Nicolò Cusano e il pluralismo religioso

1. Dalla tolleranza al De pace fidei

La traduzione italiana di Nachmetaphysisches Denken II, Aufsätze und Repliken,1 nel promuovere il titolo della prefazione, Verbalizzare il Sacro, a titolo dell’intero libro, non fa che esplicitare ancor meglio il fatto che questi saggi proseguono l’intenso confronto filosofico dell’ultimo Habermas con le tradizioni religiose. Scrive il filosofo tedesco:

Quella mia visione iniziale della religione che, influenzata da Hegel, ne dava per scontato il superamento dialettico si è effettivamente modificata. […] Questo spostamento di accento non è dovuto, in realtà, a una mia diversa valutazione del fenomeno religioso – tanto più se pensiamo all’abuso politico del fondamentalismo in Oriente come in Occidente. Esso è dovuto piuttosto a una valutazione più scettica nei confronti della modernità. Non sono più tanto sicuro che i potenziali spirituali, e le dinamiche sociali, della modernità globalizzata abbiano in sé forza sufficiente per arrestarne le tendenze autodistruttive (a partire dall’erosione della sua stessa sostanza normativa).2

Sono parole che pesano ancor di più se si pensa che a pronunciarle è il teorico della modernità, intesa quale progetto emancipativo, in senso illuministico-kantiano ed hegeliano, da riprendere e portare a compimento e perfezione. Secondo Habermas, gli ultimi decenni hanno visto sorgere un tema completamente nuovo: le società europee già ampiamente secolarizzate si sono trovate di fronte alla rinnovata vitalità di movimenti e fondamentalismi di natura religiosa. Il fenomeno ha messo la filosofia e la teoria politica dinanzi ad una sfida: dover rivedere quell’idea di Stato secolarizzato che voleva espellere dalla sfera pubblica politica le comunità religiose, confinandole nel privato. Far fronte a questa sfida ci mostra forse una delle possibili ragioni dell’importanza di riascoltare oggi quel patrimonio classico che ci permette di ripensare la contemporaneità e le sue sfide. In particolare prenderemo in esame l’idea di concordia religionum o pax fidei, pace che nasce dalla fede, di Nicolò Cusano.

Il 29 Maggio 1453, Costantinopoli – che non era solo una delle città più importanti della cristianità ma uno dei luoghi simbolo della sua storia – veniva conquistata dall’esercito turco guidato dal sultano Maometto II. La notizia della caduta di Costantinopoli e delle stragi e dei saccheggi che ne seguirono fece velocemente il giro d’Europa. Il tragico evento sconvolse la coscienza cristiano-europea diffondendo un clima di angoscia e di terrore per il nemico islamico oramai alle porte. Anche da fini intellettuali dell’epoca, l’unica via di salvezza invocata fu l’uso delle armi e la guerra.3 In questo clima molto difficile il cardinale Cusano ebbe il merito di suggerire una strada diversa alla lacerata coscienza cristiana del tempo. Sebbene egli fosse consapevole del pericolo che incombeva sulla cristianità, il cardinale comprese che il ricorso alle armi non avrebbe fatto altro che rendere ancora più violento il secolare conflitto tra le due religioni. Nei mesi successivi all’evento, Cusano scrisse pertanto un’opera sin dal titolo ardita e inattuale per l’epoca: De pace fidei, La pace della fede.4 Parafrasando ma seguendo le intenzioni di Cusano: La pace che nasce dalla fede.

L’opera racconta di una visione avuta da un narratore, identificabile con Cusano stesso. La visione di una assemblea celeste composta da angeli e santi e presieduta dall’Onnipotente intenta ad esaminare la questione circa i tragici eventi consumatisi sulla terra a causa della diversità dei riti religiosi. Dinanzi a tale concilio di eccelsi si trova un gruppo di sapienti di differenti popoli che in qualità di rappresentanti delle diverse confessioni religiose del mondo sono chiamati a dialogare prima col Verbo, e poi con san Pietro e san Paolo. Il fine del dialogo – in cui si dibatte di temi teologici e filosofici altissimi come l’unicità di Dio, il Logos, la Trinità, l’Incarnazione, Cristo, la Legge, la critica dell’idolatria, la beatitudine, i sacramenti – è di trovare una certa concordia grazie alla quale costruire la pace sulla terra e mettere fine alle violenze perpetrate in nome di Dio. La formula che forse meglio sintetizza la proposta cusaniana presente nel dialogo è l’espressione utilizzata da Cusano stesso nel I capitolo dell’opera: Religio una in rituum varietate, Una sola religione nella varietà dei riti. Fine del dialogo tra i rappresentanti delle diverse confessioni religiose con il Verbo divino, san Pietro e san Paolo è quello di giungere alla consapevolezza che una sola è la religione nella varietà dei riti. L’opera si conclude, dopo aver raggiunto la concordia in cielo, auspicando presto un concilio in terra, da tenersi nella città di Gerusalemme quale città della pace, affinché le indicazioni dell’assemblea celeste trovino ascolto sulla terra.

