L’amore dell’Altro. Su Le phénomène érotique di Jean-Luc Marion

1. L’altro: tra invenzione e individuazione

Tre titoli, per iniziare.

Psyché. Inventions de l’autre: così J. Derrida intitola una serie di articoli redatti in momenti diversi della sua carriera, che rispondono (in modo altrettanto diverso) alle questioni: «Che cos’è un’invenzione? E che significa l’invenzione quando essa deve essere invenzione dell’altro? L’invenzione dell’altro significa che l’altro resta ancora me (moi) […] oppure che la mia invenzione dell’altro resta l’invenzione di me stesso compiuta dall’altro che mi trova, mi scopre, mi istituisce o mi costituisce?».1

D’autrui à l’individu: è il titolo di uno studio che Marion ha dedicato a E. Levinas, pubblicato in Positivité et transcendance.2 In queste pagine è discussa un’aporia («forse la sola»3) del volto: Autrui appare come nessuno (personne), non come singola persona individuata (personne individuée) ma appare come personaggio (persona) di ogni Altri possibile. Con ciò, osserva Marion, Levinas non ritorna, forse, a quel Neutro dal quale asseriva di uscire? «Non abbiamo ancora fatto definitivamente a meno del Neutro, se finiamo con il ritrovarlo ancora e sempre trionfante nell’anonimato del volto perché, come tale, esso rivela, forse, l’umanità, il divieto di uccidere […] ma mai colui che potrei amare più di me stesso»,4 e ciò per tre motivi: 1. la legge morale esercitata dal volto non fa eccezione delle persone, «dunque richiede che le particolarità del volto individualizzato d’altri siano neutralizzate»; 2. «il volto non soltanto si neutralizza, ma mi rende neutro a vantaggio dell’universalità comune»; 3. infine, il volto non solo non serve a manifestare tale o tal altro individuo ma ne maschera la singolarità.5 Ecco, allora, la proposta di un passaggio oltre Levinas: poiché «davanti al volto d’Altri — di ciascuno o di non importa quale Altri — io — o non importa quale alter ego — posso trovarmi anche e ancora davanti al neutro», occorrerebbe, «per giungere all’altro come tale, individualizzarlo più ancora di quanto io non individualizzi me stesso».6 Compito, questo, cui attende l’amore.

Le phénomène érotique. È il titolo dell’ultima opera di Marion, composta da sei meditazioni fenomenologiche sull’amore. La continuità di questo libro con le opere che lo hanno preceduto ci è rivelata dallo stesso autore:

Questo libro mi ha ossessionato fin dalla pubblicazione de L’idolo e la distanza, nel 1977. Tutte le opere che ho successivamente pubblicato portano il segno, esplicito o meno, di quest’inquietudine. In particolare, i Prolegomeni alla carità furono pubblicati, nel 1986, solo per testimoniare che non rinunciavo a questo progetto, anche se tardavo a portarlo a compimento. Tutti i miei libri, soprattutto gli ultimi tre, segnarono altrettante tappe verso la questione del fenomeno amoroso.7

La meditazione sul fenomeno amoroso si dis-piega con un’altra meditazione fenomenologica, riguardante l’altro; di più tra «l’altro» e «l’amore» esiste uno stretto vincolo fenomenologico, a partire dal quale Marion affronta l’aporia levinasiana prima segnalata. Su un motivo simile l’autore chiudeva anche Dato che, dove egli si chiedeva se la fenomenologia della donazione potesse «riuscire» là dove l’etica conosce il proprio scacco: l’individuazione d’altri, individuazione il cui nome è l’amore, al quale la fenomenologia della donazione potrebbe — forse — restituire la dignità del concetto. Quest’auspicata restituzione, annunciata nell’ultima pagina di Dato che, è il tema de Le phénomène érotique. Prima di confrontarci con le pagine marioniennes riprendiamo, però, «l’invenzione dell’altro» di Derrida; riprendiamo quest’idea perché sensibilizza, così come la pietra è sensibilizzata dallo scultore, “l’individuazione (marionienne) dell’altro”.

Il testo di Derrida si snoda nel confronto con il tema dell’invenzione retorica, con Paul de Man e con Francis Ponge, di cui commenta la poesia Fable.8 Di tale ricco confronto tratterremo poche idee, facendo a queste pagine la grande ingiustizia di non essere seguite nel delicato ordito intessuto. Tratterremo, va da sé, l’idea di invenzione (tralasciando l’aleggiante «presenza» di Psyche, il «personaggio» delle Metamorfosi di Apuleio che dà il titolo al testo di Derrida). Un’invenzione non accade mai senza un evento che sia più originale. Alla domanda: «Il padre inventa forse il figlio?», rispondiamo, con Derrida, no, sebbene — con il figlio — un’originalità prenda vita. Accanto a questo carattere originale ma non originario dell’invenzione,9 Derrida ne sottolinea un secondo, la pubblicità e la disponibilità dell’«inventato», di ogni singola invenzione, la quale per un verso è destinata a seguire autonomamente la propria vita, per altro verso è evento che fa accadere qualcosa di unico e nuovo. L’invenzione è evento (événement) in quanto avvento (avènement): l’invenzione accade, si trova, si fa trovare (i «verbi» dell’invenzione sono venir, inventer, trouver, se trouver). «Invenzione» dell’altro è sopraggiungere dell’(originalità) altro, il suo invenire, la sua venuta.10 Inventare significa, allora «“saper” dire “vieni” e rispondere al “vieni” dell’altro».11 Invenzione, inoltre, è evento di novità, dove la novità è novità dell’accadere di ciò che già precede. Perciò, l’invenzione «fin dalla sua origine racchiude in sé una ripetizione; essa dispiega la dynamis di ciò che si trovava là, insieme di possibili comprensibili che si manifestano come verità ontologica o teologica […]. Inventando il possibile a partire dal possibile riconduciamo il nuovo (cioè il totalmente altro che può essere anche archi-antico) ad un insieme di possibilità presenti, al presente del possibile».12

Invenzione dell’altro sarà, dunque, invenzione dell’«altro possibile»? No, perché «l’altro non è il possibile», e perciò, prosegue Derrida, «sarebbe opportuno dire che la sola invenzione possibile è quella dell’impossibile». Ma «un’invenzione dell’impossibile è impossibile», obietta Derrida a se stesso, rispondendosi, però, che questa resta comunque la sola invenzione possibile perché «un’invenzione deve annunciarsi come invenzione di ciò che non sembrava possibile, senza la quale essa si limita ad esplicitare un programma di possibili».13 In questa complessa dinamica di possibilità e impossibilità si introduce l’invenzione dell’altro; questa è un lasciar venire l’altro, è apertura ad esso:

Il sopraggiungere (le venir) dell’altro o il suo ritornare (revenir) è la sola survenue possibile, ma questa non può essere inventata, anche se, per prepararsi ad accoglierla, occorre la più geniale inventività: per prepararsi ad affermare la causalità di un incontro che non soltanto non sia più calcolabile ma che non sia neppure un incalcolabile pensato come pensiamo il calcolabile, un indecidibile pensato a partire dalla decisione. Ciò è possibile? Certamente no, ed ecco perché si tratta della sola invenzione possibile.14

L’individuazione (marionienne) dell’altro è tanto distante da quest’invenzione? Ne condivide sicuramente il presupposto epistemologico principale e principiale,15 ossia quel carattere che, con C. Romano, chiameremo événementiel, evemenenziale.16 Il dato fenomenologico ultimo, che al momento ci limitiamo ad annunciare, è, per Marion, determinato in quanto evento e tutto ciò che si dà, si dà in quanto événement che adviene (advient). Un punto decisivo di tangenza con Derrida è, inoltre, la possibilità, incessantemente tentata da Marion. Se letto in questo senso, cioè in quanto evento, il dato marionien — scevro da e di ogni presenza, sebbene non «im-possibile» in quanto (per Marion) è condizione possibile di ogni possibilità — condivide con l’ipotesi avanzata da Derrida un punto di contatto: il tratto dell’apertura e della passibilità di ogni possibilità, ossia il fatto che ogni possibilità è passibile di possibilizzazione. L’evento originario passibile di ogni possibilità, evento che fa sì che noi siamo a noi stessi (e che ogni altro lo sia per noi) evento originale, tratteggia il «nostro» volto in quanto esposizione e apertura (originali) all’originario. Tratto, questo, che tanto Derrida quanto Marion hanno ereditato da Levinas, in particolare dall’esposizione e dalla passività che il filosofo lituano ha lungamente meditato. Ma nella «lettura» di Levinas si consuma una distanza.

I cultori del pensiero di Derrida sottolineano giustamente il ruolo centrale che i suoi testi svolgono ai fini di un ripensamento della politica e di una responsabilità intesa come rispondere all’appello dell’altro; declinazione, questa, che egli riconosce come debito nei riguardi di Levinas.17 Marion, invece, declina la lezione levinasiana nella direzione dell’amore. O, come detto nell’incipit di queste pagine, verso l’amore che mi permette di individuare l’altro facendomi al contempo uscire dalla neutralità di Autrui. Per entrambi i filosofi, comunque, l’altro resta in ogni caso tra invenzione e individuazione, perché è originalmente evento che adviene. Dove, allora, il contrasto (Marion-Derrida) al cuore di un chiasmo evenemenziale? Tale contrasto si consuma, a nostro avviso, nell’idea di possibilità, indefinitamente aperta tanto da Derrida quanto dalla fenomenologia della donazione ma incoativamente aperta all’effettività dall’amore che individua l’altro. Ma, questa, è una tesi da costruire e motivare. La sua costruzione, prendendo questa volta definitivamente congedo da Derrida, passa attraverso l’epistemologica fenomenologica di Marion.

2. L’evento dell’interdonazione

Nelle pagine conclusive di Dato che riecheggia indirettamente l’obiezione a Levinas sopra esposta:

In regime di donazione, per la prima volta, il fenomeno d’altri non ha più caratteri di un’eccezione extraterritoriale rispetto alla fenomenalità […]. Ricevere altri — ciò equivale innanzitutto a ricevere un dato e a riceversi; nessun ostacolo si frappone più fra altri e l’adonato […]. Quando altri si mostra, si tratta di un adonato che si dà ad un altro adonato […]. La difficoltà non consiste più, dunque, nel decidere se altri può apparire (il tradizionale solipsismo, la supposta definitiva «incomunicabilità delle coscienze»), ma di comprendere come altri si dà restando l’adonato che io resto […]. Non si tratta più di intersoggettività o di interoggettività, ma di interdonazione […]. [Questa situazione] autorizzerebbe forse anche ad approssimarsi a ciò che l’etica non può raggiungere: l’individuazione d’altri. Perché io non voglio, né devo soltanto considerarlo come il polo universale ed astratto della contro-intenzionalità, dove chiunque può prendere il volto del volto, ma raggiungerlo nella sua insostituibile particolarità, in cui si mostra come nessun altro altri potrebbe fare. Questa individuazione ha un nome: l’amore.18

Questo passo porta a manifestazione tanto il percorso epistemologico della fenomenologia della donazione quanto l’avanzamento cui essa apre. È un testo al limite, è il margine del suo stesso superamento.

«In regime di donazione, per la prima volta, il fenomeno d’altri non ha più carattere di un’eccezione extraterritoriale rispetto alla fenomenalità». Régime, ossia pouvoir, constitution, gouvernement, réglementation, de donation: ha, la donazione, un suo potere di regolamentare? L’intera opera Étant donné, Dato che, risponde a questa domanda. I cinque libri che la costituiscono sono il mostrarsi della possibilità epistemologico-fenomenologica che la fenomenalità dei fenomeni abbia, di diritto, quale unico orizzonte, la donazione. Donazione che, cosa ormai nota, dovrebbe tradurre, nel linguaggio marionien, la Gegebenheit husserliana. Dovrebbe, perché in realtà la donation non ha i tratti della Gegebenheit: in primo luogo, perché alla donazione Marion arriva tramite una riduzione rovesciata, che non è messa in atto dalla coscienza ma è appello esercitato dalla stessa donazione. «Ogni fenomenologia mette in atto, esplicitamente (Husserl) o implicitamente (Heidegger, Levinas, Henry, Derrida) una riduzione che è il suo banco di prova non negoziabile, perché non si tratta di un concetto tra gli altri, né di una dottrina da discutere, ma di un’operazione — quella con la quale si riconduce l’apparenza dell’apparire all’apparire, come tale, dei fenomeni».19 La riduzione marionienne, ossia l’appello (appel — riduzione che succede a quella trascendentale husserliana e a quella messa in atto dal Dasein heideggeriano), è stata per la prima volta annunciata (nel 1989) nel suo legame con la donazione con il celebre principio autant de réduction, autant de donation, formula che postula che ciò che nell’atteggiamento naturale è accettato senza riserva come dato (donnée), in realtà non si dà ancora. Con tale principio, Marion si propone di «tracciare il legame necessario per il quale “ciò che si mostra innanzitutto si dà”» e di «liberare il peso del sé (soi), tramite il quale soltanto la donazione convalida la manifestazione».20 Questo è il del fenomeno, che sopraggiungendo istituisce «chi» lo riceve. Il del fenomeno è la sua fenomenalità ampliata dalla riduzione a de-misura di donazione.

In secondo luogo, però, la donazione non è la Gegebenheit perché, oltre a destituire definitivamente il «soggetto», destituisce ogni orizzonte ontologico nel quale non soltanto Heidegger, ma anche Husserl era rimasto irretito, se consideriamo la Gegeständlichkeit come residuo di oggettità ultimo e ir-ridotto dalla riduzione.21 Questa duplice destituzione (del soggetto e dell’ontologia) è subordinata ad un unico intento: nulla può assegnare alla donazione delle condizioni di possibilità ma la donazione è pensata come condizione di possibilità absoluta dei fenomeni. Ecco, allora, la posta in gioco di Marion: «Si tratta di definire la donazione in se stessa e a partire da sé sola».22 La fenomenalità dei fenomeni, ossia la loro possibilità di manifestarsi e di essere ciò che essi sono, non sottostà a nessun orizzonte perché la donazione «index sui et non-dati, fissa sempre l’orizzonte del non-dato quanto quello del dato, perché, precisamente, uno stesso orizzonte ha la funzione di circoscrivere il dato dalla sfera del non-dato».23 In tal senso è lecito dire che la fenomenalità è de-misurata dalla donazione. La donazione, cioè, non misura, non definisce, non determina perché, se determinasse, imporrebbe limiti alla fenomenalità. Non impone neppure una dis-misura sulla base della quale non sarebbe possibile misurare il fenomeno e che porrebbe il fenomeno come suo semplice opposto (fenomeno finito vs donazione infinita). Essa de-misura: dà una misura che non fissa barriere o margini ma che, mentre rende la fenomenalità a se stessa, la amplia e la apre a nuovi orizzonti. La donazione, dunque, contemporaneamente dà e toglie ogni misura. La perché pone la fenomenalità, la toglie perché non ne impedisce mai l’ampliamento; di più, essa, ponendola, la amplifica.

