1. Introduzione
1.1. Quei favolosi anni ’70
Metamorfosi della gnosi di Emanuele Samek Lodovici fu pubblicato nel 1979. Samek aveva allora 36 anni, essendo nato nel ’42. Ma non gli restava ancora tanto da vivere, perché sarebbe morto due anni dopo per le complicazioni postoperatorie di un intervento chirurgico-ortopedico dovuto alle fratture multiple riportate in un incidente stradale. Egli appartiene a quella generazione di giovani che ha vissuto da protagonista il ’68 e gli anni ’70, in cui le proposte politiche e culturali di maggior consenso, in un’Italia agitata dalle contrapposizioni ideologiche, erano quella marxista e quella radicale, diverse ma accomunate dal mito della rivoluzione. In questa congiuntura Samek fa un’affermazione clamorosa, individuando al fondo dell’ideologia libertaria del ’68 la presenza di un’antica eresia: la gnosi.1 L’intuizione gli viene dai suoi studi sulla filosofia tardo-antica e sul cristianesimo primitivo. Il giovane filosofo milanese ha già pubblicato un saggio, Dio e il mondo, centrato su Agostino e il Neoplatonismo.2 Ma quegli studi «non erano solo una passione intellettuale fine a se stessa, ma la via per capire che cosa stava succedendo, per capire […] in che modo e perché la modernità si contrapponesse alla tradizione cristiana».3 Pertanto, egli fruga in quelle dispute teologiche dei primi secoli non per fare archeologia ma per trovare risposta agli interrogativi del presente, alla dissoluzione contemporanea, come recita il sottotitolo di Metamorfosi della gnosi.4
È in atto – afferma – «una rivoluzione culturale nel senso ampio del termine cultura, perché tende a ricostruire un nuovo modo di vivere, di parlare e di comunicare, di essere genitori e di essere figli, di essere marito e di essere moglie, di essere uomo e di essere donna». E questo modo, per di più, è «fatto penetrare lentamente come atmosfera nel vissuto quotidiano».5 Egli è convinto che lo scontro vero non è quello fra destra e sinistra, fra capitalismo e socialismo, fra dittatura e democrazia, fra rigorismo e permissivismo, fra scientismo ed ecologismo, ma quello fra la pretesa gnostica di autosalvazione e «una visione umile e contemplativa della realtà, aperta al mondo ed alla vita come dono gratuito di Dio».6 Quella pretesa rivela, infatti, al di là dei clamori di novità, un modo di porsi «caratterizzato da un rifiuto a riconoscersi parte di un disegno e di un ordine ricevuti come dono».7
1.2. Il senso di una ricerca
Il valore teoretico di Metamorfosi della gnosi nasce dal fatto che Samek non si limita a classificare sociologicamente i fatti, ma ricerca le cause, analizzando e sviscerando presupposti teoretici ed etici. Coglie, quindi, nessi concettuali, ma anche aporie e contraddizioni, fra cronaca e storia. Il suo problema è «come essere un homo religiosus in tutte le sfere della vita, inclusa la politica, nel mondo contemporaneo». E anche il suo schierarsi «contro l’aborto, contro la dissoluzione della famiglia naturale, contro il linguaggio ideologico della lotta politica a lui coeva»8 è parte di un attivismo politico fondato su una posizione teoretica coerente e di spessore. C’era, per Samek, da raccogliere una sfida: difendere il cristianesimo dall’accusa di essere fuori dal tempo, sorpassato ed emarginato dal progresso storico. Si trattava di risalire alle radici della società ateo-illuministica per rintracciare quelle posizioni speculative da cui provengono le ricadute morali secolarizzanti.9 Tutte insieme, quelle e queste, formano un coacervo dottrinale che egli, ispirandosi a un libro dello storico olandese Gilles Quispel, chiama mentalità gnostica.10 Le vicende contingenti, pertanto, sono oltrepassate in direzione delle strutture metafisiche profonde, degli arcani ideali. Ma è proprio questo sforzo interpretativo che spiega il valore di quelle riflessioni per noi oggi, nonostante il venir meno dei riferimenti principali di quella stagione: il marxismo, il movimento operaio, il terrorismo, la guerra fredda.
1.3. La Gnosi che ritorna
La chiave interpretativa di Metamorfosi della gnosi può essere rintracciata in quest’affermazione dell’introduzione: «Tutto ciò che avviene ha un significato che sta sotto i fenomeni e appare solo attraverso di essi».11 Se è vero, infatti, che nei fenomeni, e attraverso essi, si palesa un significato più profondo, allora c’è un senso anche nell’apparente congerie di fatti, notizie, figure, che si affastellano nella cronaca quotidiana. «I fatti che tutti conoscono, che si sono succeduti nel corso del tempo (devastazione della cultura, degradazione del costume morale urbano e rurale, pornografia, terrorismo ecc. […] sono iscrivibili all’interno di un senso unitario»12 – afferma Samek. In tal caso, la sensibilità con cui egli si approssima al presente non è tanto quella di un politologo o di un sociologo, quanto quella di un filosofo della storia o, forse, di un teologo della storia attento ad interpretare i segni dei tempi. Lungo questa direttrice ermeneutica, il giovane pensatore milanese intuisce che la “dissoluzione contemporanea” si salda agli sviluppi di quella che con Adorno e Horkheimer potremmo chiamare la Dialettica dell’illuminismo o, più genericamente, la modernità.13 E ciò lo accomuna senz’altro ad altri pensatori cattolici. Ma questo filo si riannoda a ritroso, per Samek, ed è qui l’elemento di originalità, a qualcosa di arcano e, per certi versi, misterioso, ad una corrente di pensiero del remoto passato: la gnosi. Essa con i suoi filosofemi correrebbe come un fiume carsico sotterraneo lungo tutto il corso della tradizione cristiana ed ebraica, per riemergere nel moderno. Cosicché atteggiamenti, idee e sistemi teorici, anche apparentemente distanti e diversi fra loro, sarebbero improntati a quella «forma di pensiero, mai del tutto scomparsa attraverso i secoli».14 Ne viene la tesi centrale del libro di Samek: la modernità altro non è che gnosi trasformata, gnosi ricomparente sotto nuove e mentite forme.15 Questo significa anche che un’opzione irrazionalista starebbe alla base del razionalismo soggettivista che da Cartesio in poi è stato la cifra del moderno, la stessa che la gnosi esprime come ribellione nei confronti della verità rivelata.
Ora, ricercare in quell’antica eresia la chiave d’accesso alla comprensione della contemporaneità rappresenta tesi ardita e, nello stesso tempo, ardua. È tesi ardita perché fa uscire gli studi sulla gnosi dalla nicchia riservata agli archeologi della cultura o agli storici della religione e li immette nella teoresi e nella filosofia della storia. Non sono, infatti, mancati né l’interesse per quelle dottrine né autori che hanno creduto di riconoscere in correnti e filoni della cultura moderna e contemporanea tendenze gnostiche. Tuttavia, la novità della tesi di Samek sta nell’aver individuato, al di là del settarismo religioso, una mentalità capace di informare l’approccio illuministico al reale e di indurre un atteggiamento esistenziale. Non è un mistero, ad esempio, che l’ideologia si è presentata storicamente con il carattere totalitario di religione secolarizzata coniugante prassi e millenarismo.16 È tesi ardua perché, come riconosce lo stesso Samek, corre il rischio di generalizzare il significato del termine gnostico fino a diluirlo nell’indistinto e nell’indeterminato.17 Pertanto, occorrerà precisarne la portata a partire da un plesso di grandi tesi che serviranno come segnavia per un’ermeneutica della contemporaneità. E Samek sarà particolarmente attento a riscontrare la validità di quelle tracce confrontandole con fatti, fenomeni e teoremi del presente.
