Esiste la caverna dove è prigioniero il pensare umano?

1. La fede dell’uomo razionale

Ipotizziamo un uomo che da sempre vive nella caverna dove è nato e non ha mai percepito cosa c’è fuori. A un certo momento giunge ad acquisire in qualche modo la convinzione che esiste un qualcosa al di fuori dalla caverna e prova a immaginare cosa ci sia. Le sue ipotesi si baseranno necessariamente su esercizi di elaborazione dei dati da lui percepiti, risultati dell’interazione dei sensi con il mondo circostante presente nella caverna. Le sue elaborazioni saranno esercizi d’immaginazione. Quell’uomo, riguardo a cosa esiste fuori dal suo mondo, fuori dalla sua caverna, non può sapere nulla e dunque quello che dice esserci è inevitabilmente un esercizio di fantasia, di fatto è un suonarsela e cantarsela perché non dispone dell’esperienza umana di stare fuori dalla caverna. Ipotizziamo ora un uomo che percorre le strade del mondo, è in grado di trasferirsi su altri pianeti, ha strumenti per analizzare tutto quello che si può controllare, ha risolto il problema delle malattie, è in grado di rallentare anche se non fermare del tutto, l’inesorabile deterioramento delle sue cellule corporali. Se quest’uomo ipotizzasse cosa c’è prima della nascita umana e cosa c’è dopo la morte, cioè se si chiedesse e rispondesse su cosa c’è per un essere umano fuori dalla vita terrena, oppure se si chiedesse con gli strumenti di cui dispone, compreso il pensare, se l’universo ci sia sempre stato e ottenesse una risposta che lo soddisfa, si comporterebbe allo stesso modo dell’uomo della caverna. Le sue risposte sarebbero elaborazioni di dati di cui dispone, che potrebbero costruire argomentazioni anche ben congegnate e articolate concettualmente ma sarebbero sempre esercizi del pensare con cui se la suonerebbe e canterebbe. Questo perché non avrebbe l’esperienza umana che sta prima della nascita e che sta dopo la conclusione della vita e non avrebbe l’esperienza umana di stare fuori dall’universo per osservarlo dall’esterno che è avere l’esperienza del prima e del dopo l’universo.

L’uomo ha la capacità di entrare in contatto con il mondo circostante attraverso i sensi, con i quali riceve impulsi, percezioni che interagiscono con la sua fisicità. Quanto scaturisce è fissato nell’uomo dall’atto del pensare che consegna all’uomo conoscenze su se stesso e sul mondo esterno. Infatti, è il contatto tra l’uomo e il mondo circostante che gli consente di conoscere l’io e il non io, il mondo esterno a lui. Da quel contatto, che è legame, relazione, interazione, scaturisce l’atto del pensare dell’uomo che è conoscenza, atto di convinzione di esistenza dell’io e di altro esterno all’io. Ogni nuova conoscenza consegnata dall’atto del pensare è valutata, comparata, che è sempre un pensare, con le conoscenze già acquisite e il risultato che si determina è un’altra convinzione di esistenza consegnata alla persona. Il pensare umano è alimentato da quanto giunge all’uomo dal contatto, dal legame, dalla relazione, dalla interazione che si determinata tra l’uomo precisa parzialità e ciò che è fuori di lui. L’uomo è in grado di conoscere cosa c’è fuori da sé precisa parzialità perché dispone del pensare che gli dice che con i propri sensi percepisce parzialità poste fuori da sé uomo, come la parzialità albero o fiore (poi la persona elabora questi dati con la sua capacità di pensare e giunge ad esempio a capire che taluni frutti di albero sono gustosi altri indigesti). Il pensare umano nel dispiegarsi nella vita corrente rileva l’esserci di parzialità. Per il pensare esistono soltanto parzialità perché rileva unicamente parzialità in quanto l’interazione avviene tra le capacità sensoriali umane che sono della persona che è precisa parzialità e quel mondo. Chiedere al pensare umano se esiste un essere che non è parzialità, comporta avere la risposta che non esiste perché per la sua esperienza esistono soltanto parzialità. Il pensare nella vita corrente, nel mondo in cui vive trova soltanto parzialità e dunque lui dice alla persona che esistono soltanto parzialità. La persona è precisa parzialità, vale a dire ha precisi confini di parzialità, la finitezza è insita dentro di lei precisa entità parzialità persona. Questo fa si che i sensi della persona indagano il mondo in cui lei si ritrova a vivere, e possono percepire soltanto parzialità. Poi l’uomo può costruire precise parzialità che sono strumenti per indagare dove i suoi sensi non possono giungere, come nell’infinitesimo piccolo o nell’infinitamente grande, ma i risultati ovviamente sono sempre precise parzialità anche se nuove. Questo comporta che il pensare può elaborare soltanto parzialità e di conseguenza fornisce alla persona soltanto ulteriori convinzioni di esistenza di parzialità. E questi risultati di parzialità possono a loro volta essere confrontati e valutati con altri precedenti convinzioni di esistenza e ottenerne di ulteriori. Quella persona può fare tutte le elaborazioni che vuole, quelle più articolate e complesse, ma in ogni caso con le forze di cui dispone che è il suo pensare, può soltanto individuare l’esserci di precise parzialità e dunque può avere soltanto convinzione che nella sua esistenza esistono parzialità. Se poi nel mondo ci fosse l’Essere che è Dio, che non è parzialità che non è soggetto alla finitezza umana, alla precarietà umana e fosse lì di fronte all’uomo, l’uomo non se ne accorgerebbe, non potrebbe accorgersene perché gli strumenti sensoriali di cui dispone rilevano la presenza soltanto di parzialità essere. Se quell’Essere decidesse di manifestarsi all’uomo, quello che potrebbe fare, se ne avesse la possibilità, sarebbe compiere degli atti straordinari, fuori dal comune, fuori dalle possibilità umane che dovrebbero essere percepiti dai sensi umani. Ad esempio potrebbe far bruciare un cespuglio senza che il cespuglio si consumasse, potrebbe procurare un rombo fortissimo e non facesse comprenderne la provenienza, oppure potrebbe compiere l’atto forse più straordinario e clamoroso che la mente umana possa concepire: far risorgere un uomo dalla morte.

A quel punto il pensare umano che è la capacità di rilevare e dunque consegnare alla persona convinzioni di esistenza, consegnerebbe la conoscenza umana che sì l’Essere che è Dio esiste. Quella persona conoscerebbe l’Essere per quello che ha compiuto, saprebbe che esiste e che ha capacità superiori all’uomo. Con il suo pensare potrebbe finanche giungere a dedurre che l’Essere non è soggetto alla finitezza umana che è precarietà umana dovuta al fatto che l’uomo è precisa parzialità con limiti ben definiti, con un inizio e fine e dunque assoggettato alla morte, mentre l’Essere è Altra Cosa. E potrebbe indicarlo come l’Essere che Non è parzialità, l’Essere che è Eterno, l’Essere che è Dio. Ma non saprebbe cos’è l’Essere, nel senso che non saprebbe chi è, qual è il suo volto, sebbene ne avrebbe una Presenza dentro di sé che è Presenza di Dio che si può definire al livello minimo. In ogni caso avrebbe una precisa Manifestazione Presenza di Dio dentro di sé, rispetto alla persona che non ha percepito quell’atto straordinario. Quella persona conoscerebbe il pensare parzialità, avrebbe dentro di sé una Presenza dell’Essere con cui comprenderebbe che l’Essere esiste ma non saprebbe cosa sia, non saprebbe se è un bene o un male per sé. Non saprebbe cosa si prova ad avere dentro di sé una Presenza forte di quell’Essere che Non è parzialità; in particolare non saprebbe cosa si prova a sentire se l’Essere Non parzialità fosse dalla propria parte e dunque se fosse dono di bene per lei. Tale che non saprebbe cosa si prova a essere un poco l’Essere che Non è parzialità, il che è dire che non saprebbe cosa si prova ad essere in qualche modo un poco partecipe dell’Essere che Non è parzialità. Ed inoltre quella persona non saprebbe cosa si prova a sentire se l’Essere non fosse dalla propria parte e dunque se fosse male per lei, il che vuol dire che non saprebbe cosa si prova a sentirsi sottomessa a quell’Essere, succube di quell’Essere. Il pensare umano acquisirebbe, registrerebbe soltanto l’esperienza di quell’Essere Straordinario entrato nell’esistenza umana; l’unico risultato che si determinerebbe nella persona sarebbe di stupore e meraviglia. Il pensare umano a quel punto affiderebbe alla persona, la convinzione che nella sua esistenza, oltre alle parzialità essere, esiste un Essere Straordinariamente Nuovo che non è parzialità, che indicherebbe come l’Essere che è Dio. Ma la Presenza di Dio che avrebbe dentro di sé non sarebbe tale da iniziare a farle capire Dio chi è oltre al fatto che ha capacità superiori a lei. Così quella persona che è precisa parzialità continuerebbe a dire «io sono parzialità» e penserebbe che l’Essere che Non è parzialità a sua volta continuerebbe a dire «Io sono l’Essere». Se poi quell’Essere compisse un atto straordinario fuori dalle possibilità umane con cui aiuterebbe la persona per farla uscire da una sua condizione di estrema difficoltà, quella persona riceverebbe una Manifestazione di Dio che è Presenza di Dio forte entrata dentro di lei, Presenza che soltanto Dio poteva donarle e che Dio le ha Donato. Quella persona acquisirebbe l’esperienza di cosa si prova ad avere dentro di sé una Presenza di Non parzialità che è forte; Presenza che si è donata a lei per aiutarla nella sua difficoltà, Presenza dunque che le è stata donata dall’Essere che Non è parzialità. A quel punto la persona che è precisa parzialità non continuerebbe più a dire semplicemente «io sono parzialità», ma direbbe: «io sono parzialità ed ho nella mia vita, dentro di me, il dono ricevuto dall’Essere che è Dio, che è il dono di una Sua Presenza che è Presenza di Non parzialità che è dono di bene per me perché mi ha aiutata in una situazione di difficoltà». Di fatto quella persona si sentirebbe un poco meno parzialità perché sentirebbe che Dio che è Non parzialità, è dalla sua parte e l’aiuta. Questo comporta che si sentirebbe un poco, pochissimo ma partecipe dell’Essere che è Dio che Non è parzialità. Questo sarebbe Dono di Dio, soltanto Dio può donarlo. Da questo si deduce che in ogni caso una persona può avere dentro di sé una Presenza dell’Essere se l’Essere gliela ha donata. Non può avvenire che la persona che è precisa parzialità con le sue forze ottenga autonomamente dentro di sé una Presenza dell’Essere anche se alquanto flebile.

Questi discorsi potrebbero essere confutati con il dire che sì la persona individua parzialità ma poi può anche pensare non parzialità come quando pensa l’infinito, o proprio il «fuori il pensare parzialità». A questo si risponde che la persona è parzialità e se ha una presenza di non parzialità, può avergliela donata soltanto l’Essere che Non è parzialità. La persona può avere la convinzione di essere uscita autonomamente dal vincolo del pensare parzialità, ma il dato certo è che se lei è parzialità, il suo pensare non può uscire autonomamente con le sue forze dal pensare parzialità. Per pensare Non parzialità occorre avere dentro di sé l’esperienza di una Presenza di Non parzialità, altrimenti si pensa sempre una parzialità. E la persona con le sue forze e capacità di cui dispone, che sono necessariamente forze e capacità che riguardano, attengono alle parzialità, non può acquisire autonomamente l’esperienza di Presenza di Non parzialità. L’esperienza di essere Non parzialità l’ha soltanto l’Essere che è Non parzialità, ammesso che esista, di cui l’uomo non può essere certo della sua esistenza, almeno fino a quando non ne acquisisca l’esperienza attraverso il conoscere un Atto straordinario compiuto da quell’Essere oppure con il ricevere il dono diretto di una Sua Presenza con cui l’Essere lo aiuta in una difficile situazione. Non si può escludere a priori che l’Essere Non parzialità esista, vale a dire che l’Essere Assoluto esista. Qualora esistesse, non si può escludere che doni una Presenza di Sé, che è una Scintilla di Sé ad una persona, tale che quest’ultima possa dire di avere avuto questa esperienza. In ogni caso questa persona rimarrebbe persona parzialità ma con dentro di sé questa esperienza di Non parzialità che è possibile anche indicare come esperienza di Pensare Nuovo per fare riferimento al fatto che è fuori, è altra cosa rispetto al pensare corrente, pensare parzialità (in ambito religioso questa esperienza la si potrebbe indicare come esperienza mistica, come estasi ed in culture orientali la si potrebbe indicare come Illuminazione). Ma questa persona, ammesso che abbia avuto veramente quella esperienza di Pensare Nuovo, non avrebbe elementi logici, razionali, vale a dire elementi propri del pensare parzialità con i quali poter dimostrare ad altre persone che l’Essere che è Non parzialità esiste ed inoltre non potrebbe dimostrare che lei dentro di sé ha traccia dell’esperienza che ha avuto. Soltanto se un’altra persona acquisisse anche lei quell’esperienza, allora potrebbe comprendere cosa intende la prima persona.

Poi c’è l’argomentazione di chi dice che sì la persona con il pensare corrente di norma individua parzialità, rileva parzialità, ma nel suo esercizio di dispiegamento della logica potrebbe giungere a dedurre che Dio esiste, intendendo un Essere Creatore del genere umano, di livello superiore al livello umano, oppure potrebbe giungere a dedurre che Dio non esiste. In altre parole la persona potrebbe avere la convinzione che con le forze di cui dispone, che è la capacità di dispiegare il pensare parzialità, la logica, è in grado di giungere a trovare Dio, sempre che Dio esista davvero, oppure giungere a dimostrare il contrario, che Dio non esiste. Ognuna di queste due convinzioni è fede nell’uomo, fede nella sua capacità di applicarsi fino a giungere a capire con le uniche forze umane di cui dispone (senza un minimo di aiuto dall’esterno) cos’è l’esistenza, cosa c’è da capire di profondo dell’esistenza, tutto quello che c’è da capire dell’esistenza. E in particolare se esiste un Dio che ha creato l’universo e l’uomo e la donna, oppure se questo Dio non esiste ed allora capire come si è determinato tutto quello che esiste. Questa è la fede dell’uomo razionale. Questa fede, come ogni fede umana non può essere sottovalutata o semplicemente non presa in considerazione, bensì occorre darle il massimo della considerazione tale che ognuno possa valutarla, analizzarla con quella che è la propria esperienza personale riguardo alla possibilità che ha di rendersi conto quello che esiste.

