Recensione a I cinque sensi, «Micrologus»

I cinque sensi, «Micrologus», X 2002, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2002, 529 pp.

Il funzionamento e la localizzazione degli organi sensori, la classificazione dei sensi, il ruolo della sensazione nella conoscenza, la relazione tra sensibilità e sfera etica: sono questi, tra gli altri, gli interrogativi che attraversano per tutto il corso del Medioevo la riflessione sui cinque sensi. Una riflessione che non rimane confinata a un ambito strettamente filosofico e medico, ma che emerge dalle produzioni letterarie e culturali più diverse, dalle espressioni artistiche e anche dalle forme simboliche connesse ai riti e alle cerimonie della Chiesa e del potere secolare.

Il De Anima di Aristotele costituì certamente un modello di indagine filosofica mirante a individuare e a risolvere le questioni fondamentali poste dalla sfera della sensazione. In questo testo era possibile trovare una classificazione, con una localizzazione, dei cinque sensi, una distinzione tra sensibili comuni, propri e per accidente, una teoria della interazione tra oggetto sensibile e organo sensorio, insieme a una teoria della conoscenza che distingueva e descriveva sensazione, immaginazione, opinione e apprensione intellettiva.

Tuttavia, la questione dei sensi non investiva esclusivamente la sfera gnoseologica con i suoi interrogativi aperti sui meccanismi della conoscenza, essa chiamava in causa direttamente lo statuto dell’uomo e il suo ruolo. L’essere dotato di un corpo, l’ineluttabilità della mediazione corporea nell’interazione tra sé e il mondo circostante, faceva dell’uomo l’essere di mediazione per eccellenza, intermediario tra sensibile e intelligibile, proteso alla conoscenza dell’intelligibile e alla realizzazione della propria perfezione morale e al contempo sempre nuovamente inchiodato alla propria condizione corporea. Se i sensi sono gli organi con cui entriamo in relazione con gli oggetti sensibili e che costituiscono la base della nostra conoscenza del mondo, essi sono anche le porte che consentono al mondo e ai suoi oggetti di investire l’anima umana, di lasciare su di essa impressioni indelebili, di agitarla e muoverla in tensioni e pulsioni contrapposte e volubili. La relazione con il sensibile è allo stesso tempo primo gradino di una scala che conduce verso l’alto, alla contemplazione di Dio, o primo e terribile passo verso la propria perdizione. La stessa immagine dipinta del Cristo incarnato e dei santi può essere elemento costituivo di un processo di elevazione morale e spirituale (secondo una dottrina della visione che affonda le sue radici nell’eros del Simposio e in generale nella teoria platonica della partecipazione) o temibile peccato di idolatria (su questo argomento si sofferma il saggio di Jean Wirth, Voir et entendre. Notes sur le problème des images de Saint Augustin à l’iconoclasme, pp. 71-86). I cinque sensi non sono, dunque, nel corso del Medioevo oggetto di una indagine di impronta esclusivamente medica o gnoseologica, essi costituiscono sempre anche un problema di natura morale e spirituale.

Le facoltà e gli organi della sensibilità, letti nella complessità di problematiche che abbiamo cercato di delineare, sono l’oggetto del corposo volume «I cinque sensi», frutto di due colloqui, di Friburgo e Losanna, nell’ambito delle conferenze dedicate da Micrologus alle questioni relative alla storia della natura. Il volume si nutre dell’apporto di contributi diversificati, appartenenti all’ambito della storia della filosofia, della scienza, della medicina, della letteratura e dell’arte medievali. Contributi che affrontano la questione dei sensi da prospettive visuali differenti, ma allo stesso tempo intrecciate, riuscendo così a fornire un quadro complesso dello statuto e della considerazione della sensibilità nel Medioevo.

La sfera dei sensi, della sensibilità e anche della sensualità non costituiscono un problema da poco per la riflessione filosofica, medica e teologica medievale. Al contrario, prima ancora dello statuto dei sensi, della loro funzione e del loro funzionamento, è la loro stessa classificazione e individuazione a essere indagata con esiti differenti. A partire dal numero di cinque, che rappresenta l’oggetto del contributo di Jean-Yves Tilliette, Le symbolisme des cinq sens dans la littérature morale et spirituelle des XIe et XIIe siècles, pp. 15-32, un’analisi della portata simbolica del numero 5 all’interno di testi differenti, dai commenti alle Scritture alle omelie, ai trattati e agli opuscoli spirituali dell’XI e XII secolo. Ne emerge l’immagine di un numero designante l’incompletezza dell’umano (al 5 manca una unità per raggiungere il numero perfetto) e il radicamento dei sensi nella materia. Immagine e analisi che, tuttavia, sarebbe necessario relativizzare e contestualizzare alla luce del contributo di Jaqueline Cerquiglini-Toupet (Le schéma des cinq sens, d’une théorie de la connaissance è la création de formes littéraires, 55-70), in cui vengono messe in luce le frequenti oscillazioni sia nella classificazione dei sensi sia nella loro determinazione nel numero di 5. Sono differenti i testi portati in questo saggio come testimonianze, in cui si può registrare la sparizione di un senso dall’enumerazione delle facoltà della sensibilità, come la sparizione dell’odorato o del gusto, o al contrario l’aumento del numero a sei, con il raddoppiamento di uno dei sensi o l’inserimento del «cuore» come sorta di senso interno. Al problema della classificazione dei sensi è connessa la questione della loro localizzazione spaziale e fisica, che oltre a costituire la parte conclusiva del contributo di Jaqueline Cerquiglini-Toupet, rappresenta uno degli oggetti principali dei saggi dedicati alla considerazione dei sensi nella scienza medica medievale.