1.4. Le grandi tesi della gnosi
Detto questo, passiamo ad enunciare per via sintetica le grandi tesi gnostiche. Ne individuiamo con Samek tre, più un correlato di carattere etico avente importanti ricadute giuridiche:
- La prima e fondamentale è questa: il mondo, e l’uomo nel mondo, sono il frutto di una caduta, di una frattura; l’intera realtà in cui ci troviamo è una realtà d’esilio.
- A questa prima affermazione ne segue una seconda che ne rappresenta un curioso rovesciamento. È vero che il mondo è malato, e con il mondo anche la storia, tuttavia, la salvezza c’è già perché, nonostante la frattura incolmabile, esiste qualcuno lo gnostico, l’eletto, che è in grado di colmarla. Lo gnostico infatti è fin dall’inizio dei tempi, dal momento della sua caduta nelle tenebre esteriori del mondo, homoousios, della stessa sostanza del mondo divino, e come tale capace in forza della sua originaria divinità di redimersi.
- Per ritornare nel pleróma, nel mondo perfetto dal quale ci siamo allontanati, è necessario, però, valersi di determinati strumenti. […] In essa infatti si afferma che esiste una «tecnica per ritornare nel paradiso e questo significa che si esclude che ci siano aspetti della realtà che non sono in nostro potere e che perciò si debba aver bisogno di una grazia sia, in senso minimale, per riuscire nei nostri tentativi qualunque essi siano, sia, in un senso forte, per accedere al mondo divino».18
Il correlato di carattere etico Samek lo individua in un «un disprezzo profondo per il diritto e per le forme istituzionali in generale e per la legge morale in particolare».19 Da questo disprezzo deriverebbe il dualismo sociologico tipico della gnosi, per cui si separano gli illuminati dagli altri, esonerandoli dal rispetto per la legge e ponendoli, per così dire, al di là del bene e del male. Specifico che la mentalità gnostica tende a ridisegnare il cristianesimo mediante tecniche demitizzanti che importano il rifiuto del dogma, la maledizione dei comportamenti normali, lo spontaneismo, la derisione della religiosità popolare, il sincretismo etc.20 Così facendo lo buca dall’interno svuotandolo di ogni storicità. Fa, quindi, il contrario di quanto opera Gesù nel primo miracolo raccontato da Giovanni, quello di Cana, quando trasforma l’acqua in vino, e cioè sostituisce al vino della fede l’acqua della gnosi. Lo stigmatizza bene J. Ratzinger che così scrive: «Tale opinione disincarna la fede e la riduce a pura idea. Per la fede che si basa sulla Bibbia, è invece esigenza costitutiva proprio il realismo dell’accadimento. Un Dio che non può intervenire nella storia e mostrarsi in essa non è il Dio della Bibbia».21 Ora, tale surrogato della fede biblica, che origina dal rifiuto del Dio creatore, nonché dalla negazione della storicità del racconto dei vangeli, è precisamente quanto fa da sostegno al pensiero illuminista e post-illuminista.22
2. Prima tesi: il mondo frutto di una caduta originaria
La prima delle grandi tesi gnostiche consiste nel considerare «il mondo, e l’uomo nel mondo, come il frutto di una caduta». Essa, per Samek, vale sostanzialmente un rifiuto della genesi, corrispondendo ad un racconto dell’origine diverso da quello biblico, in quanto implica almeno due affermazioni che se ne discostano nettamente:
- il mondo non è stato voluto da Dio, ma è scaturito per pura incidentalità;
- fra il suo essere e la volontà di Dio c’è frattura.
Si riconduce, quanto alle motivazioni, alla difficoltà di dare ragione della presenza del male nel mondo, rifiutando gli gnostici di ricondurlo alla divinità ed escludendo, al contempo, un peccato d’origine dell’uomo.23 Il male e il mondo che lo contiene non sarebbero dovuti alla divina volontà, ma a potenze inferiori (angeli malefici) agenti a sua insaputa..24 Lo gnostico, che non si riconosce in questo mondo e nella sua stessa esistenza, pone, stando a quanto tramanda Clemente di Alessandria, tre interrogativi:
Che cosa eravamo? Cosa siamo diventati? Ove eravamo? Ove siamo stati gettati? Dove andremo? Da che cosa saremo liberati?25
Essi corrispondono alla questione dell’origine, alla situazione emotiva di esilio, che vive, e all’aspettativa di liberazione dal male.26 Ma in tutto questo, Dio, il vero autentico Dio, è distante, al di là dei mondi e delle generazioni, al di là dell’essere e del pensabile, e nemmeno s’avvede del male.27 Sono state, infatti, potenze demoniache, che non lo conoscono e che ne impediscono la conoscenza, ad originarlo,28 ha scritto H. Jonas. Cosicché l’origine di esso è attribuita ad un dio minore, che, per alcuni, è un demiurgo platonico, per altri, Jahveh, il terribile dio vendicativo dell’Antico Testamento, abbassato al ruolo di capo degli Arconti di questo mondo.29 Si può rintracciare qui l’elemento strutturale della gnosi antica e della gnosi come categoria, che si potrebbe titolare così: la relazione negata, il disconoscimento dell’Emmanuele, del Dio con noi. «Dio non può mettersi dalla mia parte, non può sentire o capire quello che vivo io»,30 quello che io soffro, immedesimarsi nelle mie pene. Nella sua ineffabile potenza, infatti, non conosce la debolezza della misericordia né l’interlocuzione personale. Perciò, non vede e non sente né si commuove come farebbe una mamma per il suo piccolo, secondo quanto si legge in Isaia 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai».
