ipotesi all’infinito, sino a chiudere in aporia).27 Come pensa Lévi-Strauss? Qual è invece la sua mossa?

Si è spesso detto che, nel suo «positivismo» orizzontale (piuttosto che verticale), sincronico (piuttosto che diacronico), ortogonale (piuttosto che algebrico), Lévi-Strauss tagli via la trascendenza (se Lévinas definisce Tristi tropici «il libro più ateo che sia stato scritto nei nostri tempi», Lacan ritiene addirittura che l’autore provi per la trascendenza «paura e avversione»). Si misurerebbe qui tutta la sua distanza da Mauss e, più in generale, dalla Scuola sociologica di Durkheim e dal primato che essa accorda al religioso (Le strutture elementari della parentela è, in tutto e per tutto, un controcanto alle Forme elementari della vita religiosa di Durkheim). Ma ne siamo certi? Durkheim, Mauss, Lévi-Strauss: tutti e tre concordano sul principio generale per cui «l’unità del tutto è più reale di ciascuna delle sue parti» (un motto che i tre sembrano passarsi di mano in mano), ma nel concepire questo «tutto» le prospettive divergono, o forse diverge il ruolo che tra queste esso vi gioca. In che senso? Si può cogliere tale divergenza confrontando il modo in cui Mauss e Lévi-Strauss intendono il simbolico, ossia la dinamica dello scambio e il suo fondamento.

È vero, c’è in Mauss una tensione verticale che Lévi-Strauss sembra sempre voler ricondurre a un piano orizzontale. Nel primo questa tensione è sempre sul punto di bucare la scacchiera in direzione della trascendenza (à la Borges): nel Saggio sul dono Mauss non solo stabilisce un’analogia tra dono e sacrificio, ma vede in quest’ultimo – inteso come scambio rituale tra uomini e dèi – il modello originario da cui deriva ogni forma di scambio tra gli uomini.28 E se anche la scacchiera maussiana è un circuito di debiti e crediti, non è del tutto illecito vedervi all’opera una sorta di «debito primordiale», cui l’uomo corrisponderebbe col sacrificio.29

Viceversa, in Lévi-Strauss gli dèi sono sempre caselle interne alla scacchiera30 e, quando si tratta di spiegare il simbolico, l’autore lo riconduce ogni volta a un più «orizzontale» principio di reciprocità: che cos’è la proibizione dell’incesto che anima la scacchiera nel suo gioco dinamico di debiti e crediti? Una «regola di reciprocità».31 Questa «regola in quanto regola» l’abbiamo anche definita «differenza di potenziale» e, quando l’antropologo strutturalista riprende quest’idea da Mauss,32 subito la declina in termini di eccesso o sovrabbondanza (sovrabbondanza del significante sul significato, con riferimento a De Saussure). Piuttosto che una mancanza e un «debito primordiale», ad animare la scacchiera lévi-straussiana troviamo una sorta di eccedenza, come un surplus di corrente elettrica che mette in moto l’intero sistema. Le caselle «sorella», «sposa», «zio» ecc. sarebbero allora, per usare un’immagine di Artaud, «corpi elettrici», direbbe Artaud,33 caricati come pile e mossi da un’energia che tutti li lega simultaneamente.

C’è dunque una trascendenza? Forse, ma come intenderla? Come concepire questa scarica di corrente nel suo dispiegarsi inclusivo-disgiuntivo? Si sarebbe tentati di immaginarla come un fulmine che attraversa e dà vita a tutte le caselle istituendole nei loro rapporti differenziali. Proponiamo invece un’altra immagine che forse coglie meglio il nodo in questione: non il fulmine, ma il lampo. Se i fulmini scendono dall’alto verso il basso (e vuole il mito che li invii Zeus), il lampo è invece simultaneo in tutte le direzioni. Che significa ciò? Detto fuor di metafora, non: Lévi-Strauss taglia via la trascendenza; piuttosto: nel suo modo di pensare, la trascendenza è immanenza. Il Dio di Spinoza, anziché Zeus. Un lampo, anziché un fulmine. La questione, allora, non è quella di un supposto primato del verticale sull’orizzontale, piuttosto che dell’orizzontale sul verticale, la questione semmai è come leggere il verticale e l’orizzontale. E qui veniamo al punto: bisogna leggerli come una partitura musicale. È quanto da Lévi-Strauss suggerito in un lungo ma illuminante esempio che forse chiarisce, in un lampo, il nesso tra scacchi (linee orizzontali-verticali), musica e simultaneità:

