René Girard, Anorexie et désir mimétique, 2008, trad. it., Anoressia e desiderio mimetico, di C. Tarditi, prefazione di J. -M. Oughourlian, Introduzione di M. Anspach, Lindau, Torino 2009.
Girard giudica preoccupante il dilagare dei disturbi alimentari tra gli adolescenti. La bulimia e l’anoressia nervose sono i due estremi di una patologia che può assumere diverse espressioni. Ma è decisamente contrario ad affrontare questi fenomeni in base al principio secondo il quale essi devono essere interpretati, poiché la loro apparenza è lontana dalla verità che nascondono. Così Girard non condivide l’approccio psicoanalitico, per il quale l’anoressia significherebbe il rifiuto di una sessualità normale, che sorge dalla passione dell’anoressica per il padre, e dalla competizione con la madre. In realtà l’anoressia può essere spiegata proprio partendo dall’imitazione: in questo caso ci si deve arrendere all’evidenza degli effetti prodotti dal messaggio dominante nella nostra epoca, quello che ordina di dimagrire a tutti i costi. Dimagrire è divenuto un valore assoluto. Il livello di magrezza desiderabile è quello ben rappresentato dalle modelle dell’alta moda, soprattutto da quelle che, a rischio della loro vita, trascinano e mettono in mostra corpi cadaverici e scheletrici. Coloro che le imitano possono seguire due strategie: «l’anoressica vera e propria è in grado di raggiungere direttamente questo obiettivo smettendo semplicemente di mangiare. La bulimica invece persegue lo stesso fine indirettamente, mangiando tutto ciò che vuole e poi vomitando la maggior parte del cibo ingurgitato» (p. 35). L’anoressica ha fame come e più dei cosiddetti normali, ma teme di mangiare oltre il limite dopo il quale sarebbe indotta fuori controllo a mangiare senza interruzione. Il controllo che esse esercitano sul cibo dà loro un senso di ebbrezza e di potenza. Ma questo comportamento patologico non è modificabile dall’esterno, infatti l’anoressica «vede in tutti gli sforzi per aiutarla delle cospirazioni invidiose di coloro che, incapaci di eguagliarla, vorrebbero annullare la sua vittoria così duramente ottenuta» (p. 36).
Le anoressiche sono prigioniere di uno sforzo sovrumano per mantenersi in relazione positiva con l’ideale comune della società occidentale: la magrezza. La magrezza non ha uno statuto definitivo, è una cordicella tesa tra l’esercizio minimo delle funzioni vitali e il collasso irreversibile. Girard non si chiede come essa sia diventata un valore assoluto, ma questo si può comprendere forse ricordando che cosa significa la magrezza: essa è inconsciamente associata alla giovinezza. L’attaccamento alla giovinezza, che si vorrebbe eterna, esprime manifestamente una visione infantile e immatura dell’esistenza e nasconde un sentimento di repulsione radicale dell’invecchiamento, della vecchiaia, dei vecchi in generale e della morte.
Il rapporto squilibrato con il cibo indotto dal perseguimento di un ideale privo di senso (se inseguito in se stesso), ha come conseguenza la diffusione dell’esercizio fisico in ogni sua forma, volto esclusivamente a bruciare le calorie in eccesso. I mass media infatti spingono incessantemente a mangiare più e meglio del dovuto, ma al tempo stesso prescrivono la magrezza e indicano il peso forma. La sovrabbondanza di cibo e il divieto di ingrassare sottopongono gli individui allo sforzo sovrumano di sopportare una schiavitù contraddittoria e una continua tensione, a causa della frustrazione alla quale si condannano coloro che perseguono ideali impossibili o rischiosi. Quanta energia è assorbita dalle persone che per loro disgrazia si trovano sottoposte all’altalena del cibo ingurgitato e delle calorie da smaltire il più velocemente possibile? Il fenomeno del mimetismo spiega il disordine alimentare dei contemporanei. Ironicamente Girard osserva che gli occidentali, da che hanno smesso di imitare santi ed eroi, si lasciano attrarre dal futile ideale della magrezza. E naturalmente anche su questo piano, l’imitazione diventa rivalitaria: l’anoressia è la conseguenza di una competizione nella quale in diversa misura tutti sono impegnati per conseguire il primato. L’ideale della magrezza non è forse una divinità che gli occidentali si sono inventati e da cui sono soggiogati, una divinità generata mimeticamente e dalla quale si accettano le torture dell’inferno? Ma, come accade per altre forme di imitazione fuori controllo (uso di psicofarmaci, alcolici, stupefacenti, ecc.), i disturbi alimentari rivelano un orientamento neopagano e sono favoriti dalla disgregazione della famiglia e di altri gruppi strutturati che tradizionalmente fungevano da baluardo contro l’irruzione dilagante della competizione mimetica e dell’escalation conflittuale (p. 44).