2. Il pensare umano è prigioniero in una caverna da cui non può uscire con le sue forze

Se si affronta la questione dell’esistenza, con il chiedersi se Dio esiste, si rientra nella casistica dell’uomo della caverna che sulla spinta d’indagare che è cercare di conoscere il mondo in cui vive, s’interroga se c’è un fuori la caverna e cosa c’è in quel fuori la caverna. Ma in questo modo non s’inizia l’analisi dal punto zero, dal punto corretto che invece è il chiedersi: io uomo chi sono? ho dei limiti oltre i quali non posso andare? E se li ho quali sono? Lo strumento d’indagine sono io e dunque devo conoscermi perché se non mi conosco in quello che sono come strumento d’indagine come posso essere certo di ricevere dati attendibili da questo mio essere strumento? Prima di tutto tenendo conto che la fisicità del mio essere uomo dispone di sensi che mi consentono di percepire fuori dalle mie dimensioni corporali. Così devo conoscere, dove inizia lo strumento d’indagine e dove finisce e se in qualche modo altera quello che analizza oppure lo rileva semplicemente come fosse uno spettatore. Dunque la prima domanda da porsi è: chi è l’uomo, ha dei limiti? Se li ha quali sono? Dove può arrivare con il dispiegamento della sua capacità di conoscere, di sapere, di pensare, finalizzata a comprendere quali sono gli attori presenti nel campo dell’esistenza: gli umani, gli animali, il mondo vegetale, Dio, altro? E si riceve una prima risposta riguardo al fatto che quanto giunge alla persona d’impulsi, di percezioni può essere elaborato che è valutarlo, compararlo con quanto già acquisito, che è pensare, riflettere su quanto ricevuto. Questo è comprendere che l’uomo ha la capacità di pensare che è elaborare le percezioni, i fatti della vita. Il pensare è lo strumento di cui dispone l’uomo per trovare risposte agli interrogativi risultati dell’interazione tra il suo essere e l’esistenza nella sua globalità. E allora conoscere lo strumento d’indagine di cui sopra diventa più specificatamente conoscere il pensare, sapere cos’è il pensare, conoscerne la potenzialità, quali sono i suoi limiti, se ci sono, e necessariamente devono esserci perché l’uomo è parzialità e tutto ciò che da lui parte è parzialità e dunque ha limiti ben precisi. Questo affinché si possano valutare i risultati che porge per giungere alla conclusione se sono attendibili o meno, completi o parziali. Il pensare con il suo indagare il mondo reale è alimentato unicamente da parzialità e dunque esso pensare individua soltanto parzialità e tratta soltanto parzialità, manifesta sé con la capacità di elaborare, comparare, quelle parzialità che conosce, il cui risultato è che ne deduce di nuove, ma sono sempre parzialità. A questo punto sorge la domanda: il pensare con le forze e peculiarità di cui dispone ha la possibilità di svincolarsi autonomamente da quelle parzialità e librarsi fino a toccare quello che sta fuori di loro che è l’Essere che è Non parzialità, ammesso che questo Essere esista? Il che è chiedersi: il pensare con le sue forze può autonomamente uscire fuori da quello che ora manifesta esistere e che porge alla persona e che sono parzialità? Nel senso, lui ora è più specificatamente manifestazione di pensare parzialità, è manifestazione di esserci parzialità, ma con le sue forze dispone della capacità di uscire, svincolarsi da questa manifestazione di sé come (individuazione di) parzialità, ed andare fuori dove non ci sono parzialità, tale da trovare e ricevere la manifestazione dell’Essere che non è parzialità, ammesso che questo Essere esista? La domanda è cruciale perché se con le sue forze, autonomamente, non può uscire fuori dalla sua capacità d’individuare parzialità, ha dei limiti di cui tener conto. Infatti, fuori dal recinto in cui lui pensare può agire ed agisce, ci può essere un Essere che è Non parzialità che esiste ma lui pensare con la capacità di cui dispone, non può rendersi conto della sua esistenza e magari questo Essere ha una influenza sostanziale sulla persona.

La persona può dire che crede esistere soltanto quello che le indica il pensare di cui dispone, vale a dire quello che le indica la sua capacità di pensare, di individuare, di rilevare, di valutare, di soppesare quello che lei conosce. In altre parole la persona può credere esistere soltanto quello che si rende conto esiste mediante il pensare, altro per lei non esiste e dunque per lei esistono soltanto precise parzialità, precisi esseri che sono parzialità ben individuate. A quest’approccio non c’è obiezione alcuna. Però la conseguenza è che questa prima persona non può dissertare con un’altra persona che invece dice di avere dentro di sé una presenza di un Essere che indica come Dio che Non è parzialità che non ha un inizio e non ha una fine in quanto c’è sempre stato e sempre ci sarà. Può confutare a quella seconda persona incoerenza nei comportamenti se contraddicono ciò che quella dice esistere riguardo a Dio, ma non può argomentare sulla questione riguardo al fatto se Dio esiste o non esiste. Deve astenersi semplicemente dall’affrontare la questione. Se la persona non riesce a dimostrare che il pensare può uscire autonomamente con le sue forze dal pensare individuare parzialità, significa che quel pensare parzialità con le sue forze può soltanto dire, parlare di parzialità. Di conseguenza quella persona quando disserta sull’esistenza in senso lato e dice ad esempio che Dio non esiste perché nell’esistenza ci sono soltanto parzialità perché lei conosce soltanto parzialità, sta parlando di cosa c’è fuori da sé benché non se ne renda conto; infatti dice che fuori dalla condizione in cui si trova (quindi fuori dalla caverna) non c’è Dio. Sta dicendo cosa c’è fuori dalla caverna in cui lei vive, senza essersi resa conto di stare in una caverna e senza essere andata fuori da quella caverna e dunque senza aver acquisito l’esperienza di stare fuori da quella caverna. Questo vuol dire che quella persona se la suona e se la canta riguardo a cosa esiste nell’esistenza, e precisamente riguardo a cosa ci sia fuori dalla caverna in cui si trova. Sì perché lei sta in una caverna (anche se non se ne rende conto) da cui non può uscire perché non può andare fuori dalla condizione di individuare parzialità, mentre lei tranquillamente disserta di cosa c’è fuori il pensare parzialità e dunque in qualche modo dice che c’è un fuori il pensare parzialità sebbene non si renda conto di dirlo. Peraltro non si rende conto che lei sta dicendo che c’è un fuori il pensare parzialità proprio nel momento in cui dice che in quel fuori non c’è l’essere che non è parzialità.

Con il continuare la metafora della caverna, il pensare può avere attendibilità quando dice cosa c’è fuori dalla persona ma rimanendo sempre dentro la caverna costituita dai confini propri del pensare parzialità, ad esempio che esiste la roccia o il fiume o che esiste la condizione della gioia o della sofferenza. Ma il pensare parzialità è inattendibile quando dice cosa c’è fuori la caverna, vale a dire quando dice cosa c’è fuori, oltre la capacità di sé pensare parzialità, capacità che consiste nell’individuare parzialità. Il pensare parzialità di una persona non ha gli elementi, il presupposto esperienziale ed anche soltanto concettuale, per confutare un’altra persona che dice di aver ricevuto una Presenza di Non parzialità che indica come Dio. Così la prima persona ha un qualche senso se dice che Dio incontrato dall’altra persona è una sua convinzione personale, ma non ha senso se dice che questa convinzione non ha fondamenti, è un’illusione, oppure se dice che Dio non esiste perché nell’esistenza ci sono soltanto parzialità, fino a prova contraria. Nel caso particolare della ricerca nel mondo fisico ha senso porre dei criteri di valutazione riguardo all’attendibilità dei risultati ottenuti, come il criterio della riproducibilità in laboratorio di quanto individuato, rilevato, scoperto. Ma nel campo più ampio dove si indaga l’essere, nulla è dato a priori, come il dire «l’Essere Assoluto non esiste» o il dire «l’Essere che è Dio esiste». Occorre indagare nell’esistenza ed essere pronti a rilevare ciò che si manifesta alla propria convinzione di esistenza. La persona è precisa parzialità con limiti fisici ben definiti; con l’analizzare, indagare il pensare corrente della persona si arriva a comprendere il primo carattere fondante di esso che è la sua potenzialità, che però è anche il suo limite. E precisamente che il pensare umano con le forze, capacità di cui dispone, individua esistere, individua esserci che sono unicamente parzialità essere, vale a dire individua e può individuare, soltanto esseri, enti che sono parzialità. Questa situazione è la condizione della caverna in cui si trova il pensare umano e dunque è la condizione in cui si trova a vivere la persona.

Il pensare è prigioniero, rinchiuso nella caverna delle parzialità dove è obbligato a rendersi conto unicamente della loro esistenza, risultato dell’interazione tra la precisa fisicità della parzialità corpo della persona e il mondo circostante. Il pensare umano che sta in quella caverna, con le forze e capacità di cui dispone, non è in grado di uscirne per rilevare cosa c’è fuori dalla caverna, cosa c’è fuori dalle parzialità. Per questi motivi il pensare umano non può essere lo strumento cui la persona assegna il compito di affrontare e risolvere in modo risolutivo la sua esigenza di conoscere quello che c’è da conoscere nell’esistenza e dunque non è in grado di risolvere la questione del rapporto fra l’uomo e la religione, fra l’uomo e l’Essere che è Dio che è Non parzialità. In altre parole la sete di conoscenza della persona potrà essere esaudita, se raggiunge la certezza di quello che esiste oltre alle parzialità, eventualmente anche certezza incontrovertibile che fuori dalle parzialità non c’è null’altro e dunque che esistono soltanto parzialità. Il pensare umano non riesce a pensare che parzialità, ad esempio non riesce a pensare un essere che non ha inizio e non ha fine; lo potrebbe indicare concettualmente che però se non ne avesse l’esperienza mediante il ricevere una manifestazione diretta di quell’essere, rimarrebbe una semplice ipotesi di studio e dunque sarebbe sempre una parzialità. Mentre quello che conta è averne l’esperienza perché soltanto questa darebbe alla persona una presenza di quell’essere, che farebbe scaturire in quella persona certezza d’esistenza di questo essere che non ha inizio e non ha fine. Questa differenza fra conoscenza concettuale e conoscenza con esperienza è come la differenza che c’è tra l’aver soltanto saputo che esiste l’acqua e che si potrebbe bere ed aver fatto l’esperienza di berla. Il pensare umano è prigioniero in una caverna da cui non può uscire con le sue forze, dove non c’è la luce della conoscenza profonda, quella che veramente conta, quella che dice cosa c’è fuori da quella caverna: ad esempio c’è l’Essere Assoluto oppure c’è il niente.

Proprio il fatto incontestabile che il pensare umano non riesce a pensare che parzialità, attesta che l’uomo è prigioniero, lontano, fuori dalla conoscenza piena, riguardo all’esistenza perché proprio non ha la certezza che è esperienza, di cosa ci sia fuori dall’esserci delle parzialità. L’uomo si trova nella condizione di sentirsi prigioniero con il suo pensare in una caverna da dove non può uscire con le sue forze e dove non c’è la luce della conoscenza profonda, quella che veramente conta, vale a dire non ci sono le risposte alle domande fondamentali sull’esistenza: cosa c’è prima della vita umana? cosa c’è dopo la morte? dopo la vita umana? Questo perché l’uomo sente di non avere l’esperienza completa di quello che esiste, di quello che c’è da conoscere nella sua esistenza. Questa è probabilmente la condizione in cui sente di trovarsi Socrate che la esprime e sintetizza in modo mirabile con il dire: «io so di non sapere». L’uomo si rende conto che il pensare umano è prigioniero in una caverna da cui non può uscire con le sue forze, dove non c’è la luce della conoscenza profonda, quella che veramente conta. Da questa condizione lo può liberare soltanto l’Essere Assoluto che è Dio, se esiste, e se dona all’uomo una Presenza anche flebile di Sé ma sempre inconfondibile. A quel punto l’essere dell’uomo, il pensare parzialità, illuminato, rigenerato dalla Presenza Salvifica di Dio rileva e porge alla persona il pensiero che non è pensare-manifestare parzialità, bensì è il Pensiero Nuovo: l’Essere Assoluto che è Dio esiste ed è Dono di Luce per la conoscenza dell’esistenza umana perché Manifesta che c’è un fuori la caverna, vale a dire che c’è un fuori rispetto all’esistere da parzialità.

Se il pensare umano con le forze di cui dispone non è in grado di conoscere e dunque non è in grado di avere la consapevolezza che c’è un fuori il recinto in cui è costretto a stare, vuol dire che non è in grado di parlare con attendibilità di cosa c’è fuori il recinto in cui è costretto a muoversi, a dispiegarsi, vale a dire non è in grado di parlare di cosa c’è fuori dalla caverna in cui la persona si trova. Così la persona come può pretendere sia affidabile il suo pensare personale quando, se non avesse esperienza alcuna riguardo al conoscere il Fuori il pensare parzialità, parlasse del fuori parzialità dicendo che un dio esiste e sta fuori dal suo recinto in cui lui può muoversi e agire? Allo stesso modo se quel pensare umano dicesse che dio non esiste perché è semplice illusione, immaginazione umana, che attendibilità può avere quest’asserzione convinzione se il pensare parzialità non ha Presenza alcuna provenire da Fuori il pensare parzialità e con le forze di cui dispone, non può uscire da sé pensare parzialità e dunque non può dire cosa c’è fuori di esso, cioè non può dire cosa c’è fuori la caverna in cui la persona si trova? La conclusione è proprio che il pensare umano non è strumento idoneo, appropriato, efficace per affrontare e risolvere in modo risolutivo la questione del rapporto fra l’uomo e la conoscenza profonda, fra l’uomo e Dio, fra l’uomo e la religione. Ma il pensare è l’unico strumento dell’uomo per indagare l’esistenza, infatti, è in ogni caso lo strumento che pone l’uomo nella giusta disposizione di fronte a quella questione perché può giungere e deve giungere a dirgli: io non so se Dio esiste (non so se esiste un fuori la caverna in cui mi trovo) ma è ragionevole essere aperti, vigilare nella sua direzione, perché se dovesse manifestare il Suo Esserci, io potrei non rendermene conto e dunque è opportuno non chiudersi aprioristicamente a Lui. Questo è il servizio ottimale che il pensare corrente possa fornire alla persona. Questo è il servizio ottimale con cui il pensare corrente prima giunge a rendersi conto di non avere le forze sufficienti per trovare le risposte alle domande che pone l’esistenza e poi indica alla persona di aprirsi nella direzione di Dio, che è chiedere alla persona di compiere un atto di fede in Dio. La persona con il compiere l’atto di aprirsi nella direzione di Dio, compie un atto di fede nei confronti dell’Essere Assoluto che è Dio con cui, di fatto, dice a se stessa: io sono in estrema difficoltà rispetto alla necessità di conoscere quello che c’è da conoscere dell’esistenza umana in quanto tale, sono giunta a rendermi conto che non posso capire tutto quello che vorrei capire, mi rendo conto che con le mie forze non posso procedere oltre sulla strada della conoscenza perché ho dei limiti oltre i quali non posso andare, a questo punto mi apro con fiducia nella direzione di Dio, mi avvicino a Lui. Questo vuol dire che la persona prima deve compiere un atto di umiltà, risultato di aver compreso i propri limiti oltre i quali non può andare e poi può e deve compiere un atto di fede nei confronti di Dio.

La persona con il compiere quell’atto di fede in Dio, compie un passo nella direzione di Dio, con cui, di fatto, chiede aiuto a Dio per andare oltre i limiti del suo pensare corrente. Dio non lo deluderà perché è ben disposto nei confronti di chi in spirito di umiltà si apre con fiducia a Lui perché Dio non aspetta altro che l’uomo proceda in modo sano sulla via della conoscenza. Procedere sulla via della conoscenza in modo sano è prima di tutto giungere a rendersi conto dei propri limiti, dopodiché chiedere aiuto per capire quello che c’è da capire dell’esistenza. Se invece non si comprendono i propri limiti, si cerca soltanto di manipolare con i propri mezzi quello che si conosce di parziale sull’esistenza. Dunque l’uomo con quell’atto di fede in Dio si pone nella direzione di spezzare i confini, i limiti in cui è confinato, da cui non può uscire con le sue forze e pone le basi per ottenere le risposte alle domande che si pone sull’esistenza. Per affrontare e risolvere in modo risolutivo l’esigenza umana di conoscere in modo completo quello che c’è da conoscere dell’esistenza, occorre utilizzare il pensare parzialità fino a quando questo manifesta i suoi limiti con cui non può procedere oltre, a quel punto occorre compiere un atto di fede, che è atto di fiducia nei confronti di Dio con cui ci si apre a Lui per ricevere l’aiuto che soltanto Lui è in grado di dare. Il pensatore che trova i limiti oltre i quali non può andare il pensare umano e non vuole desistere nella sua ricerca, ha l’opportunità di compiere l’atto di fede in Dio. Se non compie l’atto di fede, la sua ricerca non progredirà, rimarrà al punto in cui è arrivata. D’altra parte quale uomo che non ha ancora avuto una presenza anche flebile dell’Essere, può escludere a priori che l’Essere Assoluto non ci sia? O che se già ha avuto una Sua flebile presenza, ora ponendosi alla Sua ricerca possa escludere a priori di ricevere manifestazioni ancora più forti? Da tutto questo emerge che affrontare la questione tra l’uomo e la religione (fra l’uomo e la questione Dio) è in via dirimente e preliminare affrontare la questione del pensare, perché è lo strumento che l’uomo dispone; così occorre rispondere alla domanda: cos’è il pensare? Cercando di andare oltre quanto detto fino ad ora.