Sin dal titolo e dalla struttura dell’opera è possibile dire che Cusano, a differenza di quanto alcuni lettori abbiano pensato, non è un anticipatore della tolleranza moderna. Cusano non è un “illuminista prima dell’illuminismo”, ma l’autore di un edificio teorico alternativo a quello della tolleranza religiosa.5 La moderna idea di tolleranza religiosa, almeno nella sua visione classica lockiano-liberale, presuppone una indifferenza nei riguardi delle religioni positive e dei loro contenuti. Essa è basata sulla distinzione tra una sfera pubblica e una sfera privata. Una distinzione che mira a neutralizzare le differenze relegandole uniformemente alla dimensione intima della coscienza del singolo e a neutralizzare l’appartenenza religiosa trasformandola in fatto privato e personale. Il tutto in nome dell’ordine e della convivenza pacifica. Tollerare significa sopportare colui che non viene riconosciuto come uguale, scegliendo una soluzione pratica che accetta il male minore, l’esistenza del tollerato, ed evita l’esplosione del conflitto.6 Non è un caso che Voltaire, uno dei padri della tolleranza moderna, adoperi una immagine, quella della Borsa, tratta dall’economia. Secondo Voltaire alla Borsa di Londra l’ebreo, il mussulmano, il brahamino, il cinese, il cristiano e il protestante trafficano pacificamente, uniformati sotto l’unica legge del profitto economico.7 L’immagine non è casuale, perché la risposta liberale al conflitto religioso disinnescava il conflitto di valori riportandolo al conflitto di interessi attraverso l’espulsione della sfera religiosa dall’ambito politico. La tolleranza si basa inoltre sul riconoscimento dell’indifferenza delle differenze, inessenziali al funzionamento del mercato e agli assetti della nascente economia moderna. Inoltre, l’idea di tolleranza religiosa, almeno nella sua visione moderno-illuministica, sembra implicare una messa tra parentesi della questione della verità. Verità e tolleranza non sarebbero conciliabili in quanto la pretesa veritativa renderebbe impossibile la tolleranza stessa. Si tollera ciò che non si ritiene vero, non a caso uno dei sensi etimologici del termine tollere è “sopportare con pazienza”. La tolleranza nella versione illuministico-moderna – si pensi a Bayle, a Voltaire ma anche in ambito tedesco al Lessing di Nathan il saggio – è fondata sulla fallibilità della conoscenza umana e sull’impossibilità di giungere alla verità. Naturalmente è chiaro che un approfondimento della storia della nozione di tolleranza religiosa renderebbe più problematica quella che per ragioni di tempo deve essere per forza una breve ricostruzione.8 Tuttavia quelli enucleati sono alcuni elementi fondamentali delle visioni classiche della tolleranza religiosa liberale e illuministica.

Inoltre, fattore non accidentale, le teorizzazioni moderne della tolleranza religiosa nascono come risposta a un problema originariamente interno alla società europea, ossia a seguito dello scontro tra confessioni cristiane. L’idea di tolleranza si afferma in Europa per risolvere lo scontro sorto tra le diverse confessioni cristiane presenti sul continente: il meccanismo teorico-strategico di neutralizzazione del conflitto religioso messo in opera è pertanto già culturalmente determinato e costruito per rispondere a problematiche specifiche. Non è un caso pertanto che il nostro mondo globalizzato, segnato dal confronto di religioni, tradizioni e culture fortemente eterogenee, ponga, nell’ottica della tolleranza, questioni rilevanti che difficilmente sembrano trovare risposta all’interno di tale paradigma teorico. Detto in altri termini di fronte alle nuove richieste di riconoscimento e di visibilità della propria differenza, così come al riapparire delle religioni nella sfera pubblica – dopo che ne era stata prematuramente dichiarata la scomparsa – la visione liberale-illuministica risponde insufficientemente che la differenza non conta e va relegata nel privato. Si assiste oggi all’emergere di istanze di riconoscimento di differenze religiose e culturali – non solo di origine extra-occidentale ma all’interno dello stesso perimetro della cultura e spiritualità occidentali – che non chiedono di essere omologate ma riconosciute come tali, nella loro specificità e alterità. Gli ultimi decenni hanno portato alla ribalta la questione della tolleranza evidenziandone lo status di concetto in crisi. Da più parti si assiste all’emergere dell’istanza teorica di procedere a un ripensamento radicale della stessa nozione, se non a spingersi oltre la tolleranza. Ovviamente da intendersi non come un voler mettere da parte il valore che la nozione di tolleranza vuole veicolare, ossia la convivenza pacifica, ma come ricerca di nuovi percorsi di incontro.

La posizione del cardinale è profondamente diversa da quella liberale-illuministica. Cusano al contrario dei teorici della tolleranza impegnati nel confronto tra le diverse confessioni cristiane si adopera a cercare soluzioni ad un problema diverso: quello del rapporto tra il cristianesimo e altre religioni. La sua proposta infatti non è quella di una pace nonostante la fede (come sembrano pensare i teorici moderni della tolleranza) ma quella di una pace che nasce dalla fede, in cui è proprio dalla fede che può scaturire la pace. In Cusano non c’è alcun atteggiamento indifferentistico nei confronti dei contenuti religiosi né Cusano esclude la possibilità di attingere la verità. Per Cusano è proprio la capacità e la possibilità di attingere la verità a rendere possibile l’incontro e il dialogo con l’altro.