2.1. L’opacità della creazione
Il risvolto della divina separatezza, in cui gli gnostici vedono erroneamente il segno della potenza, è l’opacità della creazione e, più specificamente, l’opacità della materia. Se, infatti, uno stigma del pneuma divino si è conservato intatto nello spirito, la materia è di un’oscurità che la rende impenetrabile ed incomprensibile. Cellula creatoris,31 una celletta per schiavi, Marcione definisce la creazione intera, stando a quanto sostiene Tertulliano. Questa svalutazione si allarga fino a divenire pessimismo ontologico, meontologia. Il mondo non è essere che porta in sé traccia di Dio, ma buio, tenebra, non essere. Nessuna elevazione per via naturale è possibile. Il conato verso l’assoluto è come intrappolato in un involucro oscuro. Siamo qui all’opposto della Bibbia, per la quale la realtà sensibile, pur essendo intreccio di bene e male, non è intrinsecamente corrotta. Perché il mondo rivela in sé perfezioni che sono il segno, il marchio, del suo essere creato. «Gli invisibili e impenetrabili disegni di Dio si rendono manifesti attraverso lo spettacolo delle cose create» – scrive Paolo in Romani 1,20. E Agostino nelle Confessioni, a sua volta, scrive: «Ecco il cielo e la terra sono, gridano che sono stati fatti: infatti mutano e variano». Gli enti naturali gridano di essere stati creati. Ed è la stessa evidenza del loro essere, il fatto che sono, anziché non essere, ad acclamarlo.32
La teologia gnostica è negativa. Dio è non-sostanza,33 al di là dell’essere,34 indescrivibile ed inconoscibile.35 La sua assolutezza «è fondata sulla sua natura di principio primo irrelato e indeducibile».36 Nella Bibbia invece la potenza di Dio non è distanza, ma potenza di misericordia. La creazione è relazione e la relazione creaturale innerva l’essere delle creature. Dio non solo crea, quasi che una volta creatolo lasciasse il mondo a se stesso, ma – come recita la benedizione centrale della preghiera della sera dello shabbat - «con la sua bontà rinnova ogni giorno, costantemente, l’opera dell’inizio».37 È, se vogliamo, un racconto alternativo a quello della Genesi che parla di Dio e della creazione del mondo e dell’uomo. Allo stesso modo, nella narrazione moderna si parla dell’Io ed è smarrita la relazione originaria. E anche la piena conoscenza, che è biblicamente la conoscenza del bene e del male, vi diventa conoscenza di sé pienamente trasparente come in un’immagine speculare, fino al narcisismo del soggetto che si compiace di se stesso.38 Ma separato dal suo Creatore, il mondo rimane nella sua desolante solitarietà. E ciò si fa tanto più palese nei risvolti moderni dello gnosticismo, in quel «lungo processo che possiamo indicare, grosso modo, con la formula consueta “dall’umanesimo all’illuminismo” noto come secolarizzazione».39 Di questa il portato sono le ideologie, che E. Voegelin chiama significativamente «movimenti gnostici di massa del nostro tempo».40
2.2. Il rifiuto della finitudine
Il movente della posizione anti-genesi della gnosi antica lo possiamo rintracciare nello spirito di rivolta contro la concezione ottimista classica (Platone, Aristotele). L’universo non è cosmos, ordine, né tantomeno è custodito dalla provvidenza divina. È questa ribellione all’ottimismo a far nascere l’anticosmismo, il rifiuto del mondo, che è, in senso più profondo, rifiuto della finitudine e della condizione precaria dell’esistenza. «Chi mi ha gettato nell’afflizione dei mondi, chi mi ha trasportato nelle tenebre perverse?41» – domanda la Vita in un testo mandeo. E la Grande Vita risponde: «Questo mondo non è stato creato per la volontà della Vita».42 La rivolta contro la condizione finita li porta, quindi, a rovesciare il modo di percepire un concetto fondamentale del mondo classico: quello di limite. «Questo concetto, infatti – scrive Samek Lodovici -, passa da una valutazione positiva (limite è ciò che mi attua, ciò che mi perfeziona facendo sì che io raggiunga me stesso in una compiutezza conchiusa) ad una valutazione negativa (limite è ciò che mi rinchiude, ciò che mi costringe e che per ciò stesso mi soffoca)».43 È, se vogliamo, la rottura di un argine, che salvaguardava l’ordine del mondo e dell’essere. Ma limite è anche, e soprattutto, il limite creaturale, la condizione creata dell’uomo cui è fatto divieto di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. È storicamente la mancata seconda venuta di Cristo che avrebbe dovuto portare a compimento la redenzione del mondo, in cui gli storici individuano una delle possibili cause dell’insorgere della gnosi in ambito cristiano. Ora, rifiutare la finitudine equivale a rifiutare la condizione umana alle radici. Anch’essa, infatti, è coinvolta nell’opacità che caratterizza la materia. Certo, nell’anima è presente una scintilla del divino, ma l’anima, o meglio lo spirito, non è tutto l’uomo e forse non è neanche una parte. Il corpo è coinvolto nella stessa negatività della materia. Ne sconta la volatilità e la dispersione. «Afflizione e dolore io soffro nel vestito corporale nel quale essi mi hanno trasportato e gettato» - recita un testo mandeo.44 Contestualmente, il dualismo dal livello teologico e cosmologico si riflette in quello antropologico, nella radicale separatezza e incompatibilità di anima e corpo.45
2.3. La Gnosi rifiuta il Patto: è antitestamentaria
Il rifiuto della genesi per creazione importa una totale contrapposizione ai fondamenti della visione biblica. Ne va innanzitutto della relazione Creatore-creatura e, in modo sensibile, della relazione Dio-uomo. Cosicché quel rifiuto porta ad una visione radicalmente diversa, che nei riflessi moderni si manifesta come secolarizzazione, relativismo, nichilismo.46 Nella mishnà i rabbini, che hanno operato un’ampia e approfondita riflessione sulla parola di Dio, hanno sostenuto che Israele si salva grazie all’alleanza, che è il cuore della legge. L’alleanza, il patto, è la radice, la parte più importante dell’ebraismo. Non è un modello cui l’ebreo si deve ispirare per vivere bene e quindi avere la salvezza. Non è semplicemente una legge né un comandamento, ma una parola rivolta ad Israele, in cui Dio non solo dice cosa fare per camminare sulla via della luce, ma dà anche la forza e il potere di farlo. Nella cultura biblica l’alleanza interviene in tutte le relazioni umane. Tanto più interviene nella relazione dell’uomo verso Dio. Impegnata sulla parola che salva, l’Alleanza è, in definitiva, l’arca su cui salta il popolo d’Israele per salvarsi dal diluvio della storia, per evitare l’annientamento.
Anche nei sistemi gnostici l’ansia della salvezza e l’insofferenza verso i mali presenti alimentano la ricerca delle origini. L’insofferenza è tanto più forte in quanto lo gnostico si sente calato in questa condizione, esiliato da una situazione originaria edenica. Cosicché quel punto di partenza muta e diventa il male che sente di subire ingiustamente. Per questo stesso motivo egli è convinto di farcela da solo. La conoscenza per lui è tutto, al di sopra dell’Alleanza e al di sopra della Legge. Se, infatti, la fede biblica è testamentaria, in quanto fondata sul patto, in quanto relazione antica e nuova fra Dio e l’uomo, la gnosi è strutturalmente anti-testamentaria, negante ogni relazione fra il Dio incognito e l’uomo. La creazione ha, quindi, un dinamismo di relazione che sfugge allo gnostico. Sfugge, in particolare, che non c’è «un Dio senza mondo, un Dio in se stesso, o un mondo senza Dio o un’umanità senza mondo o senza Dio».47
3. Seconda tesi: lo gnostico colma la frattura
Nei sistemi gnostici la situazione emotiva di base era di sentirsi stranieri in terra ostile. Il mondo è malato. La storia è pervertita. Tempo e spazio scontano una frattura originaria, simile a quella che intendono oggi con il nome di vuoto le ultime ipotesi scientifiche circa l’origine del mondo.48 Tuttavia, il male resta ontologicamente un intruso, che ha a che fare con l’atto disfunzionale di un dio minore.49 E anche guardando all’ambito antropologico, il male è qualcosa di estraneo. L’essenza vera dell’uomo non è, per gli gnostici, compromessa. Il corpo può esserlo, ma l’anima no, perché del tutto avulsa dalla materia di cui è fatto il mondo. Lo gnostico, pertanto, insieme alla condizione di estraneità dal mondo e dal male, ha anche la presunzione di potersene tirare fuori, ritornando là donde, per qualche motivo a lui estraneo, era caduto. Il male gli si è piuttosto appiccicato addosso, ma non lo tange.50 Sicché come il male è una falsa realtà, così la realtà sensibile, che include la sua stessa dimensione fisica, è falsa. Sciolto ogni legame, anche con la propria corporeità, e dispersa ogni traccia di Dio dal mondo, l’illuminato si abbevera «alla miracolosa conoscenza della perfezione e del bene».51 Né più e né meno farà l’ideologia che coltiverà la propria idea cercando salvezza in essa.