3. Cos’è il pensare?

L’uomo indaga l’esistenza con il pensare, ma non può considerare attendibile qualunque risultato il pensare gli porge, se non ha prima ben compreso tramite lo strumento di cui dispone, che è il pensare stesso, che cosa sia il pensare, quali sono i suoi limiti. Una qualunque asserzione di un pensatore porta dentro una sua convinzione più o meno consapevole di cos’è il pensare, il rendersi conto di questo deve costringerlo a porre quella domanda (cos’è il pensare?) al punto zero della sua indagine, il che vuol dire porla alla base della sua indagine. Non può eluderla, deve necessariamente confrontarsi con essa per poi considerare proprie le convinzioni di esistenza che il pensare gli porta. Questo ovviamente riguarda sia il pensatore che ha l’esperienza che Dio esiste, sia il pensatore che non ha l’esperienza che Dio esiste. Parlare del pensare umano con attendibilità è difficile, anzi impossibile, perché occorrerebbe uscire dal pensare e guardare, analizzare il pensare da fuori (come se fosse stato portato su un banco di laboratorio) e dire cosa esso è; ma questo non è possibile. Il pensare con le sue forze non può uscire da sé per osservare sé da fuori, valutare sé e dire cosa esso è. Ma non c’è altro modo per parlare con attendibilità ed esaustività del pensare, come non c’è altro modo di parlare con precisione di un qualsiasi qualcosa se non stare fuori di esso e osservarlo, valutarlo, analizzarlo. Ma già rendersi conto di questo è aver compreso non poco del pensare, perché si è capito che non può parlare di sé in modo esaustivo e dunque non può dire in modo preciso quali sono i suoi limiti. Inoltre si è compreso che il pensare per parlare in modo preciso di un qualcosa deve poter stare fuori di esso e analizzarlo, deve essere certo che esso c’è attraverso il riuscire ad analizzarlo che è valutarlo tramite modelli precostituiti (come il criterio di riproducibilità in laboratorio) al fine di comprenderlo in quello che è. In questo modo si può dire che si acquisisce l’esperienza di quel preciso essere parzialità che a quel punto si è certi che esista con le caratterizzazioni rilevate. Questo fa comprendere che è affidabile quello che dice esistere il pensare se la persona abbia acquisito l’esperienza di quello che dice esistere. Ad esempio se il pensare dice che esiste un albero è perché l’ha percepito, o se ha riscontrato una legge della fisica, è perché precisi esperimenti l’hanno comprovata. Così ad esempio è il pensare che fornisce alla persona la convinzione: io sono persona e fuori di me c’è altro, io persona ci sono e fuori di me c’è altro, devo nutrirmi prendendo dal mondo circostante, devo stare attenta a non inciampare altrimenti cado etc. In altre parole il pensare fa dire alla persona: io sono precisa persona e fuori di me c’è altro con cui interagisco, con cui sono in relazione, primi fra tutti gli altri uomini e donne; io esisto, ho esperienza di me che esisto, io ho la capacità, possibilità di pensare che consiste nell’elaborare percezioni risultato della interazione tra me parzialità persona e il mondo circostante con cui entro in contatto e dunque sono in relazione con esso, di cui primi fra tutti, gli altri uomini e donne. Da questo si deduce in particolare che la persona con la convinzione che ha di sé, quello che lei persona conosce di sé, quello che già sa di sé, lo proietta sul mondo circostante per aumentare sempre di più la conoscenza su quel mondo con cui è in interazione e che ha influenza su di sé, e inoltre per incrementare indirettamente anche la conoscenza su sé persona. In questo modo si determina un continuo processo d’aumento della conoscenza della persona riguardo a sé e al mondo in cui si trova a vivere con cui interagisce. La persona è precisa parzialità e proietta sé sul mondo circostante e in risposta ottiene l’individuazione di enti parzialità che entrano in relazione con lei. In particolare nulla può dire il pensare riguardo a un essere che non sia parzialità di cui la persona non abbia acquisto esperienza nella sua vita. Tale che se dovesse esistere un Essere che Non è parzialità lui pensare umano non può con le sue potenzialità e capacità rendersi conto autonomamente della sua esistenza. Soltanto se in qualche modo quell’Essere si manifestasse alla persona, questa potrebbe rendersi conto del suo esserci. La persona con il pensare di cui dispone non può parlare con attendibilità di quello che sta fuori dalla sua esperienza personale, bensì può parlare di norma di esperienze riguardo all’esistenza di parzialità. Così il pensare in particolare non può proferire parola riguardo all’Essere ammesso che ci sia, se in qualche modo non ne ha acquisito l’esperienza. Il pensare non può dire cosa c’è fuori da sé capacità di individuare parzialità e non può neanche dire cosa è esso pensare perché non ha l’esperienza di stare fuori da sé e poter dire cosa esso è. Quello che si può rilevare è che il pensare umano con le capacità di cui dispone, può autonomamente individuare parzialità che vuol dire rilevare l’esserci di parzialità, che è avere la convinzione della loro esistenza. In altre parole il pensare umano non ha l’esperienza di stare fuori dall’individuare parzialità e dire in cosa consiste il pensare parzialità, il che è dire che il pensare non può rispondere in modo esaustivo e completo alla domanda: in cosa consiste l’atto di individuare parzialità? Il pensare può dire e dice alla persona: io individuo parzialità, non posso parlare di cosa sta fuori dall’esserci delle parzialità, non posso neanche dire se esiste o se possa esistere un essere che non sia parzialità; soltanto se quell’Essere dovesse esistere e si manifestasse a me, io ne acquisirei la conoscenza, che è acquisirne l’esperienza. Ma acquisire questa esperienza che è rendersi conto del limite che ha il pensare parzialità oltre il quale non può andare, di fatto vuol dire aver avuto una Scintilla di Essere proveniente da oltre il confine del pensare parzialità. Questo perché soltanto l’aver avuto una Scintilla di Essere che è Non parzialità può far rendere conto alla persona che il pensare parzialità ha un limite oltre il quale non può andare.

Fino ad ora l’uomo ha trovato di fatto due risposte a quella precisa domanda: in cosa consiste l’atto di individuare parzialità? Prima risposta, se la persona non abbia avuto esperienza di cosa sta fuori dall’individuare parzialità, di fatto pensa che il pensare umano, che è il pensare parzialità, non abbia limiti di conoscenza e dunque può giungere a rispondere a qualsiasi domanda riguardo all’esistenza senza ostacoli di sorta. Prima fra le quali la domanda riguardo a cosa esiste, certo occorre impegnarsi, occorre tempo, ma l’uomo può giungere a trovare tutte le risposte alle domande che si pone. Questa persona non ha avuto esperienza dell’esistenza dell’Essere che è Non parzialità e arriva alla conclusione che l’atto d’individuare parzialità è rendersi conto di precisa parzialità che sta fuori dal pensare che l’ha individuata, tale che il pensare ne rileva l’esistenza come se fotografasse quella parzialità. Seconda risposta a quella domanda, è il caso specifico della persona che è un ricercatore della verità dell’esistenza che ha avuto esperienza anche se alquanto minima, di cosa sta fuori dall’individuare parzialità, vale a dire ha avuto un’esperienza dell’esistenza dell’Essere che è Non parzialità. Questo perché ha condotto il pensare al limite oltre il quale non può procedere, tale che a quel punto il pensare ha ammesso di non poter andare oltre, con cui ha manifestato il suo limite. E precisamente che il limite del pensare è che non può uscire da sé e dire cosa c’è fuori da sé pensare, così in particolare non può dire che fuori da sé non c’è un Essere che non è parzialità. Ma per giungere a questo vuol dire che la persona ha ricevuto una Scintilla proveniente dall’Essere che sta oltre il pensare parzialità che le ha fatto rendere conto, del suo esserci e dunque della presenza di quel limite. Soltanto l’Essere poteva farle rendere conto della presenza di quel limite che ha il pensare e precisamente che il pensare non può uscire da sé e dirle cosa c’è, cosa esiste fuori la persona. Infatti, il pensatore con il ricevere quella Scintilla di Presenza dell’Essere ha ricevuto una Scintilla di esperienza riguardo a cosa c’è fuori dal pensare parzialità. Questo vuol dire che quel pensatore alla domanda: «cosa c’è fuori dalla persona che s’interroga su cosa c’è nell’esistenza, cosa c’è oltre a lei persona? vale a dire cosa c’è che sta fuori dal pensare umano che prescinde dal pensare umano?», ora può raggiungere la risposta che è precisa conoscenza: «c’è un Essere che è Non parzialità». Ma il cercatore della verità dell’esistenza può ottenere ulteriori conoscenze dalla Scintilla di Essere ricevuta. Infatti, il pensare parzialità con il riconoscere i propri limiti e precisamente che non ha la capacità con le sue forze di uscire da sé per rilevare cosa c’è fuori da sé pensare, ammette che non può giungere alla conclusione che fuori da sé pensare ci siano gli enti parzialità quali alberi, fiumi etc. Tale che a quel punto il pensare parzialità è costretto a dire: le parzialità del mondo individuate stanno dentro di me pensare esse, e non fuori da me che le ho individuate. Il che è dire che è il pensare stesso della persona che interagendo con l’esterno della persona, fa esserci le parzialità che dunque non vivono di vita propria fuori da quel pensare; bensì fuori dal pensare parzialità sicuramente c’è l’Essere. In altre parole alla domanda della persona: «in cosa consiste l’atto d’individuare parzialità?», la risposta che ottiene quel pensatore è che le parzialità del mondo che sono state individuate, stanno dentro il pensare stesso della persona e non fuori quel pensare, questo perché come dice Parmenide «lo stesso è pensare ed essere», in particolare pensare è essere.

Se come dice Parmenide «lo stesso è pensare ed essere» e dunque, in particolare pensare è essere, fuori dal pensare non c’è essere, il che vuol dire che il pensare non esce da sé e l’essere non sta fuori dal pensare esso, vale a dire l’essere sta soltanto nel pensare esso. Questo vuol dire che le entità percepite, individuate, non vivono di vita propria disgiunta dal pensarle, bensì stanno dentro e tutto quanto nel pensare esse. Da questo ad esempio si deduce che se Parmenide ha ragione, se ha ben compreso cos’è il pensare, l’uomo con lo utilizzare lo strumento pensare per rispondere alle questioni fondamentali dell’esistenza, se la suona e se la canta perché in quello che lui è convinto esistere, è sempre e soltanto il pensare che manifesta sé senza uscire da sé, dunque senza dire cosa c’è fuori da sé pensare. Dire che il pensare umano è più specificatamente pensare parzialità, manifestazione di pensare parzialità, è dire che il pensare parzialità non esce dalla caverna in cui si trova il pensare umano. Il che in altre parole significa non dire in particolare cosa c’è fuori dalla precisa parzialità uomo, vale a dire cosa c’è fuori dalla caverna in cui si trova l’uomo. Dopo aver rilevato tutto questo, si deduce che se l’Essere esiste, nel momento in cui Manifesta Sé alla persona di fatto le dona allo stesso momento un Pensare Nuovo che è Pensare Non parzialità, che è Pensare l’Essere, che è Rendersi conto dell’Esserci che Non è parzialità, che è acquisire Esperienza dell’Essere, che è Convinzione di esistenza dell’Esserci che Non è parzialità. Ed è esattamente quello che nello specifico avviene nelle persone che nella loro vita hanno avuto l’esperienza di ricevere una Manifestazione dell’Essere che è Dio. Queste persone hanno acquisito di norma come tutte le altre persone, l’esperienza dell’esserci del pensare parzialità che più specificatamente è convinzione di esistenza di precisa parzialità, e inoltre hanno acquisito l’esperienza dell’Esserci del Pensare Non parzialità che è Precisa Manifestazione dell’Essere che è Non parzialità. Pensare è convinzione di esistenza. Pensare è più specificatamente pensare l’essere; e si può avere il pensare l’essere parzialità e il Pensare l’Essere che Non è parzialità.

È da cercare l’Essere che non è parzialità, che è ben più importante di qualsiasi parzialità; a questo si può obiettare: sempre che l’Essere esista. Se l’Essere non esiste, non si trova, se esiste, si trova perché l’Essere si fa trovare, infatti taluni l’hanno incontrato. L’Essere si fa trovare ma occorre cercarlo con impegno, costanza e determinazione, altrimenti non si giunge a conoscerlo. Chi viene a sapere dell’Essere da qualcuno che l’ha già incontrato, può ricevere indicazioni di come muoversi in apertura a Lui e può trovare la spinta per cercarlo con impegno, costanza e determinazione e può giungere e giungerà ad acquisirne l’esperienza nella sua vita. Dunque il cercarlo con impegno è necessario ma non è sufficiente perché c’è una difficoltà: il pensare umano con le capacità insite, proprie della persona che è ben precisa parzialità, è più specificatamente un pensare parzialità, il che vuol dire che parla sempre e soltanto di sé pensare parzialità perché conosce soltanto parzialità. Da questo si deduce che il pensare umano con le forze di cui dispone non può giungere a capire quali eventuali possibili altri attori ci sono nell’esistenza che stanno fuori dal recinto delle parzialità (che stanno fuori la caverna in cui si trova la persona) e dunque che sono altra cosa rispetto alla parzialità persona. In particolare il pensare umano non può con le forze, capacità di cui dispone, rendersi conto di un Essere che è Non parzialità. Soltanto se questo Essere si manifestasse in qualche modo alla persona a quel punto il pensare della persona che era ben disposto nei confronti dell’Essere (infatti, la capacità della persona di rendersi conto cosa esiste si era posta con impegno in apertura e in ricerca nei confronti dell’Essere) potrebbe rendersi conto del Suo Esserci, acquisirebbe l’esperienza dell’Essere e potrebbe dire a se stessa: «sì l’Essere c’è, non è un’invenzione umana».

La persona tramite il pensare conosce in modo completo soltanto quello di cui ha acquisito esperienza, che di norma sono parzialità, da cui può dedurre anche altre considerazioni che sono a loro volta altre precise parzialità convinzioni riguardo a cosa esiste. E se quel pensare della persona che peraltro non ha ricevuto Manifestazioni dall’Essere, in particolare disserta di cosa c’era nell’universo prima della presenza umana, è sempre il pensare parzialità che se la suona e se la canta perché la persona non ha conosciuto cosa c’era prima dell’universo e non può conoscerlo con le sue forze che è il pensare parzialità. Quella persona non si rende conto che parlare di cosa c’è prima della presenza umana è parlare di cosa c’è fuori dalla presenza umana, che è parlare di cosa c’è fuori dal pensare parzialità e lei con le uniche forze di cui dispone, non può farlo. Ancora, una persona con la capacità di pensare parzialità disserta di cosa esiste nell’esistenza umana e dice che c’è unicamente la materia, l’universo, e dunque l’universo c’è sempre stato e sempre ci sarà e occupa tutto quello che c’è da occupare dell’esistenza in senso lato, altrimenti dovrebbe ammettere che c’è un fuori l’universo. Ma non si rende conto che in ogni caso sta dicendo che c’è un fuori l’universo e precisamente sta dicendo che fuori l’universo c’è il niente, altrimenti non potrebbe neanche parlare di universo. Dunque, questa persona è convinta che quello che dice riguardo a cosa c’è nell’esistenza, sia una musica oggettiva non determinata da lei con il suo pensare, mentre non si rende conto che è lei che ha determinato quello spartito musicale e lo sta suonando e cantando. Quella persona è convinta che con il suo pensare parzialità sia uscita dal pensare parzialità, vale a dire è convinta che sia uscita dalla caverna in cui ora lei si trova senza invero esserne uscita. Poi ci sono le persone che hanno una maggiore logicità, così in quello che dissertano, sono giunti a comprendere che non possono asserire che quello che conoscono esaurisca l’esistenza perché non ha senso; infatti, dire «universo» è usare una parola che come ogni parola fa riferimento a una parzialità che necessariamente esclude qualcos’altro che in questo caso «non è universo» e dunque introducono il concetto niente. Così dicono che prima dell’esistenza c’era il niente da cui escono gli enti e tra i quali ogni persona, e poi sono destinati a rientrare nel niente. Non si rendono conto che quel prima dell’universo, e quel dopo l’universo, non può che essere fuori l’universo e di conseguenza ognuna di quelle persone con il proprio pensare parzialità sta parlando di cosa c’è fuori da sé, sta parlando di cosa c’è fuori dalla caverna in cui si trova la persona senza essere andata fuori da essa e dunque: se la sta suonando e cantando riguardo a cosa c’è fuori da quella caverna.