La curiosità nei confronti della natura, un atteggiamento strettamente connesso all’osservazione e all’analisi empirica dominano la riflessione medica sui cinque sensi, in particolare nella rielaborazione e nell’aggiornamento arabi della scienza medica antica. La differenza di prospettiva tra considerazione medica e considerazione filosofica della localizzazione della facoltà sensibile viene delineata nel contributo di Paola Carusi, Les cinq sens entre philosophie et médicine (Islam Xe-XIIe siècles), pp. 87-98. La divergenza attiene alla funzione attribuita al cuore e al cervello nell’ambito della percezione sensoriale e risale alle differenti soluzioni proposte da Aristotele e Galeno, ripercuotendosi anche sulla differente considerazione della gerarchia interna ai cinque sensi. Questa divaricazione, che dalla riflessione dell’antichità risale sino alle elaborazioni in ambito arabo dell’XI e XII secolo, è ricondotta da Paola Carusi alla diversità di prospettive e di finalità della considerazione filosofica e medica; l’una, scienza dell’universale, dell’uomo in quanto tale, del perfetto equilibrio dei sensi nell’uomo ideale, l’altra scienza del particolare, non dell’uomo come genere, ma di una serie di singoli uomini, studiati nel disequilibrio organizzato loro proprio, che prende il nome di salute. Tuttavia, le considerazioni e interpretazioni morali non erano poi così estranee alla riflessione medica, come dimostra il caso di Evrard de Conty, medico moralista, la cui opera costituisce l’oggetto del contributo di Danielle Jacquard, Médicine et morale: les cinq sens chez Evrard de Conty († 1405), pp. 365-378. Se Evrard de Conty indica nella giusta misura, nella temperanza, e dunque nel governo dei sensi attraverso la ragione, la condizione indispensabile per il mantenimento della buona salute, l’edonismo dei sensi appare l’ultimo baluardo contro il dilagare della morte nel Consiglio scritto nel 1348 dal medico Tommaso del Garbo per aiutare i suoi concittadini di Firenze a difendersi dalla peste (Francisco Javier Santa Eugenia, Contre la mort, l’exercice hédoniste des sens. Le *Consiglio contro a pistolenza di maestro Tommaso del Garbo*, pp. 353-364). Un testo che, secondo l’interessante ricostruzione del Santa Eugenia, dovette riscuotere un grandissimo successo presso i suoi contemporanei e che, tuttavia, non contiene dal punto di vista medico nulla più che una profilassi igienica. Ben altra è la forza di suggestione di quest’opera, che individua nella cura dei sensi attraverso il godimento di ciò che è bello uno strumento di allontanamento della morte. Odorare dolci fragranze contro l’olezzo pestilenziale dell’epidemia e dei cadaveri, nutrirsi di cibi sani e saporiti, in particolare carne, avere sotto gli occhi oggetti gradevoli allo sguardo e ascoltare musiche e lazzi che agevolano la gioia dello spirito e scacciano la malinconia. Il bello e il piacevole come cinta muraria dietro cui proteggersi di fronte all’avanzare della morte contrasta singolarmente con la reclusione di ben altro tipo, descritta da Foucault per un’epoca più tarda di epidemie di peste, come antecedente del panoptismo.

Piacevolezza e cura dei sensi possono costituire, da un differente punto di vista, una sorta di mappa del peccato, in una perversa corrispondenza tra varietà delle forme del male morale e varietà dei modi e delle occasioni dell’apprensione sensibile. Gusto e tatto divengono così finestre attraverso cui gola e lussuria si insediano nel cuore dell’uomo, il piacere della vista si rivela scaturigine della concupiscenza carnale, ma anche dell’avarizia, al punto che è possibile tracciare uno schema di corrispondenze tra sensi e peccati, come quello fornito da Carla Casagrande, Sistema dei sensi e classificazione dei peccati (secoli XII-XIII), pp. 33-54. L’ambiguità costitutiva del sensibile, nel suo doppio ruolo di occasione per il peccato (nella misura in cui esso è desiderato e goduto in sé e per sé) e di avvio di un itinerario verso la conoscenza di Dio, trova una fulgida espressione filosofica nell’opera di Massimo il Confessore (Marta Cristiani, Kósmos aisthetós. Le système des cinq sens dans les *Ambigua de Maxime le Confesseur*, pp. 449-462). Nella corporeità del Cristo, nell’unione tra la natura umana e quella divina, il sensibile è riscattato come depositario di significati altri, di un continuo rimando simbolico al creatore, sede di un logos sempre leggibile nella misura in cui la sensazione non rimane fine a se stessa, ma cede il passo all’interpretazione razionale e simbolica.

Non è possibile qui dar conto della ricchezza di un volume complesso e articolato come I cinque sensi né tentare di esporre i numerosi singoli contributi, dal saggio di Agostino Paravicini Baggiani, En guise d’introduction : le pouvoir pontifical a-t-il besoin des cinq sens, pp. IX-XIV, a quello di Peter Dronke, Les cinq sens chez Bernard Silvestre et Alain de Lille, pp. 1-14, ai saggi sulla funzione dei cinque sensi nel pensiero di Alberto Magno (H. Anzulewicz, Konzeptionen und Perspektiven der Sinneswahrnemung im System Alberts des Großen, pp. 199-238; J. R. Söder, Albert der Große über Sinne und Träume. Beobachtung am Traumtraktat von De Homine, pp. 239-250) e altri… Un volume in cui il filo della lettura sembra a volte smarrirsi nella molteplicità e vastità di aspetti, punti di vista e prospettive, in un arco temporale assai vasto, per poi, tuttavia, ritrovarsi nella consapevolezza dell’irriducibile complessità della riflessione sullo statuto dei cinque sensi in un essere continuamente lacerato tra il terreno e il divino, come è l’uomo medievale.