Si tratta di un porsi le cui ragioni ultime non sono teoretiche, ma neppure religiose nel senso cristiano. Esso, infatti, manca dell’attesa e dell’ascolto e di quanto questi implicano in termini di relazione uomo-Dio. Conseguentemente, lo gnostico vanta sì uno slancio mistico, ma la sua è «una religiosità nella quale sia stato eliminato il peccato di superbia, una religiosità nella quale la superbia sia viceversa in qualche misura esaltata o appagata, come recupero di una dignità non riconosciuta».52 È religione della superbia autosufficiente. Nessuna umiltà né, tantomeno, mortificazione o rinnegamento di sé. Lo gnostico non porta la croce e non segue Cristo sulla via del Calvario. Egli ha la sicurezza dell’autosalvazione. Allo stesso modo, non si riconosce peccatore (non a caso le ideologie dall’illuminismo in poi misconosceranno il peccato originario). Questo carattere la distingue dalla fede, che invece si arresta di fronte al mistero anteponendo l’ascolto (lo Schemà Israel).53 Esso è comune alla gnosi antica e alla gnosi degenerata moderna, cosicché lo si può riscontrare tanto nell’ideologia politica, ad esempio, nel mito del mondo liberato, quanto nell’evoluzionismo, che incarna una posizione paradigmatica dell’ideologia scientista. L’idea di evoluzione non è appresa, infatti, come rassegnato avvinghiamento alla terra, ma come possibilità di riprogettazione, come lasciapassare per il potere sulla natura. In ogni caso, come ha scritto E. Voegelin, «l’ordine dell’essere dovrà essere cambiato nel corso di un processo storico. Da un mondo cattivo deve emergere, per evoluzione storica, un mondo buono».54 Pertanto, c’è un punto in cui l’antica e la “nuova” gnosi convergono: la ricerca spasmodica di sottrarsi ai mali dell’esistenza. Ciò implica la convinzione che la salvezza sia opera unicamente dell’uomo, anzi di un uomo speciale, l’illuminato che ha il compito di guidare le masse (su questo antica e nuova convergono ancora).55
3.1. Lo gnostico homoousios
Perché lo gnostico può tanto? Perché – scrive Samek Lodovici - «è fin dall’inizio dei tempi, dal momento della sua caduta nelle tenebre esteriori del mondo, homoousios, della stessa sostanza del mondo divino, e come tale capace in forza della sua originaria divinità di redimersi».56 Salvezza vuol dire, quindi, ritorno in sé, il fatto cioè che “l’uomo di luce”57 ritorna ad essere quello che era prima della caduta e quello che è rimasto nel suo intimo, nella sua essenza pneumatica.58 Scrive ancora Samek Lodovici: «Ritorna l’antico e mai sopito rifiuto gnostico della condizione finita, una condizione di tensione perché l’io singolare, effetto della caduta all’origine, non può per forza di cose essere il tutto e aborrisce da questa sua condizione di frammento. Solo negandosi come io potrà ritornare nell’unità perfetta del pleroma, cessare di essere parte per ritornare ad essere totalità».59 Ma se si riflette che homoousios è, secondo il simbolo niceno-costantinopolitano,60 il Figlio, cioè Gesù Cristo, si capisce come d’un colpo siano rese vane l’incarnazione e la redenzione. La tesi gnostica dell’autoredenzione umana nega, infatti, la fede nel suo senso più profondo perché, come afferma Paolo: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede».61
Ne viene che la gnosi è, se rapportata all’Antico Testamento, anti-genesi, se rapportata al Nuovo, anti-incarnazione. Negare l’incarnazione è negare, ancora una volta, la relazione. Ma nel caso dell’incarnazione è negare, più specificatamente, la relazione Dio-uomo. È non solo, e tanto, allontanare Dio ad una distanza atemporale, discostarlo dal corso degli eventi e dall’essere delle cose, quanto farlo estraneo alle speranze e alle sofferenze umane… un dio distante e albagico, di cui è immagine speculare lo gnostico nel suo isolamento saccente. Credere nel Dio incarnato è invece credere nel suo irrompere nella storia, nel suo essere il Dio con noi, visibile, toccabile, palpabile.62 Per questo il cristianesimo è una religione storica e per questo il nucleo della fede è storico. Cosicché il cristianesimo non è un messaggio, ma innanzitutto l’annuncio di un evento e di una persona storica. Gli gnostici, antichi e moderni, reinterpretano invece Gesù secondo schemi culturali propri.63 Prevale un docetismo di fondo, per cui Gesù diviene personalmente inconsistente.64 E quelli che il Nuovo Testamento presenta come fatti nella gnosi, antica e “nuova”, sfumano in simboli, miti, valori, allegorie etc.
Preannunciando sviluppi della critica demitizzante del XIX° e XX° secolo, la gnosi nega o trasfigura la storicità di Gesù. Egli è, al più, l’ultima emanazione di quel processo originatosi per caduta dalla condizione edenica originaria. Fra Dio e gli uomini ci sono, infatti, degli intermediari: eoni, angeli, ecc., creature spirituali, che fanno emergere quella scintilla spirituale che è dentro l’uomo, affinché uscendo dalla materia possa ricongiungersi con la fonte da cui è discesa. Gesù è una di queste. Ma resta fermo che la divinità non si mischia con la carne, «fino ai livelli infimi della realtà, manifestando così paradossalmente la sua potenza».65 Negando l’incarnazione, gli gnostici di ogni tempo negano anche la mediazione di Cristo, la sua missione, il suo sacrificio in croce, la Resurrezione, la grazia, l’intervento trasformante e rinnovante di Dio nella storia. Negano altresì l’amore che redime con il sacrificio di sé, l’amore che si dilata nel mondo, che travolge schemi e rovescia potentati, che innalza gli out-sider della storia, gli umili, i reietti, gli emarginati, riscattando il mondo della chiusura egoistica e solitaria.
3.2. Autoredenzione e redenzione
La gnosi, come afferma l’estraneità di Dio al mondo, così afferma il protagonismo dell’illuminato capace di autoredenzione, in grado da solo di colmare la frattura originaria. Nella gnosi è implicita, quindi, una sfida prometeica: «L’uomo vuole costruirsi un territorio proprio senza delimitazioni, un luogo non finito, non segnato da argini e confini, ma infinito, abissale; è l’uomo che si fa simia Dei, che tenta la via di Dio, pensa di poter essere infinito e senza limiti, di essere come Dio».66 Si capisce di riflesso che l’antropologia rappresenta il punto sensibile, se non il nervo scoperto, dell’ideologia moderna, imbevuta visceralmente di mentalità gnostica. Tutte le ideologie si prefiggono, infatti e non a caso, una rifondazione antropologica, cosicché, in un’ottica di delirio prometeico, mettendo l’uomo al posto di Dio nella creazione come nella redenzione del mondo.67 Ora, questo cambiamento di prospettiva, è quanto di più tipicamente gnostico ci sia sul piano teologico. La convinzione sottesa è che la salvezza si attui in una dinamica che dal basso va verso l’alto, perché lui, lo gnostico, proviene dall’alto e, quindi, tutta la gnosi serve a ritornare dall’abisso di carne in cui lo spirito è caduto all’altezza originaria.
Nel nuovo Testamento, c’è invece un’unica dinamica che dall’eternità di Dio va all’immanenza. Non, quindi, dal basso verso l’alto, ma dall’alto verso il basso. Si tratta, in altri termini, sì di rinascere, ma dall’alto, così come Gesù dice a Nicodemo in Gv. 3,7: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto». La redenzione, quindi, si attua unicamente per grazia. Il Signore è Colui che viene dalla dimensione di Dio, l’erkomenos (il Veniente). Così, nel prologo di Giovanni (Gv. 1,1.14) , il Logos, che era «in principio presso Dio e che era Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (alla lettera “mise le tende”). E nell’altro prologo giovanneo, quello della Prima Lettera, è scritto: «ciò che era fin da principio (ap’arke), noi lo abbiamo udito, lo abbiamo visto con i nostri occhi, lo abbiamo contemplato e toccato con le nostre mani» (1Gv 1,1). La dimensione di ciò che è da principio, nelle insondabili altezze di Dio, si relaziona al nostro udire, vedere, toccare: si fa sperimentare. Pertanto, il mondo e la storia hanno per il cristianesimo un valore eminente. L’incarnazione non è un’apparizione, una visione mitica, ma un evento verificabile nella storia (al tempo del re Erode, sotto l’imperatore Augusto etc.). La separazione è tolta. Il velo del Tempio si squarcia. Dio si fa presente, visibile, palpabile. Per tale motivo, l’impianto teologico del Nuovo Testamento non è l’impianto del messaggio salvifico con al centro la gnosi, ossia la conoscenza, che pure è componente importante della fede.68 Non lo è perché è la persona di Gesù che salva, e non il suo messaggio. Per il Cristianesimo, conseguentemente, la vera gnosi (conoscenza di Dio) passa per il Figlio, perché Lui e solo Lui è nel seno del Padre. «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» - scrive Giovanni (Gv 17,3) intendendo conoscenza come esperienza e incontro personale con Gesù.69 Ed è quanto il simbolo niceno-costantinopolitano determinerà tre secoli più tardi con il termine homoosios (della stessa sostanza).