Se una persona pensa a una precisa parzialità essere e soltanto lei ha questa individuazione di parzialità, essa esiste per questa persona e non per altre perché pensare è essere. Inoltre quella precisa parzialità esiste nel pensare essa da parte della persona, e dunque fuori di quella persona non c’è quella parzialità. Poi ci sono gli esseri che pensano, cioè possono dire «io sono», è per loro che vale il dire pensare è essere, ma questi esseri come ogni uomo e donna (e come l’Essere Assoluto che non è parzialità, sempre che esista) esistono a prescindere dal fatto che altri esseri li abbiano percepiti, vale a dire che sappiano della loro esistenza. Infatti, se fino al 1492 per gli uomini e donne del mondo conosciuto, non esistevano gli uomini e donne che abitavano fuori dalle loro terre, per il loro pensare che sono le loro convinzioni di esistenza, quegli altri uomini e donne non c’erano, non ne facevano parte, ma quelli esistevano, vivevano comunque. Dunque, ci sono esseri che sono parzialità come il caso delle persone che esistono sebbene non siano conosciute e dunque pensate da altre persone che hanno la capacità di pensare, il che vuol dire che quelle persone esistono fuori, a prescindere dal fatto che non sono state conosciute, pensate da altre persone. Anche per queste persone, ovviamente, è valido il dire: pensare è essere; infatti, dicono «io sono». Invece se non potessero avere la convinzione «io sono», non manifesterebbero di avere la capacità di pensare, non avrebbero la capacità di pensare, non ci sarebbe il loro io, non ci sarebbe il loro pensare e di conseguenza per loro non si potrebbe dire, non sarebbe valido il dire: pensare è essere. La persona può pensare che esistono soltanto parzialità, ma può esistere l’Essere che Non è parzialità, che esiste, anche se la persona non ha la convinzione che esista perché ancora non ha acquisito l’esperienza del Suo Esserci. Ma questo non è valido per le parzialità individuate dalle persone perché l’esserci di quelle parzialità sta unicamente nel pensare esse. Così ad esempio, ci sono le leggi della fisica individuate, scoperte dall’anno 1000 fino al 1800; prima dell’anno 1000 non esistevano, non c’erano, di conseguenza è un non senso dire che esistevano, trovavano riscontro in natura, ma non erano state ancora individuate, scoperte. Infatti, dalla conoscenza di quelle leggi della fisica (oltre che da altre specifiche conoscenze) ad esempio sono stati costruiti i razzi con navicelle spaziali che hanno consentito all’uomo di andare sulla luna, ma da questo nessuno deduce: «l’uomo non è andato sulla luna prima dell’anno 1969 sebbene le navicelle spaziali già esistessero, ma non erano state ancora pensate e costruite». Dal pensare umano scaturisce il fare umano e in particolare il costruire le cose, gli oggetti, così c’è il pensare umano che individua precise parzialità che in taluni casi sono cose, manufatti prima immaginati, pensati, cui segue poi un fare umano che ne determina la loro realizzazione, costruzione. Questo proprio perché pensare è essere.

Se invece il pensare è una cosa e l’essere fosse un’altra cosa ben disgiunta e dunque Parmenide non sta nel giusto, vuol dire che il pensare che è convinzione di esistenza è uscito da sé, tale da rilevare che fuori da sé ci sono enti, esseri ben precisi che vivono di vita propria (ad esempio, il sole, la luna, un albero, un fiume) a prescindere da sé pensare che li abbia percepiti, individuati. Con questa convinzione non è valido quello che dice Parmenide. Ma la convinzione che contraddice Parmenide è sempre un preciso pensare umano! E dunque l’uomo come fa a sapere cosa ci sia fuori dal suo pensare? L’uomo non può sapere cosa ci sia fuori dal suo pensare, il pensare non può sapere cosa ci sia fuori da sé pensare e in particolare non può sapere se fuori da sé pensare esiste la parzialità stella e se brilla, così quello che è corretto dire è: pensare è essere. In altre parole se non ci fosse l’interazione fra la fisicità dell’apparato ottico umano (che peraltro è precisa individuazione di parzialità) e la fisicità di determinate particelle (precisa parzialità luce proveniente dalla parzialità stella sole) che fanno individuare all’occhio umano l’esserci delle parzialità e in particolare l’esserci della parzialità stella che brilla nella notte, cosa potrebbe pensare e dire l’uomo riguardo al fatto che le stelle brillano? Le stelle brillano perché c’è l’occhio umano, l’apparato dell’occhio umano che interagisce con precise particelle presenti nell’universo tale che nel pensare della persona si determina e definisce il contorno del confine della precisa parzialità individuata cui assegna il nome di stella, e precisamente stella che brilla. Ma cosa sa l’uomo riguardo a cosa c’è fuori, prima, dopo, questa precisa percezione, individuazione di parzialità stella che brilla? cosa c’è fuori dal preciso pensare: stella che brilla? C’è la convinzione che le stelle brillano a prescindere dalla presenza dell’uomo che si rende conto del loro brillare; questa è la convinzione che confuta Parmenide con cui Aristotele dice che il pensare non è essere e dunque esiste la stella che brilla a prescindere dalla presenza dell’uomo che l’ha percepita. Ma l’uomo non può sapere con il suo pensare cosa ci sia fuori dal pensare che individua parzialità e dunque come fa quell’uomo a sapere cosa c’è fuori dal suo individuare la stella che brilla? Che in altre parole è la domanda: come fa a sapere cosa c’è prima o dopo la sua individuazione della stella che brilla? Si può rispondere e azzardare quello che forse direbbe Aristotele: è ragionevole. Ma dire ragionevole è stare nel pensare umano e dunque è non uscire dal pensare umano. In definitiva: ma cosa ne può sapere l’uomo di cosa c’è fuori dal suo pensare, fuori da quello che lui pensa che esista, fuori da quello che è convinto esista? Non può sapere nulla, nel senso che non può proprio sapere cosa esiste fuori dal suo pensare parzialità, non può sapere cosa esiste fuori dalla fisicità del suo corpo. L’uomo potrebbe rispondere che si accontenta di quello che sa esistere, ma questa risposta non può acquietare il cercatore della verità riguardo all’esistenza che non si accontenta di quello che ha già compreso e vuole capire se ha compreso bene e in ogni caso vuole e cerca di andare oltre. Il suo non è spirito di conoscenza fine a se stesso ma è spirito finalizzato a capire sempre meglio e in modo completo, la relazione che c’è tra lui uomo e l’esistenza, che è esaudire la sua legittima sete di conoscenza riguardo all’esistenza. Il pensare umano scaturisce dal contatto che è interazione e dunque è relazione tra la fisicità dell’uomo in generale tra l’uomo e il mondo esterno a sé. Questo vuol dire che il pensare umano attesta la relazione che c’è tra la fisicità dell’uomo in generale tra l’essere uomo e il mondo esterno a lui. Ma cosa può sapere l’uomo riguardo a quello che c’è fuori da questa interazione, fuori da questa relazione tra lui e il mondo che conosce esterno a sé, più in generale fuori dalla relazione tra lui e quello che sa esistere? La risposta è nulla, non può sapere nulla e dunque non può dire nulla a riguardo, se dice qualcosa, sta parlando di quello che sta fuori la caverna in cui ora lui si trova fin dalla nascita, e dunque è puro esercizio di fantasia.

L’uomo non può che vestirsi di umiltà come indica Socrate (io so di non sapere), si renda conto di stare con il suo pensare in una caverna da cui non può uscire con le sue forze e si ponga in apertura allo Straordinariamente Nuovo per sperare che apra una relazione anche con lui al fine di giungere a conoscere quello che c’è da conoscere dell’esistenza umana. Comunque, in tutti e due i casi, sia con la convinzione di Parmenide (pensare è essere) sia con il pensare di Aristotele che confuta Parmenide (il pensare individua gli esseri che sono posti fuori da lui pensare vale a dire esistono a prescindere dal pensare che li individua) si ha che l’uomo con il pensare di cui dispone, si rende conto dell’esistenza di molteplici parzialità enti. Infatti, con le forze e capacità di cui dispone, può individuare sempre e soltanto parzialità, individua sempre e soltanto parzialità. Questo vuol dire che non può individuare con le forze e capacità di cui dispone, l’Esserci di Dio che Non è parzialità, ammesso che Dio esista. In altre parole il pensare umano dato che attiene all’uomo, che è precisa parzialità, è capacità di individuare parzialità con cui non può autonomamente uscire da sé e librarsi nella direzione dell’Essere fino a toccare l’Essere che Non è parzialità (ammesso che questo Essere esista) e fornire alla persona tutte le risposte alle domande poste riguardo all’esistenza. In altre parole la persona dispone di capacità e forze che non gli consentono autonomamente di uscire da sé e librarsi nella direzione dell’Essere fino a toccare l’Essere che Non è parzialità (ammesso che questo Essere esista) che vuol dire rendersi conto del suo Esserci e ricevere tutte le risposte alle domande che si è posta sull’esistenza. Se nell’esistenza c’è un Essere che non è limitato nei confini di precisa parzialità, e sta in prossimità della persona, accanto alla persona, il pensare umano di questa persona non può con le forze, capacità di cui dispone, rendersi conto del suo Esserci perché l’Essere sta Fuori da lui pensare umano, sta Oltre lui, dove lui pensare umano non può arrivare. Se l’uomo urta contro ciò che indichiamo con il nome di albero, sente più o meno dolore, il che vuol dire che c’è un qualcosa contro cui ha urtato, ma non può sapere cosa esso sia. Lui uomo non può che formulare un’ipotesi di parzialità e, infatti, lo individua come precisa parzialità cui assegna il nome di albero, ma in vero non può sapere se ha urtato contro una parzialità, vale a dire non può sapere contro cosa ha urtato, non può sapere cosa esso sia. Più precisamente quell’uomo che ha la capacità di interrogarsi con il pensare e dunque si chiede cosa esiste oltre a lui, non sa cosa c’è fuori da sé, non può sapere con le sue forze e capacità cosa c’è fuori da sé. Quest’uomo con le forze di cui dispone s’interroga sull’esistenza umana, su qual è il senso dell’esistenza umana, su cos’è l’esistenza umana, quali sono gli attori che la compongono (Dio esiste?), cosa c’era prima dell’esistenza umana, cosa c’è dopo l’esistenza umana, cosa è veramente l’universo in cui si trova ad abitare cui assegna il nome di universo. Con queste domande si chiede cosa c’è Fuori, Oltre il suo essere uomo. In tutti questi casi se formula delle risposte è convinto di parlare di cosa sta fuori da lui uomo, ma non può essere uscito con le sue forze fuori da lui, infatti non è uscito fuori dal suo pensare. Così in realtà è convinto di suonare uno spartito oggettivo vale a dire uno spartito presente nell’esistenza a prescindere dalle sue personali convinzioni. Invece non si rende conto che quella è una sua personale composizione musicale e la sta suonando e cantando, e nella stragrande maggioranza dei casi, è soddisfatto, appagato di quanto il suo pensare gli ha fornito. Quest’uomo è convinto che con il suo pensare possa andare ovunque senza limitazioni di sorta, invece quel pensare è prigioniero in una caverna da cui non può uscire con le sue forze.

Chi non crede in Dio, e dunque non crede in Dio creatore, di fatto, pensa che esistano soltanto parzialità con un inizio e fine, e a un certo punto non ci sono più perché hanno incontrato la fine della loro esistenza. Queste persone entrano in contraddizione se dicono che l’universo c’è sempre stato e sempre ci sarà perché stanno parlando di un qualcosa che non ha un inizio e non ha una fine e dunque stanno parlando del fuori parzialità senza conoscerlo, il che vuol dire che anche in questo caso se la suonano e se la cantano. Ci sono poi le persone che dicono, esiste il niente da cui si è generato l’universo da cui sono usciti gli enti (e dunque non c’è un Essere creatore) tra i quali poi è emerso casualmente l’essere umano; e poi tutti questi enti alla conclusione della loro esistenza rientrano nel niente. Questo pensare entra in contraddizione perché parla del niente che non ha un inizio e non ha una fine, dunque dice che il niente c’è sempre stato e sempre ci sarà e dunque anche questo pensare umano sta parlando del fuori parzialità senza conoscerlo, anche in questo caso il pensare umano se la suona e se la canta. Poi ci sono le persone che dicono che esiste soltanto quello di cui si rendono conto esistere, il che vuol dire che non si rendono conto che rispetto alla questione dell’esistenza, c’è da scoprire un fuori rispetto alla caverna dove ora si trovano. Ma loro non si pongono proprio il problema: sono soddisfatte dello spartito che si ritrovano ad avere, sono contente, appagate, di potersi muovere dove vogliono e di disporre a piacimento dell’esistenza che loro conoscono, che è la caverna in cui non si rendono conto di abitare; non cercano null’altro. Non si rendono conto di stare in una caverna sebbene dorata, non si rendono conto di stare in una prigione sebbene dorata, rispetto a quello che c’è da conoscere dell’esistenza; sono soddisfatte di avere quello di cui dispongono.

All’uomo che non si accontenta di conoscere quello che fino ad ora ha conosciuto dell’esistenza, che sente la sua insopprimibile esigenza di conoscere in modo completo la sua esistenza: perché si vive? Da dove si viene? Dove si approda? A quest’uomo cosa rimane da fare? Se l’Essere Assoluto esiste, l’uomo deve sperare che in qualche modo si riveli manifestandosi con Atti che attestino che Lui è proprio Altra Cosa rispetto all’uomo. In ogni caso se l’Essere che Non è parzialità, si manifestasse in qualche modo all’uomo, l’uomo conoscerebbe, avrebbe la prova riguardo a cosa c’è Fuori, Oltre il proprio essere parzialità uomo. In questo caso quell’uomo rispetto a un attimo prima in cui il suo pensare era unicamente pensare parzialità, riceverebbe il Pensare Nuovo che è ricevere Manifestazione dell’Esserci che è Non parzialità, che è ricevere l’esperienza, anche alquanto flebile ma sempre inconfondibile, dell’Esserci che è Non parzialità, che è Convinzione di esistenza nuova e precisamente convinzione che l’Essere Assoluto esiste, che Dio esiste. Ci sono persone che dicono che l’Essere che è Dio si è presentato in qualche modo nella loro vita, tale che nella loro esistenza hanno acquisito l’esperienza che oltre le persone, gli enti in generale, esiste anche Dio. Queste persone non sono in grado di dimostrare con parole, con dissertazioni che Dio esiste a chi non crede in Dio, perché loro è come se avessero avuto uno squarcio di luce proveniente da fuori dalla caverna e ne hanno acquisito l’esperienza rimanendo nella caverna dove ci sono anche chi non ha ricevuto quell’esperienza (chi non crede in Dio). Così come possono comunicare a quelle persone mediante parole (che sono parzialità) quello che hanno conosciuto e precisamente che hanno avuto un’esperienza di Dio? Come possono convincerle con un ragionamento? Non c’è modo. Ma la persona che ha saputo di quanto è capitato a quelle persone e che non sia appagata da quanto fino ad ora ha compreso dell’esistenza, e precisamente che esistono soltanto parzialità, può chiedere a una di quelle persone di indicarle il percorso di vita lungo il quale ha ricevuto quella manifestazione dell’Essere che è Dio, tale che anche lei possa impegnarsi a percorrerlo allo scopo di ricevere le stesse manifestazioni.