2. Religio una in rituum varietate

La formula che forse meglio esprime la posizione cusaniana è l’espressione già richiamata: «Religio una in rituum varietate»,9Una sola religione nella varietà dei riti. Tuttavia su tale espressione bisogna soffermarsi poiché contiene un’ambiguità semantica resa evidente dalle diverse letture che di essa sono state date. Le interpretazioni possibili contenuti negli studi sull’opera cusaniana sono riconducibili a due gradi linee ermeneutiche. Secondo la prima interpretazione l’una religio, la sola religione è il cristianesimo mentre tutte le altre religioni sono solo riti diversi di tale unica religio. Seguendo la seconda linea interpretativa invece l’una religio non si identifica con nessuna religione positiva, ma con la religione in sé che vive all’interno di ciascuna tradizione religiosa. L’unica, la sola religione sarebbe una sorta di dimensione mistica, trascendente e noumenica di cui le confessioni positive sarebbero espressioni fenomeniche e segni imprecisi. Quale delle due linee interpretative è quella corretta? Secondo la nostra lettura entrambe sono parziali.

La prima, quella che identifica l’una religio con il cristianesimo come religione positiva e i vari riti con tutte le altre religioni, non spiega il fatto che Cusano stesso affermi nel corso del dialogo che per giungere alla pace non si tratta di convertirsi a un’altra fede ma di ritrovare quell’unica fede ovunque presupposta.10 Tuttavia non è possibile nemmeno identificare l’unica religione con un cristianesimo essenziale e universale spogliato da tutti gli aspetti positivi come faranno alcuni illuministi e alcuni filosofi della religione protestante nella modernità. Il cardinale Cusano, che non è certo un anticipatore del protestantesimo, come è chiaro non cancella né sminuisce gli aspetti positivi del cristianesimo né fa dell’una religio una religione essenziale priva di tratti positivi. La seconda interpretazione, quella che esclude la possibilità di identificare l’una religio con qualsivoglia religione positiva compreso il cristianesimo e fa della sola religione un’unica verità religiosa trascendente le singole tradizioni che sarebbero diversi riti e simboli di quest’unica religione in sé, è anch’essa parziale. Essa non spiega la centralità che all’interno del dialogo hanno il Verbo, san Pietro e san Paolo. L’opera infatti non contiene una discussione tra i diversi rappresentanti delle varie confessioni religiose ma un dialogo tra quest’ultimi e il Verbo, Pietro e Paolo. Inoltre gran parte della discussione ruota attorno ai dogmi centrali del cristianesimo, Trinità e Incarnazione. Se l’una religio non va identificata col cristianesimo perché questa sua centralità? Se si segue la seconda linea interpretativa la domanda resta senza risposta. Infine non è possibile identificare nemmeno l’una religio, o la religione in sé, con la religione universale della ragione come faranno gli illuministi perché Cusano, come abbiamo visto, non rinuncia agli aspetti rivelati della religione.

La problematica lasciata aperta dalla due linee interpretative dell’opera è sintetizzabile nella contraddizione tra essenzialità e particolarità del cristianesimo, tra il cristianesimo come religione positiva e il cristianesimo come religione in sé. Il cristianesimo è una religione particolare e determinata accanto alle altre e allo stesso tempo ha una centralità e universalità all’interno del dialogo che spinge a identificarla con l’una religio. In altri termini nell’opera sembra delinearsi una patente contraddizione tra il valore riconosciuto alle varie religioni e il privilegio accordato al cristianesimo. Il cristianesimo è al medesimo tempo il modello, il paradigma sulla base del quale accostarsi alle altre religioni e una fede particolare tra le altre. Una contraddizione di cui Cusano è consapevole, ma che non intende risolvere. Probabilmente anche perché non è detto che si possa o si debba risolvere. Cusano sa bene che la contraddizione è tale nella sfera della ragione ma non in quella superiore della visione intellettuale e della fede.

Non per mero dato letterario o estetico Cusano presenta l’opera, nel I capitolo, come il racconto di una visione che egli ha avuto dopo una meditazione durata giorni sui tragici eventi di Costantinopoli. La lunga meditazione ha provocato il rapimento del cardinale sino ad una certa altezza intellettuale ove egli ha avuto la visione che racconta. L’opera non è presentata semplicemente come il frutto di un argomentare razionale, ma rinvia a una dimensione diversa. La stessa forma letteraria del De pace fidei, il dialogo, non è un elemento estrinseco al suo contenuto come se fosse un mero contenitore della sua proposta speculativa. La scelta del mezzo non è indifferente al messaggio che Cusano cerca di trasmettere. Anzi significativamente Cusano non elabora una teoria del dialogo o un trattato sul dialogo tra le religioni, ma mette in scena un vero e proprio dialogare. Ovviamente esisteva una tradizione medievale di opere dialogiche tra rappresentanti di religioni diverse, ma esistevano anche altre tradizioni. Perché Cusano sceglie la forma del dialogo? Inoltre va ancora una volta sottolineato che Cusano non fa dialogare i diversi rappresentati delle differenti religioni tra loro, ma fa dialogare il Verbo, san Paolo e san Pietro con i rappresentanti delle singole tradizioni religiose. Noi non dobbiamo dimenticare, come spesso è invece accaduto, chi scrive il De pace fidei e a chi si rivolge l’opera. Cusano sta scrivendo all’indomani della caduta di Costantinopoli e si inserisce all’interno del dibattito che si stava svolgendo in Europa, come dimostrano anche le sue lettere a personaggi illustri dell’epoca, sull’opportunità o meno da parte dei cristiani della risposta armata. Cusano sta parlando da cristiano ai cristiani indicandogli una via pacifica per la risoluzione del conflitto religioso. Solo se teniamo in considerazione questi due aspetti è possibile interpretare correttamente il dialogo e comprendere quale sia la proposta cusaniana. Cusano parla dal punto di vista dell’esperienza di fede cristiana, dall’interno di essa non abbandonandola per entrare in dialogo con l’altro, anzi cerca in tale appartenenza le ragioni e le vie del dialogo. In secondo luogo non si rivolge ai credenti di differenti confessioni al fine della conversione, ma cerca di indicare ai cristiani un percorso di incontro e dialogo.