Una siffatta fenomenalità, che non ha altro orizzonte se non quello che la donazione le dà, ossia il suo esser sempre possibile in quanto sempre e possibilmente data, è una fenomenalità che può render ragione anche di fenomeni invisibili e non oggettivabili, quali i fenomeni saturi di intuizione o il paradosso dei paradossi, la rivelazione. Nulla, «di diritto», impedisce che tali fenomeni si manifestino; «di diritto», tuttavia, ossia epistemologicamente: ma che cosa ne è di fatto di simili fenomeni? La stessa cosa vale per il fenomeno d’altri: se epistemologicamente ne pensiamo la fenomenalità «in regime di donazione», nulla, di diritto, ci autorizza a dire che esso non può manifestarsi. Altri, in regime di donazione, è possibilmente fenomeno poiché nulla vieta che esso si manifesti, sebbene la sua effettiva manifestazione resti in-detta. In regime di donazione, altri è fenomeno possibile.

«Ricevere altri — ciò equivale innanzitutto a ricevere un dato e a riceversi; nessun ostacolo si frappone più fra altri e l’adonato […]. Quando altri si mostra, si tratta di un adonato che si dona ad un altro adonato […]. La difficoltà non consiste più, dunque, nel decidere se altri può apparire (il tradizionale solipsismo, la supposta definitiva “incomunicabilità delle coscienze”), ma di comprendere come altri si dona restando l’adonato che io resto […]. Non si tratta più di intersoggettività o di interoggettività, ma di interdonazione […]». È fenomeno in che senso, tuttavia? Nel senso che, così come ogni altro fenomeno, anch’esso può essere ricevuto dall’adonato, che è istituito dalla medesima donazione che istituisce altri, togliendo ogni ostacolo tra i due poli. Che la soggettività sia destituita dalla donazione, significa che ad essa non spetta più il primato epistemologico di costituire i fenomeni; la donazione, invece, oltre a de-misurare la fenomenalità, de-figura, ossia toglie il volto al «soggetto», dandogli la figura da essa istituita, a-donata: testimone, attributario, adonato in Dato che, ma prima, in Réduction et donation, interloquito. Si tratta di de-figurazioni di quello che prima era il «soggetto», de-figurazioni fenomenologiche nelle quali il movimento della donazione si compie. Esse sono accomunate da un tratto: la donazione de-figura chi la riceve, invertendo ogni Sinngebung, poiché il senso non è più dato dalla «coscienza» ma dalla fenomenalità dei fenomeni, «senso» a se stessi. Delle tre de-figurazioni presentate in Dato che, ci limitiamo a seguire la terza, la sola che sia richiamata anche a proposito del fenomeno d’altri, ossia l’adonato, coniato sulla base del francese adonné. La fenomenalità — si è detto — si dà, si mostra solo per la donazione. Per mostrarsi, però, essa deve impattarsi in uno schermo che faccia da prisma e filtro.

Filtro e prisma che non preesistono all’impatto della donazione ma ne risultano poiché «prima che si dia, il dato non ancora fenomenalizzato non è atteso da nessun filtro»24 e solo per l’impatto della donazione stessa sorge, «con un solo ed unico choc», il lampo «da cui esplode la sua prima visibilità e lo schermo in cui si schianta».25 L’adonato, è la de-figura istituita dalla donazione «secondo i quattro tratti della sua manifestazione»,26 ossia la convocazione, la sorpresa, l’interlocuzione («io mi ricevo dalla chiamata che mi consegna a me stesso, prima di donarmi qualunque cosa»), la fatticità (l’adonato, così come l’interloquito de-figurato in Réduction et donation, sopporta l’appello della donazione come un fatto sempre già dato). Questi quattro tratti de-figurano l’adonato, «soggetti(vi)tà interamente conforme alla donazione — che si riceve interamente da ciò che riceve, donata dal donato, donata al donato»;27 adonato che si disfa di ogni pretesa del soggetto trascendentale lasciando che il proprio volto sia de-figurato dal del fenomeno, nel nostro caso, del fenomeno d’altri. In regime di donazione, altri può, dunque, apparire e farsi fenomeno, aprendo il campo ad un’interdonazione che in Dato che è solo annunciata.

«[Questa situazione] autorizzerebbe forse anche ad approssimarsi a ciò che l’etica non può raggiungere: l’individuazione d’altri. Perché io non voglio, né devo soltanto considerarlo come il polo universale ed astratto della contro-intenzionalità, dove chiunque può prendere il volto del volto, ma devo poterlo raggiungere nella sua insostituibile particolarità, in cui si mostra come nessun altro altri potrebbe fare. Quest’individuazione ha un nome: l’amore». Le phénomène érotique è un commento e una verifica di questa sfida: altri può essere individuato e il compito di tale individuazione spetta all’amore. Altri non è semplicemente colui che mi convoca o che può prendere il volto del volto. L’individuazione gli dà questo volto, ossia il singolo (non unico, ma determinato) volto; qui la fenomenologia della donazione può spingersi oltre l’etica. Donazione che è condizione di ogni fenomenalità, condizione epistemologica dei fenomeni. È, ancora, condizione di pensabilità dei fenomeni, condizione di manifestazione; bref, condizione (absoluta, sciolta da ogni orizzonte) che i fenomeni siano.

Che genere di condizione, tuttavia? Una condizione di possibilità. Quest’ultima tesse la trama di Dato che così come il binomio réduction e donation tesseva quella dell’opera del 1989; possibilità pensata a partire dall’annuncio heideggeriano: «Höher als die Wirklichkeit steht die Möglichkeit», annuncio che, in Réduction et donation, Marion commenta così: «La sola cosa che tentiamo di fare è aprire la strada fenomenologica come tale, senza confonderla con obiettivi successivi e, in un certo senso, provvisori. Se in fenomenologia — al contrario della metafisica — la possibilità sta più in alto, per ciò che concerne la verità, dell’effettività, bisogna spingere questo principio fino alle sue estreme conseguenze, fino ad esercitarlo, eventualmente, contro la fenomenologia già praticata. Infatti, non si va oltre un pensiero rifiutandolo, ma ripetendolo, ossia prendendo a prestito i mezzi per pensare con essa al di là di essa».28 In Dato che Marion porta a compimento tale percorso liberando la possibilità fenomenologica da ogni orizzonte estrinseco e ampliando la fenomenalità dei fenomeni sulla de-misura di una donazione che, però, la trafigge con le stigmate della sua stessa absolutezza. L’operazione, possibile di diritto ma problematica di fatto, diventa crasi improponibile quando si tratta di altri, la cui individuazione, e l’amore che ne porta il nome, si attesta proprio nel problematico livello del rapporto tra effettività e possibilità. Posso limitarmi a dire che il fenomeno d’altri può darsi? Il fatto stesso che io lo dica, non implica un’apertura del piano dell’effettività (se altri fosse solo pensabile non potrei neppure parlarne ma «tratterei» solo di me…)? Il fenomeno d’altri è, allora, possibile o effettivo? E di quale effettività si tratta? Se l’etica non decide più dell’orizzonte ultimo nel quale si è esposti ad altri; se la donazione è capace di parlare solo di un piano de iure dei fenomeni, che cosa accade con tale individuazione e, dunque, con l’effettivo ingresso di altri nella scena fenomenologica?

«Se in fenomenologia — al contrario della metafisica — la possibilità sta più in alto, per ciò che concerne la verità, dell’effettività, bisogna spingere questo principio fino alle sue estreme conseguenze, fino ad esercitarlo, eventualmente, contro la fenomenologia già praticata»: è nostro avviso che la questione di altri e della sua individuazione, ossia l’amore, spinga la fenomenologia della donazione oltre se stessa per il fatto stesso che pone la questione dell’effettività dell’altro e non soltanto della sua possibilità epistemologica di manifestarsi. La fenomenologia della donazione, dopo aver spinto la possibilità verso le sue estreme conseguenze, sarà capace di spingervi anche l’effettività, senza ricadere in un’idea di effettività come mera presenzialità dominata dalla visibilità? L’evento dell’interdonazione che cosa alla donazione stessa? Forse — ma si tratta di un’ipotesi ancora da verificare — l’effettività dell’altro.

3. La ripresa della fenomenologia

Ne Le phénomène érotique, Marion riprende gli assi portanti della sua fenomenologia della donazione, riprendendo fenomenologicamente i temi del dono, della donazione e dell’amore che lo avevano occupato nei suoi esordi filosofici. Con «ripresa della fenomenologia» intendiamo, dunque, la ripresa fenomenologica di temi in precedenza trattati senza un adeguato metodo filosofico e non metafisico, metodo che solo a partire dal 1989 è stato individuato nella fenomenologia.29 Dono e donazione sono temi già toccati da Dato che, dove il tema dell’amore, che incrocia singolarmente altri, veniva introdotto solo nelle battute conclusive. Con «ripresa della fenomenologia» indichiamo la ripresa della fenomenologia della donazione e, soprattutto, dell’interdonazione. Ripresa che è anche avanzamento, perché là dove Dato che si arrestava, Le phénomène érotique, s’avance, così come l’amant di cui si tratta. «Ripresa della fenomenologia», infine, come ripresa, alla luce dell’interdonazione, di alcuni temi della «fenomenologia storica».

La riduzione érotique

Riprendiamo un passo già citato: «Ogni fenomenologia mette in atto, esplicitamente (Husserl) o implicitamente (Heidegger, Levinas, Henry, Derrida) una riduzione che è il suo banco di prova non negoziabile, perché non si tratta di un concetto tra gli altri, né di una dottrina da discutere, ma di un’operazione — quella con la quale si riconduce l’apparenza dell’apparire all’apparire, come tale, dei fenomeni».30 Anche il fenomeno amoroso31 chiede, perciò, una «sua» riduzione, grazie alla quale esso possa apparire da sé, come tale, a partire da una fenomenalità che non gli sia alienata dalla coscienza trascendentale (come la riduzione husserliana), né dall’essere (Heidegger).32 Già in Réduction et donation questa riduzione era stata tentata come appel, appello o chiamata, come già annunciato. Quest’ulteriore riduzione érotique subentra alla precedente? No: riteniamo piuttosto che si tratti di una ripresa.

La riduzione érotique, di fatti, si articola in tre domande ognuna delle quali attinge un livello più residuale della precedente. Esse sono annunciate in tre diversi momenti del testo, segno, questo, del fatto che la riduzione non può essere detta (come già in Réduction et donation e in Dato che) a prescindere da ciò che essa riduce; o meglio, ciò che è attinto mette già in atto la riduzione. L’appel (riduzione in Réduction et donation) non è, però, una domanda, si dirà. Esso, tuttavia, convoca e, convocando, genera l’interloquito, «soggettività» all’accusativo («ecco me»). Le domande nelle quali si articola la riduzione érotique sono anch’esse un interloquire, un chiamare alla radice: d’une réduction radicale.33 Un chiamare, un interloquire che risponde alla natura dell’ego. Da Husserl abbiamo appreso che «il vero metodo segue dalla natura delle cose da studiare, non dai pregiudizi e modelli precostituiti»;34 l’articolarsi incalzante delle diverse domande della riduzione érotique si colloca in questo sfondo fenomenologico, facendone il proprio programma. Posto che «la cosa da studiare» è l’ego e posto che esso è certo di se stesso e non può dubitare della propria esistenza, fino a che punto tale certezza sarà valida? Per verificare il modo adeguato e verace in cui l’ego è certo di sé, e attingerne la radice, Marion articola le tre domande della riduzione érotique, la prima delle quali è «à quoi bon?», «a che giova?»

Motivo non nuovo, questo, nella fenomenologia di Marion. Già in Dio senza essere, aveva, infatti, parlato della vanità come ciò che è capace di connotare di inutilità l’essere e l’essente.35 L’esistenziale dominante in Réduction et donation era, poi, la noia (ennui) che è sospende l’interesse per l’essere, per il mondo, destituendoli da ogni primato. La certezza della cogitatio può avocare a sé quel primato che la vanità e la noia tolgono all’essere, resistendo all’attacco della domanda «à quoi bon?» No, perché essa è un atto destinato a restare tale fino a quando io decido e voglio che esso accada; di fatto, non ho alcuna ragione assolutamente certa che quel che fino ad ora è stato sarà anche in futuro: posso, infatti, decidere «di non-essere piuttosto che essere».36 L’autarchica certezza che la «metafisica» dà all’ego e che quest’ultimo raggiunge su di sé è, perciò, aporetica37 perché, nonostante il fatto che grazie a quest’ultima l’ego si auto-definisca come «originario e primo, indubitabile», esso «non risale fino all’origine […], si limita ad offrire una certezza che può essere screditata dalla vanità» (perché nulla mi assicura che ciò che adesso decido lo deciderò sempre).38 Ecco, allora, l’alternativa: o «io sono» solo per un mio atto, «ma la mia certezza non è originaria»; o la mia certezza «non proviene da me»:39

Niente più della dimostrazione metafisica dell’esistenza dell’ego mi espone all’attacco della vanità, niente mi espone più della mia pretesa di essere certo a titolo di ego. La certezza attesta il proprio scacco nell’istante stesso della propria riuscita: io acquisisco la mia certezza, ma, così come quella che raggiungo sugli enti del mondo […], essa mi rimanda alla mia iniziativa, dunque a me, arbitrario fautore di ogni certezza, persino della mia. Produrre da me stesso la mia certezza non mi rende certo di nulla, ma mi confonde di fronte alla vanità in persona. A che cosa giova la mia certezza, se dipende ancora da me, se esisto solo grazie a me stesso?40

La vanità, destituendo tale certezza, destituisce anche l’autarchia solipsistica dell’ego. Per raggiungere l’unica assurance (sicurezza) su di sé occorre qualcuno che m’assure, mi garantisca in quanto ego; e «per affrontare quest’esigenza, non si tratta più di ottenere una certezza di essere, ma la risposta ad un’altra domanda — “m’aime t-on”? sono amato?».41 Solo l’ego individuato non dall’essere ma dall’amore resiste all’assalto della vanità; di più «perché io appaia come fenomeno non basta che mi scopra come ente… ma come fenomeno dato (e adonato) così da essere garantito come un dato (donné) al riparo dalla vanità».42 Chi può dare una simile sicurezza? Solo la risposta alla domanda «m’aime-t-on?»; o meglio, «la sicurezza appropriata all’ego dato e adonato», ossia l’unica sicurezza contro la vanità, «mette in atto una riduzione érotique»43 che si esercita come e in questa domanda. L’ego riceve la sicurezza del proprio esistere e, non potendo riceverla da sé, la riceve da altrove, ailleurs. Che genere di altrove, tuttavia?44

Il passaggio dalla certezza aporetica alla sicurezza (assurance) verace e veritiera, avviene pensando l’ego come «fenomeno dato (e adonato)». Questa è la definizione di fenomeno che apprendiamo in Dato che, dove con «fenomeno dato» o «fenomeno in quanto dato» s’intende un fenomeno pensato, come visto, esclusivamente nell’orizzonte della donazione. Potremmo dire che l’ormai noto principio marionien autant de réduction, autant de donation riceva dalla réduction érotique una conferma decisiva? Sì, senza alcun dubbio, anche se è nostro avviso che questa riduzione spinga la donazione verso quell’interdonazione sulla quale Dato che si chiudeva, lasciandola allo stadio di puro annuncio. Se l’ego è fenomeno dato e adonato, esso non è soltanto colui che si riceve dalla donazione ma, di più, che è individuato dalla stessa, individuazione che accade nella sicurezza non autarchica di esistere «da altrove». Ora, con questo «altrove» è compiuto un passo avanti nel quale si decide della fenomenologia di Marion.