Se l’Essere Assoluto che sta fuori, oltre l’esistenza umana, vale a dire che sta fuori l’essere parzialità uomo, non volesse manifestarsi all’uomo, quest’ultimo purtroppo non troverebbe mai quelle risposte che si pone riguardo all’esistenza. A chi ha avuto un’esperienza dell’Esserci di Dio, un’altra persona potrebbe a parole confutarle questa esperienza, il che vuol dire che questa persona non crede che ci sia altro rispetto alla vita corrente, non crede di vivere in una caverna e di conseguenza non crede che ci sia un fuori da quella caverna. Ma questa persona dovrebbe rendersi conto che il fuori la caverna esiste perché c’è la fine della vita terrena, c’è la morte terrena per ognuno e dunque c’è la condizione di stare fuori dalla vita terrena, che è stare fuori dalla caverna. Pertanto è lecito, ha senso chiedersi cosa c’è fuori, oltre la vita terrena, vale a dire ha senso puntare a conoscere cosa c’è fuori la caverna. Chi dice che c’è il niente, disserta su cosa c’è fuori la caverna senza aver ricevuto l’esperienza di cosa c’è fuori la caverna. Inoltre c’è l’interrogarsi sulla condizione dell’esistenza umana che sta prima dell’esistenza umana conosciuta, infatti, non da sempre, c’è l’esistenza umana nel campo più ampio dell’esistenza e inoltre c’è la condizione che sta prima della vita della singola persona che ora vive. E dunque dove stava l’esistenza umana prima? Stava in qualche altro posto, ad esempio nell’intenzione di un Essere creatore? O altro? Dire e chiedersi tutto questo fa comprendere che ci sono domande che l’uomo si pone sull’esistenza perché c’è lo stare nella condizione della caverna dove non ci sono queste risposte. Questo fa anche comprendere che c’è la condizione di stare fuori dalla caverna dove ci sono queste risposte, che necessariamente ci sono, altrimenti non potrebbero essere poste quelle domande, l’uomo non potrebbe porsele, non potrebbero essere poste. E questo dato di fatto che c’è il porsi quelle domande, manifesta che c’è lo stare nella caverna e c’è il fuori la caverna come luogo, dove trovano spazio le risposte a quelle domande. Dunque, ci sono domande che l’uomo si pone sull’esistenza perché c’è un fuori la caverna, che non conosce, su cui s’interroga (che è la condizione di esistenza determinata dalla conclusione della vita terrena e inoltre è la condizione di esistenza che sta prima dell’inizio della condizione che è la vita terrena). Dunque, l’uomo s’interroga sulle condizioni di esistenza che non conosce, che stanno fuori dalla caverna in cui vive, il che fa comprendere che anche le risposte necessariamente stanno fuori la caverna. In questo modo trova conferma che quel fuori la caverna c’è ed ha senso puntare a conoscerlo, non è una perdita di tempo.

Il rendersi conto dell’esistenza della condizione che sta fuori dal mondo fino a ora conosciuto (la condizione della morte, la condizione che sta prima della nascita anche se non se ne ha l’esperienza diretta) fa capire che c’è un mondo sconosciuto che non è campato in aria ed è da scoprire. Questo vuole dire che è il rendersi conto dell’esistere della condizione che sta fuori dalla caverna, che attesta che esiste la condizione (attuale) di stare nella caverna che consiste nell’avere dei limiti come capacità di pensare che non si possono superare (e precisamente è possibile soltanto pensare parzialità). Il che è dire che è il rendersi conto dell’esistere della condizione che è stare nella caverna senza la possibilità di uscirne con le proprie forze, che attesta che esiste la condizione dello stare fuori dalla caverna. L’uomo si deve rendere conto che non conosce le cose che veramente hanno importanza, che veramente contano nella sua esistenza: perché si vive, qual è il senso dell’esistenza, cos’è l’esistenza, perché c’è la sofferenza, perché c’è la morte? Cosa c’era prima della nascita dell’essere umano? L’universo c’è sempre stato? Esiste il Dio creatore? Questa è la condizione umana che si può sintetizzare con il pensiero «io so di non sapere» (espressa da Socrate). Rendersi conto di questo, è aver acquisito la conoscenza che è consapevolezza, che lui uomo è prigioniero congiuntamente al suo pensare umano, in una caverna da cui con le sue forze non può uscire. Mentre fuori da questa caverna ci sono necessariamente le risposte alle domande profonde sull’esistenza che lui si pone che soddisferebbero la sua sete di conoscenza riguardo all’esistenza. Soltanto se c’è un Essere che è Dio che sta fuori la caverna che apre un varco in essa, può consentire a uno Spirito Salvifico, Spirito di Dio di entrare nella caverna e donare la Luce di Verità agli uomini e donne in grado di placare la loro sete di conoscenza. Uomini che però devono essere in grado di rendersi conto della Sua Divina Presenza, al riguardo in precedenza si erano resi conti di vivere in una caverna in stato di oscurità alla vera luce che conta e si erano posti in apertura che era attesa nella direzione dell’Essere che sta fuori dalla condizione umana, perché Altra Cosa rispetto alla condizione umana.

La caverna esiste come condizione umana di non conoscenza, vale a dire come condizione di oscurità rispetto alla legittima aspirazione umana di conoscere in modo profondo e completo l’esistenza umana, e da questa condizione umana non si può uscire con le forze di cui dispone l’uomo. Soltanto chi crede che l’uomo si trovi in una condizione di oscurità in una caverna rispetto alla conoscenza completa dell’esistenza, può credere all’Esserci di Dio che sta fuori da quella condizione di oscurità, Dio che ha la luce della verità per spezzare l’oscurità della caverna; tale che a quel punto aprirsi a Lui è porsi in condizione di ricevere quella luce. Invece chi non crede che ci sia quella condizione di oscurità da cui non è possibile uscirne con le forze e capacità umane, non crede che ci sia una condizione di stare fuori da quella caverna, vale a dire non crede che Dio esista. Chi crede in Dio crede che nell’esistenza umana ci sia lo stare nella condizione della caverna dove non si conosce Dio come si vorrebbe e di conseguenza con le proprie forze non si potrà mai conoscere in modo completo tutto quello che c’è da capire sull’esistenza umana. Così chiedere all’uomo se esiste la caverna dove è prigioniero il pensare umano, è chiedergli se secondo lui esiste Dio, vale a dire è chiedergli se ha ricevuto una prima, anche se flebile manifestazione dell’Essere che sta fuori dalla caverna che gli abbia fatto comprendere che la sua condizione umana è quella di stare in una caverna da dove con le sue forze non può uscire al fine di soddisfare la sua legittima aspirazione di conoscenza riguardo alle cose che veramente contano nella sua esistenza. Questo discorso sottende e dice che l’esistere della condizione dell’Essere che Non è parzialità (e dunque c’è sempre stato e sempre ci sarà perché è fuori dalla parzialità tempo) attesta che esiste la condizione che è stare fuori dalla condizione di essere precisa parzialità persona. Infatti, è proprio la Manifestazione dell’Essere che Non è parzialità che si presenta alla persona, che attesta a quella persona (e soltanto a lei) che esiste l’Essere che Non è parzialità che è condizione di libertà rispetto alla condizione di sentirsi precisa parzialità perché quest’ultima è svelata in quello che è, vale a dire condizione di stare chiusa in una caverna, condizione di stare prigioniera in una caverna. Questo vuole dire che il rendersi conto dell’esistenza dell’Essere che Non è parzialità, fa comprendere che esiste la condizione di essere precisa parzialità persona con dei limiti oltre i quali non poter andare, che è svelarla come condizione di non libertà perché è condizione di stare in una caverna dove con le proprie forze non si può uscire. In altre parole è la Manifestazione dell’Essere che Non è parzialità che si presenta alla persona, che svela e attesta a quella persona (e soltanto a lei) che l’essere precisa parzialità persona ha dei limiti ben precisi oltre i quali non può andare, che è svelare e attestare l’esistenza della condizione che è stare nella caverna come condizione di prigionia perché da essa non si può uscire con le proprie forze umane. Ma, nello stesso momento, la Manifestazione dell’Essere che Non è parzialità che si presenta alla persona attesta che esiste la condizione che è possibilità di stare fuori dalla caverna, fuori dalla condizione di sentirsi parzialità, che dunque, (in particolare) è condizione di libertà rispetto alla condizione di stare confinati in una precisa parzialità persona da cui non si può uscire con le proprie forze per conoscere quello che c’è da conoscere dell’esistenza.

La Manifestazione dell’Essere che Non è parzialità che si presenta alla persona, si svela a quella persona (e dunque soltanto a lei) come depositaria e dono della libertà rispetto alla condizione umana e inoltre, in particolare, come depositaria e dono della conoscenza riguardo alla condizione umana e come dono della miglior cosa rispetto a qualsiasi specifica condizione umana (che necessariamente è sempre limitata in confini ben precisi dalla quale non si può uscire e che in ogni caso è destinata a finire). Così ad esempio l’Essere che si manifesta alla persona (e dunque la persona ne acquisisce la conoscenza) si svela a quella persona in particolare come dono di miglior cosa rispetto a qualsiasi caratterizzazione di persona umana, come ad esempio può essere la precisa parzialità persona che ha potere umano sugli altri uomini e donne, oppure che ha molte conoscenze umane, oppure persona con molte ricchezze o che ha successo umano rispetto a non essere considerata dagli altri o addirittura ignorata dagli altri. Il pensare umano sta nella caverna, dove c’è unicamente la possibilità di rendersi conto di parzialità, con le forze e capacità di cui dispone, non è in grado di uscirne per rilevare cosa c’è fuori dalla caverna, cosa c’è fuori dalle parzialità e precisamente rilevare che c’è l’Essere che Non è parzialità, se quell’Essere esiste. Da questo si comprende che la sete di conoscenza della persona potrà essere esaudita, se raggiunge la certezza di quello che esiste oltre alle parzialità, ammesso che esista quell’oltre, il che vuol dire che la sete di conoscenza della persona potrà essere esaudita se, e soltanto se, incontra l’Essere che è Non parzialità. Questo perché la persona fino a quando non incontra quell’Essere Assoluto non potrà avere la certezza che esiste un Fuori la condizione di essere parzialità. In altre parole se non ha questa certezza, non saprà mai se le parzialità esauriscono l’esistenza e dunque non saprà mai se c’è un Fuori, le parzialità. Il che è dire che fino a quando non incontra l’Essere Assoluto, non può avere la certezza incontrovertibile che non c’è null’altro le parzialità, non può avere la certezza incontrovertibile che esistono soltanto parzialità e dunque non può avere la certezza incontrovertibile che il senso dell’esistenza è da trovare nelle parzialità. Da questo si deduce che soltanto l’Essere Assoluto può soddisfare la sete di conoscenza della persona. Però la persona può dirsi lecitamente: io conosco soltanto parzialità, credo soltanto alla loro esistenza, di altro non mi preoccupo fino a prova contraria. L’importante però è che questa persona non pensi che con le sue forze di parzialità possa giungere a trovare le risposte alle domande cruciali sull’esistenza umana, vale a dire capire cos’è l’esistenza, in particolare giungere a capire cosa ci sia prima del pensare parzialità e cosa ci sia dopo il pensare parzialità, vale a dire cosa ci sia prima della presenza dell’uomo, prima della nascita dell’uomo e cosa ci sia dopo la presenza dell’uomo, vale a dire dopo la morte dell’uomo. Questo perché nel caso pensasse che le parzialità esauriscano l’esistenza, vuol dire che è immersa in un’illusione colossale di cui non si rende conto. Chi pensa in questo modo sceglie di non assumere nella sua vita il ruolo del cercatore che vuole capire quello che c’è da capire di veramente importante. Questa persona nel migliore dei casi sceglie di impegnarsi a capire questioni specifiche, particolari, che stanno in determinati campi del pensare parzialità, ma non è sollecitata dalle domande cruciali riguardo all’esistenza umana. Da questo si traggono due principali conseguenze.

Prima di tutto che soltanto l’Essere Assoluto, se esiste, può togliere la sete di conoscenza della persona, in particolare fa comprendere cos’è l’esistenza, qual è il senso dell’esistenza. Questo perché fino a quando la persona non lo incontra, non potrà mai avere la certezza che esiste un Fuori, le parzialità, il che vuol dire non potrà mai avere la certezza che esistono soltanto parzialità, vale a dire non potrà mai avere la certezza che sia verità il pensare che esistano soltanto parzialità. C’è da notare che chi crede che l’Essere Assoluto esista, ne può avere la certezza soltanto quando lo incontra. Ma anche chi pensa che esistono soltanto parzialità, può acquisire una sentenza definitiva su questo, soltanto se incontra il fuori le parzialità, vale a dire se incontra l’Essere che gli dice che Lui esiste e che dunque gli dice che le parzialità non esauriscono quello che esiste nell’esistenza. Da questo si deduce che non c’è modo di dimostrare unicamente con le parzialità, che nell’esistenza esistono soltanto parzialità, questo perché le parzialità non esauriscono l’esistenza e dunque non c’è dimostrazione che le parzialità esauriscono l’esistenza. Mentre (si può ipotizzare che) c’è un modo incontrovertibile che l’Essere esiste: se l’Essere si manifesta. Seconda conseguenza da trarre è che la persona per cercare di esaudire la sua legittima sete di conoscenza riguardo all’esistenza, è condannata a cercare quell’Essere, anche se non crede che possa esistere, vale a dire è condannata a cercare Dio, anche se è convinta che non esista. Se poi la persona giunge, a comprendere con la sua razionalità che deve cercare Dio sebbene non creda che esista, nel caso che Dio non esista, lo cercherà invano per tutta la vita. Questa è la condizione umana dettata dalla ragione umana: cercare Dio in ogni caso, sia che si abbia la fede che Dio esista, sia non si abbia la fede che Dio esista. Dunque, la ragione dell’uomo, il pensare dell’uomo dice all’uomo che con le sue forze non gli può dire se Dio esiste, ma in ogni caso, gli dà l’indicazione di cercare Dio perché se Dio esiste, gli può placare la sua sete di conoscenza riguardo a capire l’esistenza; questo vuol dire che la ragione dell’uomo muove l’uomo nella direzione di cercare Dio, anche se non sa se Dio esiste. La conseguenza è che se Dio non esiste, l’uomo è condannato a cercarlo invano per tutta l’esistenza perché soltanto Lui può esaudire quella sete di conoscenza. L’uomo per esaudire la sua sete di conoscenza riguardo all’esistenza, deve incontrare Dio, altri modi non ce ne sono per soddisfare quella sete.

Sia che Dio esista, sia che Dio non esista, il fatto che la ragione, il pensare, indica all’uomo di cercare Dio, fa comprendere che alla domanda «cos’è il pensare? », la risposta è: «giungere a dire alla persona che la cosa più importante dell’esistenza è capire cos’è l’esistenza ed a questo fine fornisce alla persona l’indicazione di cercare Dio perché soltanto Dio, se esiste, è in grado di esaudire la sua sete di conoscenza che l’anima». Da questo si deduce che, sia che Dio esiste, sia che Dio non esiste, alla domanda «cos’è il pensare? », la risposta è: «il pensare è il mezzo di cui dispone l’uomo per giungere a comprendere che la cosa più importante dell’esistenza è capire cos’è l’esistenza, qual è il senso dell’esistenza, e a questo fine giunge a fornire l’indicazione di cercare Dio perché soltanto Dio è in grado di esaudire la sua sete di conoscenza che l’anima». Pensare è convinzione di esistenza. Pensare è più specificatamente pensare l’essere; e si può avere il pensare l’essere parzialità e il Pensare l’Essere che Non è parzialità. Quando la persona riceve una Manifestazione dell’Essere Assoluto, alla domanda «cos’è il pensare?», in particolare risponde: è il luogo per aprirsi all’Essere; aprirsi all’Essere porta dentro il cercare l’Essere, che è trovare spazio all’Essere, ed è il luogo dove l’Essere si manifesta, così che il pensare diventa il luogo dell’accoglienza dell’Essere e dunque è il luogo dove l’Essere trova dimora nell’uomo. Il pensare è convinzione di esistenza, in particolare il pensare proprio della persona precisa parzialità è che questo pensare individua parzialità, può individuare soltanto parzialità. E allora alla domanda che l’uomo si pone: «il pensare parzialità può con le forze di cui dispone, con la capacità di cui è dotato, uscire da questo limite e puntare ad andare nel Pensare Non parzialità tale da farmi capire se esiste l’Essere che è Non parzialità? ». La risposta è negativa perché il Pensare Non parzialità, è Esperienza del Pensare Non parzialità che proprio è Fuori, Oltre, Altra Cosa rispetto al pensare parzialità e dunque quest’ultimo con le sue forze, capacità di cui dispone, non può uscire da sé e acquisire l’esperienza del Veramente Nuovo e consegnarla all’uomo. Il che è dire che l’uomo con le forze e capacità proprie del suo essere non può uscire da sé per acquisire l’Esperienza del Veramente Nuovo. Soltanto l’Essere può donare una Manifestazione di Sé alla persona, che è donare un’esperienza di Sé alla persona, anche se alquanto flebile ma sempre inconfondibile.