4. Terza tesi: la tecnica di redenzione gnostica
La terza grande tesi gnostica rassicura che si dà una tecnica di redenzione (per ritornare nel pleróma) e fornisce gli strumenti di cui valersi. La gnosi è, come detto, insieme conoscenza e tecnica di salvezza. Come conoscenza, è ricerca del significato simbolico dei fenomeni, del loro esser cifra di altro. Cosicché lo gnostico «vive miticamente il mondo».70 Contestualmente, il male non è inteso come concetto, ma come esperienza “abissale” che diventa comprensibile solo alla luce del mito, e questo veicola una spiegazione in cui gli elementi esistenziali sono trasposti su un registro narrativo senza tempo, onirico per certi versi. Come tecnica di salvezza, è ricerca interiore che si traduce in un estraniarsi dal mondo e da se stessi, in quanto coinvolti nel mondo. Considerando, quindi, l’esistenza una sorta di «passione inutile»,71 l’illuminato guarda con distacco alle cose e alle situazioni. Per lui, la salvezza è un risalire donde è caduto, secondo un processo visualizzabile come un circolo che si richiude.72 Per riuscirvi metterà in campo riti sacramentali e tecniche sapienziali attingendo sia alla tradizione misterica orientale sia alla tradizione filosofica ellenistica.
«Cosa devo fare, o Signore, per vivere?»73 - si legge in un passo di un salmo manicheo per certi versi simile, se non parallelo, a Matteo 19,16. La risposta è la gnosi: distaccarsi dal corpo e dalla mente per ricongiungersi al divino che è oltre l’uomo mondano, oltre le passioni, intraprendere un cammino di ascesa verso l’Assoluto. «Colui che si salva è quegli che […] è diventato semplice, uno; e allora viene salvato, nel momento in cui è in grado da sé di attraversarle tutte [le dimensioni divine]. E poi, se vuole, le abbandona tutte e si ritira solitario in se stesso, giacché può diventar divino» - si legge in un testo gnostico.74 La differenza con Matteo è significativa. Al giovane ricco, che chiede: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?», Gesù risponde di dare quello che possiede.75 Ora, quello che si possiede non è solo quanto di materiale si possiede, ma sottilmente quanto si confida di avere per salvarsi, ossia l’intelligenza, il sapere, il volere, il merito (non a caso, il giovane ricco dice già di osservare i comandamenti).76 Alla presunzione del proprio Matteo oppone, quindi, la disponibilità totale fino al rinnegamento di sé.
La salvezza inizia, secondo gli gnostici, nel momento in cui, esulando dal corpo e dalle passioni della carne, l’illuminato si ritrae in se stesso per coltivare la gnosi. La gnosi è la religione del sé.77 Dio non è l’Altro, ma è quello che si può ritrovare in se stesso. L’ascetismo gnostico è, quindi, soggettivismo e individualismo. Tutto ruota intorno al soggetto e lo gnostico è un individualista che, al più, sopporta la gente e ne tollera la malvagità,78 ma non comunica o, se lo fa, lo fa selettivamente, limitatamente alla cerchia degli eletti. Né tantomeno opera e si adopera per gli altri. La conoscenza è al di sopra della carità e ne prescinde. Per quanto, infatti, rifugga dalle ricchezze e dalle vanità, quella dell’illuminato gnostico non è povertà evangelica, perché egli ha tutta la superbia di chi presume di possedere la verità. La divinizzazione del sé, l’autocentramento, sono, alla fine, il nocciolo del messaggio gnostico.
5. Conclusione
Il cardine intorno a cui ruota la soteriologia gnostica è che il male non è stato una scelta umana, ma un evento catastrofico che ha distorto l’ordine originario.79 Attingendo alla passionalità umana, ma trasponendola sul piano cosmogonico, i miti raccontano, quindi, dell’invidia degli Arconti, della superbia di un dio minore, della protervia degli angeli ribelli etc.. In tal modo, l’antica gnosi, come la moderna dialettica di Adorno, - scrive Samek Lodovici - «pensa di spiegarci il confuso e ha di fronte l’inesplicabile: al posto del peccato originale, inspiegabile per la ragione, ma che la spiega, pensa di risolvere il confuso eliminando la colpa».80 Il fatto che la colpa e il peccato abbiano un significato mitico e mai personale fa sì, infatti, che la salvezza coincida con la dissoluzione dell’elemento personale, con il suo proscioglimento nel divino. Cosicché prescindendo dall’individualità concreta, la salvezza esula da tutto quanto ha un riflesso nella storia, e nella storia personale in particolare. Gli gnostici hanno, conseguentemente, la pretesa di credere e la tracotanza di sostenere che la loro scienza li salverà.81 Chi si converte alla gnosi non deve più attendere, implorare, rimettersi, perché ritrova il divino in sé. Parallelamente, sul piano dei rapporti con gli altri, l’illuminato ha sdegnosamente giudicato di potersi tenere in disparte, all’insegna di un ascetico egoismo.
Ma Agostino riflettendo sull’interrogativo «Unde est malum?82», cui i Manichei rispondevano riconducendo il male ad un principio tenebroso avverso a Dio, scopre più che un indizio di colpa. «Io, mentre stavo deliberando se servire il Signore Dio mio, così come avevo disposto, ero io che volevo, io, che non volevo; io, io ero»83 - scrive nel De libero arbitrio. Dunque, il male è dentro l’uomo, nella sua stessa volontà contrastata. Non solo si dà, infatti, una volontà attiva nel volere il male, da esso attratta, ma anche una volontà incapace di volere il bene, incompleta e conflittuale e non veramente libera. Il peccato è, quindi, rivelativo di un limite che è antropologico, morale e ontologico. La sua è l’esperienza,84 che Paolo denuncia quando scrive: «Non capisco infatti quello che faccio: non eseguo ciò che voglio, ma faccio quello che odio» (Rm. 7, 15). Leggendolo, Agostino scopre che il volere non è potere, perché si può volere ciò che non si può o fare ciò che non si vuole e, meno che mai, lo è il sapere. Scrive nell’VIII libro delle Confessioni: «Lo spirito comanda allo spirito di volere, non è un altro spirito, eppure non esegue. Qual è l’origine di questa assurdità? E quale la causa?». E ancora: «Non è dunque un’assurdità quella di volere in parte, e in parte non volere; è piuttosto una malattia dello spirito, sollevato dalla verità ma non raddrizzato del tutto perché accasciato dal peso dell’abitudine».85 Lo spirito dell’uomo è bacato. L’intervallo fra il volere e il potere è incolmabile.86 In questa discrasia Agostino ritrova non solo la causa del disordine interiore, ma anche una traccia del male ontologico.87 Perché il difetto non sta solo nella colpa, ma anche nel suo misconoscimento. Riconoscere la propria peccabilità apre invece al pentimento, nel quale si fa strada la Grazia che redime l’uomo e il mondo.