Dalla prospettiva cusaniana non si tratta di abbandonare la propria appartenenza religiosa, di mettere da parte la propria identità: Dialogare è possibile infatti, solo a partire dalla propria personalità e appartenenza, dalla propria tradizione e cultura. Dalla propria fede. Infatti non esiste una visione panoramica su tutte le posizioni, uno sguardo da nessun luogo, ma è sempre a partire da una alterità (la cusaniana “congettura”), da un situazione, da un’identità, da un punto di vista che entro in dialogo e mi relaziono con l’altro. Non si entra in dialogo mettendo da parte se stessi, le proprie radici, il proprio radicamento esistenziale e comunitario, la propria tradizione, ma si dialoga a partire dalla propria prospettiva sempre determinata. Nel dialogo interreligioso per Cusano non si tratta di entrare in relazione all’altro mettendo da parte Cristo e la sua centralità – procedendo come fa Sant’Anselmo e i suoi diretti e indiretti epigoni remoto Christo o sola ratione, o come Abelardo mettendo da parte l’abito religioso.11 Cusano al contrario cerca di dialogare con l’altro a partire dalla propria fede e dal proprio essere cristiano.

L’idea dei teologi e filosofi della religione definibili pluralisti o teocentristi, secondo cui esiste un’unica essenza delle religioni per cogliere la quale bisogna relativizzare la propria fede in Gesù Cristo considerandolo una delle tante figure o modelli o vie di salvezza,12 anziché favorire il dialogo, da una prospettiva cusaniana, lo rendono impossibile. Infatti, come ci insegna l’ermeneutica, non vi è alcun dialogo se uno degli interlocutori anziché mettere onestamente in gioco la propria identità, la propria posizione, la propria personalità, il proprio orizzonte, l’abbandona sin dall’inizio. Il pericolo insito nella posizione pluralista – secondo cui esiste un’unica essenza noumenica del religioso di cui le singole esperienze e tradizioni sono realtà fenomeniche – è che mentre si crede di promuovere la pluralità si costruisca un modello unitario e omogeneizzante che si impone dall’alto a tutte le diverse forme di esperienza religiosa svalutandone la specificità, i caratteri propri.13 L’idea di fondo, seppur forse inconsapevole, è che esista una visione panoramica sulle religioni che ne permetta un confronto oggettivante. Ma per farlo bisogna trasformare le religioni, in qualcosa di diverso tradendone la specificità. Le religioni non sono né oggetti né hanno a che fare con la sola ragione, ma anzi si caratterizzano per coinvolgere ciò che di meno oggettivistico c’è ossia il senso e per implicare proprio ciò che va oltre la ragione ossia la fede. L’idea che invece non si possa trascendere la propria appartenenza e identità porta al contrario proprio al rispetto delle tradizioni religiose e della loro singolarità e alterità.

3. Il pluralismo religioso

Il De pace fidei, a differenza della letteratura apologetica e anti-islamica precedente e coeva, non era animata dal desiderio di denigrare i costumi degli arabi o di condannare e demonizzare il profeta Maometto.14 Se le opere dedicate al dialogo tra le religioni precedenti erano per lo più contraddistinte dalla sottolineatura dell’inferiorità retorica, intellettuale e morale e dallo svilimento degli interlocutori stigmatizzati come infedeli, Cusano è stato tra i primi – rarissima e preziosissima eccezione insieme forse solo a Raimondo Lullo, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola – non solo a riconoscere il valore delle altre religioni, ma a individuare nel pluralismo religioso una fonte di ricchezza.15 La proposta teorica cusaniana differisce inoltre anche dalla posizione apologetica che mira alla conversione di tutte le confessioni religiose a una religione determinata in quanto, come abbiamo visto, per Cusano non si tratta di abbracciare un’altra fede, diversa da quella finora professata, ma di ritrovare quell’unica e medesima fede che è in tutte presupposta.16 Tuttavia nell’opera non è operante solamente e semplicemente un atteggiamento concordistico, finalizzato a raggiungere la pacificazione togliendo e annullando le differenze, le quali, sorte da una comprensione solo parziale del messaggio divino, sarebbero solo errori accidentali superabili. Non si tratta dunque né di una tolleranza indifferentistica rispetto al portato veritativo dei contenuti religiosi, né di una semplice apologetica del cristianesimo mirante alla conversione di tutti i popoli a esso e neppure della ricerca di una mera concordia che nasce dall’annullamento di ogni differenza in una verità esaustivamente e definitivamente dispiegata. Al contrario Cusano sin dalla sua prima grande opera teoretica, il De docta ignorantia, aveva individuato nella fede in Dio, inteso anselmianamente come ciò di cui nulla può essere maggiore, l’elemento comune a tutti i popoli, benché alcuni ne adorassero solo talune manifestazioni, mondane, altri invece si elevassero ad adorarlo nella sua trascendenza, quale creatore, complicazione di tutte le cose..17 Il pensatore tedesco piuttosto che cercare una via di pacificazione e di incontro che metta da parte le differenze religiose e la stessa fede si interroga su come porre dialogicamente in relazione le diverse religioni dell’umanità mantenendo la loro varietà, partendo dal loro elemento fondamentale comune, la fede. L’idea cusaniana è quella di un’unica religione o fede nell’unico Dio che accomuna tutti i popoli della terra in quanto è presupposta da tutti i differenti culti e confessioni o per dirla con le parole del dialogo De mente (1450) di una una religione innata («connata religio») che si è manifestata sempre nel mondo sebbene in modi diversi.18