Da tutto questo si evince che la persona, credente o non credente in Dio, che ha raggiunto la convinzione con gli strumenti di cui dispone, che poi è la sua capacità di pensare parzialità, di avere dei limiti da cui non può uscire (che gli fanno comprendere, allo stesso modo di Socrate, di stare in una caverna che gli preclude di ottenere tutta la conoscenza che vorrebbe), ha ricevuto sicuramente questa convinzione dall’Essere che non è parzialità, attraverso una flebile Manifestazione dell’Essere, anche se la persona non se ne rende conto. Se la persona non ha raggiunto ancora la convinzione di stare in una caverna, il che è dire che non ha ottenuto ancora la convinzione che l’insieme degli strumenti di cui dispone, che poi è la sua capacità di pensare parzialità, ha dei limiti da cui non può uscire, da cui non può andare oltre, ancora non ha ricevuto dall’Essere che Non è parzialità, una Sua prima anche se flebile Manifestazione. Insomma è aver ricevuto una prima, anche se flebile Manifestazione dall’Essere che fa capire alla persona lei chi è, vale a dire precisa parzialità con limiti ben definiti, che è rendersi conto che lei sta vivendo in una caverna avvolta da un’oscurità da cui non può uscire con le proprie forze per andare oltre quei limiti, per andare oltre quell’oscurità e trovare la luce che soddisfi la sua legittima esigenza di conoscere tutto quello che c’è da conoscere dell’esistenza umana. Acquisire la consapevolezza di avere dei limiti ben precisi da cui non poter uscire, che è rendersi conto di stare in una caverna in condizione di oscurità da cui non poter liberarsene con le proprie forze, è aver ricevuto il dono di una anche se flebile Scintilla di Presenza dall’Essere che sta Fuori la caverna. Ma a quel punto si acquisisce la consapevolezza che esiste una condizione che sta Fuori la caverna che è Altra Cosa rispetto a lei persona, che precisamente è l’Essere che non ha limiti, è l’Essere che Non è parzialità, è l’Essere che è Luce che spezza ogni oscurità di conoscenza. A questo punto è stato compiuto un primo passo significativo nella direzione della conoscenza profonda che c’è da acquisire nell’esistenza.

4. Ogni uomo ha dentro di sé una Presenza dell’Essere

Occorre rilevare che ogni uomo ha insito dentro di sé un anelito alla libertà, alla felicità, alla conoscenza, alla giustizia, allo stare bene, all’amare, alla bellezza, alla verità, che attesta che l’uomo ha insito dentro di sé un anelito d’infinito, ma non ne ha l’esperienza, nel senso che non sa cosa sia in concreto quest’anelito d’infinito, sebbene ne abbia una minima presenza. Ne è attratto e cerca di muoversi verso di esso mediante l’impegnarsi a migliorare le condizioni di vita in cui ora si trova. Così fa in modo di essere più libero, più felice, di incrementare la conoscenza, di essere più giusto, di stare bene, di amare maggiormente, di puntare alla bellezza, alla verità. L’uomo ha quest’anelito, anche se in molti casi non ha consapevolezza di averlo. L’anelito è desiderio di superare i propri attuali limiti (avere più libertà, più felicità, più conoscenza, più giustizia, più stare bene, più amare, più bellezza, più verità) che porta dentro desiderio di non avere limiti (ma non sa cosa vuol dire stare oltre quei limiti) vale a dire desiderio di essere non parzialità. In particolare è desiderio di conoscere tutto quello che c’è da conoscere nell’esistenza per tendere sempre a ottenere la condizione di vita che considera meglio rispetto alla condizione di vita in cui si trova al momento. Questo è desiderio di non accontentarsi di essere relegato in una caverna, è desiderio di andare fuori, di rompere i confini in cui ora sente di essere confinato, in cui ora è costretto a stare. Quest’anelito è desiderio di porsi fuori dalla condizione di vita in cui ora si trova, è desiderio di porsi fuori dalla caverna in cui ora si rende conto di abitare. L’uomo può anche non avere la consapevolezza di quest’anelito, ma un qualsiasi fare quotidiano, che è cercare di migliorare una condizione di vita, di ottenere un obiettivo prefissato, anche se è ben individuato in quella caverna, porta dentro quell’anelito d’infinito, scaturisce da quell’anelito d’infinito.

Soltanto la Presenza di una flebile manifestazione dell’Essere può determinare nell’uomo quell’anelito d’infinito che è anelito alla libertà, alla felicità, alla conoscenza, alla giustizia, allo stare bene, all’amare, alla bellezza, alla verità che è presente in ogni uomo di qualsiasi latitudine e di qualsiasi tempo, sia passato, sia presente e sicuramente anche futuro. Ma se questa Presenza dell’Essere è in ogni uomo, vuol dire che è depositata in ognuno fin dalla nascita. Il che è dire che ogni uomo nasce sì nella condizione di stare nella caverna, di avere dei limiti ben precisi in cui è confinato, racchiuso, il suo essere uomo, ma ha depositato dentro il proprio essere una ben precisa Presenza dell’Essere, anche se flebile, che è Scintilla di Luce che proviene da fuori la caverna, da fuori la condizione umana. È proprio l’anelito d’infinito di ogni uomo che attesta che la condizione umana del vivere corrente è vivere in una caverna, è stare in una caverna, che ha dei limiti, dei confini ben precisi, da cui l’anelito d’infinito. Quest’anelito d’infinito depositato in ogni uomo fa comprendere che l’esistenza umana può aspirare a ben altro rispetto alla caverna in cui ora si trova; esistenza che non è destinata a esaurirsi nell’esperienza della caverna, ma in ben altri lidi di libertà, verità, felicità, giustizia, bellezza, conoscenza. Quest’anelito che c’è nell’uomo, anche se l’uomo nella maggioranza dei casi non ne ha consapevolezza, è in profondità desiderio, spinta e scelta di puntare a immergersi in quell’infinito e dunque è desiderio, spinta e scelta di puntare a uscire dalla caverna in cui ora si trova. Il rendersi conto di quest’anelito è consapevolezza consegnata all’uomo dal pensare umano quando quest’ultimo è illuminato da una precisa Presenza dell’Essere proveniente da fuori la caverna. Da ciò si comprende che il pensare quando è illuminato dall’Essere Assoluto, si manifesta come capacità a disposizione dell’uomo per giungere a conoscere quello che l’uomo è, vale a dire precisa parzialità con limiti ben definiti e inoltre conoscere, rendersi conto, che esiste un Essere che è Non parzialità verso cui si può desiderare di tendere, verso cui si può compiere la scelta consapevole di muoversi. Dunque, il pensare umano illuminato, rigenerato, dall’Essere è la capacità della persona di conoscere sé e conoscere il palcoscenico dell’esistenza con tutti gli attori presenti e i ruoli ben precisi che ognuno ricopre.

Da tutto questo si deduce che c’è, esiste, non è campato per aria, il credere che ci sia un fuori la caverna perché addirittura in ogni uomo e donna c’è una Presenza di questo Fuori che determina l’anelito d’infinito, vale a dire anelito di puntare a porsi fuori dalla caverna, fuori dai limiti che ognuno si rende conto di avere. Limiti che dunque ci sono e sono imposti dalla caverna in cui ora sta l’uomo. Da quell’anelito scaturisce poi il fare umano nella sua globalità. Il rendersi conto di tutto questo è necessariamente conseguenza di aver ricevuto una Presenza, anche se alquanto flebile, dall’Essere che Non è parzialità. Infine occorre dire che c’è il fuori la caverna anche perché ci sono uomini e donne che ne hanno ricevuto l’esperienza. Questa esperienza è inconfondibile, avviene quando una seppure flebile Luce dell’Essere Assoluto, che è Presenza dell’Essere, invade all’improvviso la persona e sempre la reazione che determina nella persona è di stupore perché è proprio Altra Cosa rispetto a quello che fino ad ora ha conosciuto la persona. La posta in gioco di conoscere l’esistenza che sta fuori, che è oltre, quanto già conosciuto, è talmente alta che vale la pena dare almeno un minimo di credito a quegli uomini e donne, tale da confrontarsi con la loro esperienza, con la questione del fuori la caverna, vale a dire con la questione della condizione di esistenza che sta fuori il pensare parzialità. Conviene ed è ragionevole quest’atteggiamento piuttosto che contraddire a priori quello che dicono quegli uomini e donne.

Dunque c’è il porsi la domanda: l’uomo si trova nella condizione di stare in una caverna chiusa dove non c’è la possibilità di conoscere in modo completo l’esistenza? Che è la domanda: il pensare umano si trova nella condizione di stare in una caverna chiusa dove non ha la possibilità di conoscere in modo completo l’esistenza? La risposta è: sì, ed è proprio la condizione corrente in cui vive l’uomo dove con le forze e capacità di cui dispone non può conoscere in modo completo l’esistenza. Lì nella condizione della caverna il pensare umano è prigioniero del pensare parzialità e non conosce il Pensare Nuovo che sta fuori la caverna, Pensare Nuovo che soltanto l’Essere Assoluto gli può donare, Pensare Nuovo che è in grado di aprire l’uomo alla concretezza dell’orizzonte dell’infinito. Dunque il pensare umano, il pensare corrente, il pensare parzialità non è strumento efficace per affrontare e risolvere in modo risolutivo l’insopprimibile esigenza umana di conoscere quello che c’è da conoscere di profondo dell’esistenza: qual è il senso dell’esistenza? Cosa c’è prima della nascita? Cosa c’è dopo la morte? E inoltre il pensare parzialità non può esaudire l’esigenza di conoscere le questioni poste dal rapporto fra l’uomo e Dio, fra l’uomo e la religione: Dio esiste? Perché non si manifesta in modo esplicito? Perché non aiuta l’uomo? La religione limita la libertà umana? etc. L’uomo giunge a rendersi conto di non aver la possibilità di conoscere in modo completo l’esistenza perché con il pensare si rende conto di trovarsi in una caverna chiusa. Ma non deve fermarsi a questo, deve porsi la domanda: «c’è un modo per uscire da questa condizione? Ammesso che si possa uscire, come uscire, per conoscere in modo completo tutto quello che c’è da conoscere dell’esistenza? ». La risposta è: l’uomo con le forze e capacità umane di cui dispone non può uscirne, l’unica possibilità che ha, è aprirsi all’Essere che è Dio perché Lui può aiutarlo e sperare che l’Essere gli doni la Luce che svela la verità sull’esistenza al fine di uscire da quella caverna e approdare Oltre; questa è fede in Dio. In altre parole l’uomo può uscire dalla condizione di stare in oscurità alla conoscenza profonda, nel caso in cui, una volta che si rende conto di avere dei limiti oltre i quali non può andare, compie l’atto di fede di aprirsi alla luce che sta fuori di lui, che sta fuori dalla caverna in cui si trova e dunque consente (in particolare) di ottenere tutto quello che c’è da conoscere sull’esistenza.

Dopo aver compreso che l’Essere c’è ed è ben disposto nei confronti dell’uomo perché è pronto a dargli tutto ciò di cui ha bisogno, la sfida che aspetta quell’uomo è giungere a capire come muovere passi per avvicinarsi sempre di più all’Essere che è Fuori la caverna dove ora lui si trova a vivere. Certo sarebbe più facile capire i passi da compiere se ci fosse un uomo che svelasse di essere Dio fattosi carne proprio per entrare nella condizione umana e guidare gli uomini in un Luogo Straordinario che sta fuori la caverna dove non c’è sofferenza e morte e in particolare lui accettasse e accogliesse la sofferenza e la morte per poi uscire vittorioso da esse così da manifestare di essere Dio tale che gli uomini potrebbero avere fiducia in lui. A quel punto i passi da compiere sarebbero quelli che quell’uomo risorto da morte direbbe di dover compiere. L’uomo conosce soltanto quello che entra in relazione con lui, con la sua fisicità, con la sua corporalità e con il suo intelletto che è la sua capacità di pensare, così lui che è precisa parzialità corpo di uomo nulla può sapere dell’Essere che Non è parzialità se quell’Essere non si manifesta in qualche modo a lui. Con il continuare la metafora della caverna se esiste l’Essere Assoluto e la sua volontà fosse di farsi conoscere dall’uomo e condurlo fuori dalla caverna senza però che questo fosse imposizione, prevaricazione da parte Sua sulla volontà umana (bensì scelta consapevole dell’uomo) dovrebbe l’Essere Assoluto stabilire una relazione con lui e fargli comprendere che per ottenere la miglior cosa della sua esistenza, lui deve compiere la scelta di uscire in modo consapevole dalla caverna in cui si trova seguendo un preciso percorso fino a giungere nel Luogo dell’Essere Assoluto. Affinché l’uomo rispondesse positivamente a questa indicazione, dovrebbe avere fiducia in Lui, dovrebbe fidarsi di Lui, vale a dire dovrebbe avere fede in Lui. Questo comporta che l’Essere dovrebbe aiutare l’uomo ad acquisire fiducia in Lui, così l’Essere per entrare in relazione con l’uomo potrebbe iniziare a fargli giungere luce proveniente da fuori la caverna in cui l’uomo vive con cui gli donerebbe Presenza di Sé con cui lo aiuterebbe concretamente in situazioni di difficoltà facendogli comprendere che Lui Dio sta dalla sua parte, che Lui Dio tiene a lui. Poi l’Essere per stabilire una relazione diretta, più forte e completa con lui, dovrebbe Lui Dio farsi parzialità corpo di uomo ed entrare direttamente nella caverna a condividere con lui quella condizione di vita di parzialità carne di uomo (nascita alla vita) destinata a finire e che finisce (condivisione della morte) ma contemporaneamente dovrebbe anche manifestarsi come Essere che è più forte dell’essere parzialità (manifestazione di risorgere dalla morte) e poi dovrebbe lasciare la caverna. In questo modo l’uomo capirebbe che sì Dio esiste e non è un essere lontano da lui, bensì sta con lui, è dalla sua parte, per stargli vicino ha condiviso la sua condizione di sofferenza e morte e lo vuole aiutare a uscire per sempre da esse, la sua volontà non è sottometterlo ai suoi voleri. Se l’Essere si facesse parzialità e condividesse la condizione umana soprattutto della sofferenza e della morte, e poi si manifestasse come Dio Onnipotente che è superiore di ogni finitezza umana, tale da risorgere vittorioso dalla sofferenza e dalla morte, l’uomo si fiderebbe di quello che Lui indica di fare. Quell’uomo attuerebbe i comportamenti indicati da Dio al fine di uscire consapevolmente (e non con un atto d’imposizione di Dio) dalla caverna in cui ora si trova dove ci sono sofferenza e morte per trovarsi immerso nell’Inimmaginabile che è Vittoria Eterna sulla sofferenza e sulla morte. Questo per l’Essere comporterebbe proporre una relazione all’uomo che non sarebbe soltanto una relazione tra superiore (l’Essere Assoluto che è Dio che Non è parzialità) e inferiore (l’uomo che è parzialità e dunque soggetto alla finitezza) bensì anche relazione tra eguali perche in essa sarebbe riconosciuta dignità all’essere umano al punto che si avrebbe che l’Essere si fa parzialità carne per Donare Sé all’uomo, Donare il Suo Essere Non parzialità all’uomo, Donare la Sua Vittoria sulla sofferenza e sulla morte all’uomo. In questo modo Dio farebbe partecipe l’uomo del Suo Essere Non parzialità, dunque eleverebbe l’uomo a Sé, lo farebbe partecipe del Suo Essere che non ha limiti, non ha confini. L’uomo per accettare quella relazione dovrebbe contribuire a che si attuasse, mediante il portare consapevolmente in essa quello che lui è, vale a dire il suo essere finitezza e precarietà che sceglie volontariamente di andare all’incontro con l’Essere, che sceglie volontariamente di immergersi nell’Essere, di entrare nell’Abbraccio dell’Essere. È superfluo dire che questo per l’uomo sarebbe una relazione semplicemente inimmaginabile e sconvolgente.