Giovanni, alle prese nella sua chiesa con una scissione, che potremmo definire protognostica, sostiene nella sua Prima Lettera che chi dice di essere senza peccato si trova totalmente fuori dalla realtà del Vangelo.88 E usa termini molto forti: mentitore e ingannatore, togliendo a Dio ogni possibilità di intervenire nella propria vita con la sua azione salvifica. Ma Giovanni sottolinea l’importanza del peccato per arrivare alla grandezza della misericordia di Dio, perché se il peccato è realtà ineluttabile, alla fonte di tutto il male (non solo nell’uomo ma nel creato), la misericordia di Dio è qualcosa di infinito, che sopravanza la grandezza, la densità e la profondità del peccato. Egli è severo verso chi dice di non peccare perché quell’affermazione svuota completamente il cristianesimo, facendone un guscio in cui c’è solo l’esteriorità e dentro nulla. Il cristianesimo, infatti, non è una religione, ma solo ed esclusivamente questo annuncio: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo figlio perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».89 Il segno verificabile della redenzione è, quindi, “l’agape”, l’amore fraterno che feconda la storia. La Grazia discende dall’alto a curare le ferite dell’anima, come fa il buon samaritano con l’uomo assalito dai predoni sulla via di Gerico. Il movimento è, quindi, discendente. Per gli gnostici, invece, è ascendente a partire dal proprio sapere. La discesa contrassegna semmai, per loro, il principio del male, il momento dell’incidente originario, che è caduta dalla sfera divina verso quella materiale. Quest’antitesi marca la differenza fra il sapere della gnosi, l’antica e la moderna, e la fede.
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A. Acerbi, Per un nuovo illuminismo. Il concetto di cultura in Emanuele Samek Lodovici, in G. De Anna (a cura di), L’origine e la meta. Studi in memoria di Emanuele Samek Lodovici con un suo inedito, Edizioni Ares, Milano 2015, pag. 34. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Dio e mondo. Relazione, causa e spazio in S. Agostino, Edizione Studium, Roma 1979. ↩︎
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L. Scaraffia, Gnosticismo e femminismo, in G. De Anna (a cura di), L’origine e la meta etc., cit., pag. 169. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea; ebbe due edizioni (1979 e 1991) sempre per i tipi delle Edizioni Ares di Milano. Noi citeremo la seconda edizione. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi etc., cit., pag. 15. ↩︎
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S. Fumagalli, Gnosi moderna e secolarizzazione nell’analisi di Emanuele Samek Lodovici e Augusto Del Noce, Tesi di dottorato diretta dal Rev. Prof. Francesco Russo, presso Pontificia Università della Santa Croce, Facoltà di Filosofia, Roma 2005, pag. 208. ↩︎
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S. Fumagalli, Gnosi moderna e secolarizzazione etc., cit., pag. 207. ↩︎
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G. De Anna, La critica al radicalismo. Sull’attualità della riflessione filosofico-politica di Emanuele Samek Lodovici, in L’origine e la meta etc., cit., pag. 205. ↩︎
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«Entrambi rivolgono la loro attenzione alle radici gnostiche della società secolarizzata; mettono in Luce la componente ateo-razionalistica dell’illuminismo e tengono presenti le critiche anti-illuministiche della Scuola di Francoforte, in particolare di T.W. Adorno; concedono importanza alle ricadute morali delle posizioni speculative, giacche le une e le altre si illuminano reciprocamente». Cfr. F. Russo, Alle radici della società neognostica etc., in L’origine e la meta etc., cit., pag. 187. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi etc., cit., pag. 7. Il riferimento è a G. Quispel, Gnosis als Weltreligion: die Bedeutung der Gnosis in der Antike, Origo Verlag 1951. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi etc., cit., pag. 6. ↩︎
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Ivi, pag. 6-7. ↩︎
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M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino 1966. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi etc., cit., pag. 7. ↩︎
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Del Noce usa l’espressione similare gnosi degenerata. Vedi A. del Noce, Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità, saggio introduttivo a E. Voegelin, La nuova scienza politica, Borla, Torino 1968, pag. 19. ↩︎
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«Dal punto di vista dell’ideologia». (Prendo per ora il termine nel suo senso più lato per indicare una forma mentis operativa che fa del risultato il criterio della verità e ha fiducia in una apocalisse del tutto mondana). E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi etc., cit., pag. 109. ↩︎
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Ivi, pag. 13-14. ↩︎
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Ivi, pag. 8-9. ↩︎
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Ivi, pag. 9-10. ↩︎
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Ivi, pag. 14. ↩︎
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J. Ratzinger, Il rapporto fra Magistero della Chiesa ed esegesi a 100 anni dalla costituzione della Pontificia Commissione Biblica, A., Atti della Giornata celebrativa per il 100° anniversario di fondazione della Pontificia Commissione Biblica, Libreria Editrice Vaticana 2003, pagg. 50-61. ↩︎
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Giovanni Paolo II, Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, pag. 23. ↩︎
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Scrive a tal proposito E. Voegelin: «Non altrettanto comprensibile è il secondo aspetto dell’atteggiamento gnostico: cioè la convinzione che le difficoltà della sua situazione possano essere attribuite al fatto che il mondo ha una struttura intrinsecamente deficiente. Infatti è egualmente possibile ritenere che l’ordine dell’essere, quale è dato a noi uomini (qualunque possa esserne l’origine), è buono e che l’inadeguatezza è in noi, esseri umani. Ma gli gnostici non sono disposti a scoprire tale inadeguatezza negli esseri umani in generale e in se stessi in particolare. Se, in una data situazione, qualcosa non è come dovrebbe essere, la causa, secondo gli gnostici, si deve trovare sempre nella perversità del mondo». Il mito del mondo nuovo etc., cit., pagg. 8-9. ↩︎
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Il problema fondamentale che la teologia gnostica deve affrontare è di conciliare l’estraneità di Dio al mondo con il fatto che egli ne è creatore. Viene risolto imputando a potenze inferiori la creazione e ponendo Dio ad infinita distanza. «Così Dio non è in nessun caso autore del male, e neanche lo permette, ma lontano com’è non sempre si accorge se qualcuno lo provoca suo malgrado». A. Magris, La logica del pensiero gnostico, cit., pag. 81. ↩︎
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Clemente Alessandrino, Excerpta ex Theodoto, 78, 2a ed. Sagnard, Paris 1948, pag. 202. ↩︎
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«I grandi mitopoemi speculativi dello gnosticismo vertono intorno alle questioni dell’origine, della condizione di esilio, della fuga dal mondo e dei mezzi di liberazione». E. Voegelin, Il Mito del mondo nuovo, pag. 42-45. ↩︎
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«L’Uno è inconcepibile poiché nessuno lo può comprendere. L’Uno è indescrivibile, poiché nessuno può mettere tutte le parole su di esso. L’Uno è luce infinita, Purezza, Santità, Immacolato. L’Uno è incomprensibile. Perfettamente libero dalla corruzione. Non è “perfetto”, non è “santo”, non è “divino”, ma superiore a tali concetti. Né materiale né immateriale, né immenso, né infinitesimale. È impossibile specificare per quantità o qualità poiché va oltre la conoscenza. L’Uno non è un essere tra gli altri esseri. È di gran lunga superiore, ma non è “superiore”. È al di fuori dai regni dell’Essere e tempo». L’Apocrifo di Giovanni, testo originale da Stevan Davies, consultabile sul web al link https://yoursecretpath.files.wordpress.com/2015/04/il-vangelo-apocrifo-di-giovanni.pdf. L’Apocrifo di Giovanni è un vangelo della fine del II secolo. Attribuito a Giovanni apostolo, citato da Ireneo di Lione, è stato ritrovato di quattro distinte versioni in lingua copta tra i Codici di Nag Hammâdi nel 1945. ↩︎
