1. Riduzionismo e olismo a confronto
Questo lavoro si propone di tener conto del contesto filosofico proprio, da un lato, delle nuove cosmologie e delle teorie antropiche, nonché dall’altro, della cosmopoiesi del mondo della vita prodottasi nei più recenti sviluppi della fenomenologia. In realtà, tale concetto risulta da una riattualizzazione, nell’ambito del post-moderno, del concetto fenomenologico di ontopoiesi del mondo della vita, il quale, a partire dall’ultimo Hesserl per giungere ai suoi seguaci delle diverse scuole fenomenologiche, puntualizza nella problematica del modo della vita la questione del reale all’interno delle ontologie regionali. Ciò in quanto, la problematica complessa e articolata della filosofia dell’essere viene ad essere, in certo senso, adeguata alle emergenze creative delle forme evolutive degli essere viventi presenti nello sviluppo planetario delle diverse forme di organismi individuali. In questo contesto culturale, l’ontopoiesi del mondo della vita si precisa nel dialogo tra la filosofia e le scienze della natura come cosmopoiesi del mondo della vita.
Per realizzare ciò occorre allontanarsi dall’epistemologia tradizionale che trova nel metodo scientifico il modello di razionalità capace di fornire un paradigma per la riflessione filosofica. Quanto detto, pur privilegiando l’idea fenomenologica di riattribuire alla filosofia una sua funzione primaria, diversa e superiore rispetto a quella delle forme di conoscenza proprie delle scienze sviluppate secondo l’atteggiamento naturale, deve opportunamente far riferimento all’alternativa che contrappone nella cultura odierna il riduzionismo all’olismo.
Su tale linea, va tenuto presente che il prodotto epistemologico che ha permesso alla modernità il compimento del passaggio dalla scienza alla tecnica, è costituito dal riduzionismo che, con il suo ruolo di potenziamento della specializzazione, privilegia l’analisi favorendo la conoscenza del dettaglio.
Ciò, alla fine della modernità, si risolve nella perdita di coscienza del significato complessivo dei fenomeni, dando luogo ad una frantumazione che disgrega il reale nelle sue parti, producendo l’autonomia impazzita degli elementi disgregati.
Di fronte a questo rischio di perdita di senso della nostra cultura, riemerge l’olismo come tentativo di recuperare l’unità dinamica del reale che si configura come una totalità aperta.
Si pensi, ad esempio, ai vari tentativi di rivalutare il caos creativo o, ancora, agli altri programmi di ricerca interni all’evoluzionismo, disponibili alla valutazione dell’apertura imprevedibile degli sviluppi dei fenomeni, verso orizzonti sempre suscettibili di una crescita innovativa.
Questa situazione viene rafforzata dal rigore scientifico delle teorie sistemiche, attraverso le quali, anche mediante algoritmi matematici, si possono fornire modelli di insiemi aperti, idonei al raggiungimento di una totalità in continuo e progressivo incremento.
Il concetto delineato trova il suo completamento nelle teorie della complessità, nelle quali viene evidenziato il valore aggiunto, presente nel tutto, che non è riducibile alla semplice somma delle parti.
Questa chiave interpretativa getta un ponte oltre la specializzazione e al di là dell’individualismo esasperato che, nella ragione illuministica moderna, si conclude nel soggettivismo solipsistico.
La prospettiva indicata ripropone lo stretto legame tra l’uomo e il suo habitat, nonché l’importanza nell’ambito sociale per la completa maturazione dell’essere umano. Si tratta di estendere il modello della simbiosi ad una simpatetica spirituale, che diviene così capace di combinare insieme il cosmo, la vita e lo sviluppo delle civiltà.
Naturalmente il modello olistico al quale ci stiamo riferendo non si riduce alla rivalutazione della spiritualità cosmica o alla riscoperta delle culture alternative presenti nella tradizione, ma vuole essere uno slancio verso il futuro, in cui si possa verificare il superamento tanto del riduzionismo, quanto dell’olismo nella forma proposta dalle visioni tradizionali.
Il paradigma proposto acquista un valore ulteriore rispetto ad una concezione meramente epistemologica, in quanto non ci si limita a trasformare la metodologia delle indagini scientifiche, poiché l’obiettivo di fondo è di carattere culturale, in senso più vasto, e comprende anche l’orizzonte spirituale.