Si potrebbe riprendere un’efficace espressione cusaniana che ben illumina la sua posizione, quella di «concordia religionum», mantenendo il riferimento che risuona nell’espressione all’unità della concordia e alla molteplicità delle religioni.19 Va sottolineato innanzitutto che la stessa idea di concordia è pensata come il concordare di una pluralità e mai come una mera e piatta identità già data.20 Infatti nell’ambito di pensiero cusaniano questi due aspetti non vanno mai disgiunti: il riconoscimento del valore della pluralità e della varietà, che resta tale, delle espressioni religiose e l’importanza del riferimento ad un orizzonte comune, l’anelito all’unità. Come non è possibile pensare i molti senza il riferimento all’Uno e che si diano molteplici congetture se non come espressioni dell’unica verità, così non è possibile pensare il pluralismo religioso senza il riferimento al comune denominatore della fede nella trascendenza del divino, nel Deus absconditus. Tuttavia Cusano non pensa semplicemente che la pluralità e la varietas mantengano il loro valore nonostante il riferimento all’unità e a un orizzonte comune, ma che ogni culto religioso assuma il proprio valore proprio nella sua specificità e distinzione quale singolare e distinta espressione dell’infinità dell’Uno che si rivela nella sua ricchezza, nella sua unitarietà e indivisibilità in ciascuno senza risolversi in nessuno né nella loro totalità. La formulazione che forse meglio sintetizza ed esprime qual è la posizione cusaniana in merito al dialogo interreligioso e interculturale, ma anche interpersonale, forse è proprio quella scelta da Cusano medesimo per indicare la sua stessa opera: De pace fidei, La pace della fede. In effetti nei diversi manoscritti contenenti l’opera si trovano differenti varianti del titolo – indice che sin da subito anche tra i copisti l’opera ha suscitato interpretazioni differenti – tra cui, oltre De pace fidei, De unitate fidei et sanctarum [sic] diversitate in unum reducenda, De concordia religionum, De pace et concordia unice fidei, De pace seu concordia fidei.21 Tuttavia Cusano stesso nella lettera in cui presenta l’opera a Giovanni di Segovia opta per il titolo De pace fidei, permettendo di dirimere con certezza la questione.22

L’espressione la pace della fede ci permette di descrivere in modo adeguato la posizione di Cusano sottolineando una duplicità costitutiva della sua proposta. Innanzitutto la pace nasce dalla fede o la fede rende possibile la pace poiché solo grazie alla fede nell’Altro tanto altro da essere non altro, ossia nel Dio infinito e inesauribile, è possibile il dialogo tra le diverse prospettive religiose, culturali e personali. Senza la fede in alcunché che trascenda le singole posizioni finite non sarebbe possibile alcun dialogo visto che la verità dovrebbe risiedere o in una di esse, e dunque le altre potrebbero solo essere riportate più o meno violentemente a quelle, oppure non vi sarebbe alcuna verità, e allora regnerebbe il puro arbitrio e con esso ancora la forza. Allo stesso tempo grazie alla fede nell’altro nostro simile è possibile elevarsi oltre il principio di non contraddizione e non rimanere impigliati nelle maglie del principium firmissimum, che non permettono di scorgere la verità né dell’Altro né dell’altro o meglio degli altri. Solo la fede, l’avere fede, il credere vero quello che l’altro ci offre come verità, affidandoci all’altro, abbandonando certezze usuali e razionali e correndo il rischio del tradimento, ci permette di comprendere anche quello che a partire dall’orizzonte della nostra ragione potrebbe non essere possibile. Tuttavia Cusano non ci invita ad abbandonare la ragione retta dal principio di non contraddizione, ma ci spinge a riconoscere che essa è una delle possibili fonti conoscitive. Inoltre non ci suggerisce di rinnegare la via della conoscenza, ma ad arricchirle e approfondirle aprendoci a una forma di sapere che permetta di ascoltare e comprendere la voce dell’Altro e di dialogare con gli altri. Tutto ciò allo stesso tempo senza rinunciare alla propria razionalità che non viene negata nella sua validità e capacità di attingere la verità, ma circoscritta entro i suoi limiti e riportata alla finitezza che le è propria evitando il rischio e il pericolo di assolutizzazioni.23