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«Una volta separato Dio da un abisso a tinte spaziali il raccordo tra questi e il mondo avviene attraverso un concetto di emanazione quantitativa. La distanza è tale che non tutto il divino si riversa “fuori”, ma solo una sua parte; a mano a mano che ci si avvicina a ciò che diventerà mondo, diminuisce la quantità di divino che si disperde nella discesa». E. Samek Lodovici, Dio e mondo etc., cit., pag. 121. «La divinità è assolutamente transmondana. […] Al regno divino della luce, in sé perfetto e remoto, si contrappone il cosmo come regno delle tenebre, […] un sistema chiuso e limitato, terrificante nella sua ampiezza e inclusività per coloro che sono persi in esso, […] un’entità demoniaca carica di tendenze personali e di forze coercitive». H. Jonas, Lo gnosticismo, cit., pagg. 62-71. ↩︎
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Vedi La testimonianza della verità, Codici di Nag Hammadi, VIII, ff. 47-48, tr. ingl, Harper, San Francisco 1988. I Codici di Nag Hammâdi sono prevalentemente testi gnostici cristiani, rinvenuti nei pressi di Nag Hammâdi (Alto Egitto), nel 1945. Solo nel 1977 è stampata la prima traduzione in lingua inglese poi rivista nel 1988. Dal 1996 é disponibile la nuova edizione rivista e completa in inglese a cura di Marvin Meyer. ↩︎
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A. Magris, La logica del pensiero gnostico, cit., pag. 91. ↩︎
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Q. S. Tertulliano, Adversus Marcionem, Edited by Ernest Evans, 1972. Transcribed by Roger Pearse, 2002, I, 14. https://www.thelatinlibrary.com/tertullian/tertullian.marcionem1.shtml, ed. It. Q. S. Tertulliano, Opere dottrinali. Contra Marcione. Libri IV-V, curatore C. Moreschini, Città Nuova, Roma 2016). ↩︎
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A. Agostino, Confessiones, ed. it. a cura dei Padri Maurini, Città Nuova, Roma 1975, 11,4,6. «Chi spinge Sant’Agostino a uscire da questo mondo è questo mondo stesso che si rivela insufficiente a spiegare se stesso». A. Masnovo, Sant’Agostino e San Tommaso, Milano, 1942, pag. 190. ↩︎
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Le tre stele di Seth, Codici di Nag Hammadi VII, f. 121, vedi L. Moraldi (a cura di), Testi gnostici, UTET, Novara 2013, pag. 260. ↩︎
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Zostriano, Codici di Nag Hammadi, VIII, f.10, cit.. ↩︎
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«Colui-che-è è indescrivibile. Dalla creazione del mondo, nessuna potestà l’ha conosciuto, nessun subordinato, nessuna creatura di alcun genere, ma solo lui stesso. […] Egli è infinito, incomprensibile, incorruttibile, senza uguali. […] Egli è beato; è al di là della conoscenza: egli conosce se stesso». Lettera di Eugnosto, codici di Nag Hammadi III, ff. 71-73, tr. it. L. Moraldi, Testi gnostici, cit., pag. 439. ↩︎
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A. Magris, La logica del pensiero gnostico, cit., pag. 102. ↩︎
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F. Rosenzweig, La stella della redenzione, ed. it. a cura di G. Bonola, Vita e Pensiero, Milano 2005, pag. 113. «La creatura infatti é soltanto un polo nell’idea di creazione. Il mondo deve avere creaturalità, come Dio deve avere potenza creativa, così che possa darsi creazione come processo reale fra i due. Nel nuovo concetto di esser-ci così concepito confluiscono tanto l’esserci del mondo che la potenza di Dio: entrambi sono “già-qui”; il mondo, sulla base della sua creaturalità, sulla base del suo sempre-nuovo poter-esser-creato è già fatto; Dio, sulla base della sua eterna potenza creatrice, lo ha già creato e solo per questo esso è “qui” e si rinnova ogni mattina». Ivi, pag. 135. Vedi anche R. Arnaldez, R. Cagni, L. G. Cazelles, Il credente nelle religioni ebraica, musulmana e cristiana, Jaca Book, Milano 1993, pag. 111. ↩︎
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«Si tratta della struttura della relazione del soggetto conoscente con se stesso, che si ripiega su di sé come oggetto, per cogliersi come in un’immagine speculare». J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità. Dodici lezioni, Laterza, Roma-Bari 1987, pag. 19. ↩︎
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A. del Noce, Eric Voegelin e la critica dell’idea di modernità, cit., pag. 15. ↩︎
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E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo, cit., pag. 5. ↩︎
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M. Lidzbarski, Ginza: Des Schatz oder das Grosse Buch der Mandäer, Göttingen 1925, pag 457. ↩︎
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Ivi, pag. 247. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della Gnosi etc., cit., pag. 106. ↩︎
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M. Lidzbarski, Ginza etc., cit., pag. 461. ↩︎
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«L’anima è gettata davanti alle fauci di leopardi ed elefanti, divorata dai divoratori, inghiottita dagli inghiottitori». Teodoro bar Koni, XI, 59, tr. fr. pag. 237, in Gnoli G., Il manicheismo, vol. II, Lorenzo Valla, Milano 2006, pag. 228. ↩︎
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A. Acerbi, Per un nuovo illuminismo. Il concetto di cultura in Emanuele Samek Lodovici, in L’origine e la meta etc., cit., pag. 36. ↩︎
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G. Facchinetti, In principio: I racconti della Genesi, pag. 3, consultabile sul Web all’indirizzo: https://www.bing.com/search?q=In+principio%3A+I+racconti+della+Genesi+Giacomo+Facchinetti&form=EDNTHT&mkt=it-it&httpsmsn=1&msnews=1&plvar=0&refig=ea29dcfa453640c0c0b5ea8e22402598&PC=ACTS. ↩︎
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Vedi G. Tonelli, Genesi. Il grande racconto delle origini, Feltrinelli, Milano 2019. ↩︎
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È il contrario di quanto scrive Giovanni circa il Logos nel Prologo del suo vangelo: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta». Gv 1,5. ↩︎
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In ogni caso, il sé profondo dell’uomo resta affatto incontaminato. «O Adamo nascosto, chi dalla Casa della Vita ti ha condotto via?». […] Adamo parlò: “Ahimè, ahimè, son stati i miei fratelli a ingannarmi! Essi mi hanno allontanato dalla loro compagnia e mi hanno condotto, gettato, scaraventato nel fetido corpo, dentro al leone distruttore”». Ginza Sin, II, 8, tr. ted. AA. VV., Die Gnosis, vol. II, Zurigo-Stoccarda 1971, pag. 267 e I, 2, tr. ted., cit., pag. 293. ↩︎
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Ippolito, Refutatio omnium haeresium, ed. M. Marcovich, De Gruyter, Berlino 1986, tr. it. Morcelliana, Brescia 2011, V, 23. ↩︎
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S. Fumagalli, Gnosi moderna e secolarizzazione etc., cit., pag. 256. ↩︎
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Il termine “Shemà” è usato per estensione in riferimento alle preghiere quotidiane inizianti con le parole Shema Israel e comprendenti Deuteronomio 6,4–9, Deuteronomio 11,13-21 e Numeri 15,37–41. ↩︎
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E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo, cit., pag. 14. «Ora, infatti, indipendentemente dalla sua origine, egli può affrontare decisamente il suo futuro, trasformando se stesso in ciò che vuole; non gli deve più apparire impossibile nemmeno farsi dio, che ora si presenta come faciendum, come fattibile, come punto terminale, e non sta invece più all’inizio di tutto come Lògos, come senso». Vedi anche J. Ratzinger, Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, pag. 59. ↩︎