Immaginiamo alcuni archeologi del futuro, caduti da un altro pianeta quando ogni vita umana sarà già scomparsa dalla superficie della Terra e che scavino nel posto dove si trovava una nostra biblioteca. Questi archeologi ignorano tutto della nostra scrittura, ma cercano di decifrarla, il che presuppone tanto per cominciare la scoperta che l’alfabeto che noi stampiamo si legga da sinistra a destra e dall’alto in basso. Eppure, una categoria di volumi resterà indecifrabile in questa maniera. Saranno le partiture d’orchestra, conservate nella sezione di musicologia. Quegli scienziati si accaniranno probabilmente a leggerne le righe una dopo l’altra, cominciando dall’alto della pagina e considerandole tutte in successione; poi, si accorgeranno che certi gruppi di note si ripetono a intervalli, in maniera identica o parziale, e che certi contorni melodici, apparentemente lontani fra loro, presentano analogie. Allora, forse, si chiederanno se quei contorni, anziché essere affrontati in ordine successivo, non debbano invece essere considerati come elementi di un tutto, da considerare globalmente. Avranno allora scoperto il principio di quel che chiamiamo armonia: una partitura di orchestra ha senso solo se letta diacronicamente secondo un asse (una pagina dopo l’altra, da sinistra a destra), ma, nello stesso tempo, sincronicamente secondo l’altro asse, dall’alto in basso.34

5. Conclusione

Il saggio del 1956 Esistono le organizzazioni dualiste? fornisce una straordinaria applicazione di questa comprensione «musicale» delle strutture, capace di leggerne simultaneamente l’articolarsi orizzontale e verticale, una comprensione che permette all’autore di risolvere l’enigma dei Winnebago traendo originali conclusioni sulle strutture dei villaggi presso i nativi americani e melanesiani.35

Ma l’approccio musicale è soprattutto ciò che permette di concepire una struttura nel suo differenziarsi inclusivo-disgiuntivo, ossia tanto di analizzarne logicamente le articolazioni, da parte a parte, quanto di coglierne in un colpo solo l’armonia complessiva: la musica, spiega infatti altrove l’autore, ha «sempre praticato una via mediana tra l’esercizio del pensiero logico e la percezione estetica».36 È singolare, ancora una volta, la consonanza tra il modo di pensare dell’antropologo strutturalista e l’Etica di Spinoza: è questo un libro, dice infatti Deleuze, che andrebbe letto come una partitura musicale, giacché la composizione musicale vi interviene come una «unità superiore immanente».37 La musica gioca insomma nell’opera di Spinoza lo stesso ruolo che le riserva Lévi-Strauss, quale via che permette di tenere insieme logica (lettura orizzontale-verticale o, nei termini di Deleuze, «longitudine e latitudine»38) e apprensione immediata.39

Proprio attraverso le lenti della musica e di Spinoza è possibile osservare la differente prospettiva attraverso cui Lévi-Strauss pensa l’agire umano in relazione alla comunità e all’agire collettivo: in che cosa tale prospettiva si distingue dal modello atomistico come anche dal modello organicistico tradizionalmente inteso? Tra questi due modelli è possibile rintracciare una profonda quanto insospettabile solidarietà: entrambi considerano le relazioni tra le parti come qualcosa di altro dalle parti stesse. Nel modello atomistico, le relazioni derivano dalle parti, le quali precedono le loro interazioni e sono quindi altro da esse; ma anche nel modello organicistico, tradizionalmente inteso, le relazioni – sia quando sono fatte derivare dal tutto sia quando coincidono perfettamente con esso – precedono comunque le parti che sono quindi altro da esse. Nell’ottica di Lèvi-Strauss, invece, le relazioni non sono altro dalle parti, perché, come per Spinoza, le parti altro non sono che relazioni. Non ci sono che relazioni e relazioni di relazioni. Ogni relazione è una corda composta da infinite altre corde. Comprendere l’agire umano, sciogliere l’enigma del tutto e delle parti, significa allora, in Spinoza come in Lévi-Strauss, leggere tali corde (verticali e orizzontali) facendole risuonare simultaneamente, permettendo così di udire, in un lampo, la struttura armonica che le unisce e disgiunge al tempo stesso.