In un passaggio di Dato che in cui si parla del fenomeno in quanto dato, Marion osserva che «il fenomeno dato trema in presenza di una fenomenalità che gli viene — intrinsecamente — da altrove, aliunde».45 L’ego è, tuttavia, questo «fenomeno dato», che non trema ma che, addirittura, la riduzione apre intrinsecamente a questo altrove, ailleurs. Si tratta di due accezioni diverse di «dato»? Per il momento ci limitiamo ad avanzare solo quest’ipotesi: l’ego in quanto fenomeno dato è un fenomeno di apertura e rivelativo. Dato, l’ego lo è a tutti gli effetti, perché possiede la principiale delle determinazioni, la più decisiva: esso è evento (événement). Interrogandosi sul senso dell’ailleurs, Marion sottolinea due motivi. Il primo, già noto, è il fatto che, venendo la sicurezza da altrove, l’ego esce dal vagheggiamento onirico dell’autarchia; il secondo è che tale «altrove» interviene come evento e solo così compie, mette in atto la riduzione érotique.46 Con questo «altrove», determinato dalla sua radicale evenemenzialità, non usciamo, dunque, dalla donazione, la quale (come appreso da Dato che) si dà solo nella piega di un dato la cui determinazione principale è l’evento47 e che, soprattutto, infligge le proprie stigmate ad ogni fenomeno dato.48 Se, dunque, ailleurs è colto nella fattispecie dell’evento, quali stigmate «infliggerà» all’ego? Le stigmate, forse, di un’alterità originaria che ferisce l’origine stessa dell’ego; punto in cui il problema dell’alterità incrocia quello dell’amore; finché l’io si limita a cercare una certezza sul proprio conto, non può pretendere di arrivare ad altro che non sia la propria auto-affermazione tautologica; ma quando «l’ego intende affrontare la vanità (che getta discreto sulla sua esistenza chiedendogli “a che giova?”), deve ammettere un’alterità originaria, un’origine che lo altera — ricevo una qualche garanzia sul mio essere solo a partire da altrove».49 Et pourtant, in regime di riduzione érotique, questo punto ultimo non soddisfa Marion, perché «l’amore vi appare ancora per difetto».50 Infatti, sebbene siamo di fatto in regime di riduzione, resta ancora «un’ombra», ossia quella della reciprocità. La radice dell’ego non è stata ancora attinta.

Ecco, perciò, la terza domanda nella quale si articola la riduzione érotique, annunciata nel terzo studio (De l’amant, qu’il s’avance), e così formulata: «posso amare, io, per primo?», comportandomi così come un amant qui s’adonne piuttosto che come aimé donnant-donnant? Questa domanda radicalizza la riduzione stessa, spostando la questione dall’amore ricevuto all’amore «adonato» che resta tale anche se non è accolto. In linea di principio, «di diritto», l’amore resta tale anche se è rifiutato; o meglio, l’amore è tanto più autentico quanto più è capace di esporsi al proprio rifiuto. Questo è quanto Marion chiama la grande esposizione nella quale raggiungo l’assurance, la sicurezza di amare. Solo quando l’amore è libero dall’attitudine naturale che lo pensa secondo lo schema della reciprocità, individua chi ama. In che modo, tuttavia? Permettendogli di raggiungere la sicurezza nella quale ne va dell’ego. Sicurezza che non gli deriva dall’essere né dall’apoditticità trascendentale ma dall’esistere in quanto amant, unica sicurezza al riparo da ogni vanità. In tal senso «la riduzione érotique, compie una riduzione al proprio poiché mi riconduce a ciò che io posso e debbo assumere innanzitutto come mio».51 La sicurezza prima non è un atto del pensiero ma il poter amare per primo. Ricordiamo, però, che autant de réduction, autant de donation: quale donazione accade in questa riduzione érotique? La donazione, o forse, l’interdonazione di altri. Se l’unica ragione dell’amore è l’amore stesso, il movimento che ne segna l’advento, l’evento, l’accadimento non è l’altro ma, al contrario e invertendo la direzione propria dell’attitudine naturale, «altri mi appare (in quanto dato dalla riduzione, ndr.) solo in quanto amo e a seconda del modo in cui amo, perché la mia iniziativa (sempre antecedente) non decide unicamente della mia attitudine nei suoi riguardi, ma soprattutto della sua propria fenomenalità — poiché io per primo la metto in scena, amandola».52

Commentando il passo conclusivo di Dato che, sottolineavamo che, in regime di donazione, altri può fenomenalizzarsi. In regime di riduzione érotique ciò è possibile perché l’amant che l’ego è, «fa apparire altri come amabile (o odiabile) e dunque come visibile nella riduzione érotique».53 Perciò proponiamo di trasformare, d’ora in poi, il principio in: autant de réduction érotique, autant d’interdonation, formulazione che, a nostro avviso, spinge la fenomenologia della donazione oltre se stessa, grazie all’individuazione d’altri. Quest’ultima significa possibilità che altri si fenomenalizzi, che appaia. L’ego è originariamente ferito da un’alterità che lo decentra «verso questo tale autrui, altri»,54 decentramento già implicato nella domanda della riduzione. Chiedendo «posso amare, io, per primo?» io stesso avanzo, procedo verso, compio un’avance che individua l’altro. Così, «l’avance provocata dall’amant, purché risponda alla domanda “posso amare, io, per primo?”, caratterizza definitivamente la riduzione érotique radicalizzata — al punto tale che la riduzione si compie finché l’avance si ripete».55 Altri si fenomenalizza in regime di riduzione érotique grazie all’amant (ego in regime di réduction érotique) che s’avance.

Il movimento della riduzione arriva, così, al suo punto più radicale: esclusa ogni reciprocità, nel momento stesso in cui l’amant s’avance — e grazie al fatto che s’avance — altri si manifesta. Così come in Dato che la riduzione permetteva di raggiungere il dato nella cui piega solo si dà la donazione, allo stesso modo la riduzione érotique permette di attingere altri. Non ne dà, però, solo, il «fenomeno in quanto dato», ma dà il fenomeno d’altri, fenomeno non solo pensabile «di diritto» ma incontrabile «di fatto». Se il movimento della donazione, in Dato che, era sufficiente e bastava a «de-misurare» il fenomeno sulla fenomenalità del dato, nell’interdonazione di cui qui si tratta non è in gioco solo l’ordine «di diritto» della fenomenologia. Il fenomeno amoroso non è solo dato: è un fenomeno incrociato, croisé, dove l’amant che l’ego resta se croise, incrocia altri. Ma in che senso, questo fenomeno è phénomène e érotique, amoroso?

Il fenomeno amoroso d’altri

Amoroso, tale fenomeno lo è nel duplice senso implicato dall’interdonazione stessa. Interdonazione, donazione-tra, reciprocità non pensata secondo l’attitudine naturale ma in regime di riduzione érotique. Detto altrimenti, l’amant e l’altro s’individuano l’un l’altro dandosi reciprocamente la possibilità di apparire, ampliando reciprocamente la propria fenomenalità sulla de-misura della interdonazione. Per questo proponiamo di riscrivere il principio marionien autant de réduction, autant de donation in autant de réduction érotique, autant d’interdonation. Questa diversa formulazione del principio non è una pura e semplice sostituzione di termini (nel senso in cui comunemente impieghiamo l’espressione: mutatis mutandis) perché, a nostro avviso, il dato (residuo del percorso fenomenologico presentato da Marion in Dato che e attinto grazie al principio lì formulato) non è il fenomeno amoroso; detto altrimenti: il dato (donné) o il fenomeno (in quanto) dato non è il fenomeno amoroso d’altri, dove altri è sia l’altro che amato si individua, sia colui che mi dà la carne. Nell’interdonazione, infatti, i poli sono due e non più uno (ossia la donazione che, in Dato che, «dà senza resto»).

Autrui, altri, appare, dunque si manifesta (dunque è) in quanto fenomeno amoroso solo in regime di riduzione érotique perché l’amant, per primo vi si arrischia.56 È possibile amare senza l’amato, dunque fare la propria avance in assenza di colui che — come si vorrebbe — dovrebbe accoglierla? Anche il seduttore fa la propria avance ma nella seduzione altri non si fenomenalizza. Dove, allora, la differenza? Nel fatto che la seduzione considera «l’altro» secondo l’attitudine naturale rovesciandola a proprio profitto, senza amare (sans qu’il aime du tout). La riduzione invece vuole attingere la datità originaria del fenomeno amoroso d’altri; quella datità che dà ad altri la possibilità stessa di fenomenalizzarsi, di apparire. Al contrario del seduttore, «l’amant decide che altri merita il titolo di altri (amato, non oggetto). Ama presupponendo che anche altri finirà per amare»,57 ama per amare portando alla visibilità chi egli ama; facendolo, cioè, apparire. Solo nell’attitudine naturale la reciprocità e la previa visibilità dell’altro hanno il primato. In regime di riduzione érotique, no, perché nonostante il fatto che manchi l’assurance, la sicurezza di essere amato e che l’amato sia, permane la libera decisione di amare. La decisione di «poter amare, io, per primo» non viene intaccata da nulla. Ora, se riguardasse solo me, tale decisione sarebbe frutto di un «puro riflesso narcisistico»; per definizione, invece, essa non è amore di sé perché l’ego che compie tale riduzione (e che da questa stessa è posto) è già ferito dall’alterità, secondo quanto appreso dalla prima domanda della riduzione érotique. Con ciò, la decisione di amare mi individua e mi identifica quando anticipo, mi apro all’altro e, dunque appaio:

Paradossalmente, non appaio quando decido di me stesso e per me stesso, ma quando mi decido per altri, perché egli solo allora può confermarmi che io sono: decidendomi per lui, è grazie a lui che io appaio. Nella mia decisione per altri, nella mia decisione di amare par avance, in anticipo, un altro da me, si decide della mia fenomenalità più propria […]. Non decido di me solo da me stesso, ma grazie allo sguardo d’altri; non per una risoluzione anticipatrice senza testimone né luogo, ma per l’amore che ama in anticipo, purché io, almeno, mi risolva, purché formalmente mi decida a decidermi. Forse, essere il primo ad amare può anche non dipendere da me, ma decidermi a decidermi, sì. Forse, amare in anticipo non dipende da me, ma amare amare, sì. Non c’è nulla che possa separarmi dalla mia libertà di fare l’amant.58

Questa decisione mi dà esistenza fenomenalizzandomi come originario amans, stato che individua la coscienza. Decidendo di amare, l’ego è investito da un’affection59 che equivale «a ciò che la fenomenologia chiama vissuto di coscienza».60 Questo vissuto, però,

benché sia provocato in me da me stesso (in quanto dipende solo da me amare amare), non si limita alla mia soggettività; include indissolubilmente altri come sua propria referenza intenzionale, sempre intenzionata. In quanto tendente a tale o tal altri preciso, che mi ossessiona persino se resta virtuale, questo vissuto si invera come vissuto radicalmente intenzionale — intenzionale di questo altri. Così, la tonalità affettiva che mi qualifica come amant mi offre un’intuizione polarizzata verso un altro da me […]. Per intuizione, intendo qui ciò che potrebbe riempire la significazione intenzionata dall’intenzionalità, così che, divenendogli eventualmente adeguata, essa lascia apparire un fenomeno strettamente inteso.61

Ripresa della fenomenologia, allora, non solo «della donazione» ma anche dei temi della «fenomenologia storica» alla luce dell’interdonazione. L’amore individua l’ego come amans in quanto la decisione che lo accompagna non è «neutra» ma investe la coscienza facendosi suo vissuto affectivo. Non la investe di un vago sentimento ma la plasma, la modifica, la in-forma. In-formandola, però, ne svela al contempo fenomenologicamente l’originaria ferita offrendomi «un’intuizione polarizzata verso un altro da me». La ripresa della fenomenologia, allora, procede e si gioca sul terreno del rapporto intenzione — intuizione — significazione: «Per intuizione, intendo qui ciò che potrebbe riempire la significazione intenzionata dall’intenzionalità, così che, divenendogli eventualmente adeguata, essa lascia apparire un fenomeno strettamente inteso». Ma che genere di fenomeno è quello che qui è «strettamente inteso»?

In Dato che Marion, partendo dall’assunto che «se tutto ciò che sisi mostra, non tutto si mostra e si dà univocamente», si confronta con ogni tipo di fenomeno, dai fenomeni poveri e comuni ai fenomeni saturi.62 La definizione di fenomeno che Marion mantiene è quella annunciata nel § 7 di Sein und Zeit, ossia il fenomeno come ciò che si manifesta a partire da sé. I vari tipi di fenomeno possono, allora, «essere definiti come tante variazioni dell’auto-manifestazione (mostrarsi in e a partire da sé) seguendo il grado di donazione (darsi in e a partire da sé). Distingueremo così, a seconda del loro livello di donazione, tre figure originali della fenomenalità».63 Fenomeni poveri di intuizione sono quelli che appartengono alla matematica o alla logica, per cogliere i quali basta la sola intelligibilità del concetto. Il secondo caso è quello dei fenomeni comuni. Qui «la significazione (misurata attraverso l’intenzione) si manifesta solo nella misura in cui essa riceve un riempimento intuitivo», così che «mostrare secondo concetto (significazione, intenzione, ecc.) precede, determina e a volte annulla la donazione intuitiva (effettività, produzione, intuizione, ecc.)».64 La terza tipologia di fenomeno, quello saturo di intuizione e saturante l’intenzione inverte totalmente la dinamica segnalata dai precedenti: mentre per i fenomeni poveri e di diritto comune, «l’intenzione e il concetto prevedono l’intuizione, ovviano alla sua penuria e delimitano la donazione», nel caso dei fenomeni saturi «l’intuizione oltrepassa l’intenzione, si dispiega senza concetto e lascia la donazione prevenire ogni limitazione ed ogni orizzonte. In questo caso la fenomenalità si regola innanzitutto sulla donazione in modo che il fenomeno non si dia più nella misura in cui si mostra, ma si mostra nella misura in cui (o eventualmente nella de-misura in cui) si dà».65 Fenomeni saturi sono la carne, l’evento, l’idolo, l’icona.66 Nessun accenno, se non per i fenomeni del secondo «gruppo», ossia quelli comuni, alla significazione.