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«Nell’un caso come nell’altro si tratta di una ricerca di regole per l’evasione dal mondo effettuale; ma, mentre nel caso della gnosi antica si tratta della distruzione in se stessi dello spirito di potenza, e della liberazione dell’anima dal mondo, nella gnosi postcristiana avviene precisamente l’opposto». A. Del Noce, Eric Voegelin etc., cit., pag. 19. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi, cit., pag. 8-9. ↩︎
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«Gesù ha detto: “C’è luce all’interno dell’uomo di luce, ed essa illumina tutto il mondo”. Vangelo di Tommaso, 24 in Codici di Nag Hammadi II, fr. 38, tr. ingl. Harper, San Francisco 1988. ↩︎
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Nei testi ermetici si parla segnatamente dell’uomo essenziale. Vedi Poimandrès, in Corpus Hermeticum, ed. e tr. fr. A. J. Festugière; A.D. Nock, La révélation d’Hermès Trismégiste, Les Belles Lettres, Parigi 1949, tr. it. Bompiani, Milano 2005, I, 15 e 32; Corpus Hermeticum, IX, 5 e XIII, 14. ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi, cit., pag. 155. ↩︎
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La cristologia gnostica tende a interpretare in senso devolutivo il processo della generazione del Figlio dal Padre, per cui il Figlio non è inteso della stessa sostanza del Padre. ↩︎
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1Cor 15,14. ↩︎
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«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita». 1Gv. 1,1. ↩︎
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R. M. Grant attribuisce alla Chiesa il merito di essersi opposta a «un gruppo di teologie che negava l’unità di Dio, il suo potere creatore, il suo amore, la sua opera redentrice e la bontà potenziale del mondo e della vita […] Contro gli attacchi gnostici la Chiesa ha conservato l’Antico Testamento e ha continuato ad affermare che la storia di Gesù non può essere intesa in termini puramente simbolici». Gnosticismo e cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1976, pag. 212. ↩︎
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Secondo il docetismo (da dokein = sembrare) la passione del Salvatore non avrebbe comportato una reale sofferenza, ma solo un’apparenza di sofferenza e così anche la morte sarebbe stata apparente. ↩︎
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A. Campodonico, Rifiuto del finito, dell’articolazione dei saperi e della diversità, in G. De Anna (a cura di), L’origine e la meta etc., cit., pag. 146. Questa posizione è, secondo l’autore, antitetica «alla tradizione cristiana presente per esempio in Tommaso» (ibidem). ↩︎
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A. Ghisalberti, L’abisso della creatura e l’abisso divino nelle Confessioni di sant’Agostino, in G. De Anna (a cura di), L’origine e la meta etc., cit., pag. 62. Relativamente all’influenza agostiniana sul pensiero di Samek Lodovici, si ricordi che egli si era laureato all’Università Cattolica di Milano in Lettere classiche nel 1966 con una tesi dal titolo Filosofia classica e spiritualità cristiana nel Commento di S. Agostino al Vangelo di S. Giovanni. ↩︎
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«Perverse te imitantur omnes, qui longe se a te faciunt et extollunt se adversum te». A. Agostino, Confessiones, cit., II, 6,14. ↩︎
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Si vedano: Gv, https://it.cathopedia.org/wiki/Vangelo_secondo_Giovanni, 1,18; 6,69; 14,9. ↩︎
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È sempre Giovanni a sottolineare, tanto nel Vangelo, quanto nella sua Prima lettera, che Gesù è la vita (zoé), nonché la via e la verità. Ora, tutte queste parole possono essere intese in termini personali o in termini impersonali. Leggendole in senso personale, siamo nel cristianesimo, leggendole in termini impersonali, siamo nella linea della gnosi in tutte le sue espressioni antiche e moderne. ↩︎
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A. Magris, La logica del pensiero gnostico, cit., pag. 436. ↩︎
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J. P. Sartre, L’essere e il nulla, tr. it. di G. Del Bo, Il Saggiatore, Milano 1965, pag. 738. ↩︎
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«Gesù ha detto: “Dove è il principio, lì ci sarà anche il termine. Beato colui che si è posto nell’inizio: egli conoscerà il termine e non farà esperienza della morte. Beato colui che era prima di essere”!». Vangelo di Tommaso, 18-19, in Codici di Nag Hammadi II, fr. 36, cit.. ↩︎
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A Manichaean Psalm-Book, II, ed. e tr. ingl. C.R. Allberry, Kohlhammer, Stoccarda 1938, pag. 182. ↩︎
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Zostriano, Codici di Nag Hammadi, VIII, f. 44, cit.. «Io sono un figlio venuto dal Padre, il Padre che esisteva prima, il figlio che esisteva nel Preesistente. Sono venuto per conoscere tutte le cose […] ed ora me ne ritorno al luogo da cui provenni». Ireneo, Contre les Hérésies; ed. e tr. fr. A. Rousseau – L. Doutrelau, ed. du Cerf, Parigi 1979, I, 24,1; in tr. it. Jaca Book, Milano 1979, I, 21,5). ↩︎
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«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Mt. 19,16.21. ↩︎
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«Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?» Mt. 19,20. ↩︎
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Vedi K. Colpe, Heidnische, jüdische und christliche Überlieferung in den Nag Hamadi Schriften, II, «Jahrbuch für Antike und Christentum» 16 (1973) pagg. 112-115. ↩︎
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Testimonio di Verità, Codici di Nag Hammadi, cit., IX, ff.44. ↩︎
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Può essere assimilato ad un’improvvisa deviazione del corso divino (qualcosa di simile al clinamen presupposto dagli atomisti). ↩︎
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E. Samek Lodovici, Metamorfosi della gnosi, cit., pag. 181. ↩︎
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«Ripetevano: verità, verità, e ne facevano un gran parlare con me, eppure mai la possedevano, e dicevano il falso non su Te soltanto, che sei davvero la verità, ma altresì su questi princìpi di questo mondo». Agostino, Confessiones, ed. it. a cura dei Padri Maurini, Città Nuova, Roma 1975, 3, 6.10. ↩︎
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A. Agostino, Confessiones, cit., 7,5,7. ↩︎
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A. Agostino, De Libero arbitrio, in Dialoghi vol. II, ed. a cura dei Padri Maurini, Città Nuova, Roma 1976, 8, 10, 22. ↩︎
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«A cosa conduceva l’esperienza di Agostino? A questo: che per lunghi anni egli aveva visto la legge senza poterla compiere. E non solo aveva visto la legge , ma l’aveva vista compiuta sotto i suoi occhi da altri, mentre, desiderando con tutta l’anima di imitarli, doveva confessarsene incapace. Soltanto San Paolo, con la sua luminosa dottrina del peccato e della Grazia, aveva saputo dissipare questa contraddizione interna in cui si era dibattuto invano per lunghi anni». E. Gilson, Introduzione allo studio di Sant’Agostino, Marietti, Torino 1983, pag. 183. ↩︎
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A. Agostino, Confessiones, cit., 10,9,21 e 10,10,22. ↩︎
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A. Agostino, Spirito e libertà (De spiritu et littera), Città Nuova, Roma 1999, 31,53. ↩︎
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«Da chi mi viene il consenso che dò al male e il rifiuto che oppongo al bene? Chi ha piantato e innestato in me questo virgulto d’infelicità, se sono integralmente opera del mio dolcissimo Dio?» A. Agostino, Confessiones, cit., 7,3,5. ↩︎
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In 1gv 1,10 dice addirittura che chi pensa di essere senza peccato fa Dio bugiardo, fa un’affermazione blasfema verso Dio. ↩︎
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«Giovanni il Battista appena lo ha visto ha detto “ecco l’agnello di Dio, colui che toglie i peccati dal mondo”». Gv. 1,29. ↩︎