Siamo di fronte ad una nuova prospettiva che impone un’ermeneutica del nostro rapporto con la realtà, essenzialmente diversa rispetto alla tradizione del pensiero occidentale, e soprattutto in opposizione relativamente alla visione moderna che contrappone l’uomo al reale ponendo in primo piano il conoscere nei confronti di tutti gli altri elementi della consapevolezza filosofica.
2. Presupposti filosofici dell’olismo
Il paradigma olistico al quale ci riferiamo trova il sostegno filosofico, non solo nelle ricordate teorie sistemiche della complessità, ma anche nel principio antropico, nonché in quello di evoluzione, cui va aggiunto il concetto di cosmopoiesi del mondo vivente.
Si tratta, infatti, di giustificare tanto l’unità aperta e dinamica del reale, quanto i criteri strutturali oggetto di perenne modificazione, poiché il caos creativo, che sostiene lo sviluppo della realtà stessa, si trasforma secondo le esigenze in base alle quali lo sviluppo medesimo si configura.
Questa concezione, però, non investe soltanto l’orizzonte epistemologico e non impegna esclusivamente l’ontologia, manifestando i suoi effetti anche sull’etica e sulle visioni spirituali concernenti sia la cultura, sia il contesto complessivo delle forme dell’essere.
In tale itinerario speculativo, il discorso conduce la nostra attenzione alla presa di coscienza delle radici genetiche del problema, che si collocano in vari percorsi filosofici della contemporaneità.
Possiamo prendere in considerazione alcuni elementi della relazione scienza-filosofia presenti nella fisica speculativa di origine idealistica, come accade nella visione dell’universo naturale sostenuta da F. W. J. Schelling. Inoltre, i riferimenti classici all’olismo nella sua forma filosofica più aggiornata vanno, naturalmente, alle filosofie di H. Bergson e A. N. Whitehead.
A ciò è da aggiungere la visione della complessità fornita da E. Morin e la concezione filosofico-teologica di P. Theilhard de Chardin.
Possiamo anche prendere in considerazione per un rafforzamento ontologico del reale, illustrato attraverso l’articolazione ordinata delle ontologie regionali, la concezione fenomenologica che coinvolge il pensiero di E. Husserl, di N. Hartmann e di R. W. Ingarden.
Ci siamo qui limitati solo ai riferimenti più noti, da integrare ovviamente con altri sentieri filosofici spesso interrotti nel senso heideggeriano, attraverso i quali possiamo elaborare delle categorie interpretative adatte a consolidare il tipo di sintesi che interessa la nostra indagine.
In questo caso, la filosofia funge da elaborazione degli strumenti categoriali, attraverso i quali può essere realizzata la sintesi che interessa la nostra indagine.
Un esempio particolarmente significativo in materia è dato nella cultura odierna dalle nuove cosmologie, nelle quali i risultati combinati della fisica e dell’astronomia, organizzati attraverso categorie filosofiche che sembravano desuete, permettono l’elaborazione conoscitiva di visioni del reale che consentono il coordinamento delle conoscenze, al di là dell’orizzonte strettamente scientifico. Questa alternativa epistemologica rispetto alla tradizione filosofica precedente si ricollega, alla luce degli sviluppi della filosofia fenomenologica, alle teorie del mondo della vita, che trovano, sia pure nelle divergenze che separano i diversi autori, il loro approfondimento nella concezione filosofica di W. Dilthey e nella posizione degli ultimi sviluppi della fenomenologia husserliana appartenenti, in particolare, all’opera La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Questo paradigma filosofico costituisce, come è noto, l’impianto basilare per la fondazione della nuova antropologia elaborata da M. Scheler, H. Plessner e A. Gehlen.