Se l’Essere si facesse parzialità e condividesse la condizione umana della sofferenza e della morte, comporterebbe per l’Essere manifestarsi all’uomo come contraddizione, vale a dire manifestarsi come precisa parzialità uomo e dunque succube della precarietà, della finitezza propria dell’essere parzialità (che soffre e muore) ed allo stesso momento manifestarsi come l’Essere che è Dio che è Altra Cosa rispetto all’essere parzialità uomo (risorge dalla morte), infatti la finitezza e la precarietà non hanno alcun potere su di Lui tale che Lui risorge vittorioso dalla morte. Dopodiché dovrebbe lasciare la caverna, il che manifesterebbe appieno che la finitezza e la morte hanno potere su di Lui soltanto se Lui Dio lo consente. A quel punto però per non lasciare soli gli uomini, dovrebbe mandare Presenza di Sé nella caverna che è Presenza del Suo Spirito, che è Bagliore di Luce di Sé, che è Presenza Forte di Sé soprattutto per illuminare e aiutare concretamente a muovere i passi di chi ha compiuto la scelta d’impegnarsi ad avvicinarsi a Lui per lasciare l’oscurità della caverna che è uscire dalla caverna. Il manifestarsi dell’Essere come contraddizione dovuta al fatto di essere precisa parzialità uomo e contemporaneamente Non essere parzialità, consente all’Essere di proporre all’uomo una relazione tra eguali, che porta dentro quella contraddizione proprio perché si stabilirebbe una relazione tra l’essere che è parzialità (l’uomo) e l’Essere che Non è parzialità. Quella contraddizione sarebbe necessaria altrimenti la relazione fra eguali non potrebbe stabilirsi perché l’Essere Assoluto è Altra Cosa, è ben Altra Cosa rispetto alla parzialità uomo. Così una relazione tra eguali, tra l’Essere e una precisa parzialità uomo, è possibile che si stabilisca, soltanto se l’Essere che Non è parzialità, si facesse anche parzialità corpo di uomo, anche carne di uomo (vale a dire entrasse nella storia umana, che è entrare nella caverna dove si trova l’uomo), tale che, a quel punto, sarebbe possibile avere quella relazione con lui, per lui, con lui, che è Vero Dio e vero uomo. È questo e soltanto questo che consentirebbe una relazione piena e completa tra Lui Dio e l’uomo, tra Lui Dio e ogni singolo uomo. Dopodiché l’uomo che conosce quell’uomo speciale che è anche l’Essere Assoluto che è Dio, ha fiducia in Lui e compie la scelta libera e consapevole di percorrere la via che Lui Dio gli indica al fine di uscire dalla caverna, al fine di uscire dalla finitezza umana, vale a dire uscire dalla condizione della sofferenza e morte umana. Quell’uomo riceverebbe dall’Essere la Luce necessaria per illuminare e aiutare a muovere i suoi passi nella direzione di avvicinarsi a Lui. Dopodiché quella caverna non è più tale per chi riceve quella Luce dall’Essere, quell’Aiuto dall’Essere, sebbene gli altri continuino a vivere in condizione di oscurità. Fino a che arriverà il momento in cui quell’uomo si troverà completamente fuori dalla caverna, vale a dire uscirà completamente dalla condizione della finitezza per entrare nella Condizione Nuova che non ha limitatezza, sofferenza e morte.

Il pensare umano al manifestarsi di condizioni di vita opportune, è in grado di consegnare all’uomo che c’è la possibilità di compiere la scelta libera e consapevole di aprirsi all’Essere Assoluto che è Dio per ottenere la conoscenza completa sull’esistenza al fine di uscire da quella caverna in cui si trova ed approdare Oltre. Per l’uomo aprirsi nella direzione di Dio, avvicinarsi a Dio non è un obbligo, è soltanto la via di uscita dall’oscurità alla conoscenza, alla libertà, alla felicità, alla giustizia, allo stare bene, all’amare, alla bellezza, alla verità che avvolge la sua condizione umana e, dunque quell’aprirsi a Dio è un’opportunità per l’uomo e non una costrizione. Aprirsi nella direzione di Dio è aver prima raggiunto la convinzione che l’uomo ha dei limiti oltre i quali non può andare (che non gli consentono di conoscere in modo profondo e completo l’esistenza in cui si trova a vivere) e poi è aver compiuto l’atto di fede che è credere che Dio possa aiutarlo. Quel rendersi conto di avere dei limiti oltre i quali non poter andare, soltanto Dio può averglielo donato con una Presenza di Sé che soltanto Dio può donare, perché Dio soltanto ha la luce di verità che svela e fa conoscere tutto quello che c’è da conoscere sull’esistenza, in particolare la presenza di quei limiti e più in generale l’uomo chi è, in cosa consiste la vita umana. Per ottenere la conoscenza profonda sui fatti dell’esistenza il pensare umano è inefficace, è come pretendere di svuotare il mare con un mestolo e metterlo in una buca sulla sabbia. Per ottenere la conoscenza profonda occorre prima un pensare impeccabile che aiutato dall’Essere riconosca i propri limiti e dunque che consegni alla persona la convinzione della propria inadeguatezza a rispondere alle legittime domande che lei si pone riguardo all’esistenza. E questo è un atto di umiltà del pensare e dunque dell’uomo, poi occorre un atto di fede in Dio, con cui la persona si apre nella direzione di Dio per aspettare un aiuto da Lui. L’atto di fede in Dio è atto di fiducia in Dio, che Dio possa aiutarlo a capire quello che c’è da capire dell’esistenza. Dunque, credere in Dio è passare prima dal rendersi conto che l’uomo senza il suo aiuto è costretto a stare in una condizione di oscurità dove non c’è la luce in grado di svelargli e fargli conoscere in modo profondo e completo l’esistenza in cui si trova a vivere, luce che soltanto Dio gli può donare. Invece il credere che Dio non esista, è credere che l’uomo pur stando nell’attuale condizione di oscurità di non conoscere in modo completo l’esistenza, possa con le forze e capacità di cui dispone, alla lunga giungere a individuare il modo per ottenere lui la luce che soddisfi la sua legittima esigenza di conoscere tutto quello che c’è da conoscere dell’esistenza umana. Questo equivale a dire che l’uomo crede di non avere limiti dove poter andare, vale a dire non crede di stare prigioniero in una caverna, non crede che Dio esista, bensì crede che sia l’uomo stesso, il dio della sua esistenza, lui può badare a se stesso e risolvere da solo tutti i suoi problemi. Questa è una vana pretesa, è un’illusione gigantesca, è una fede nell’uomo che non ha fondamenta perché l’uomo non potrà mai rispondere alle domande: cosa c’è prima della vita umana? Cosa c’è dopo la morte? Perché esisto? Questa fede nell’uomo è un suonarsela e cantarsela guidati da uno spartito che altera le note della vita perché non tiene conto della limitatezza delle note della vita.

5. Ogni volta che un uomo si confronta con la questione del divino manifesta che Dio si è presentato a lui

L’uomo si sente rassicurato e gratificato dal suo sentirsi io in precisi confini sulla scena variegata e difficile del mondo ma allo stesso momento si sente confinato, rinchiuso e dunque insicuro in quei limiti. Così il suo istinto gli detta di rassicurare il proprio io attraverso il rinforzare i suoi argini verso l’esterno che lo sollecita in continuazione proponendogli sempre nuove situazioni di vita che mettono in discussione le sue sicurezze ricordandogli la sua precarietà. L’uomo è da sempre consapevole della sua finitezza e precarietà e cerca di acquisire a sé quello che di volta in volta gli sembra utile per arginare la sua caducità e conseguente insicurezza. Tale da rendere più forti i confini di sé, che sono i suoi limiti dove si sente confinato così da rafforzare il proprio io proteggendolo dall’altro e in generale da tutto ciò che è esterno a sé. In questo modo nel corso del tempo ha cercato di rafforzare i limiti imposti dal suo essere parzialità per sentirsi sempre di più in confini forti e sicuri. Si è attrezzato per gestire l’ambiente fisico in cui vive, in particolare per gestire quelle che lui giudica intemperanze della natura, così interviene per piegare la natura ai suoi propositi. Crea idoli superiori a lui inventandosi sacrifici per ingraziarsi il loro aiuto. Predispone riserve di cibo, si associa ad altri per fronteggiare l’opposizione di gruppi nella contesa di beni di vario genere. Cerca di accumulare e accaparra a sé ricchezze di vario genere. Cerca il successo personale per ottenere la considerazione degli altri, quando non l’osanna. Punta al raggiungimento del potere per avere leve di comando sugli altri. S’immedesima in figure e ruoli umani diversi dal suo creandoli e acclamandoli come nuovi idoli. Crea regole per la convivenza civile, crea la protezione sociale, stipula accordi commerciali e di pace e molto altro ancora. Tutto è finalizzato a ottenere quello che ha individuato come la cosa migliore per sé che porta dentro il desiderio di rafforzare, spostare più in là i limiti insiti nella natura umana, il quale desiderio poggia sull’aspirazione recondita a non avere limiti, a non accontentarsi di rimanere parzialità bensì a cercare di andare oltre. Di fatto il moto nascosto interno che lo muove nel fare quotidiano è puntare a liberarsi da qualsiasi limite di sorta, precarietà di sorta, che è puntare ad approdare a essere «non parzialità», che è puntare all’onnipotenza di sé riguardo all’esistenza in cui si trova a vivere. Ma si ritroverà sempre con un surrogato di onnipotenza. Da questo si evince che il fare dell’uomo non è mosso unicamente dall’esigenza di rimarcare e rafforzare il proprio io in quello che è rispetto a quello che lui considera altro, che è manifestare il suo egoismo, ma anche spezzare i propri limiti di sé per puntare alla sublimazione del proprio io egoistico, a un io che non abbia limiti, confini. Così il suo fare non si acquieta quando gli altri gli attestano di riconoscere i suoi personali confini o quando la società tutta gli accetta e rispetta lo status acquisito. Bensì il suo agire è sempre proteso in modo più o meno accentuato, ad andare oltre i limiti, oltre i confini già acquisiti. Dopodiché misura l’onnipotenza raggiunta, ovviamente si ritrova sempre in difetto e riprende a puntare ad andare oltre. In questo sta prima la ricerca, poi l’individuazione e infine lo attivarsi concretamente nel puntare a fare proprio ciò che ora non possiede che considera miglior cosa dell’esistenza nel particolare momento di vita che si trova a vivere che gli consentirebbe di definire i nuovi confini di sé. E una volta raggiunta la meta rendersi conto che quei precisi confini di sé non sono la miglior cosa che pensava, miglior cosa che invece è una nuova condizione di vita da ottenere che ora non possiede che supera gli attuali limiti di sé.

La continua e inappagata esigenza di andare oltre i propri limiti, di ottenere sempre di più per approdare alla condizione recondita di «non parzialità», è attestata proprio dal fatto che il raggiungere una qualsiasi meta agognata, non genera mai appagamento definitivo, bensì l’uomo individua ben presto nuove altre mete cui tendere. Il desiderio di puntare a superare i propri limiti, porta dentro un anelito finalizzato a lasciare la propria limitatezza, finitezza, la propria precarietà e dunque quello è un anelito nascosto di «non parzialità», è un anelito d’infinito che è un moto che non si esaurisce. L’uomo ha innato il desiderio di acquisire a sé ciò che ha individuato come miglior cosa e che non possiede, che porta dentro il desiderio recondito di spezzare i propri limiti in cui è confinato l’io per acquisire all’io la dimensione di non parzialità, vale a dire il rango di onnipotenza. Quest’aspirazione fa comprendere come la condizione umana poggi su un’insoddisfazione latente che l’uomo con le sue forze non può annullare. L’uomo mediante la ragione ha prodotto la scienza che gli fornisce risultati che rendono il suo fisico sempre più immune da malattie e quant’altro d’indesiderato; e non ha bisogno della religione, di un dio, perché è lui che ha impostato la scienza, le ha dato spazio e risorse per fortificare senza limiti il suo fisico illudendosi così di poter giungere a frantumare la sua finitezza. Viceversa quest’uomo vede le restrizioni imposte dalla religione come il ricordargli e quindi rimarcargli che ha dei limiti da tenere ben presente da cui non poter prescindere. E non gli interessa se Dio gli indica sì i suoi limiti, di accettarli, di acquisirne consapevolezza ma che Lui è in grado di aiutarlo a librarsi per l’eternità da essi che è giungere a Lui, occorre soltanto che abbia fiducia in Lui e segua quello che gli indica di fare. Questo all’uomo moderno non interessa perché è soltanto oggi il palcoscenico che conta nella sua esistenza e dunque vuole tutto e subito. Così cerca oggi tutto il piacere possibile, è soddisfatto oggi degli antidoti che la scienza gli mette a disposizione per eliminare malattie oltre ad allontanare dolori vari, cerca oggi l’aiuto nel fare di ogni giorno che gli offre la tecnica, figlia della scienza.

Così l’uomo d’oggi spalleggiato dalla scienza che sente come alleato vincente alla lunga invincibile, allontana Dio da sé. E non si rende neanche conto se Dio porta l’eternità nella vita umana che è vittoria completa e definitiva su ogni finitezza e precarietà. Tale che in questo caso se allontana Dio è destinato alla sconfitta senza appello che è ritrovarsi solo con se stesso, con la desolazione della sua finitezza e precarietà, senza però una prospettiva possibile di vittoria eterna su di esse. Al meglio rimarrà nella vita in compagnia della sua nascosta aspirazione di onnipotenza che non soddisferà mai perché lui è parzialità e non può uscire con le sue forze da essa. In questo caso vivrà tutta la vita nell’illusione non espressa esplicitamente, di poter approdare dove invece in quel modo non potrà approdare mai. Con l’allontanare da sé in modo consapevole la dimensione del divino, non si allontana per niente quel desiderio presente nell’uomo, bensì non si fa altro che dare spazio dentro di sé a un’altra precisa individuazione di divino che in questo caso non è esplicitato consapevolmente. Questa individuazione nascosta di divino cui si tende è un falso divino, un’illusione di divino che non ha nulla di divinità e pertanto, necessariamente condurrà l’uomo ad acquisire una nuova condizione di parzialità che sarà una nuova precarietà. In altre parole l’uomo moderno tanto più allontana consapevolmente la dimensione del divino da sé, tanto più in modo indiretto e inconsapevole dà spazio dentro di sé a un altro divino, che diventa il suo personale divino, come può essere la scienza di cui ha la convinzione che gli risolverà tutti i suoi problemi derivanti dalla sua finitezza e precarietà. Infatti, quell’uomo non si rende conto, ma fa diventare la scienza, una nuova divinità cui s’inchina, in cui ripone tutte le sue attese recondite di onnipotenza, cui profonde il meglio delle sue capacità e risorse aspettando che gli dia tutto quello di cui ha bisogno per liberarsi della finitezza e precarietà insite nel suo essere parzialità. Ma in questo modo chiede alla scienza quello che non gli può dare: spezzare completamente e definitivamente la sua finitezza e precarietà rendendo lui uomo, non parzialità. La scienza come la ragione da cui discende, è una risorsa fondamentale a disposizione dell’uomo per conoscere e vivere al meglio la quotidianità, ma è da gestire, guidare, controllare. E non è una divinità che può dargli tutto quello di cui lui necessita e vorrebbe, pertanto l’uomo non deve sottomettersi a essa consegnandole le chiavi della propria esistenza, tale da disinteressarsi dove lo conduce e dedicarsi ad altro. Detto tutto questo si evince che, di fatto, non c’è grande differenza tra l’uomo d’altri tempi che assegnava al sole o agli astri il ruolo di Dio e l’uomo d’oggi che crede che la scienza gli risolverà alla lunga tutti i suoi problemi, che gli fornirà le chiavi per la sua immortalità, che risponderà a tutte le domande sull’esistenza cui lui ora non sa rispondere.