Girard osserva che nella società occidentale dominata dall’ostentazione del non consumo (i jeans strappati, i pantaloni a vita bassa, l’abbigliamento trasandato, il disordine autopunitivo nella cura di sé, ecc.), colpisce il contrasto rispetto alle tribù Kwakiutl e altre dell’America nord-occidentale, nelle quali si praticava il potlatch, scambio di doni tra due gruppi rivali impegnati in una competizione nella quale la posta in gioco era la supremazia nel disprezzo della ricchezza, il prestigio conseguito dimostrando la massima indifferenza verso la ricchezza. Il potlatch comportava la distruzione di ricchezze immense: esempio di rivalità di rinuncia piuttosto che di acquisizione. «In ogni società, commenta Girard, la competizione può assumere forme paradossali, in quanto può contaminare delle attività che in un primo tempo le sono completamente estranee, in particolare il dono» (p. 49). Il parallelismo tra potlatch e magrezza contro natura illustra la possibilità che in una società qualsiasi l’escalation verso il sempre di più e quella verso il sempre di meno siano intercambiabili e manifestino lo stesso meccanismo mimetico-rivalitario. Malinconicamente Girard annota che «probabilmente la magrezza contro natura rappresenta nella nostra società ciò che la distruzione di coperte e pellicce rappresentava per gli indiani dell’America nordoccidentale, con la sola differenza che nel potlatch tutto è sacrificato alla gloria del gruppo, personificato nel capo, mentre nel mondo moderno ognuno di noi si trova a essere un individuo contro tutti gli altri individui» (pp. 49-50). Nella nostra società l’individuo è tutto, ma al tempo stesso non è nulla, essendo esposto a ogni genere di imitazione, senza remore, dopo il crollo dei divieti e il rifiuto dell’idea di limite. Si potrebbe aggiungere che nel caos mimetico in cui tutti sono democraticamente esposti ai desideri contraddittori del consumismo sfrenato, l’illusione dell’anoressica di aver raggiunto il vertice della potenza, del controllo di sé e della libertà, nasconde in realtà la solitudine agghiacciante in cui si trova confinato chi persegue un simile primato audistruttivo. Il caos mimetico rende gli individui nemici di se stessi. L’oscillazione tra un estremo e l’altro, tra bulimia e anoressia, tra tutto e niente, che caratterizza tutti gli aspetti della società occidentale, è la conseguenza della destrutturazione dei segmenti sociali e della distruzione dei legami orizzontali e verticali che una buona gerarchia assicura. La società occidentale ha perduto il controllo di se stessa in obbedienza all’imperativo: la società è per gli individui. Ma dove domina l’individualismo in una società anomica, l’individuo autocentrato è esposto non solo alla perdita della libertà, ma anche all’autodistruzione. La libertà è forse il rifiuto di ogni tradizione, consiste nella rinuncia all’identità collettiva?
Spesso il giudizio che esprimiamo sul passato si lascia facilmente smascherare come una forma di proiezione dei pregiudizi del presente. Gli esempi non mancano. Uno di questi è l’interpretazione dell’ascetismo religioso come «antica forma di anoressia», che Girard giudica una ridicola menzogna. L’autentico ascetismo religioso è fuori discussione: esso è possibile in ogni epoca della storia. Ma dinanzi al riconoscimento ufficiale della santità come valore, può accadere che non il desiderio di essere santi, quanto piuttosto il desiderio di essere stimati come tali, metta in moto la rivalità mimetica, scatenando una competizione serrata tra individui che lottano duramente per conquistare il primato della santità apparente. Quindi anche l’ascetismo religioso può degenerare a causa della rivalità mimetica, ma questo non accade necessariamente. La tendenza a confondere l’anoressia con l’ascetismo religioso autentico si può ascrivere alla diffusa ostilità nei confronti del passato cristiano — ostilità che spinge a gettare discredito sull’ascetismo religioso. Ma il carattere grossolano di questa confusione emerge non appena si consideri che già nel Medioevo si prendevano misure per osservare e riconoscere le forme di falso ascetismo, sviate dallo spirito rivalitario o dal risentimento.
Un paradosso non banale consiste nella coesistenza di normalità e patologia nel fenomeno dell’anoressia. Respingendo l’interpretazione psicanalitica dell’anoressia che la vorrebbe una conseguenza del disturbo narcisistico e non l’espressione dello sforzo di imitare le modelle di magrezza, Girard liquida il narcisismo freudiano come del tutto incapace di fornire una convincente spiegazione del fenomeno, dal momento che tutti sono centrati su se stessi e al tempo stesso dipendenti dagli altri. Tutti sono interdipendenti ed esposti al rischio della rivalità mimetica. Gli individui sono tutti più o meno rivalitari, senza che questa differenza rinvii a peculiari costellazioni famigliari, e lo sono in molti altri ambiti. Le anoressiche mirano a conquistare il primato della magrezza, i ricchi aspirano ad esserlo più degli altri. Se il desiderio di essere più ricco degli altri non è patologico e non conduce a esiti drammatici, l’aspirazione alla magrezza massima possibile produce effetti visibili e deleteri sul piano fisico, immettendo l’anoressica in un vicolo cieco, dal momento che non può abbandonare la gara in cui essa stessa ha deciso di conseguire la vittoria (p. 83). La conclusione tragica di questa competizione nei casi estremi non deve far dimenticare che l’ossessione per la magrezza attraversa tutta la nostra cultura ed è diffusa in tutta la società. I disturbi alimentari sono anche la conseguenza della dissoluzione della famiglia, quindi la ricerca di una spiegazione all’interno della famiglia non tiene conto del fatto che le dinamiche di una famiglia che non esiste più possono costituire un fattore eziologico dell’anoressia solo in senso negativo o privativo.