3. La genesi della coscienza in chiave fenomenologica
La tradizione del pensiero occidentale separa il naturalismo delle cosmologie dalla visione dell’uomo delle antropologie filosofiche. La cultura contemporanea tende, invece, a cercare il raccordo tra i due piani del reale, evitando le riduzioni del monismo filosofico. Ciò accade attraverso varie prospettive di ricerca che spesso fanno emergere anche la complementarietà delle ipotesi interpretative. Tale complementarietà viene rafforzata in una epistemologia ermeneutica che, ad esempio, P. Ricœur esprime attraverso il principio metodologico per cui spiegare di più è comprendere meglio. Si delinea così, una prospettiva postmoderna e postmetafisica, nella quale il mondo della vita si colloca in uno sviluppo dell’ambiente inorganico e si perfeziona nell’emergenza del fenomeno umano, in cui il livello della coscienza dà luogo al mondo della cultura e della spiritualità. Tale architettura del reale trova la sua spiegazione e il suo punto di raccordo nel principio cosmopoietico, che trova nella vita uno dei suoi momenti centrali di sviluppo, in cui la quantità e la qualità interferiscono in una dialettica epigenetica dalla quale sorgono i diversi piani gerarchici dell’essere secondo l’espressione dell’ontologia tradizionale.
In questa situazione, il punto di riferimento, che rende insufficiente il panorama esplicativo dell’evoluzione naturale nella sua esteriorità, è rappresentato dalla coscienza, che costituisce specificamente il nucleo centrale della soggettività. A tal riguardo, assume particolare importanza l’interpretazione fenomenologica della medesima, in quanto essa già in E. Husserl ed in M. Merleau-Ponty, attraverso il concetto di intenzionalità e il legame con il corpo proprio, realizza un significativo legame con il mondo della vita. Quanto detto si muove in una sostanziale affinità con le nuove antropologie di M. Scheler, H. Plessner e A. Gehlen, i quali in qualche modo si collegano con la fenomenologia attraverso M. Scheler.
A tal proposito, va ricordato che la teoria fenomenologica della coscienza, non solo stabilisce, attraverso il mondo della vita, un significativo legame tra gli animali viventi e gli uomini dotati di soggettività psichica, ma permette anche il superamento della scissione fra soggetto e oggetto, rivendicando una sostanziale continuità del reale in tutti i suoi aspetti interiori ed esteriori. La coscienza, infatti, sia nella forma di coscienza di un oggetto, sia nella forma dell’autocoscienza, dà luogo ad una relazione dialettica di espressione e di compenetrazione tra l’in sé e il fuori di sé. Si pensi alla distinzione sartreiana in base alla quale l’in sè dell’essere opaco fa emergere la coscienza nella trasparenza razionale del per sé. È dunque evidente che la descrizione della coscienza, fornita in queste riflessioni in modo sintetico, puntualizza non solo i suoi caratteri fondamentali, ma soprattutto, tale puntualizzazione deriva dai suoi principi genetici che non la separano ma la radicano nel reale dal quale emerge. Ciò in particolare dà luogo ad un itinerario di riflessione a proposito del quale possiamo individuare cinque momenti fondamentali. Si tratta, in primo luogo, di problematizzare le possibilità per l’essere umano di farsi cosciente dell’universo in quanto non separato da esso, ma piuttosto come strumento cosciente della natura stessa.
In secondo luogo, occorre prospettare una scienza del limite e della sostenibilità, basata su una conoscenza olistico-sistemica del reale.
In terzo luogo, è necessario sviluppare le condizioni di sensibilizzazione e di acquisizione di una coscienza planetaria in termini etico-sociali.
In quarto luogo, è bene caratterizzare la coscienza intenzionale come autoconsapevolizzazione del mondo della vita nelle proprie possibilità cognitive, nonché nei presupposti delle decisioni etiche.
In quinto luogo, infine, delineare la nuova immagine della persona umana, dipendente dalla collocazione della dimensione antropica nel mondo della vita con le sue diverse configurazioni, nonché con le sue potenzialità di sviluppo.
Ciò, in considerazione di una fenomenologia del vivente che possa dar conto della specificità dei diversi livelli del mondo organico, per mettere in rilievo la tipicità della natura umana.
4. Le nuove forme di antropologia
Le nuove forme dell’antropologia trovano il loro impianto filosofico nel contesto fenomenologico. In questa prospettiva prendiamo in esame, sia pure sinteticamente, le posizioni dei tre autori cha appartengono alla nuova antropologia per individuare il legame esistente fra l’olismo sistemico della complessità, da un lato, e la cosmopoiesi del mondo della vita, dall’altro.