La pluralità dei riti e delle manifestazioni religiose tuttavia non solo trova la sua legittimazione nell’essere luogo manifestativo dell’incomprensibilità del Dio nascosto, ma tale molteplicità ritrova il suo valore proprio nell’essere l’espressione più adeguata dell’infinità e inesauribilità del divino..24 Per il cardinale tedesco non solo la molteplicità non è in contrasto con l’unità, ma ne è la migliore espressione possibile nel piano del finito, sebbene sempre imprecisa e imperfetta. Come sul piano gnoseologico l’infinità e l’incomprensibilità della verità rende ogni nostra conoscenza della veritas una congettura (coniectura), ossia un’affermazione che partecipa della verità nell’alterità, id est nella pluralità dei punti di vista che segnano la finitezza della conoscenza umana,25 e come sul piano metafisico l’Uno nella sua trascendenza è partecipato da ciascuno dei molti secondo la sua propria contrazione (contractio) – vale a dire il molteplice partecipa immediatamente dell’Uno secondo le proprie singolari possibilità e ne è autentica espressione benché finita e limitata -26 così sul piano teologico-religioso la molteplicità delle visioni dei dogmi e delle fedi non nega o contraddice l’unico Dio, ma ne rivela la sua ulteriorità e la sua potenza. La diversità dei riti dunque non è semplicemente legittimata, ma assume un valore intrinseco e intrascendibile proprio nel suo essere risposta a un appello, quello di Dio, che sempre ci sfugge nella sua maestà. La pluralità assume dunque un suo senso e un suo valore intrinseco quale manifestazione dell’infinità della verità divina. Si comprendono le affermazioni cusaniane relative alla positività della diversità dei riti in quanto fattore di accrescimento della devozione:

Forse anche la devozione si accrescerà grazie a una qualche diversità, allorché ogni popolo si sforzerà con impegno e zelo di rendere più splendido il proprio rito, affinché in ciò vinca l’altro e consegua così un merito maggiore presso Dio e la lode del mondo.27

La risposta di Cusano alla pluralità delle forme storiche e finite in cui il sentimento religioso si concretizza è quella di una competizione, di una gara delle religioni nel rendere sempre più splendidi i propri riti e dunque non l’annullamento delle differenze, ma l’approfondimento delle diversità. Una concezione che Cusano, a testimonianza del suo autentico impegno per un dialogo interreligioso, riprende dallo stesso Corano, dove è espressamente detto:

Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate pertanto nelle buone opere. Tornerete tutti a Dio, e allora egli vi darà contentezza delle cose in cui eravate discordi.28

Per il pensatore tedesco la soluzione del conflitto religioso riposa pertanto in un diverso modo di concepire il rapporto tra l’unico Dio e i diversi riti con cui gli uomini tendono a esprimere la loro relazione con lui, o detto filosoficamente, in una differente concezione della dialettica tra l’Uno e i molti, tra la Verità e le sue interpretazioni. Dio in quanto absconditus resta sempre ulteriore, trascendente i molti, tuttavia nella sua eccedenza egli non nega le affermazioni, i riti e le fedi con i quali si cerca di avvicinarlo, bensì li suscita mostrandone al contempo il limite. Egli è al contempo immanente e trascendente, secondo una dialettica propria al neoplatonismo ripresa e rielaborata dallo stesso Cusano..29 Dal punto di vista dei molti Dio è in relazione con essi, si mostra nella molteplicità dei riti, ma solo se essi sanno teofanicamente rivelare la sua alterità. Anzi solo riconoscendo il proprio far segno a una infinità i riti religiosi sono autenticamente tali e non cedono al pericolo sempre incombente dell’idolatria, ossia di fare del finito qualcosa di infinito, di confondere l’umano col divino; e riconoscendosi come simboli di un’ulteriorità essi riconoscono la propria contingenza, il loro carattere storico e finito, e dunque la possibilità della loro pluralità. Le diverse confessioni religiose sono autenticamente espressione della relazione con Dio in quanto riconoscono il proprio carattere situato, storico, e allo stesso tempo danno voce, restando aperte, all’originario legame con la trascendenza a cui si rivolgono. La loro finitezza non è dunque mera negatività, ma assume un carattere positivo, poiché solo serbandola esse possono dare spazio, simbolizzandolo, all’infinito cui sono rivolte. La pluralità delle religioni diviene allora non il segno di una mancanza, ma di una ricchezza, in quanto essa è tesa a esprimere l’infinità, l’inesauribilità di Dio. Sulla base di tale dialettica mai chiusa, ma sempre aperta e libera – poiché la priorità spetta sempre al libero rivelarsi della trascendenza del divino – è possibile per le molteplici confessioni religiose, consapevoli della propria contingenza e aperte a quella ulteriorità a cui fanno segno, entrare in relazione pacificamente. I molteplici culti, in quanto simbolo dell’inesauribile Verità che sempre eccede e trascende ogni sua manifestazione storica, non solo sono tutti legittimati nella loro pluralità, com-possibili, ma possono dar vita a una gara di devozione in cui ciascuno approfondendosi, e dunque facendosi sempre più testimone di una trascendenza sempre ulteriore, sarà al contempo portato ad approfondire progressivamente la propria unicità, singolarità, contingenza e dunque a dare spazio all’Altro e agli altri.