Introducendo, a proposito del fenomeno amoroso, la significazione, Marion riprende un tema della fenomenologia assente in Dato che, dove, a proposito dei fenomeni saturi si parlava di «intuizione saturante l’intenzione» senza alcun accenno alla signification. Questa «sopraggiunge» in risposta ad un problema: «La tonalità affectiva del trovarmi di fatto innamorato — di raggiungere lo statuto di amant — non accede ancora a nessuna significazione. Altri non vi interviene. L’intuizione di amare diventa accecante perché dipende solo dall’amante che, una volta ancora, fa l’amore per primo. Ma, questa volta, la sua priorità gli chiude l’orizzonte».67 Questione di orizzonti, allora, come già si diceva in Dato che, dove Marion cercava un’intuizione che fosse orizzonte a se stessa, libera dall’ego trascendentale.68 Ma l’interdonazione non è la donazione; essa è donazione-tra due adonati, nella quale si (ri)chiede di «fissare una significazione precisa all’intuizione sovrabbondante e vaga che provoca la decisione di amare per primo».69 Inoltre, questa significazione «dovrebbe convalidare la mia intuizione» rendendomi «altri manifesto».70 O meglio, «la significazione non deve rappresentarmi altri ma dovrà acconsentirmi di riceverne l’alterità. Poiché di quest’alterità non faccio esperienza nell’avance di amare amare, dovrò farne esperienza nell’advento (survenue) verso di me della significazione».71 In che modo, tuttavia?

«Essa riuscirà nell’intento se ciò che mi adviene a partire da questa stessa alterità non sorge come qualcosa verso cui termina la mia intenzionalità ma come ciò che mi tocca (affecte) venendo da altrove e a partire da sé. A titolo di significazione provocata non dalla mia intenzionalità ma da una contro-intenzionalità — irrifiutabile choc dell’esteriorità, che contraddice la mia intenzione (visée), la mia previsione e la mia attesa. Affinché altri si manifesti come fenomeno, non debbo attendere l’apporto di un’intuizione ma l’irruzione (arrivage) di una significazione, che tramite la sua intenzione contraddice la mia». Altri mi decentra, mi si impone con una significazione che sovrasta le mie e che mi impone «per la prima volta un’alterità che trascende perfino la mia avance verso l’amare amare».72 Fin qui, tuttavia, non è difficile individuare la traccia di Levinas, ancora più evidente quando, di seguito, Marion parla di visage, volto; andando, in questo punto di stretta tangenza, oltre Levinas e compiendo il «passo» dal quale eravamo partiti: non l’etica, la fenomenologia dell’interdonazione individua «altri».

Il volto mi «trattiene» solo per lo sguardo che posa su di me, per la contro-intenzionalità del nero delle sue pupille. Qual è, tuttavia, la sua significazione più propria? Marion si confronta con il comando levinasiano «Tu non ucciderai!» e chiedendosi con quale diritto il volto avanzi tale pretesa, Marion «si» risponde che alla domanda non c’è risposta, perché ciò che conta è «il fatto che mi significa esattamente questa significazione». E precisa: «Si tratta proprio di un fatto, che costringe tanto quanto un fatto della ragione».73 Uccidendo l’altro, commetto un fatto che, sebbene lasci nel tempo una traccia sempre più labile e sebbene il rimorso si stemperi fino a scomparire, «mi segnerà per sempre, su tutta la superficie della terra e per tutto il tempo che mi resta».74 Per quanto io faccia, la significazione di ciò che ho fatto mi si imporrà sempre perché il volto mi impone la sua significazione, una significazione «che consiste nella prova della sua esteriorità, della sua resistenza e della sua trascendenza verso me».75 In regime di riduzione érotique, allora, torna ad imporsi il primato dell’etica, «si» obietta Marion. Et pourtant, l’amant conquista se stesso proprio cercando di rompere questo litigio (rottura che intendiamo in un duplice senso: sia come «separare i due contendenti», in questo caso éthique e érotique, sia come «farla finita» nel senso di uscire fuori, rompere un binomio ormai classico ma non più efficace per la nuova situazione fenomenologica qui delineata).

Leggere il comando «Tu non ucciderai!» solo come «ingiunzione etica» non coglie tutta la portata della significazione perché «l’ingiunzione “non ucciderai” significa — mi significa — che là dove essa sorge, io non posso andare, se non per uccidere quest’esteriorità».76 Essa significa che ciò che l’amant già cercava amando per primo, non contraddice la riduzione érotique radicalizzata e ne fissa l’intuizione amorosa «restata fino a questo momento vaga».77 Solo il fissarsi di una significazione78 permette al fenomeno di manifestarsi: il volto si manifesta secondo la fenomenalità de-misurata non dalla donazione (secondo l’ipotesi adombrata nella conclusione di Dato che) ma dall’interdonazione che dà il fenomeno amoroso d’altri perché sola ne permette il mostrarsi (autant de réduction érotique, autant d’interdonation). Difatti, «il fenomeno che unisce la tua intuizione immanente alla mia significazione definitivamente distante, nasce dal tuo ritrarti davanti al mio farmi avanti (mon avancée). Il fenomeno amoroso che vuoi vedere ti apparirà solo se fissi in questa significazione in-tatta (intacte, ossia non toccabile) la tua intuizione di amare amare».79 Ecco, allora, una situazione fenomenologicamente del tutto nuova: «La riduzione amorosa (érotique) finisce col porre una sola domanda (che comprende in sé tanto la prima domanda: sono amato da altrove?, quanto la seconda: posso amare, io, per primo?) — la domanda che riguarda l’ipotesi che tale altri possa, a pieno diritto, manifestarsi, possa cioè manifestarsi a partire da se stesso».80 Di domanda in domanda, allora, la riduzione érotique raggiunge il nucleo dell’individuazione d’altri, il suo fenomeno amoroso. Lo raggiunge perché il suo percorso porta altri a manifestarsi così come esso è e a partire da sé, secondo il principio autant de réduction érotique, autant d’interdonation, facendo manifestare l’originalità del fenomeno amoroso come tale:

Il fenomeno d’altri, seguendo il filo conduttore della riduzione amorosa, si distingue da ogni altro fenomeno per il fatto che le sue due facce — l’intuizione e la significazione — non appartengono allo stesso modo alla mia sfera egologica propria. Sembra, certo, che le cose stiano così in tutti gli altri fenomeni, nei quali l’intuizione (categoriale, di essenza o empirica) mi sopraggiunge dall’esterno (in parte o compiendo un adeguamento completo), una significazione che è sempre già data. Ma, qui, non si tratta di pura e semplice esteriorità che non mette mai in causa la signoria del mio ego, il quale è il solo che, in ultima istanza, possa essere «costituente». L’esteriorità che qui mi raggiunge è completamente originaria e si distingue per caratteri completamente nuovi.81

Prima di esaminare questi caratteri totalmente nuovi, riprendiamo una domanda lasciata in sospeso: che genere di fenomeno è il «fenomeno amoroso»? Esso è un fenomeno croisé, incrociato, che nasce da un incrocio. È un fenomeno caratterizzato dall’assenza di ogni primato, tanto del primato dell’ego su altri quanto di altri sull’ego: «Il fenomeno amoroso appare non soltanto in quanto in comune tra me e lui, ma appare solo in questo incrocio. Fenomeno incrociato».82 L’incrocio si compie nel segno della reciprocità. Che genere di reciprocità, tuttavia? Ricordiamo, infatti che siamo sempre in regime di riduzione amorosa, e dunque la reciprocità non può essere quella propria dell’attitudine naturale. Et pourtant, affinché un fenomeno croisé si realizzi occorre un incrocio: di un’intuizione e di una significazione; o meglio, «occorre che la significazione sopraggiunta per il tramite di una contro-intenzionalità non manchi alla mia intuizione». Resta il problema di sapere come si dà questa significazione. Sicuramente non al modo dell’attitudine naturale (ossia come cosa reale o disponibile), ma si dà «in quanto acconsente ad abbandonarsi, in quanto si dà “non potendo non darsi”. Essa si dà dicendo che si dà, come se si desse e come tale da non potersi non dare. Altri può dare la significazione di se stesso solo significandomi».83 Per significarmi, altri deve stabilire una propria durata, deve farmi la propria «promessa». La significazione non è un comando etico ma è un serment, un giuramento nel quale la significazione permette alla mia intuizione di fare apparire il fenomeno d’altri. Fenomeno ora completo perché «l’intuizione che si dis-piega nell’immanenza dell’amant in situazione di riduzione radicalizzata, si conforma perfettamente (s’arrime) alla significazione che il volto d’altri gli assegna».84 In questo regime di strettissima immanenza, e grazie al fenomeno (incrociato) amoroso, inizia a profilarsi un «nuovo» e «vecchio» motivo, quella della trascendenza; motivo che, tuttavia, ci limitiamo a segnalare e che sarà ripreso in conclusione, unitamente al motivo dell’effettività (finora assente).

Ritorniamo, invece, sul significato dell’incrocio. Il fenomeno amoroso non si gioca più tra l’ego e il mondo, ma tra due ego fuori dal mondo (ossia in regime di riduzione amorosa); è lecito, allora, parlare ancora di fenomeno?85 Che cosa mostra, questo fenomeno, «se esso sta tra due ego che gli conferiscono due diverse intuizioni (e due noesi che vi partecipano)?». Formalmente sembra possibile una sola risposta, osserva Marion (formalmente, e dunque secondo la più rigorosa delle riduzioni): quella per cui ogni ego si dà all’altro come significazione: «I due ego giungono al proprio compimento come amants e si lasciano mutuamente apparire come rispettivi fenomeni non secondo una logica immaginaria e di fusione — scambiandosi o condividendo un’intuizione comune —, che abolirebbe la loro comune distanza, ma rendendosi reciprocamente certi di una significazione venuta da altrove — prestandosi entrambi al gioco di uno scambio incrociato di significazioni — e consacrandosi così nella reciproca distanza tra loro».86 Ecco, allora, il senso dell’incrocio: l’incrocio è una doppia entrata — «due intuizioni fissate da una sola significazione».87 «Significazione unica» perché «in comune», condivisa, incrociata e «indirettamente portata alla fenomenalità (mise en phénoménalité) da due intuizioni irriducibili. Un solo fenomeno, perché c’è una sola significazione; ma, tuttavia, un fenomeno la cui entrata è doppia, perché manifestato da due intuizioni». L’amant risponde, così, a due domande nelle quali la riduzione érotique si era già esercitata: egli «vede un unico fenomeno», ossia chi lui stesso ama (posso amare, io, per primo?) e chi lo ama (sono amato — da altrove?); e ciò, per la grazia del giuramento.

Questa è la sola risposta formalmente possibile. Formalmente, ossia che non contraddice nulla di ciò che è stato attinto nel più rigoroso regime fenomenologico di riduzione. Ma a questo formaliter, corrisponde anche un’individuazione effettiva di chi, reciprocamente, pronuncia il proprio giuramento?

La carne, o l’effettività dell’individuazione

L’interdonazione alla donazione l’effettività dell’altro e, con il «principio» autant de réduction érotique, autant d’interdonation, attingiamo il punto dernier in cui altri si fenomenalizza. Il percorso, però, si svolge ancora in un livello «fenomenologico-epistemologico» di indagine delle condizioni del fenomeno. Siamo, difatti, in regime di rigorosa riduzione. Condizioni, allora, sì, ma non di possibilità, secondo il traguardo raggiunto da Dato che. La riduzione qui proposta è strutturalmente (sebbene non formalmente) diversa da quella annunciata dal principio autant de réduction, autant de donation; questa nostra lettura si espone d’emblée ad un’obiezione: quella di voler fare di donazione e interdonazione due «cose stesse» distinte. Secondo un’usata abitudine, rovesciamo la questione. La rovesciamo in forza della riduzione.

Riprendiamo un passo già citato: «Ogni fenomenologia mette in atto, esplicitamente (Husserl) o implicitamente (Heidegger, Levinas, Henry, Derrida) una riduzione che è il suo banco di prova non negoziabile, perché non si tratta di un concetto tra gli altri, né di una dottrina da discutere, ma di un’operazione — quella con la quale si riconduce l’apparenza dell’apparire all’apparire, come tale, dei fenomeni».88 Commentando questo passo, osservavamo che Marion mette in atto la riduzione come appel, convocazione che viene dalle «cose stesse» e non imposta alle «cose stesse» dal «soggetto trascendentale». Ne Le phénomène érotique la convocazione si esercita nella forma della domanda che fa mostrare l’interdonation. In questa domanda, c’è un «dato» che s’impone subito come «non negoziabile»: l’alterità. Ne abbiamo seguito il movimento fin dall’inizio, nell’ailleurs, nella nuova configurazione dell’ego come apertura. Questo ego trafitto di alterità, strutturalmente al riparo dall’accusa di solipsismo, è fenomeno originalmente (nel duplice senso del francese originel e originaire) amoroso: si mostra in quanto fenomeno amoroso, fenomeno d’amore che convoca a sé, guidando ogni successiva manifestazione e ogni ulteriore passaggio fenomenologico. Il fenomeno amoroso, tuttavia, si scopre, si manifesta come duplice, croisé, a doppia entrata; la riduzione che esso mette in atto è, dunque, già donazione-tra, interdonazione. Per un verso, allora, interdonazione (donazione-tra) e donazione sono una «cosa stessa»; per altro verso, però, questo «tra» è di più. È «di più» perché rimette in gioco una trascendenza troppo rapidamente esclusa da Dato che (anticipiamo qui quanto la traccia che seguiremo solo alla fine del nostro percorso). È «di più», inoltre, anche perché rivela (senza velare, portando effettivamente a manifestazione) l’altro. Questo «altro» non è «l’estraneo» colto nell’ego come ciò che si contrappone alla «sfera del proprio» ma è l’effettivamente «altro» che incrocia l’ego nel fenomeno amoroso. Convocando a sé (riduzione), il fenomeno amoroso manifesta il proprio «sé» come incrocio dell’intuizione di due ego, le cui intuizioni, tuttavia, si ricongiungono in un’unica significazione. Qual è, allora, il modo di donazione di questo fenomeno? È la significazione, quell’unica significazione che convocandomi (e dunque riducendomi) mi svela l’alterità originaria che è al cuore dell’unico fenomeno adeguato nel quale l’ego possa manifestarsi, ossia il fenomeno amoroso. Le due intuizioni incrociate, allora, manifestano l’unica significazione che le conferma; l’unica significazione che le conferma, manifesta reciprocamente le due intuizioni che definiscono questo particolare fenomeno. Particolare e singolare così come lo è ogni singola esistenza umana!