  1. Introducendo il Saggio sul dono, Mauss scrive: «Quale forza contenuta nella cosa donata fa sì che il donatario la ricambi? Ecco il problema sul quale ci soffermeremo in modo più particolare» (M. Mauss, Saggio sul dono, in Id., Teoria generale della magia [1950], Einaudi, Torino 2000, p. 158). ↩︎

  2. C. Lévi-Strauss, Introduzione all’opera di Marcel Mauss, in M. Mauss, Teoria generale della magia, cit., p. XLII. ↩︎

  3. Ivi, p. XLVIII. ↩︎

  4. Ivi, p. XLIX. ↩︎

  5. Cfr. C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari della parentela (1949), Feltrinelli, Milano 2010, p. 103. ↩︎

  6. Cfr. ivi, p. 179. ↩︎

  7. Come osservano Deleuze e Guattari, «i marxisti hanno ragione di ricordare che se la parentela è dominante nella società primitiva, essa è determinata ad esserlo da fattori economici e politici. E se la filiazione esprime ciò che è dominante pur essendo determinato, l’alleanza esprime ciò che è determinante, o meglio il ritorno del determinante nel sistema determinato di dominanza» (G. Deleuze. F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia [1972], Einaudi, Torino 2002, p. 163). ↩︎

  8. Cfr. C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari, cit., in particolare il capitolo «I fondamenti dello scambio», p. 71 e segg. ↩︎

  9. M. Strathern, Parts and Wholes: Refiguring Relationships in a Post-Plural World, in Reproducing the Future, Routledge, New York, p. 101. ↩︎

  10. Cfr. C. Lévi-Strauss, Le strutture elementari, cit., p. 46 e segg. ↩︎

  11. Ivi, p. 47. ↩︎

  12. Ivi, p. 617. ↩︎

  13. Ivi, p. 99. ↩︎

  14. Ivi, p. 90. ↩︎

  15. Cfr. F. Leoni, L’al di là del sacrificio, in Id., Jacques Lacan. L’economia dell’assoluto, Orthotes, Napoli-Salerno 2016. ↩︎

  16. Cfr. il capitolo «La legge divina» in B. Spinoza, Trattato teologico-politico, UTET, Torino 2005, p. 455 e segg. ↩︎

  17. G. Deleuze, Cosa può un corpo. Lezioni su Spinoza, Ombre corte, Verona 2013, p. 107. ↩︎

  18. E. Viveiros de Castro, Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, Ombre corte, Verona 2017, p. 114. ↩︎

  19. Cfr. L. Vinciguerra, Spinoza, Carocci, Roma 2015, p. 105. ↩︎

  20. Cfr. le acute osservazioni in merito di J. Derrida in La struttura, il segno e il gioco nel discorso delle scienze umane, in Id., La scrittura e la differenza (1967), Einaudi, Torino 2002, p. 364 e segg. ↩︎

  21. E. Viveiros de Castro, Metafisiche cannibali, cit., p. 114. ↩︎

  22. F. Leoni, L’al di là del sacrificio, cit., p. 125. ↩︎

  23. Sulla musica in Lévi-Strauss cfr. il saggio di Giovanni Piana Linguaggio, musica e mito in Lévi-Strauss, in G. Piana, Opere complete, vol. XI: Saggi di filosofia della musica, Lulu.com, 2013; cfr. anche J.-J. Nattiez, Lévi-Strauss musicista. Mito e musica, il Saggiatore, Milano 2010 e N. Ruwet, Langage, musique, poésie, Ed. du Seuil, Paris 1972, p. 116 e segg. ↩︎