  1. J. Habermas, Nachmetaphysisches Denken II, Aufsätze und Repliken, Frankfurt am Main 2012. ↩︎

  2. J. Habermas, Verbalizzare il sacro. Il lascito religioso della filosofia, Laterza, Roma-Bari 2015, pp. 191-192. ↩︎

  3. Sul tema cfr. La caduta di Costantinopoli, a. c. di A. Pertusi, Mondadori, Milano 1976, 2 voll.; E. Meuthen, «Der Fall von Konstantinopel und der Lateinische Westen», Mitteilungen und Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft, 1984, n.16, pp. 35-60; R. Crowley, The Holy War for Constantinople and the Clash of the West, New York 2005 (tr. it., 1453. La caduta di Costantinopoli, Mondadori, Milano 2008). ↩︎

  4. Nicolò Cusano, De pace fidei, in Id., Opera omnia, VII, ed. R. Klibansky - H. Bascour, Hamburg 1959, 1970. ↩︎

  5. Sulla distanza della prospettiva cusaniana dall’idea moderna di tolleranza cfr. B. Decker, Die Toleranzidee bei Nikolaus von Kues und in der Neuzeit, in Nicolò da Cusa. Relazioni tenute al Convegno Interuniversitario di Bressanone nel 1960, a c. di G. Flores d’Arcais, C. G. Sansoni, Firenze 1962, pp. 197-213; K. Jaspers, Nikolaus Cusanus, München 1964, p. 220; M. Watanabe, Nicholas of Cusa and the idea of tolerance, in Niccolò Cusano agli inizi del mondo moderno, a c. di G. Santinello, C. G. Sansoni, Firenze 1970, pp. 409-418; G. Santinello, «Nicolò Cusano e l’utopia dell’unità culturale e religiosa nel Quattrocento», in Archivio di filosofia, 1985, n. 53, pp. 381-391; M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994, pp. 149-159; M. L. Lanzillo, Tolleranza, Il Mulino, Bologna 2001, p. 28; A. A. Akasoy, «Zur Toleranz gegenüber dem Islam bei Lullus und Cusanus», in Ramon Llull und Nikolaus von Kues: Eine Begegnung im Zeichen der Toleranz, pp. 105-124 (ed. it. Raimondo Lullo e Niccolò Cusano: un incontro nel segno della tolleranza, a c. di E. Bidese - A. Fidora - P. Renner, Turnhout 2005). ↩︎

  6. M. Cacciari, La maschera della tolleranza, in La maschera della tolleranza, Rizzoli, Milano 2006, pp. 134ss. ↩︎

  7. Cfr. Voltaire, Lettres philosophiques, a c. di R. Pomeau, Paris 1964, VI, p. 47; Id., s. v. Tolérance, in Id., Dictionnaire philosophique, 2 voll., ed. C. Mervaud, in Les Oeuvres complètes de Voltaire, a c. della Voltaire Foundation, Oxford 1994, XXXVI, p. 552. Sulla complessa concezione della tolleranza di Voltaire e sulle sue diverse fasi di sviluppo del suo pensiero cf. M. L. Lanzillo, Voltaire. La politica della tolleranza, Laterza, Roma - Bari 2000. ↩︎

  8. Cfr. M.L. Lanzillo, Tolleranza, Il Mulino, Bologna 2001; F. Lomonaco, Tolleranza, Guida, Napoli 2005; Id., Tolleranza e libertà di coscienza, Liguori, Napoli 1999; Id., Tolerance. Stages in modernity from Holland to Italy, Peter Lang Pub Inc, Bern 2013. ↩︎

  9. Nicolò Cusano, De pace fidei, cit., I, 6, p. 7 ↩︎

  10. Nicolò Cusano, De pace fidei, cit., IV, 10, p. 11: «Non aliam fidem, sed eandem unicam undique praesupponi reperietis». ↩︎

  11. Sulle diverse posizioni in ambito medievale cfr. Dialogus. Il dialogo filosofico fra le religioni nel pensiero tardo-antico, medievale e umanistico, a cura di M. Coppola, G. Fernicola, L. Pappalardo, Città Nuova, Roma 2014. ↩︎

  12. J. Hick, The Myth of God Incarnate, London, 1970; P. Knitter, No Other Name. A critical Survey of Christian Attitudes Toward the World Religion, New York, 1985; The Myth of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic Theology of Religion, a cura di J. Hick, P. Knitter, New York 1987. ↩︎

  13. Per un’analisi più approfondita cfr. M. Pagano, «Ermeneutica e interculturalità», in Annuario filosofico, 2010, n. 26, pp. 135-148. ↩︎

  14. Cfr. Ó. De la Cruz Palma, Alcuni argomenti della polemica antiislamica in Raimondo Lullo e Niccolò Cusano, in Raimondo Lullo e Niccolò Cusano: un incontro nel segno della tolleranza, a c. di E. Bidese - A. Fidora - P. Renner, Brepols, 2005, pp. 25-40 (ed. or. Ramon Llull und Nikolaus von Kues: Eine Begegnung im Zeichen der Toleranz). ↩︎

  15. Cfr. J. Dupuis, Toward a Christian Theology of Religious Pluralism, Maryknoll 1997, pp. 105-109 (tr. it. Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, Queriniana, Brescia 1997, pp. 142-147); P. F. Knitter, Introducing Theologies of Religions, Maryknoll 2002, p. 67 (tr. it. Introduzione alle teologie delle religioni, Queriniana, Brescia 2005, p. 142). ↩︎