Il fenomeno amoroso, phénomène croisé, in questo duplice gioco, manifesta i due ego che con esso si danno. Il «tra» dell’interdonazione è, allora, l’unica significazione nella quale due intuizioni s’incrociano. Si incrociano effettivamente, secondo un modo dell’effettività che non è mera presenza, ma secondo quella particolare realtà che l’amore conferisce. Vi sono passi in cui Marion stigmatizza l’effettività come residuo di presenza intesa al di fuori del regime di riduzione. E tuttavia, il ricorso alla significazione (oltre ad essere un’eredità levinasiana), è — a nostro avviso — il segno che quanto un rigoroso divieto fenomenologico dà tanto a temere (ossia il divieto di porre presenze «trascendenti» compiendo la fallace metábasis eis állo génos89 condannata da Husserl) può essere «fenomenologicamente ripreso». Derrida ha interpretato l’autonomia della significazione rispetto ad intuizione e intenzione proprio in questo senso, come sopravvivenza di «presenza». Il fenomeno amoroso va fenomenologicamente oltre questa critica (sebbene non sia formulato in opposizione a Derrida). Il giuramento (forma nella quale la significazione si dà) non è «presenza» ma è effettività; è una forma particolare di realtà, figurata (ossia che assume volto, figura) dal fenomeno (radicalmente ridotto e dunque dato) amoroso. Se la significazione, allora, è il «tra» della donazione (interdonazione), tale «tra» dà alla donazione l’effettività. Detto altrimenti: l’originaria dualità che entra fenomenologicamente nel fenomeno amoroso, dove l’alterità trafigge fin dall’origine l’ego il cui volto può essere adeguatamente tracciato solo da tale fenomeno, dà alla donazione quell’effettività che nessun altro fenomeno, neppure quelli saturi, potevano darle. Il fenomeno érotique è un fenomeno unico ed originale, diverso da tutti gli altri, perché dà l’effettività. Quale effettività, tuttavia? L’interdonazione l’effettività dell’altro. Perché, tuttavia, abbiamo «bisogno» di quest’effettività? Perché la donazione stessa sia: la donazione (stessa), cioè, senza il «tra» dell’interdonazione è mancante, manca. Ecco la questione che l’individuazione di altri ci permette di affrontare.

Rendere visibile la comunione di una dualità: questo è lo scopo del fenomeno amoroso. Et pourtant, senza «l’occasione di un amant effettivo, l’eccomi (ossia l’avance de l’amant, il suo presentarsi, ndr.) non esprime ancora nessuna significazione».90 Quest’effettività è l’individuazione dell’amant. I tratti che lo individuano sono: 1. il desiderio. «Nato dalla pura e semplice mancanza d’altri, il desiderio dell’amant lo tocca (l’affecte) senza che egli sappia perché né per chi — e questo lo individua radicalmente. Divengo me stesso e mi riconosco nella mia singolarità, quando scopro e accolgo colui che io desidero; egli solo manifesta il mio centro più segreto,91 colui che mi mancava e mi manca ancora, colui la cui chiara assenza mette già da tempo a fuoco la mia oscura presenza a me stesso».92 Solo l’amore individua l’altro, innanzitutto come desiderio: «Il mio desiderio mi dice a me stesso mostrandomi ciò che mi anima, mi dà vita (m’excite). Questo momento, in cui il desiderio mi fissa in me stesso bloccando il mio sguardo su tal altro […] è un momento in cui scoprendo un volto, una voce o una figura (silhouette), confesso a me stesso che “questa volta è per me” […]; in questo istante mi rendo conto che sto per divenirne l’amant; in questo istante tale “altri” diventa per me un affare personale e mi appare differente da tutti gli altri, riservato a me e io a lui; mi destina a se stesso e io mi individualizzo per suo tramite; mi assegna a me stesso en m’affectant à lui, modificando la mia affectività di se stesso».93 Primo tratto dell’individuazione (e dunque primo e decisivo congedo da Levinas): non si tratta più di «altri» ma di «questo altro» che mi convoca, mi si presenta dandomi a me stesso.94 Secondo tratto: l’eternità. Amare, per l’amant, è un fatto irreversibile ed eterno, perché in esso ne va dell’ego stesso.95 Terzo tratto, la passività, che assume tre forme: il giuramento («la significazione del fenomeno amoroso»), che «mi fa evidentemente dipendere da altri»;96 significazione che posso solo ricevere. Seconda forma, l’avance. Nell’avance altri non appare ancora ma è comunque aperto il primo pertugio dell’intuizione: «Io, già e da me stesso, amavo con un’intuizione ancora senza referenza, ma che tuttavia è accaduta […]. La mia intuizione amorosa — amare amare, amare come se — pur non avendo un’intenzionalità già fissata, dis-piegava in sé un’intenzionalità effettiva, benché cieca».97 L’intuizione, perciò, «m’affecte, mi tocca con un’alterità quasi disarmante, che sopraggiunge anche senza altri».98 Terza forma della passività: l’assunzione del rischio, che consiste nel «disfarmi dell’attività di un ego che si pone tramite l’identità di sé a sé […] per fare l’amant senza garanzia di ritorno».99 Il tratto della passività, tra i tre, è quello che viene però effettivamente declinato da Marion. Perché l’effettività è «affaire de la chair», affare che implica la carne, ma chair et la sienne.100

A tal proposito Marion afferma un «principio fenomenologico fondamentale»: nessuna carne può, per definizione apparire come corpo, tanto più la carne di altri.101 Essa si fenomenalizza, tuttavia, senza farsi vedere, lasciandosi sentire e provare (sentir et ressentir). Il suo fenomenalizzarsi è chiarito per contrasto con il corpo: colgo quest’ultimo come resistenza che sento e provo, come ciò che non posso permeare ma che resta, opaco, davanti a me. Ora, «se mai io potrò incontrare un’altra carne, la carne d’altri, essa dovrà per definizione comportarsi in modo contrario a quello in cui si comportano i corpi fisici, cioè come si comporta la mia carne quando li incontra — non opponendo resistenza, ritirandosi, lasciandosi spogliare della sua impenetrabilità, soffrendo nel lasciarsi penetrare».102 Questo incontro deve poter avvenire nel mondo nel quale sono compreso103 e dal quale solo l’incontro con una carne può farmi uscire. Tale uscita coincide con la mia individuazione, o meglio: con l’individuazione della mia carne ad opera di altri, cosa che mi permette di estendermi, di distendermi, di penetrare senza trovare resistenza; individuazione che è liberazione dal mondo come orizzonte:

Mi libero e posso divenire me stesso solo toccando un’altra carne allo stesso modo in cui si tocca un porto, perché solo un’altra carne può farmi posto, può accogliermi, non respingermi, non resistermi — concedere alla mia carne un diritto e rivelarla a me stesso disponendo un posto. E dove l’altra carne potrà mai far posto alla mia, se non in sé? Poiché il mondo non fa posto, un’altra carne deve farmene stringendosi per me, lasciando che io sorga in essa, lasciandosi penetrare […]. Entrando nella carne di altri, esco dal mondo e divento carne nella sua carne, carne della sua carne. Altri mi dà a me stesso per la prima volta, poiché prende l’iniziativa di darmi la mia propria carne per la prima volta. Mi risveglia perché mi in-amora (érotise).104

Nell’in-amorare cui la carne è condotta e reciprocamente conduce altri, accade un duplice movimento: secondo una direzione, io sono dato a me stesso (adonato) in quanto carne che effettivamente si risveglia grazie e per altri, individuandomi; altri, però (secondo movimento) non è più genericamente altri ma si individua in quanto questo altro, questa carne che effettivamente mi individua e si individua. Così, «la decisione ancora astratta di fare come se io amassi per primo e di ricevere la significazione di altri nel reciproco “eccomi” del giuramento, si compie nell’unico in-amoramento (érotisation) di ognuno di noi per il tramite dell’altro. La carne, ormai in-amorata fino in fondo, compie l’amant in un adonato — colui che si riceve da ciò che riceve e che dà ciò che non ha».105

Questo è il culmine della reciprocità: altri mi dà ciò che non ha e, reciprocamente, io gli do quello che non ha, permettendo al fenomeno di altri di compiersi nella più stretta immanenza;106 permettendo alla carne di diventare ciò che il «mondo» gli impedisce di «fare», di farsi cioè fenomeno. Sorge, però, a questo punto, una difficoltà: «Se la mia carne in-amorata da altri, che me la dona, ne manifesta l’unico fenomeno, altri (si) mostra ancora (come) un volto in questa carne che è mia?». E ancora: «Il volto conserva il proprio privilegio fenomenologico di noema infinito al di là di tutte le mie noesi?».107 Ci attardiamo ancora su questi passi108 perché in essi si consuma di nuovo il congedo dall’etica di Levinas. Marion risponde che «una volta in-amorato altri (si) mostra ancor più evidentemente (come) un volto, poiché riceve da me la propria carne nella gloria, o piuttosto riceve da me una gloria che illumina innanzitutto il volto». In questo prendere luce, accendersi, illuminarsi del volto, intravediamo un segno della positività di questo percorso. Tale positività, che la scelta della «donazione» già conferisce epistemologicamente alla fenomenologia,109 è quanto contrappone la carne al mondo: se il mondo è opaco e resistente, la carne è gloria luminosa. Gloria illuminante nella quale culmina l’individuazione dell’altro. Individuazione che raggiunge il volto (anch’esso in-amorato), volto il cui comando non sarà più «Tu non ucciderai!», dunque un comando etico perché l’universale è stato abbandonato «per procurarci l’un l’altro la particolarità — la mia e la sua, perché si tratta di me e di te e non di un prossimo che, in maniera universale, ci obbliga».110

L’interdonazione alla donazione l’effettività dell’altro. A questo annuncio, più volte riecheggiato, ora possiamo aggiungere: nella reciprocità nella quale «due» si individuano in un unico fenomeno: «In situazione di in-amoramento reciproco, in cui ciascuno dà all’altro la carne che non ha, ognuno cerca soltanto di individualizzarsi individualizzando altri, dunque trapassa e trasgredisce l’universale».111 «L’uno e l’altro», perciò, siamo insostituibili («io non posso sostituire un altro altri a questo, né soprattutto me a lui») perché qui è in gioco il proprio «sé», trafitto di alterità; si tratta, cioè, della propria effettiva individuazione, di un’individuazione «di diritto» e «di fatto», poiché divengo «adonato» non solo perché ricevo la donazione — secondo il percorso già tracciato da Dato che — ma perché ricevo l’effettività della mia carne à moi, della carne che mi individua e che do all’altro.112 Che mi individua fino all’ultima haecceitas, ossia individuando la mia persona in «questo cuore d’autrui, di altri» definito dalla «pura intenzionalità dell’amant in riduzione amorosa».113 Il fenomeno d’altri, infine, appare «solo nella luce bianca dell’in-amoramento»114 nel quale l’ego conosce la sua ultima de-figurazione; quella che lo apre alla trascendenza.115

4. L’ego de-figurato: la trascendenza, à nouveau

Messo fuori-essere (nel senso in cui un naviglio, una volta che è messo fuori dalle acque è protetto dal rovinio da esse causato, sebbene vi resti esposto, o nel senso in cui un liquore non si sottrae agli anni, ma li accumula fino a trasmutarli nel proprio spirito [esprit]), l’Io può offrirsi altre trascendenze che la riduzione, incessantemente radicalizzata, come una nuova apofantica, gli aprirà. Queste trascendenze, noi non siamo ancora in grado di nominarle, eppure la fenomenologia non esige niente di meno.116

In Dato che, queste nuove trascendenze sembravano esser state abbandonate da Marion a vantaggio di un’esplorazione dell’immanenza tanto rigorosa quanto absoluta.117 A conclusione di questo percorso all’interno dell’individuazione di altri, dell’altro, sembrerebbe, però, che la trascendenza, nell’opera del 1997, sia mancata proprio perché è mancato questo «altri». Precisiamo: i fenomeni esaminati tanto in Dato che quanto in De surcroît (ossia i fenomeni saturi), chiedevano, per essere «intesi», la sola fenomenalità de-misurata dalla donazione. Il fenomeno amoroso, attinto in regime di rigorosa riduzione, sebbene immanente, rivela un tratto diverso: esso, con una serie di percorsi e analisi fenomenologiche, è indagato per mostrare che l’ego è per (nel senso di «in grazia di») l’amore dell’altro. L’altro, cioè, de-figura l’ego. Lo de-figura, non lo «sfigura» togliendogli il volto ma gli dà i molti volti che amore dell’altro, individuandolo, gli dà; «molti volti» che non sono indistintamente «tutti i volti» ma i volti che questo altro (che entra nel phénomène érotique croisé) mi dà e che io gli do. Perché, tuttavia, à nouveau la trascendenza e, soprattutto, che genere di trascendenza? Non certo la «posizione di una presenza trascendente» ma la trascendenza come apertura: «L’Io può offrirsi altre trascendenze che la riduzione, incessantemente radicalizzata, come una nuova apofantica, gli aprirà», come Réduction et donation auspicava. Il programma annunciato nel 1989 ha atteso il fenomeno amoroso per essere attuato, per arrivare ad una trascendenza che non fosse la «trascendenza nell’immanenza» husserliana118 ma che fosse effettivamente altra dall’ego.