Entriamo direttamente in argomento riferendoci a M. Scheler che nella sua opera La posizione dell’uomo nel cosmo, fornisce una visione del reale di tipo gerarchico, che dalle piante, attraverso gli animali, giunge all’uomo in una teleologia del mondo della vita che dall’organico, attraverso il biologico, giunge allo spirituale. Su questa base, la fenomenologia apre il suo metodo di analisi ad una visione olistica, che dà luogo ai presupposti di una nuova antropologia filosofica. In questa, l’uomo completa in sé i presupposti psichici che appaiono attraverso tracce indiziali e imperfette già nella pianta e negli animali. Tali presupposti, nella dimensione antropologica danno luogo alla coscienza, che non solo realizza la consapevolezza e la soggettività dell’individuo, ma predispone, anche sul piano ontologico, l’essenza dell’uomo ad un’apertura spirituale che lo proietta verso il divino.
Un’altra posizione, affine e diversa rispetto a quella sheleriana, è rappresentata dall’ipotesi interpretativa di H. Plessner.
Anche H. Plessner, in partcicolare nella sua opera I livelli dell’oragnico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, ricollegandosi fra l’altro alla fenomenologia di E. Husserl e di M. Scheler, propone un’antropologia filosofica che giunge all’uomo partendo dal vegetale, passando attraverso l’animalità e inserendo l’uomo stesso nel mondo della vita secondo la concezione che ne dà W. Dilthey. Così, la nuova antropologia di H. Plessner convalida la gerarchia teleologica delle diverse forme di vita presenti nell’universo. In questo senso, la natura dell’uomo è in sé unificata nelle sue radici biologiche e spirituali. Ne deriva in Plessner la teoria dei modelli organici, attraverso cui egli si propone una deduzione delle categorie e dei principi a priori dai quali dipendono le caratteristiche della vita.
Così l’uomo ha un’identità sia come essere-corpo, sia come essere-nel-corpo, quindi l’io si riconosce sia nel livello fisico sia in quello psichico, si definisce per la sua «posizionalità eccentrica», grazie alla quale può rapportarsi tanto alla dimensione corporea, quanto a quella spirituale. In particolare, occorre ricordare che l’uomo ha se stesso ed è se stesso, può conoscere il suo corpo come un oggetto qualsiasi, oppure può identificarsi con il suo corpo.
In questo quadro, è naturale che la coscienza può essere definita come distanza da sé: la non coincidenza assoluta con se stessi comporta la lacerazione, poiché l’uomo è centro dell’ininterrotta mediazione tra esterno ed interno, e tale frattura non è risanabile neanche con l’autocoscienza.
Non dimentichiamo che, in questa posizione esistenzialmente ambigua, l’uomo deve condurre la propria esistenza, caratterizzandosi come processualità. Questo è il motivo della perenne inquietudine umana, caratterizzata da incertezza e insicurezza.
In particolare, emerge la configurazione della dimensione antropologica in una situazione in cui i gradi dell’inorganico e dell’organico contribuiscono a specificare l’effettivo livello del fenomeno umano nella duplice caratterizzazione di natura e cultura. Naturalmente, in questa situazione, il principio di posizionalità serve a distinguere il livello materiale — inorganico e organico-; il livello mentale e spirituale; il livello sociale.
Di fatto, troviamo che H. Plessner stabilisce una differenza posizionale tra i tre diversi regni della natura — vegetale, animale, umano — istituendo una scala posizionale, caratterizzata da una gerarchia sistematica al cui vertice c’è l’uomo.
Possiamo meglio comprendere quanto detto, esplicitando i caratteri della scala posizionale del livello organico. Questi sono: il livello vegetale contrassegnato da una forma aperta, in cui l’individuo non si distingue dal resto in contrapposizione ad un rapporto solo assimilatorio con l’ambiente favorevole al suo sviluppo, senza possibilità di distaccarsi per far affiorare la sua individualità. A questo livello manca la capacità di distinguere tra mondo esterno e mondo interno, che risultano unificati nell’esigenza di sopravvivenza, in forza della mancanza di un sé che conferisca consapevolezza al soggetto. Mancando di un organo centrale, l’individuo non è un individuum, in quanto è incapace di muoversi in senso proprio e i movimenti che fa sono involontari.
Il livello animale, contrassegnato da una forma chiusa. In tal caso, ci troviamo davanti ad un nuovo livello vitale in cui l’interazione è mediata da una struttura centrale che presiede alla maggiore reazione nell’ambiente. Infatti, l’animale è un vivente dotato di coscienza perché capace di distinguersi dall’ambiente e opporsi ad esso, anche se la sua coscienza è limitata perché non è consapevole di quello che fa.