  16. Cfr. Nicolò Cusano, De pace fidei, cit., IV, 11, p. 11. ↩︎

  17. Cfr. Nicolò Cusano, De docta ignorantia, I, in Id., Opera omnia, I, edd. E. Hoffmann, R. Klibansky, Leipzig, 1932, 25, 84, p. 53. ↩︎

  18. Cfr. Nicolò Cusano, Idiota de mente, in Id, Opera omnia, V, ed. R. Steiger, Hamburg 1983, 15, 159, p. 217. ↩︎

  19. Cfr. Nicolò Cusano, De pace fide, cit., XIX, 68, p. 62. ↩︎

  20. Sul concordismo cusaniano cfr. G. Santinello, «Nicolò Cusano e l’utopia dell’unità culturale e religiosa nel Quattrocento», in Archivio di filosofia, 1985, n. 53, pp. 381-391; G. d’Onofrio, Introduzione, in Storia della teologia, Piemme, Casale Monferrato 1995, vol. III (L’età della rinascita), pp. 17 e ss. ↩︎

  21. Cfr. Nicolò Cusano, De pace fidei, cit., I, 3, p. 3. ↩︎

  22. Cfr. Nicolò Cusano, Epistula ad Ioannem de Segobia, II, in ID., Opera, VII, cit., p. 97. ↩︎

  23. Per una disamina più ampia del tema mi permetto di rinviare a D. Monaco, Cusano e la pace della fede, con una prefazione di F. Tomatis, Città Nuova, Roma 2013. ↩︎

  24. Cfr. F. Tomatis, Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Bompiani, Milano 2009, pp. 35-38. ↩︎

  25. Sul rapporto tra docta ignorantia, ossia la consapevolezza dell’infinità e dell’incomprensibilità della verità, e congettura cfr. Nicolò Cusano, De coniecturis, I, in Id., Opera omnia, edd. J. Koch - K. Bormann - H. G. Senger, Hamburg 1972, prologus, II, p. 4: «Quoniam autem in prioribus Doctae ignorantiae libellis multo quidem altius limpidiusque quam ego ipse nisi meo precisionem veritatis inattingibilem intuitus es, consequens est omnem humanam veri positivam assertionem esse coniecturam». Per una definizione del termine in Cusano cfr. Id., De coniecturis, cit., I, 11, III, p. 58: «Coniectura igitur est positiva assertio in alteritatem veritatem, uti est, participans». ↩︎

  26. Cfr. Niciolò Cusano., De docta ignorantia, cit., II, 4, I, pp. 72-75. Sul concetto cusaniano di contractio cf. J. Hopkins, Nicolas of Cusa’s Metaphysic of Contraction, Minneapolis 1983; T. Leinkauf, Die Bestimmung des Einzelseienden durch die Begriff Contractio, Singularitas und Aequalitas bei Nicolaus Cusanus, in Archiv fuer Begriffgeschichte 37 (1994), pp. 180-211; G. d’Onofrio, L’anima dei Platonici. Per una storia del paradigma gnoseologico platonico-cristiano fra Rinascimento, Tarda Antichità e Alto Medioevo, in Ratio et superstitio. Essays in Honor of Graziella Federici Vescovini, a c. di G. Marchetti - O. Rignani -V. Sorge, Brepols 2003, pp. 421-482; S. Mancini, «Vialità e individuazione: l’eriugenismo di Nicola Cusano», in Il Pensiero, 2009, n. 1-2, pp. 25-40. ↩︎

  27. Nicolò Cusano, De pace fidei, cit., 19, p. 62: «Augebitur etiam fortassis devotio ex quadam diversitate, quando quaelibet natio conabitur ritum suum studio et diligentia splendidiorem efficere, ut aliam in hoc vincat et sic meritum maius assequatur apud Deum et laudem in mundo». ↩︎

  28. Cor, 5, 48; tr. it. Il Corano, a c. di M. M. Moreno, UTET, Torino 1967, p. 114. Il citato passaggio del Corano nella traduzione latina del testo posseduta dal cardinale è annotata a margine con le parole «ponit causam diversitatis sectarum». Cfr. Cusano, Congetture di pace. Scritti irenici, a c. di M. Merlo, Edizioni Del Cerro, Tirrenia 2003, p. 50, nota 7. ↩︎

  29. Cfr. D. Monaco, Deus Trinitas. Dio come non altro nel pensiero di Nicolò Cusano, con una prefazione di W. Beierwaltes, Città Nuova, Roma, 2010, pp. 219-236. Sulla collocazione di Cusano all’interno della tradizione neoplatonica si vedano i magistrali studi di Werner Beierwaltes, cfr. W. Beierwaltes, Identität und Differenz, Frankfurt am Main 1980; Id., Denken des Einen. Studien zum Neuplatonismus und dessen Wirkungsgeschichte, Frankfurt am Main 1985; Id., Eriugena. Grundzüge seines Denkens, Frankfurt am Main 1980; Id., Platonismus in Christentum, Frankfurt am Main 1998; Id., Cusanus. Reflexión metafísica y Espiritualidad, tr. sp. di Alberto Ciria, Pamplona 2005; Id., Procliana. Spätantikes Denken und seine Spuren, Frankfurt am Main 2007; Id., Fussnoten zu Plato, Frankfurt am Main 2010; Id., Catena Aurea, Frankfurt am Main 2017. ↩︎