  24. «Il confronto con la sonata, la sinfonia, la cantata, il preludio, la fuga, ecc. permetteva di accertare facilmente che in musica erano sorti dei problemi di costruzione analoghi a quelli sollevati dall’analisi dei miti» (C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto [1964], Il Saggiatore, Milano 1966, p. 31). ↩︎

  25. Id., Mito e Significato (1978), Il Saggiatore, Milano 1980, p. 62. ↩︎

  26. J. L. Borges, Scacchi in Id., L’artefice, Rizzoli, Milano 1963, p. 123. ↩︎

  27. Nelle sue lezioni su Spinoza, Deleuze sottolinea come tra l’Uno e i molti del Parmenide (ossia, il tutto quale totalità non percepita e le parti) vi sia una differenza di natura: per Platone l’Uno è infatti trascendente e questa trascendenza significa differenza gerarchica, preminenza e superiorità sui molti (cfr. G. Deleuze, Cosa può un corpo, cit., p. 98). È, potremmo dire, proprio questa superiorità dell’Uno a generare il rinvio all’infinito e tutti i paradossi insolubili relativi al rapporto coi molti. ↩︎

  28. M. Mauss, Saggio sul dono, in Id., Teoria generale della magia, cit., p. 178. ↩︎

  29. Cfr. E. Redaelli, La moneta come segno. Le origini dell’economia in una prospettiva pragmatista, in M. Striano, S. Oliverio, M. Santarelli, a cura di, Nuovi usi di vecchi concetti, Mimesis, Milano 2016. ↩︎

  30. Cfr. C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale (1964), il Saggiatore, Milano 2015, pp. 192-193. ↩︎

  31. Id., Le strutture elementari, cit., p. 99. ↩︎

  32. «Differenza di potenziale» è l’espressione utilizzata da Mauss per spiegare il mana (cfr. M. Mauss, Saggio di una teoria generale della magia in Id., Teoria generale della magia, cit., p. 123) e ripresa da Lévi-Strauss nella sua Introduzione, facendola slittare dal Saggio sulla magia al Saggio sul dono, giacché entrambi, nella lettura che ne dà lo strutturalista, hanno a tema la «totalità non percepita». ↩︎

  33. A. Artaud, Œuvres Complètes, Gallimard, Paris, 1956-1994, vol. XXVI, p. 157; cfr. F. Cambria, Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud, ETS, Pisa 2007, p. 166 e segg. ↩︎

  34. C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, cit., p. 184. ↩︎

  35. La tribù dei nativi americani Winnebago descriveva la struttura del proprio villaggio in due modi completamente diversi: alcuni anziani la indicavano come una struttura diametrale con un’organizzazione sociale «orizzontale», altri come una struttura concentrica con una organizzazione gerarchica «verticale». La puntuale comparazione con le strutture di altri villaggi permette a Lévi-Strauss di mostrare come le due interpretazioni non siano tra loro in contraddizione ma costituiscano due differenti prospettive del tutto compatibili, giacché ogni villaggio è sempre organizzato secondo una struttura triadica che prevede, contemporaneamente, un polo (dunque una gerarchia verticale) e un asse (dunque una dicotomia orizzontale). Sicché, ogni supposta organizzazione dualista dei villaggi americani e melanesiani andrebbe in realtà interpretata come una «triade camuffata» da leggersi simultaneamente nei suoi rapporti orizzontali e verticali (cfr. Id., Esistono organizzazioni dualiste? (1956), in Id., Antropologia strutturale, pp. 119-143). ↩︎

  36. C. Lévi-Strauss, Il crudo e il cotto, cit., p. 30. ↩︎

  37. Cfr. G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, p. 119. ↩︎

  38. Ivi, p. 119. ↩︎

  39. Ivi, p. 121. ↩︎