Già il fenomeno amoroso ha tracciato la via di quest’alterità; di più: «Grazie all’esperienza della vanità e della riduzione érotique, so che la mia intimità mi adviene da altrove e vi rinvia. L’amant diviene se stesso solo mutandosi (s’altérant) ed esso muta solo grazie ad altri, guardiano ultimo della mia ipseità. Che, senza di lui resta inaccessibile».119 Questo scambio è una ri-creazione continua, è uno scambio mai interrotto di giuramenti del quale — ultimo passaggio che Marion compie — un terzo deve diventare garante. Garanzia introdotta perché Marion è ben cosciente della fragilità del giuramento degli amants. Ma se io mi ricevo da altri, ne ricevo l’ipseità così come ne ho ricevuto la significazione nel serment e la carne nell’in-amoramento, la fragilità non rischia, forse, di minacciare la de-figurazione stessa dell’ego? Non solo la fragilità, inoltre, espone a questa minaccia, ma le esperienze che contraddicono l’amore ne sono una ancor più facile declinazione e una comune (per non dire quotidiana) esperienza. Ecco allora l’assurance, la sicurezza avallata dal «terzo»,120 la cui legittimità sta nell’appartenere alla medesima riduzione érotique che dà l’amant: «Questo terzo non avrebbe nessuna legittimità per assurer, dare sicurezza al nostro giuramento, dunque al nostro compimento secondo la riduzione érotique se non appartenesse esso stesso a questa riduzione érotique; detto altrimenti, se non ne provenisse, se non ne dipendesse, se non appartenesse egli stesso alla riduzione érotique».121

Il terzo, diverso dall’ego e dall’altro ma testimone e garante del loro reciproco serment, entra nel fenomeno (incrociato) amoroso fenomenalizzandolo con il proprio fenomeno: è un terzo fenomeno. L’interdonazione, donazione-tra, il «tra» della donazione, dà alla donazione una novità: è la novità del «terzo» che si fa garante del nostro serment. Ora, tale garante, in un primo momento, è l’enfant, il figlio, che si produrrà e fenomenalizzerà nella visibilità amorosa solo per «ri-produrre ciò che non si dà a vedere, il nostro giuramento, la sua sorte (ses heurs), buona o cattiva sorte (bonheurs et malheurs)». Figlio che «ri-produce nella propria visibilità, la visibilità ripetitiva del nostro giuramento pro-ducendosi a partire da questo stesso giuramento».122 Bref, il fenomeno (incrociato) amoroso chiede la propria verifica nell’apparizione di ciò che ne apre fenomenologicamente, ossia apparendo, la visibilità. Ciò non contraddice il rigoroso regime della riduzione perché è questo medesimo regime a rendere possibile il fenomeno del terzo.123 Nonostante gli appelli alla possibilità, però, al contrario di quanto accadeva in precedenza (ossia in Dato che e in De surcroît) per i fenomeni saturi, qui Marion tenta un piano diverso: quello dell’effettività. Questa non è la semplice presenza, ma è la possibilità incoativamente aperta al reale, trafitta di effettività, che l’altro non resti solo un’ipotesi «di diritto» ma un «dato» «di fatto».

Tale possibilità incoativamente aperta all’effettività ci pare suggellata da quest’affermazione: «Il giuramento (serment) rende possibile il figlio, ma solo il figlio rende effettivo il giuramento: i genitori generano il figlio nel tempo, ma il figlio fissa gli amants fuori dal loro tempo».124 Il terzo, «tra» ego e altro rende effettivo il percorso fin qui compiuto: rende effettivo, cioè, l’amore dell’altro suggellandolo con una trascendente apertura di novità che apre il circolo ego-altro esponendo ogni singolo ego alla novità che egli stesso inaugura. La difficoltà che di seguito a queste affermazioni Marion si pone (che cioè anche il terzo può «andarsene» e non confermare effettivamente l’unione) non fa che confermare questo assunto: sebbene nulla ci garantisca che l’amant possa decidere sempre di amare, niente vieta che egli decida in ogni istante di amare altrimenti, come se «il prossimo atto fosse la sua ultima istanza».125 Che il prossimo atto sia l’ultima istanza significa: «Ama come se il prossimo istante della tua riduzione érotique fosse l’ultima istanza del tuo giuramento. O ancora: ama ora come se il tuo prossimo atto d’amore portasse a compimento la tua ultima possibilità di amare».126 Cogliamo in questo «come se» dell’ultima istanza una delle figure della de-figurazione messa in atto dalla trascendenza nei riguardi dell’ego, laddove tale de-figurazione è apertura effettiva (intendo così la trascendenza non come «presenza» trascendente ma, appunto, come «apertura»).127 Apertura effettiva in quanto «effettivante» un fenomeno amoroso che «va effettivato», va posto «in effetti» perché in esso ne va dell’assurance, della garanzia, della sicurezza che l’ego raggiunge su di sé. Ego trafitto dall’alterità trascendente, nell’amore. Anticipando l’istanza ultima, l’ego ama «in ogni istante (possibilità) come se questo istante dovesse essere l’ultima istanza per fare l’amore (effettività)».128 L’ultimo passo che, con Marion, compiamo per verificare il percorso fin qui fatto, e per rispondere alla «nostra» esigenza di «effettuazione», è ancora una ripresa della fenomenologia: o meglio, della riduzione. È possibile pensare quest’ultima (nella sua formulazione «amorosa») non più a partire dall’ego ma da altri? La risposta (marionienne) è positiva. Perché, tuttavia, ci chiediamo? La risposta (nostra) è che ciò sia possibile per la de-figurazione dell’ego messa in effetti dalla trascendenza, de-figurazione di cui individuiamo ora una seconda figura (o momento).

La riduzione érotique si è articolata in tre convocazioni sempre più radicali: dopo la messa tra parentesi del «mondo» e dell’«ego metafisicamente concepito» tramite la domanda «a quoi bon? », essa si è esercita prima nella forma «sono amato — da altrove?» e poi «posso amare, io, per primo?». Affinché il fenomeno amoroso abbia una sua «effettività», occorre, però, una verifica; verifica che si sposta dall’ego e da altri verso il terzo che, tuttavia, può scomparire (il figlio può andarsene, come ogni determinazione «ontica»). In tal caso, si danno a noi solo due vie di interpretazioni del testo marionien: o il discorso si conclude con lo scacco dell’amore, o con l’apertura dell’effettività di «chi» rende effettivamente e «sempre» possibile l’ego (trafiggendolo di sé). Fin dall’inizio di queste pagine abbiamo detto che l’ego è trafitto d’alterità, ferita che figuriamo con l’ultima delle domande della riduzione proposta da Marion: «Toi, tu m’as aimé le premier», «Tu, mi hai amato per primo».

Nella mia avance in quanto amant, colgo che altri aveva iniziato ad amarmi prima che io avanzassi verso lui. Egli ha preceduto la mia avance, l’ha attratta; di più, «perché io entri nella riduzione amorosa, occorreva che un altro amant mi avesse preceduto, mi convocasse in silenzio».129 Mi trafiggesse di sé, perché io potessi raggiungere sul mio conto una certezza verace, ossia non raggiunta al modo in cui la raggiungo sugli oggetti del mondo o sui dati matematici. Una certezza adeguata alla novità effettiva che ogni ego e altro arreca al mondo. L’altro, altri trafigge l’ego già nel punto più radicale nel quale esso s’interroga su di sé (riduzione amorosa). «Autant de réduction érotique, autant d’interdonation»: tanto di riduzione amorosa, altrettanto di donazione-tra. Che cosa è dato-tra, tuttavia? L’amore, che, così come il principio indica, «si definisce come si dis-piega — a partire dalla riduzione amorosa e unicamente in essa»,130 secondo l’univocità, unico modo nel quale l’amore si dice.131 È l’amore che, mostrato dalla riduzione érotique, si dà. Amore che de-figura l’ego perché si dà nella riduzione che esso stesso «pratica» e che lo fa amant, dandogli la sicurezza di «essere» in quanto è, in prima e ultima istanza, amato.

Questa seconda forma di de-figurazione dell’ego non è, però, «anonima» e Marion, per la prima volta da Dio senza essere, azzarda un nome: «Dio», sul quale si aprono le battute conclusive de Le phénomène érotique; Dio che (dice Marion con affermazioni che introducono una «sorta» di analogia) «ama nello stesso senso in cui amiamo noi» perché «tutto ciò che si comprende a partire dalla riduzione amorosa si fenomenalizza secondo un’unica logica […]. La logica della riduzione amorosa, Dio la pratica come noi, con noi, seguendo il nostro stesso rito e ritmo, al punto che possiamo legittimamente chiederci se non apprendiamo tutto ciò direttamente da Lui, da Lui e da nessun altro».132 Dio, certo ama infinitamente meglio di noi, ama per primo e per ultimo, ama come nessuno è capace di amare: «Dio ci precede e ci trascende, ma innanzitutto e soprattutto ci precede in questo, nel fatto che ci ama infinitamente meglio di quanto noi non amiamo e non lo amiamo. Dio ci surpasse, ci supera a titolo di meilleur amant».133

Questa è la trascendenza ultima, effettivamente aperta perché ogni amore sia possibile. Dall’amore dell’ego come unica forma di assurance, all’amore dell’altro (nel senso del genitivo oggettivo) all’amore dell’Altro (nel senso del genitivo soggettivo) non si compie nessun percorso. Un percorso, piuttosto, si fenomenalizza convocando e, convocando, apre l’ego a ciò che lo de-figura dandolo effettivamente e adeguatamente quale esso è, segno efficace nella storia. In questa conclusione troviamo l’annuncio marionien pronunciato in Réduction et donation, che citiamo come refrain di queste ultime pagine:

Messo fuori-essere […] l’Io può offrirsi altre trascendenze che la riduzione, incessantemente radicalizzata, come una nuova apofantica, gli aprirà. Queste trascendenze, noi non siamo ancora in grado di nominarle, eppure la fenomenologia non esige niente di meno.

Ma le trascendenze cui l’ego può fenomenologicamente offrirsi dopo la destituzione dell’ontologia, potrebbero essere «più» che aperte dalla fenomenologia? La fenomenologia non può, forse, per vocazione, limitarsi a tale apertura? Questa, però è una storia altra che, forse, dall’amore dell’Altro può iniziare. Di inizio in inizio, secondo inizi che non avranno mai fine, per strade che non mancheranno mai. Strade che possono essere anche altre dalla fenomenologia.


  1. J. Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, Galilée, Paris 1998 (nouvelle édition augmentée), p. 10. ↩︎

  2. J.-L. Marion, D’autrui à l’individu, in Id. (éd.), Emmanuel Levinas. Positivité et transcendance, Puf, Paris 2000, pp. 287-308. ↩︎

  3. Cf. ivi, p. 296. ↩︎

  4. Ivi, p. 299. ↩︎

  5. Per i passaggi qui riassunti o citati, cf. ivi, p. 300. ↩︎

  6. Ivi, p. 300. ↩︎

  7. J.-L. Marion, Le phénomène érotique, Grasset, Paris 2003, p. 22. La traduzione dei passi citati da quest’opera, così come dai testi non tradotti, è nostra. Le citazioni dei testi tradotti si riferiscono all’edizione italiana. Gli ultimi tre libri cui Marion fa riferimento sono Réduction et donation (Puf, Paris 1989); Étant donné (Puf, Paris 1997, 19982; tr. it. di R. Caldarone, a cura di N. Reali, Dato che, Sei, Torino 2001, edizione cui si riferiranno le nostre citazioni); De surcroît. Études sur les phénomènes saturés (Puf, Paris 2001). ↩︎

  8. Fable: «Par le mot par commence donc ce texte / Dont la première ligne dit la vérité, / Mais ce tain sous lune et l’autre / Peut-il être toléré? / Cher lecteur déjà tu juges / Là de nos difficultés… / (Après sept ans de malheurs / Elle brisa son miroir). Poesia citata d’après Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, p. 19. ↩︎

  9. L’espressione «carattere originale ma non originario dell’invenzione» è nostra, ma, almeno ci pare, legittimata dal testo di Derrida. La musica ce ne offre, d’altronde, un esempio: «invenzione» è, infatti, una composizione in forma libera in stile imitato. Si obietterà che i temi sono inventati, obiezione cui risponderemo che, evidentemente non ogni invenzione può essere detta in senso univoco (al figlio si dà nascita ma un’opera d’arte è invenzione in modo diverso). Nessuna composizione in stile imitato, però, si sottrae a schemi e costruzioni «già» dati, rappresentando, così, una novità all’interno di una tradizione. ↩︎

  10. E «prepararsi a questa venuta dell’altro è quanto possiamo chiamare decostruzione» (Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, p. 53). Sull’evento dell’altro in Derrida si veda C. Resta, L’evento dell’altro. Etica e politica in Jacques Derrida, Bollati Boringhieri, Torino 2003. ↩︎

  11. Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, p. 53. ↩︎

  12. Ivi, p. 58. ↩︎

  13. Per questi passi cf. ivi, p. 59. Sull’impossibile si veda, ancora, Resta, L’evento dell’altro, cap. II, L’evento e (è) l’impossibile, pp. 31-43. Sul possibile in Derrida si veda il bel volume di S. Petrosino, Jacques Derrida e la legge del possibile. Un’introduzione, Jaca Book, Milano 1997. ↩︎

  14. Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, p. 60. ↩︎

  15. Con epistemologia, epistemologico e i termini derivati intenderemo sempre la «condizione» di possibilità che qualcosa sia, la ratio che spiega e motiva ogni «cosa» e/o fenomeno. ↩︎

  16. Cf. C. Romano, L’événement et le monde, Puf, Paris 1998; Id., L’événement et le temps, Puf, Paris 1999. L’aggettivo événementiel qualifica, nell’opera di Romano, l’ermeneutica in quanto originariamente segnata dall’evento. ↩︎

  17. Cf. sul tema Resta, L’evento dell’altro, p. 15; pp. 44-98 (cap. terzo: Politiche dell’ospitalità) e, soprattutto, il capitolo quarto: Un contatto nel cuore di un chiasmo: Derrida e Levinas (pp. 99-138). Sull’argomento, di Derrida segnaliamo testi ormai noti: De l’hospitalité, Calmann-Lévy, Paris 1997; tr. it. a cura di I. Landolfi, Sull’ospitalità, Baldini & Castoldi, Milano 2000; Cosmopolites de tous les pays encore un effort! , Galilée, Paris 1997; Adieu à Emmanuel Levinas, Galilée, Paris 1997; tr. it. Addio a Emmanuel Levinas, Jaca Book, Milano; Politiques de l’amitié, Galilée, Paris 1994; tr. it. di G. Chiurazzi, Politiche dell’amicizia, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995; Du droit à la philosophie, Galilée, Paris 1990; parzialmente tradotto in italiano da E. Sergio nel volume curato da F. Garritano dal titolo Del diritto alla Filosofia, Abramo, Catanzaro 1999. Ci permettiamo di rinviare anche al nostro Responsabilità e accoglienza. Un dialogo con Jacques Derrida e Jean-Luc Marion, in G. L. Brena (ed.), La libertà in questione, Edizioni Messaggero, Padova 2002, pp. 163-194. ↩︎

  18. Marion, Dato che, pp. 394-395. ↩︎

  19. Marion, De surcroît, p. 54. Con «banco di prova» traduciamo la ben più suggestiva espressione francese «pierre de touche», ossia il touchau con il quale è testata la purezza dei metalli ↩︎

  20. Ivi, p. 56. ↩︎

  21. Questa liberazione della donation dall’ontologia è condotta da Marion tanto in Réduction et donation quanto nel primo libro di Dato che, in particolare nel § 3, L’oggettualità e l’entità, pp. 30-46. Ci permettiamo di rinviare, per una lettura della destituzione dell’ontologia messa in atto da Marion, al nostro Destituzione dell’ontologia e rovesciamento della fenomenologia. Destituzione dell’ontologia e rovesciamento della fenomenologia, in G. Ferretti (ed.), Fenomenologia della donazione. A proposito di *Dato che di Jean-Luc Marion*, Morlacchi, Perugia 2002, pp. 25-63. ↩︎

