Recensione a Emilio Baccarini (curatore), La passione dell’originario

Emilio Baccarini (curatore), La passione dell’originario. Fenomenologia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa, a cura di E. Baccarini, Edizioni Studium, Roma 2000.

«Il filosofo — scrive Emilio Baccarini nell’introduzione del volume —, ma soprattutto ogni uomo che si interroga sul senso dell’esistenza, possiede la passione dell’originario come quella nascosta, presente-assente riserva di senso, in cui è custodito il segreto e che proprio per questo attrae e sollecita, e che continua quindi a porre interrogativi, anzi che fa della vita e della riflessione un’interrogazione».

Con queste parole si apre il volume di studi in onore del professor Armando Rigobello (docente emerito di Filosofia morale all’Università di Roma Tor Vergata) Passione dell’originario. Fenomenologia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa. Il libro, edito dalla casa editrice Studium, è stato ideato e curato da Baccarini, docente di Antropologia filosofica presso la stessa università e collaboratore di antica data del professor Rigobello.

La particolarità di questa Festschrift consiste nell’originale assortimento degli autori dei saggi che compongono questo scritto. Essi non sono colleghi del prof. Rigobello, ma giovani ricercatori, dottorati e dottorandi, che hanno voluto offrire il proprio contributo e, ciascuno nel suo ambito di ricerca, una testimonianza di gratitudine verso il maestro in una sorta di genuina «staffetta filosofica», come la chiama Baccarini nel saggio che apre la raccolta.

Nel saggio eponimo introduttivo (Introduzione. La passione del filosofo: pensare l’originario), Baccarini, traccia le linee guida di un percorso teoretico che spazia da Vico a Jaspers, da Toland a Brentano, a Buber, Lévinas, Scoto Eurigena, Heidegger, Ricœur e Pareyson, in una sinfonia in cui il basso continuo è costituito dall’originaria passione dell’originario e, oltre a questo, dal comune riferimento al pensiero e all’insegnamento di Rigobello. L’autore s’interroga su cos’è l’originario? Si tratta certo di una questione «categoriale» che indaga ciò che si situa oltre le possibilità delle categorie ontologiche aristoteliche e gnoseologiche kantiane. L’originario non è «nulla», ma allo stesso tempo non è neanche «qualcosa». Pare essere «al di là dell’essere». Riprendendo una felice espressione di Ugo Perone (cfr. Le passioni del finito, EDB, Bologna 1994), Baccarini riconosce quindi nella questione dell’originario la «passione» del filosofo (dove il termine passione è inteso nella sua valenza di vox media). Platone e la theia mania, Descartes e l’idea di infinito, Kant e i limiti del trascendentale (titolo questo di un saggio di Rigobello), l’impianto fenomenologico di Husserl, le riflessioni di Lévinas e infine il trascendere formale di Jaspers delineano un percorso orientato verso l’originario (nella sua valenza ontologica di Essere, religiosa di Dio o metafisica di Trascendenza), che non può eludere la riflessione sui limiti del pensiero, sul suo naufragio, per usare il linguaggio di Jaspers. Ebbene, in ultimo, è proprio il naufragio del pensiero che apre alla possibilità dell’esperienza religiosa, fatta di ascolto, risposta e responsabilità, cui buona parte della filosofia del Novecento — e la riflessione di Rigobello non fa eccezione — è stata particolarmente sensibile.

I saggi che compongono la prima sezione (I limiti della ragione) di M. Amadò (Il limite del logos: il logos del limite. Uno specchio asimmetrico), L. Congiunti (John Toland. Le ragioni della reason) e A. Gentile (Metafisica del «limite» e strutture del trascendentale) si soffermano sulla nozione di limite analizzata nelle opere di Friedrich, di Leopardi, di Toland e naturalmente di Kant.

I saggi della seconda sezione (Attraverso il tempo) di G. Patella (Tempo e racconto nell’Autobiografia di Giambattista Vico), G. Erle (Oltre Kronos. Un problema antico come l’uomo, riproposto dalla «Filosofia della Natura» hegeliana) e C. Fiorillo (L’emergenza dell’ulteriorità: la temporalità in Karl Jaspers) leggono le questioni filosofiche del rapporto all’originario e del limite attraverso lo specchio del tempo in Vico, Hegel e Jaspers. Per quest’ultimo il «fallimento intellettivo (naufragio scientifico nell’opacità della trasparenza della trascendenza) e l’insoddisfazione esistentiva (naufragio della comunicazione in intenzione d’infinito nel tempo), esperiti all’interno della struttura temporale, aprono la crisi nella quale nascono, per il singolo che filosofa, la questione della verità, la domanda, il rischio e, infine, il silenzio» (p. 189).

I saggi della terza sezione (Prospettive ermeneutiche) di S. Semplici (La deduzione che non c’è. La legge morale fra poesia e teodicea del sublime), di M.C. Di Nino (Verità e testimonianza in Luigi Pareyson), di A. De Santis (L’ontologia genetica di Heinrich Rombach), di F. Abbate (La porta stretta. Identità e ulteriorità nell’ultimo Ricœur) presentano interessanti prospettive interpretative del tema dell’originario in Kant, Hegel, Pareyson, Rombach e Ricœur. In particolare la Di Nino evidenzia il valore della testimonianza nella riflessione filosofica di Luigi Pareyson, in quanto questa è il luogo in cui filosofia e religione s’incontrano e si arricchiscono vicendevolmente. Cercare il senso, dice la Di Nino, è cercare il senso dell’essere. La persona che sceglie pro o contro l’essere diventa quindi testimone perché si fa garante della verità con la sua affermazione e riafferma, attraverso la decisione, la solidarietà originaria tra persona ed essere di cui è espressione. La testimonianza diviene quindi risposta a un appello, all’appello dell’Essere.

Infine la terza sezione (Metafisica e trascendenza) con contributi di A. Cislaghi (Id quo maius desiderari nequit), di I. Poma (L’esperienza umana di trascendenza in «Essere e Avere» di Gabriel Marcel), di F. Miano (Responsabilità e relazione in Martin Buber) e di F. Sensi (Il linguaggio del dono) e la quarta sezione (Dio e la filosofia con saggi di G. Salmeri (Angeli e dèmoni. Il problema della filosofia cristiana, G. Perillo (**Apophasis* e discorso su Dio in Giovanni Scoto Eriugena), A. Marocco (La filosofia religiosa nell’itinerario speculativo di Franz Brentano) e V. Brutti (Ritrovare ente e divino nell’essere. Una lettura dei «Beiträge zur Philosophie» di Heidegger) approfondiscono la questione dell’originario in prospettiva metafisica e religiosa. In particolare nel testo della Cislaghi il titolo fa evidentemente eco alla formula anselmiana. Altri tempi, secondo l’autrice, hanno conosciuto sistematizzazioni speculative in cui il *cogitare si esercitava con certezze per noi oggi divenute impraticabili. Resi meno ingenui e più insicuri dal disincanto e dal sospetto, restiamo tuttavia nella tensione del desiderio, quale modalità di apertura al meta-fisico, costituente la vocazione peculiare e più alta del filosofare. «Id quo maius desiderari nequit» indica dunque l’aspirazione a dire nel finito l’originario. All’autrice pare infatti che sia compito precipuo del pensiero mettere in relazione intelligibilità e trascendenza. Il suo contributo al volume rigobelliano dà voce a questo desiderio che ha insieme una valenza teoretica e pratica, mentre si affida alla saggezza più antica ma nell’ascolto delle istanze filosofiche contemporanee (in particolare Heidegger, Lévinas, Bonhoeffer).