In ogni caso, l’animale ha un suo corpo, ha un ambiente su cui agisce e che conosce, ma non sa di averli. Egli non ha riflessività poiché l’organo centrale dell’animale non ha ancora un io.
Il livello umano è contrassegnato da una forma chiusa ma, a differenza di quello animale, l’uomo ha consapevolezza di sé. Infatti, l’uomo, prendendo coscienza di sé, riesce a porre fine al dominio della centralità, a conquistare una posizione eccentrica e a superare la necessità biologica a cui restava ancorato l’animale che invece vive al centro del proprio ambiente naturale e non può uscirne perché non ha coscienza.
L’uomo si presenta così in una triplice pluralità di forme: è corpo, nel corpo e fuori dal corpo. Un individuo si chiama così persona. Con l’uomo si passa così dal dividuum all’individuum, alla persona, che è la realizzazione dell’eccentricità.
Sempre secondo lo schema antropologico-filosofico di H. Plessner, si delineano tre leggi antropologiche che in sintesi possiamo così indicare.
La prima legge è dell’artificialità naturale. Se l’animale esiste semplicemente senza conoscersi e senza riflettere sull’ambiente circostante, l’uomo ha smarrito la naturalezza e deve tramutare il mondo naturale in mondo artificiale. L’uomo trova nell’artificialità del mondo della cultura la sua seconda origine, così, per sopravvivere, deve intervenire sul mondo e farlo con l’intelligenza, superando i limiti che la natura gli ha imposto.
La seconda legge è il distacco dall’immediatezza mediata, per cui l’uomo vive, ad un tempo, come organismo animale nell’immediatezza dell’istinto naturale, e come essere eccentrico nella mediazione culturale.
La terza legge è del luogo utopico, per cui l’uomo, come essere eccentrico, si trova sempre proiettato al di là del presente e dell’immediato. Allontanandosi dalla pura spontaneità dell’immediato, l’uomo si scopre sempre inquieto, sperimenta se stesso e il mondo come una nullità e, per questo, avverte l’esigenza di trovare un fondamento assoluto. Ma, dato che all’eccentricità non corrisponde mai una precisa posizione, l’uomo non può sapere dove si trova la verità. L’uomo è così diviso tra l’essere e il nulla, tra esterno ed interno. Il non poter essere mai da nessuna parte (utopico) svela il fatto che davanti all’uomo si apre il possibile che lo conduce dal nulla a Dio.
L’altra e più recente posizione delle nuove tecnologie è quella di A. Gehlen, il quale sulla linea di M. Scheler e di H. Plessner, sviluppa una nuova concezione nella quale la continuità non rinuncia a sottolineare le differenze dagli autori ai quali ci siamo riferiti.
Il suo discorso fenomenologico e non solo tale, trova la sua espressione complessiva e sintetica nell’opera L’uomo. La sua natura e la sua posizione nel mondo, nella quale il problema antropologico non si risolve come per M. Scheler nella spiritualità religiosa, ma neppure privilegia, come in H. Plessner, la gerarchia ontologica delle varie forme degli esseri viventi. In lui, il nucleo della questione risiede nella genesi della cultura, che caratterizza l’unicità dell’uomo nel mondo della vita. Infatti, egli non si sofferma nelle caratteristiche della relazione tra uomo e ambiente, ponendo piuttosto in luce come le carenze dell’essere umano che lo conducono ad una fondamentale debolezza e fragilità della sua esistenza nel mondo, lo spingono nel contempo a perfezionare i suoi comportamenti intelligenti con i quali dà luogo alla cultura e conquista la sua condizione di primato nel mondo della vita, così la sua carenza diviene la radice della sua forza. Ciò determina nella nuova antropologia l’emergenza della cultura e dell’artificialità rispetto alla natura. D’altra parte tale miglioramento della situazione dell’uomo non è disgiunto dal complesso organizzativo delle diverse forme degli esseri viventi. L’olismo di fondo, in questo caso, privilegia la cultura senza ridurre l’uomo ad una scimmia evoluta e senza elevare l’uomo fino al suo superamento nel destino religioso della sua esistenza.