  22. Marion, Dato che, p. 46. ↩︎

  23. Ivi, p. 68. ↩︎

  24. Ivi, p. 323. ↩︎

  25. Ivi, pp. 323-324. ↩︎

  26. Ivi, pp. 327-328. ↩︎

  27. Cf. ivi, pp. 328-331. ↩︎

  28. Marion, Réduction et donation, p. 10. ↩︎

  29. «Dato che riprende anche alcune questioni lasciate in sospeso da un libro precedente, Dio senza essere. Lì si trattava di sottrarre la questione di Dio non solo alla metafisica (e alla sorte della “morte di Dio”), ma a ciò che rendeva possibile l’interrogazione, divenuta tanto ossessiva quanto imprecisa, sull’“esistenza di Dio”, e cioè l’orizzonte ininterrogato dell’essere come unico quadro supposto per la sua presenza. Il versante critico di questo saggio si compiva bene nel campo della filosofia. Ma non potevamo, almeno allora, intravedere il suo versante costruttivo (l’accesso alla carità) se non ricorrendo alla teologia (da cui la seconda parte “Fuori testo”). Mancava allora un metodo filosofico non metafisico — la fenomenologia» (Marion, Dato che, p. XII dell’edizione italiana). ↩︎

  30. Marion, De surcroît, p. 54. ↩︎

  31. Entrando nel merito dell’ultimo testo di Marion, s’impone una questione traduttiva: come intendere, infatti phénomène érotique? Proponiamo di tradurlo con fenomeno amoroso, sebbene la traduzione non possa essere univocamente applicata ai diversi usi dell’aggettivo e del verbo érotiser, spesso impiegato. Quando érotique aggettiva la riduzione (réduction érotique) proponiamo l’aggettivo «amorosa» o l’impiego del termine in francese. Riguardo al verbo érotiser, ci esprimeremo a suo tempo, proponendone la traduzione sulla scia dell’impiego e del senso che assume nel testo marionien↩︎

  32. Marion si propone di superare l’essere, o meglio, l’étantité come orizzonte dei fenomeni. Condivide, però, due affermazioni di Heidegger, ambedue annunciate dal § 7 di Sein und Zeit. La prima riguarda l’essere del fenomeno, il quale si mostra da sé e in sé: «“Fenomeno”: ciò che si manifesta in se stesso, i fenomeni. Noi conferiamo al termine “fenomeno” il significato positivo e originario di fainÒmenon e distinguiamo fenomeno da parvenza, considerando la seconda come una modificazione privativa del primo […]. Il fenomeno — ciò che si manifesta in se stesso — sta a significare un modo particolare di incontrare qualcosa». La seconda, riguarda il rapporto tra possibilità ed effettività e, soprattutto il primato della prima sulla seconda: «Höher als die Wirklichkeit steht die Möglichkeit, più in alto della realtà si trova la possibilità» (M. Heidegger, Sein und Zeit, M. Niemeyer, Tübingen 1927; tr. it. a cura di P. Chiodi, Essere e tempo, Utet, Torino 19862, rispettivamente p. 87-90 e p. 100). Chiodi traduce Wirklichkeit con realtà, reso in francese con effectivité. Sulla scia di questa traduzione, che preferiamo, articoleremo — a nostra volta — il rapporto tra possibilità ed effettività. ↩︎

  33. Marion, D’une réduction radicale, in Le phénomène érotique, pp. 25-69. ↩︎

  34. E. Husserl, Philosophie als strenge Wissenschaft, in Aufsätze und Vorträge (1911-1921), Nijhoff, La Haye 1987; tr. it. a cura di C. Sinigaglia, La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari-Roma 20003, p. 43. ↩︎

  35. Cf. J.-L. Marion, Dieu sans l’être, Puf (coll. Quadrige), Paris 1991 (ed. or. 1982); L’envers de la vanité pp. 157-222. ↩︎

  36. Marion, Le phénomène érotique, p. 36. ↩︎

  37. Marion non chiarisce il senso in cui parla di metafisica, benché non sia difficile cogliere che il suo punto di riferimento metafisica moderna inaugurata da Descartes con la celebre formula «Ego sum, ego existo; certum est» (R. Descartes, Meditationes de prima philosophia, AT VII, 24-25). Sull’argomento, di Marion, si veda L’altérité originaire de l’ego, in Questions cartésiennes II, Puf, Paris 1996, pp. 3-47. Rinviamo a questo saggio, tra altri, perché l’argomentazione in esso tratteggiata, ossia che la certezza dell’ego sia tale in forza di una convocazione più originaria dello stesso, contiene in nuce alcuni dei temi presentati ne Le phénomène érotique↩︎

  38. Marion, Le phénomène érotique, p. 36. ↩︎

  39. Ivi, p. 37. ↩︎

  40. Ibid. Traduciamo con mi confonde il francese m’affole, s’affoler, ossia perdere la testa, essere confuso, verbo caro a Marion e da lui impiegato proprio a proposito dell’azione svolta dalla vanità nei riguardi delle realtà normalmente indicate, in metafisica, come «prime». Così, a proposito della destituzione dell’ontologia, leggiamo che «tentare di pensare Dio senza l’essere non implica la critica triviale alla questione dell’essere. E anche se l’istanza della carità connota di vanità la differenza ontologica, fino a sconvolgerla [affoler, perdere la testa], questa destituzione (né distruzione, né decostruzione) non è intrapresa al fine di eliminare l’essere come istanza degli enti. Non si tratta di disfarsi dell’essere … ma di riceverlo come esso si dà e per il fatto che si dà» (J.-L. Marion, De la «mort de Dieu» aux noms divins: l’itinéraire théologique de la métaphysique, in D. Bourg (éd.), L’être et Dieu, éd. du Cerf, Paris 1986, pp. 103-130. Già parzialmente pubblicato in «Laval théologique et philosophique», Québec, 41/1 (février 1985); la citazione è a p. 129). ↩︎

  41. Marion, Le phénomène érotique, p. 38. ↩︎

  42. Ivi, p. 41. ↩︎

  43. Ibid↩︎

  44. Non dimentichiamo che l’ego è qui trattato come fenomeno dato↩︎

  45. Marion, Dato che, p. 216. ↩︎

  46. Marion, Le phénomène érotique, p. 45. ↩︎

  47. Cf. Marion, Dato che, pp. 78-80. ↩︎

  48. «Il fenomeno dato, dato in quanto ridotto, conserva sempre le stigmate della sua donazione, poiché esse gli giungono dalla sua riduzione, dunque dal suo apparire» (ivi, p. 216). ↩︎

  49. Marion, Le phénomène érotique, p. 73. ↩︎

  50. Ivi, p. 113. ↩︎

  51. Ivi, p. 125. ↩︎

  52. Ivi, p. 130. ↩︎

  53. Ibid↩︎

  54. Ivi, p. 133. Sullo stesso tema, e ancora più incisivamente: «Conformemente alla definizione della riduzione fenomenologica generalmente intesa, la riduzione érotique (radicalizzata nella forma “posso amare, io, per primo?”) si compie in maniera definitiva solo non finendo mai di ripetersi. L’ego non diverrà mai più il centro; fino alla fine, dovrà decentrarsi in vista di un centro che deve sempre arrivare, altri verso il quale io mi ri-conduco» (ivi, p. 136). ↩︎

  55. Ivi, p. 138. ↩︎

  56. Ibid↩︎

  57. Ivi, p. 139. ↩︎

  58. Ivi, p. 148. ↩︎

  59. Tradurre i termini francese affection o il verbo être affecté espone, nella lingua italiana, all’equivoco di intendere, con essi, qualcosa che ha a che fare con lo stato d’animo o, anche, l’affettività. In francese questi termini, derivando dal latino afficere, indicano piuttosto l’essere modificati da qualcosa o essere affetti così come in italiano diciamo «essere affetti da una malattia». Affection, dunque, significa avere la capacità di procurare a sé una modificazione o una tonalità affettiva che modifica radicalmente il nostro essere. ↩︎

  60. Ivi, p. 152. ↩︎

  61. Ivi, pp. 152-153. ↩︎

  62. Cf. Marion, Dato che, § 23. Topica del fenomeno, pp. 273-287. ↩︎

  63. Ivi, pp. 273-274. ↩︎

  64. Ivi, pp. 275-276. ↩︎

  65. Ivi, p. 279. ↩︎

  66. Cf. ivi, pp. 280-303; sul tema si veda anche J.-L. Marion, De surcroît. Études sur les phénomènes saturés, Puf, Paris 2001. ↩︎

  67. Marion, Le phénomène érotique, p. 155. ↩︎

  68. Andando oltre il «principio dei principi» di Husserl (cf. Marion, Dato che, pp. 226 ss.). ↩︎

  69. Marion, Le phénomène érotique, p. 156. ↩︎

  70. Ibid↩︎

  71. Ibid↩︎

  72. Ivi, p. 157. ↩︎

  73. Ivi, p. 159. L’appellarsi al «fatto» non è una novità, nella fenomenologia di Marion. Questi, infatti, apre il libro III di Dato che proprio con un appello al fatto ricordando che «la fenomenologia condivide con l’empirismo il ricorso privilegiato al fatto, anche se essa diverge dall’empirismo nel rifiuto di limitare i fatti alla sola empiricità sensibile» (Marion, Dato che, p. 146). ↩︎

  74. Marion, Le phénomène érotique, p. 160. ↩︎

  75. Ibid↩︎

  76. Ivi, p. 161. ↩︎

  77. Ivi, p. 162. ↩︎

  78. Va da sé che Marion riprende il richiamo al volto come significazione da Levinas (cf. E. Levinas, Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Nijhoff, La Haye 1961; tr. it. di A. Dall’Asta, a cura di S. Petrosino, Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 1980; E. Levinas, Ethique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Fayard et Radio France, Paris 1982, in particolare pp. 80 ss.). Con l’introduzione della significazione, però, il «nostro» autore riprende una lettura già iniziata in Réduction et donation, dove osserva che «la significazione, nelle Ricerche logiche di Husserl, si dà senza dipendere dall’intuizione di riempimento», passo che, poco dopo, prosegue così: «La significazione ha un contenuto che le appartiene; questo contenuto le appartiene ed essa lo possiede in quanto solo in quanto tale. La saldezza (tenue) della significazione, senza intuizione, senza indicazione, senza atto enunciativo, basta perché essa si proponga nella presenza. Ma è lecito parlare a questo proposito di presenza (come fa Derrida, ndr.), in mancanza di qualcosa che la faccia presenza? A meno che la questione non venga rovesciata: quale modo di presenza sui generis si palesa, quando la significazione si manifesta a partire da sé sola?» (J.-L. Marion, Réduction et donation. Recherches sur Husserl, Heidegger et la phénoménologie, Puf, Paris 1989, p. 47). Il modo particolare di questa «presenza» sarà, come Marion espliciterà chiaramente nel § 6 dell’opera, l’evidenza della donazione (cf. ivi, pp. 48 ss.). Il primo capitolo dell’opera del 1989 (cui ci stiamo qui riferendo) è dedicato al rapporto tra intuizione e significazione nelle Ricerche husserliane e, contro Heidegger (che sottolineava il primato dell’intuizione, privilegiando la Sesta ricerca) e contro Derrida (che criticava la significazione come ultimo residuo della «metafisica della presenza», lettura che privilegia, delle Ricerche, la prima), Marion afferma che uscire dell’impasse è possibile, anzi, legittimamente concesso da Husserl perché egli stesso non stabilisce nessun primato tra l’uno e l’altro dei termini fenomenologici. A partire da questa scelta interpretativa Marion ordirà la trama di réduction et donation sebbene, nel seguito della sua riflessione fenomenologica, l’intuizione (saturante l’intenzione) sarà con insistenza privilegiata, in particolare nello studio dei fenomeni saturi. ↩︎

  79. Marion, Le phénomène érotique, p. 162. ↩︎

  80. Ibid↩︎

  81. Ivi, p. 163. ↩︎

  82. Ivi, p. 164. Le phénomène érotique è un libro senza note e citazioni. Qui, però, ci pare evidente, come già nel caso di Levinas, che ad essere in gioco sia il paragone con Husserl; o meglio, con la Quinta Meditazione Cartesiana, dove l’alter ego è introdotto senza che sia messa in discussione la signoria dell’ego. L’analisi husserliana dell’intersoggettività è condotta a partire da una riduzione, quella alla «sfera del proprio». Con questa riduzione, Husserl cerca contemporaneamente di salvare l’alter ego, l’alterità e la costituzione della stessa all’interno della sfera dell’ego trascendentale puro. In quest’ultimo, l’alter ego è colto per contrasto: «L’ego è dapprima delimitato nel suo essere proprio e nei suoi momenti costitutivi, non solo per quel che riguarda i vissuti, ma anche per le unità di valore che sono da lui inseparabili; così considerato e articolato, esso deve dar luogo al problema della possibilità per il mio ego di costituire, al di dentro della sua appartenenza qualcosa di veramente estraneo, in una attività che ha per titolo “esperienza dell’estraneo”» (E. Husserl, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Nijhoff, La Haye 1950; tr. it. di F. Costa, a cura di R. Cristin, Meditazioni cartesiane (con l’aggiunta dei Discorsi Parigini), Bompiani, Milano 19973, p. 117). Ora, l’esperienza di questo estraneo è per me possibile perché la «sfera del proprio» possiede «del fenomeno mondo, uno strato unitario e coerente, che è il correlato trascendentale dell’esperienza del mondo, procedente con continuità e coerenza». Questo strato unitario «è piuttosto caratterizzato dal fatto che esso ha funzione di fondamento; ciò vuol dire che io non posso possedere l’estraneo come esperienza, né quindi il senso del mondo oggettivo come senso dell’esperienza, senza avere quello strato di una esperienza reale ed effettiva, mentre la reciproca non vale» (ivi, p. 118). Conclusione che G. Ferretti commenta così: «Il fatto che la reciproca non valga è particolarmente significativo della posizione di Husserl. Ma non è detto che le cose stiano fenomenologicamente proprio così. E se si potesse invece mostrare che, fenomenologicamente (e non solo geneticamente [come si limita a fare Husserl, ndr.]) la comprensione del mio ego è mediata dall’ego altrui non meno che quella dell’ego altrui dal mio ego (come sostiene Ricœur)? O addirittura che l’ego altrui ha il primato fenomenologico sul mio proprio ego (come sostiene Levinas)?» (G. Ferretti, Soggettività e intersoggettività. Le *Meditazioni cartesiane di Husserl*, Rosenberg & Sellier, Torino 1997, p. 75). È proprio da escludere che il programma di Marion si compia esattamente nella direzione intuita da Ferretti? Il fenomeno amoroso non è, forse, il fenomeno nel quale «ego e altri» si fenomenalizzano solo nel reciproco incrocio? Non è forse il fenomeno nel quale l’«interdonazione» si compie come vicendevole individuazione, fenomeno in cui la reciproca vale? ↩︎

  83. Marion, Le phénomène érotique, p. 165. ↩︎

  84. Ivi, p. 166. ↩︎

  85. In realtà, Marion «si» è già risposto: i fenomeni saturi, infatti, si giocano nel mondo? No: essi sono invisibili, la loro fenomenalità è de-misurata dalla sola donazione. Di più, «se si trattasse solo di vedere i fenomeni già visibili, non avremmo nessun bisogno della fenomenologia; per contro, essa guadagna legittimità rendendo finalmente visibili quei fenomeni che senza di essa sarebbero rimasti inaccessibili. Al primo posto fra i quali si trova evidentemente la non evidenza della donazione, che si dischiude nella piega del dato» (Marion, Dato che, p. 83). Tali fenomeni invisibili si mostrano a prescindere dall’orizzonte del «mondo»e, dunque, Dato che aveva già risposto alla domanda sollevata da Marion. ↩︎

  86. Marion, Le phénomène érotique, p. 167. ↩︎

  87. Ibid↩︎

  88. Marion, De surcroît, p. 54. ↩︎

  89. E. Husserl, Die Idee der Phänomenologie, Hijhoff, La Haye 1950; tr. it. di G. Vasa e M. Rosso, L’idea di fenomenologia, il Saggiatore, Milano 1981, p. 75. ↩︎

  90. Cf. Marion, Le phénomène érotique, p. 170. ↩︎

  91. E, dunque, la reciproca vale! ↩︎

  92. Marion, Le phénomène érotique, p. 172. ↩︎

  93. Ivi, p. 173. De la chair, qu’elle s’excite, è il titolo della IV méditation érotique. S’exciter indica il destare alla vita, il risvegliare, il far nascere. Traduciamo l’espressione m’affectant de lui con l’ardua perifrasi «modificando la mia affectività di lui stesso» perché l’altro mi tocca, mi modifica così come una malattia prova la mia carne, il mio corpo; il senso di questo essere affectés dall’amore è, a nostro parere, qui: non solo la sfera dei cosiddetti «sentimenti» viene toccata ma soprattutto ciò per cui assumo più profondamente un volto, ossia la mia carne. ↩︎

  94. L’indignata alzata di scudi che si è opposta all’ipotesi marionienne di un dono perfettamente dis-piegato dalla donazione anche in assenza delle sue determinazioni particolari (ossia oggetto donato, presenza del donatario, presenza del donatore ridotto [cf. Dato che, libro II, pp. 86-145]), ipotesi alla quale si potrebbe contrapporre il plausibile vincolo antropologico della «necessaria» reciprocità tra i tre termini, riceve qui una risposta; parziale ed insoddisfacente, si dirà: ma pur sempre una risposta. Quella qui proposta da Marion è, infatti, una nuova forma di reciprocità. Nuova, perché non si tratta di reciprocità tra due «soggetti» o termini diversi; o meglio, non si tratta di una reciprocità che potrebbe essere messa in discussione da ogni obiezione riguardante la fragile giustificabilità del primato di un principio unitivo vs un principio che parte dall’opposizione dei «soggetti» tra loro («all’inizio è la reciprocità o l’amicizia, l’amore…» vs l’hobbesiano Homo homini lupus). Attingendola in regime di riduzione, epistemologicamente e fenomenologicamente, e dunque al di là delle facili obiezioni che al principio possono essere mosse a posteriori, tale reciprocità conferma il regime della plausibilità antropologica della reciprocità fornendogli la possibilità incoativa di mostrazione poiché riesce ad individuare non solo l’altro ma, con l’altro, «me». Questa nuova reciprocità è, perciò, rifiutabile (l’opzione «tra principi» non può essere esclusa!) ma non rinunciabile, perché il percorso con cui è attinta coglie la radice del «rapporto». Coglie la radice del rapporto: non lo pone, cioè, come ir-rifiutabile a posteriori ma come ir-rinunciabile a priori perché tale da configurare l’ego↩︎

  95. Cf. Marion, Le phénomène érotique, pp. 173-174. Scegliamo qui di non approfondire il tema, che ci limitiamo ad annunciare in quanto tratto dell’individuazione dell’amant. Ci sembra, infatti, che in questo punto Marion inizi a profilare una temporalità specifica dell’amant. Lo diciamo coscienti del paradosso: in che modo, infatti, possiamo pensare l’eternità come temporalità? Paradosso che rende la questione marionienne ancora più interessante. ↩︎

  96. Marion, Le phénomène érotique, p. 176. ↩︎

  97. Ibid↩︎

  98. Ivi, p. 177. ↩︎

  99. Ibid↩︎

  100. La p. 181 del paragrafo così intitolato è uno dei passaggi che i «cultori della fenomenologia della chair» possono ben considerare come decisivo: in esso vi è l’implicito riferimento tanto a M. Merleau-Ponty quanto a M. Henry, due punti di riferimento incontournables sull’argomento. Ma, come già a proposito della temporalità prefigurata, lasciamo in ombra e a margine questo confronto, seguendo, nella carne, solo la traccia dell’effettività dell’altro. L’implicito dialogo con gli altri due autori si snoda tout au long di alcuni concetti-chiave della loro opera: l’auto-affezione e l’etero-affezione (Henry), il rapporto tra touchant/touché, la chair come chair du monde (Merleau-Ponty), ai quali Marion «propone» la propria idea di carne. ↩︎

  101. Sancendo, in linea con Henry ma non con Merleau-Ponty, una distinzione tra «carne» e «corpo» che ci pare inaccettabile. O meglio, la grandezza della fenomenologia, a partire da Husserl, sta nell’aver distinto tra Leib e Körper, facendolo anche nella V Meditazione Cartesiana e a proposito della distinzione tra la sfera del proprio e dell’estraneo cui abbiamo già accennato. La consideriamo «una grandezza» perché coglie un fatto essenziale del corpo, ossia il suo essere differente dagli oggetti del mondo in quanto esso è anche «carne», ossia corpo vivente. Ma al fine di superare il rischio di un’«oggettivizzazione» del corpo, Marion rischia di stigmatizzarne la realtà concreta, differendolo solo in una carne che non può per definizione fenomenalizzarsi; stigmatizzazione che ci pare eccessiva e inadeguata quando è in gioco una complessione di fattori indisgiungibili e tutti con-correnti all’individuazione, mia e dell’altro. ↩︎

  102. Marion, Le phénomène érotique, p. 186. ↩︎

  103. In opposizione ad Heidegger ed al Merleau-Ponty della Phénoménologie de la perception, Marion osserva: «Ovunque, nel mondo, tocco pareti e muri, limiti e barriere; neppure io sono innanzitutto al mondo come apertura, ma sono nel mondo come in un recinto, come in una proprietà privata […]; io non mi apro subito il mondo ma mi trovo in esso rinchiuso […]. La mia carne mi fa fare esperienza del fatto che io non comprendo il mondo, ma vi sono compreso: io sono, dal punto di vista dell’essere, in quanto compreso. L’essere consiste, probabilmente, solo in questa comprensione che mi limita, un orizzonte nel senso più stretto del termine, un orizzonte per definizione finito. L’essere mi finitizza secondo una sua finitezza essenziale» (ivi, p. 187). ↩︎

  104. Ivi, p. 188. Érotiser è il verbo che, insieme a s’exciter ricorre frequentemente in queste pagine. Scegliamo di renderlo con in-amorare, ossia il condurre dell’amore (come indica la preposizione in). ↩︎

  105. Ivi, p. 190. ↩︎

  106. Immanente nel senso di «in regime di riduzione érotique» e non al di fuori di questo contesto. Io prendo carne (e dunque mi individuo) per l’altro e l’altro per me: questo è quanto il fenomeno amoroso mostra. ↩︎

  107. Marion, Le phénomène érotique, p. 197. ↩︎

  108. Benché, a nostro avviso, il percorso marionien sull’altro possa considerarsi ormai «de-finito» nei suoi termini principali. ↩︎

  109. La scelta fenomenologica della donation, per Marion, è scelta della positività epistemologica all’origine; è scelta della possibilità di pensare la sovrabbondanza del poter dare anche il ni-ente in luogo della scelta di pensare la Un-Gegebenheit finkiana (e dunque l’assenza di intuizione originaria e di conseguenza, l’originarietà dell’essere-al-mondo) come primo non-dato fenomenologico (contrariamente ad altri fenomenologi, quali, ad esempio, M. Richir). Ora, la sovrabbondanza epistemologica della donazione è gloria che, nell’interdonazione, illumina il volto. ↩︎

  110. Marion, Le phénomène érotique, p. 198. ↩︎

  111. Ibid↩︎

  112. «L’unica cosa che dobbiamo fare è adonarci l’uno all’altro e darci reciprocamente lo statuto di adonato — di colui che riceve se stesso (la propria carne) da ciò che riceve (la carne d’altri)» (ivi, p. 199). E tuttavia, ci chiediamo di nuovo se, stigmatizzando il corpo perché «oggetto mondano» per esaltarne la sola carne, Marion parli di livello effettivamente proprio dell’ego e dell’altro. Forse un discorso effettivamente condotto sull’altro dovrebbe proporre anche un «nuovo» pensiero del corpo. Ma, questo, è un tema che condurrebbe oltre queste pur importanti sponde marioniennes↩︎

  113. Ivi, p. 240. ↩︎

  114. Ivi, p. 234; p. 235. ↩︎

  115. Marion riapre ancora la questione della temporalità che il fenomeno amoroso d’altri implica: la fedeltà, la continuità, l’apertura del futuro determinata dall’avance e dalla permanenza di altri, il caso in cui altri venga a mancare. Temi ai quali accenniamo per dare un quadro delle questioni «aperte» dal phénomène érotique↩︎

  116. Marion, Réduction et donation, p. 246. ↩︎

  117. «Absoluta» in quanto bastante ad ogni definizione e posizione dei fenomeni. Ciò vale anche per la definizione del fenomeno amoroso, definizione per la quale Marion si colloca sempre in un «regime di rigorosa immanenza». ↩︎

  118. Così Husserl definisce il residuo fenomenologico dell’io puro, «specie particolarissima di trascendenza, non costituita, una trascendenza nell’immanenza» (Husserl, Idee I, § 57, p. 144). ↩︎

  119. Marion, Le phénomène érotique, p. 302. ↩︎

  120. Ancora una volta le eco levinasiane non mancano! ↩︎

  121. Marion, Le phénomène érotique, p. 303. ↩︎

  122. Ivi, p. 304. ↩︎

  123. Cf. i passaggi proposti a tal proposito in ivi, pp. 305 ss., dove Marion sottolinea la possibilità fenomenologica che tale fenomeno si dia. ↩︎

  124. Ivi, p. 311. ↩︎

  125. Ivi, p. 320. ↩︎

  126. Ivi p. 321. ↩︎

  127. Si dirà che, a tal proposito, è più opportuno parlare di trascendimento e non di trascendenza. Se scegliamo la negativa, e dunque confermiamo la nostra ipotesi di parlare di «trascendenza» è perché, come speriamo emerga in queste battute conclusive — tali sia nel nostro percorso che nel libro di Marion — non è in gioco un puro trascendimento verso possibilità o realtà altre eventualmente esistenti ma è in gioco un’apertura che, reclamata in regime di rigorosa riduzione érotique, manifesta altro da sé e non la sola esigenza di oltrepassamento. Parliamo di «trascendenza» perché solo ciò che è effettivamente altro può confermare la dinamica amorosa fin qui descritta, dinamica nella quale ne va di me e dell’altro. Diciamo «effettivamente altro» perché è nostro avviso che, finché la fenomenologia di Marion si è attenuta ad un puro e semplice livello di possibilità fenomenologica (come in Dato che e in De surcroît), essa è stata capace di annunciare i fenomeni solo nel loro livello di manifestazione «di diritto», attenendosi alla rigorosa immanenza della fenomenalità dei fenomeni alla donazione. Una donazione che spiegava tutto, tanto la «materia» (fenomenalità) quanto la «forma» (anamorfosi) dei fenomeni; e tuttavia li spiegava, non smetteremo mai di precisarlo, immanentemente e solo «di diritto» (secondo lo schema epistemologico di un nihil obstat dovuto al fatto che la donazione è puro orizzonte di se stessa). Il fenomeno amoroso e l’altro non possono, però, essere affermati solo «di diritto» perché incrociano l’ordine «di fatto». Essi, inoltre, riaprono una questione prima mancante: il «tra» che connota da donazione che li dà. Senza tale «tra», cioè, non ci sarebbe la loro donazione, «tra» che è apertura della donazione stessa. Più volte, però, ci siamo chiesti in che modo intendere questo «tra». Senza esitare — ma non perciò senza esporci ad osservazioni che vadano in direzione diversa! — in queste battute conclusive diciamo che questo «tra» è l’apertura della trascendenza la cui esigenza è inscritta nello spostamento del piano dei fenomeni dalla loro pura e semplice possibilità alla loro effettività. Non c’è effettività che non arrechi in sé la traccia dell’apertura della trascendenza intesa come «effettivamente altro» che verifica l’ordine fenomenale dei fenomeni. ↩︎

  128. Marion, Le phénomène érotique, p. 321. ↩︎

  129. Ivi, p. 331. ↩︎

  130. Ivi, p. 334. ↩︎

  131. Il tema dell’univocità dell’amore, che Marion sostiene da tempo e che ha annunciato anche in un’intervista rilasciata a Le philosophoire (cf. L’Amour. Entretien avec Jean-Luc Marion, réalisé par V. Citot et P. Godo, in «Le Philosophoire», 11 (2000), pp. 10-28), è introdotto dal fenomenologo per superare la distinzione tra amore e carità, trascurando la nota distinzione tra eros e agape; distinzione che, piuttosto, egli critica, proponendo, per contro, l’univocità dell’amore: «L’opposizione di eros e agape è spesso motivo dell’incomprensione che li rende sterili […]. Desiderio (eros) e benevolenza (agape) contribuiscono l’uno all’incremento dell’altro fino a giungere al loro termine comune, che chiamerai com-piacersi (complaisance)» (ivi, p. 13). Limitiamo a questa battuta l’accenno al tema, che chiederebbe un confronto più adeguato e consapevole della tradizione nella quale si introduce. ↩︎

  132. Marion, Le phénomène érotique, p. 341. ↩︎

  133. Ivi, p. 342; queste sono le parole conclusive dell’intera opera. Esse si introducono in un percorso iniziato da Marion con i primi scritti, in particolare in Dio senza essere e «rispondono» ad un’esigenza manifestata in Dato che: «dire» filosoficamente Dio senza ricorrere alla metafisica. ↩︎