5. Antropo-cosmismo versus antropo-centrismo
L’uomo parte inizialmente dalla percezione sensibile e assume il mondo esterno in modo immediato. Successivamente, probabilmente mediante un condizionamento culturale basato sul dualismo gnoseologico, elabora la distinzione di sé dall’oggetto o mondo esterno. Significativi sono i tentativi di superare l’approccio empirista ingenuo e il dualismo che oppone soggetto e oggetto, svolti nel kantismo e nell’idealismo. Non si vuole misconoscere il ruolo del paradigma analitico-riduzionistico che è indispensabile per sviluppare la scienza e la tecnologia, ma oggi c’è bisogno di una scienza, non più legata all’analisi del solo particolare e proiettata in un contesto limitato, che non considera le conseguenze future, poiché occorre far emergere il livello sociale e ambientale delle sue applicazioni. Per fare ciò, necessita l’esplicitazione di una scienza del limite e della sostenibilità, basata su una conoscenza olistica-sistemica del reale.
Infatti, solo in un’epistemologia sistemica dei livelli gerarchici di realtà, l’uomo è in grado di superare la contrapposizione soggetto-oggetto perché si concepisce una realtà sistemica in cui l’uomo stesso è parte, essendo un continuum, con la natura.
L’uomo diventa così cosciente dell’universo in quanto non è da esso separato, ma è piuttosto lo strumento cosciente della natura stessa. Si ha quindi una visione antropo-cosmica perché l’uomo ha coscienza non solo di se stesso, ma anche dell’universo, e l’universo, attraverso l’uomo rispecchia se stesso (si confrontino su questo piano, fra gli altri, autori quali A. Gehlen, M. Merleau-Ponty, H. Jonas, P. Theilhard de Chardin). Ne deriva una serie di riflessioni che permettono di recuperare la complessità dell’uomo, in una sostanziale integrazione con la complessità dell’universo. Così l’epistemologia odierna, in accordo con la filosofia fenomenologica, consente di recuperare la gerarchia delle forme dell’essere, anche in merito alle diverse configurazioni dei viventi, portando a conclusione un lungo processo di pensiero, nel quale le distinzioni che separavano i diversi piani ontologici del reale cedono il passo alla continuità di una processualità dinamica del mondo della vita stessa, rispetto a cui il fenomeno umano rappresenta il compimento più elevato della complessità ontologica, aperto a sviluppi ulteriori in base ai quali, come abbiamo visto, alcuni autori proiettano la cosmopoiesi del mondo della vita verso il mondo spirituale proteso ad un ulteriore passaggio dalla storia alla metastoria o, meglio, dall’umano al divino. Concludendo queste pagine, possiamo ancora osservare che la visione olistica dell’uomo immerso nel mondo della vita, evidenzia un’organizzazione complessa e sistemica del reale, nella quale i due aspetti dell’interiorità della coscienza esistenziale e della cosmopoiesi evolutiva del mondo della vita, si integrano in una struttura di complessità crescente dell’universo.
In questa prospettiva, il principio di complessità-coscienza funge da collegamento tra le due dimensioni in apparenza incommensurabili del mondo privato dell’interiorità individuale e del mondo pubblico delle organizzazioni esteriori del mondo della vita.
Questa visione della realtà, trova nel fenomeno umano, per dirla con Theilhard, il nucleo problematico dell’intera questione. Ciò, in quanto l’uomo problematico si presenta come uno spirito incarnato, secondo la concezione di G. Marcel, realizzando così il superamento del dualismo tradizionale tra anima e corpo o tra res cogitans e res extensa. Questa forma di monismo inserisce l’uomo nel mondo della vita, evitando, nel contempo, la caduta nel monismo materialistico. La questione dell’olismo trova dunque la sua espressione più significativa proprio nell’uomo microcosmo dell’antropologia filosofica. A questo livello, la fenomenologia del mondo della vita, nonché quella della coscienza intenzionale, permettono, sul piano metodologico, di convalidare l’ipotesi di ricerca illustrata in queste pagine.
Il completamento dell’ipotesi delineata trova, per così dire, la sua espressione più matura nella concezione filosofico-teologica di P. Theilhard de Chardin il quale nella continuità evolutiva tra la litosfera, la biosfera e la noosfera, realizza, attraverso la legge di complessità-coscienza nel fenomeno umano, la proiezione dell’universo verso la sua dimensione spirituale di ordine religioso.