L’uomo con l’affidarsi alla scienza pensa di aver allontanato da sé la dimensione del divino, ma ha soltanto cambiato forma a quello che pensa sia il suo dio che gli darà tutto quello di cui ha bisogno comprese le risposte sull’esistenza che ora non conosce. La dimensione del divino che c’è nell’esistenza umana è attestata dall’anelito d’infinito che muove l’uomo nel fare, tale che non si accontenta mai di quello che ha, di quello che è, di quello che conosce, ma cerca di avere sempre di più, cerca di andare sempre oltre. L’uomo non può fare a meno di confrontarsi con la dimensione del divino nella sua esistenza, perché quella dimensione non è stata generata da lui come illusione o come oppio per estraniarsi dai problemi del momento, perché è depositata una Presenza di Divino nella profondità del suo essere da cui non può prescindere tale che la sua natura umana ne è caratterizzata. Infatti, la natura umana è: finitezza, parzialità uomo o donna con dentro il dono di una Presenza dell’Essere Assoluto che la apre agli orizzonti che stanno fuori dalla finitezza e dalla precarietà umana. Dunque l’uomo non può fare a meno di confrontarsi con il divino perché ne porta un segno dentro di sé; il che deve fargli comprendere che Dio c’è nell’esistenza umana, che Dio esiste, infatti, porta dentro di sé una Sua Presenza e non può fare a meno di confrontarsi con Lui. Infatti, quale uomo può dire di non essersi mai confrontato con la questione Dio? Per ogni uomo è ineludibile il confronto con il divino perché la dimensione del divino è impressa nella sua natura umana, ve n’è un segno nella sua natura umana. Ogni volta che l’uomo si confronta con la dimensione del divino, che affronta la questione del divino, si confronta con la Presenza dell’Essere che Dio ha depositato dentro di lui, nella sua natura umana che soltanto Dio poteva depositare. Ogni volta che un uomo si confronta con la questione del Divino manifesta che Dio esiste nella sua esistenza, che Dio si è presentato a lui, anche se lui può non averne la consapevolezza. È la presenza del divino che porta dentro che gli consente di confrontarsi con la dimensione del divino. Tale che è lecito chiedersi: come fa un uomo a dire che Dio non esiste? Non si accorge che porta dentro di sé il dono di una Sua Presenza? Così il compito che aspetta l’uomo è svelare a sé la Presenza di Dio che porta dentro, vale a dire togliere il velo che è togliere tutto quello che è entrato ben dentro di lui che gli cela il dono di Dio ricevuto che è Presenza di Dio, che Dio ha depositato nel profondo del suo essere.

Inoltre quella Presenza di Dio che sta impressa nella profondità della finitezza umana, svela il lignaggio della dignità umana che eleva la singola parzialità uomo o donna a una dimensione eterna che fa dedurre che la natura umana non può finire e non finisce con la morte terrena. È il fatto che l’uomo porta dentro di sé un anelito alla libertà, alla felicità, alla conoscenza, alla giustizia, allo stare bene, all’amare, alla bellezza, alla verità, che non sa bene cosa siano ma cui tende, che attesta che l’uomo ha insito dentro di sé un anelito d’infinito che non può che poggiare su una Presenza dell’Essere Assoluto che sta dentro di sé. La quale Presenza di Assoluto rimanda a un orizzonte di eternità per l’esistenza umana e che dunque tutto non può finire e non finisce con la morte terrena. Il singolo uomo o la singola donna non può estirpare quella dimensione eterna che sta dentro di sé, che è connaturata alla propria natura umana, vale a dire non può estirpare da sé l’eternità di cui è partecipe. Ma può scegliere di accettare e accogliere il dono ricevuto dall’Essere Divino che è quella Presenza dell’Essere che porta dentro di sé con cui può giungere a Lui, oppure può scegliere consapevolmente di rifiutare quel dono. Se accetta e accoglie quel dono, la sua eternità sarà nella bellezza propria dell’Essere, nella verità propria dell’Essere, nella libertà propria dell’Essere, nella giustizia propria dell’Essere, nell’amare proprio dell’Essere. Se invece non accetta consapevolmente quel dono dall’Essere, rifiuta l’Essere per sempre, la conseguenza è che per sempre sarà nel rifiuto della bellezza, nel rifiuto della verità, nel rifiuto della libertà, nel rifiuto della giustizia, nel rifiuto dell’amare. Questo vuol dire che quell’eternità si consumerà in un’infausta, malefica presenza senza fine di bruttezza, menzogna, prigione, ingiustizia, odio di sé e di tutto. Sarà per sempre nella finitezza asfittica, atroce, dovuta alla desolazione di essere parzialità io nel lamento perenne di riconoscersi incompiutezza senza fine, senza vie d’uscita, e dunque insoddisfazione senza fine, senza vie d’uscita. L’uomo d’oggi sostenuto dalla scienza e dalla tecnica non sente il bisogno di Dio e lascia quello che di Dio gli è giunto dai padri nel corso dei secoli. Con la perdita di Dio si ritrova con una vita senza una giustizia alta, senza un ideale alto, senza una verità e un senso ultimo da cercare, si ritrova senza un filo conduttore etico che elevi la sua esistenza e che lo accompagni e conduca nel suo fare che cerca di uscire dai limiti imposti dalla sua precarietà e finitezza. Il singolo uomo spogliatosi di Dio, del fatto divino, si pone al centro della sua esistenza ed è convinto di lasciare spazio alla sua ragione, alla sua razionalità. Invece il porsi al centro della sua esistenza comporta che l’io assurge a riferimento primo e ultimo di ogni considerazione che l’uomo possa avere. In particolare le esigenze dell’io sono il riferimento per la sua l’esistenza, diventano lo scopo principe e finale di ogni scelta, di ogni fare. Questo comporta che l’uomo cade in balia della carne del proprio io e dei desideri dell’io, mentre era convinto di lasciare spazio alla ragione, alla razionalità. Quando l’uomo pone al centro dell’esistenza il proprio io con le esigenze della sua carne e delle sue attese, le sue insicurezze emergono perché non si fida degli altri e tende a chiudersi in se stesso. Questo lo fa sentire solo, vede un mondo popolato di potenziali nemici che attentano a quanto da lui conquistato e a quanto lui mira, e non invece popolato di uomini e donne che condividono la sua stessa condizione umana e dunque con cui trovare sinergie. A questo punto richiama la ragione per porla al servizio delle esigenze del proprio io che cerca di opporsi agli altri, prevaricarli.

Quando in particolare deve occuparsi del rapporto sociale che ha con gli altri, la sua preoccupazione è marcare il suo spazio, affermare i suoi diritti, confermare prima di tutto la differenza che c’è con loro. Così afferma la sua appartenenza, privilegia le sue origini rimarcando la sua appartenenza a gruppi territoriali, etnici, politici, per unirsi ad altri simili al solo fine di attestare, ribadire e rafforzare il suo io rispetto al resto. Con queste appartenenze a gruppi cerca di preservare quanto acquisito e rivendicare nuove aspettative. Tende a rimarcare quello che lo distingue dagli altri rispetto a quello che lo unisce. Non si fida degli altri, pensa che l’altro possa togliergli qualcosa che gli appartiene o non fargli ottenere quello cui mira. In questo modo il mondo degli uomini appare fondamentalmente attraversato da forze centrifughe che allontanano, differenziano, separano gli uni dagli altri. Questa paura dell’altro nel migliore dei casi fa richiamare la ragione, la razionalità, per assegnarle il compito di stabilire tutto quello che è necessario per disciplinare il rapporto fra le persone. Così sono definite leggi, trattati, norme, accordi che regolano i rapporti fra le persone, stati, organizzazioni al fine di riconoscere le proprietà, i diritti, i doveri e quello che c’è da codificare per definire i modi e le norme del fare e dei risultati che scaturiscono. Inoltre sono definite le norme, le operatività e quant’altro per regolare le attività nella loro generalità anche per comminare sanzioni alla presenza di un non rispetto di quanto stabilito. Da tutto questo agire della ragione posta al servizio dell’io, scaturiscono un insieme di leggi, norme, vincoli, standard, modi operativi che congiuntamente a quando stabiliscono la scienza e la tecnica costituiscono un tecnicismo cui gli uomini devono attenersi nella vita quotidiana. Quest’uomo moderno con l’aver allontanato consapevolmente Dio si sente padrone di sé, della propria vita, senza vincoli rispetto ai suoi desideri e attese e questo lo soddisfa e gratifica facendolo sentire in condizione di spezzare la propria finitezza e precarietà. Ma, in questo modo non fa altro che amplificare a dismisura il proprio io con le sue esigenze e attese che lo conduce ad allontanarsi da un incontro di apertura con gli altri, con la conseguenza di sentirsi più solo seppure alla presenza di tanti simili che necessariamente ci sono nel fare di ogni giorno. Il sentirsi solo lo rende insicuro e può cadere preda di mille paure proprio perché le situazioni e gli altri sono visti come potenziali usurpatori delle esigenze del proprio io e lui non trova un modo per arginare. Il motivo caratterizzante della vita è che ora la sente sua e soltanto sua, e presume di avere tutta la libertà che serve per pensare lui a ottenere quello di cui ha bisogno aiutato dalla ragione e dalla scienza che sono sue, che lui ha creato. Così il suo impegno è prendere dall’esistenza quello che gli serve in base alle proprie esigenze, eventualmente accumunandosi e affiliandosi a gruppi per aumentare la forza d’urto necessaria alla conquista e per meglio proteggere poi quanto conquistato. Nel caso, poi, disfarsi di questi gruppi al mutare delle situazioni e delle convenienze del momento.

6. Un nuovo uomo primitivo è entrato sulla scena del mondo evoluto

L’uomo moderno vive Dio come portatore di vincoli e restrizioni e dunque come ulteriori limiti alla sua condizione umana. E lui uomo rifugge da limiti, confini, restrizioni, obblighi: lui punta all’onnipotenza di sé, del proprio io e allontana Dio sulla base della convinzione che possa fare a meno di Lui perché è lui uomo che diventa Dio della sua vita per mezzo della ragione e della scienza che lui ha creato. L’uomo senza Dio è lui che bada a se stesso, che si occupa di se stesso; è ora lui e soltanto lui il padrone della sua vita. L’uomo ha allontanato Dio dalla sua vita, in questa decisione è stato spinto dalla ragione che riconosce e accetta l’esistenza soltanto di quello che lei individua, e poiché non riesce a dimostrare che Dio esiste, arriva alla conclusione che Dio non esiste e la consegna all’uomo dandogli l’indicazione di allontanare Dio dalla sua vita. E l’uomo allontana Dio da sé. L’uomo d’oggi in particolare non soltanto non crede in Dio creatore di tutti gli uomini, non si pone proprio il problema riguardo al fatto se esiste o non esiste; quello che conta è che non conosce Dio e non sente la sua necessità. Fermo restando che poi rinchiuso nei confini del proprio io, vede gli altri come estranei, come potenziali usurpatori della sua libertà e non come occasione d’incontro e condivisione. Il risultato che si determina è che non si sente per nulla sicuro di sé, e per distogliere questa insicurezza latente crea surrogati di Dio nella vita, miti, idoli, cui dedicarsi, inchinarsi e osannare: ad esempio un uomo o donna dello spettacolo o dello sport o altro come la scienza. Così l’assistere a spettacoli o manifestazioni sportive diventa deleterio quando si va ben oltre dall’ammirare e riconoscere il talento, l’impegno profuso e dunque la bravura e la preparazione accurata dei protagonisti facendoli diventare oggetto di fanatico culto. Gli idoli che sono uomini o donne sono particolari nel loro essere falsi dei perché essendo umani, gli altri s’immedesimano facilmente in loro e soprattutto sono rassicurati nel proprio desiderio di diventare dei di se stessi perché quegli idoli lì di fronte a loro attestano che sono come loro, sono lontano e allo stesso momento vicino e chiunque può raggiungere quello status di notorietà, di successo, di divinità. Allo stesso momento quegli uomini e donne osannati e idolatrati ricevono da questo, sicurezza anche se effimera e falsa che li inebria di onnipotenza vacua che nel momento in cui tutto questo finisce, perché tutto finisce, ognuno di loro si ritrova in un deserto di solitudine e abbandono.

L’uomo con il decidere di allontanare Dio, la dimensione del divino dalla propria vita, presume che da questo momento sarà guidato dalla ragione, invece si consegnerà a una sirena ammaliatrice che è la carne, che è l’istintività del proprio io che pone sé al centro di ogni cosa disinteressandosi del resto e degli altri e si ritroverà e sentirà monade nell’universo della vita, si sentirà solo. A quel punto cercherà di utilizzare la ragione per il perseguimento dei suoi interessi dettati dalla carne. Così l’uomo si consegna a quello che gli indica di fare la carne: attenersi alle sue emozioni, soddisfare le pulsioni dell’istinto in ogni campo, il rincorrere il piacere in tutte le situazioni è la sua nuova bussola, cambiare colore alla pelle, eventualmente chirurgicamente anche cambiare sesso, porre il proprio interesse sopra di quello degli altri, disinteressandosi completamente di loro e della conseguenza che le sue azioni possono determinare nella loro vita. Non preoccuparsi se le proprie azioni procurano danni all’ambiente o ad altro. Nel caso accumunandosi a vivere sotto lo stesso tetto con chi al momento più aggrada e poi alla prima contrarietà disfarsene, far parte di gruppi che oggi si accettano e che domani in caso si abbandoneranno, immedesimarsi in idoli da osannare, bearsi di sé che rincorre la tecnica per meglio comunicare, per meglio viaggiare, per fare più soldi, per acquisire più potere. Inoltre l’uomo nel corso dei secoli spinto dalle esigenze del proprio io ha utilizzato la ragione con cui ha generato la scienza e la tecnica per costruire tutto quello che gli serviva per il proprio beneficio nella vita quotidiana tale, in particolare, da liberarlo da una serie d’incombenze a volte anche pesanti. Ma non si è reso conto che su questa strada è andato ben oltre perché ha consegnando le chiavi del quotidiano alla scienza e alla tecnica senza porgli vincoli e limiti, facendo loro definire le modalità del suo fare e scandirne i ritmi, fino al punto da far stabilire a loro le mete su cui indirizzarsi. Il risultato è un mondo tecnicizzato in cui non c’è spazio ai sentimenti perché l’esigenza umana del singolo è messa da parte, quello che conta è la produzione, i numeri della crescita dell’economia, il rispetto dei parametri stabiliti, quanto il mercato finanziario oggi ha sentenziato. L’uomo moderno è soddisfatto dello spazio che ha assegnato alla scienza e alla tecnica perché gli risolvono una serie di limitazioni che prima subiva (ad esempio necessità di spostamento fisico e di comunicazione) e ora può meglio occuparsi dei piaceri che gli indica la carne, la pancia (che comprende tutto del suo essere uomo o donna). La scienza e la tecnica applicano la razionalità aumentando le conoscenze necessarie al fare umano. Ma, l’uomo non ha completa consapevolezza che dalla ragione piegata all’esigenza del proprio io sono scaturiti la scienza, la tecnica e il tecnicismo e in particolare la tecnica frantuma nell’uomo sì i suoi limiti al movimento, alla comunicazione, alla conoscenza degli avvenimenti e altro, ma crea realtà virtuali lontano dal mondo reale, dove attrae e conduce l’uomo suggestionandolo e anche stordendolo. Inoltre c’è il tecnicismo che è quell’insieme di norme, regole varie e prassi operative cui ottemperare che non attengono soltanto alla tecnica e alla tecnologia, ma che comprendono anche leggi, certificazioni, prescrizioni varie, regole di bilancio, accordi, indici di crescita economica e quant’altro. Tutto questo avvolge l’uomo e il suo agire, detta le priorità, impone ritmi, modi di operare ed anche di pensare che non tengono conto di esigenze particolari e sentimenti umani. In questo modo si determinano una ragnatela di vincoli e prescrizioni che vanno a imbrigliare la persona, il suo fare, obbligandola a determinate scelte. L’uomo è condizionato nella sua libertà d’azione perché deve fare i conti con tutto quello che impone il tecnicismo che nella stragrande maggioranza dei casi non tiene conto e prevarica esigenze umane primarie; ma di questo l’uomo non ne ha completa consapevolezza e quando lo acquisisce, non trova soluzioni.

L’uomo allontana Dio perché gli ricorda la sua finitezza e precarietà umana, mentre la scienza e la figlia tecnica sono avvicinate perché si muovono nella direzione di tendere a eliminarle. L’uomo non si rende conto che questa è una pia illusione perché invero la scienza gli narcotizza soltanto i limiti imposti dalla natura umana e la tecnica glieli stordisce, ma quei limiti non possono essere allontanati da lui. Quei limiti lì stanno e lì rimangono a segnare la sua natura umana di finitezza e precarietà, tale che prima o poi gli chiederanno il conto e a quel punto lui non avrà mezzi per arginare la desolazione e abbattimento che da quel momento la faranno da padroni nella sua vita. L’uomo d’oggi non si rende conto che con il seguire supinamente la scienza ne ha fatto una dea cui lui si affida e si sottomette, fino al punto da consegnarle le chiavi del pensare perché soltanto di lei ha completa fiducia. È convinto che sia un’emanazione di sé e lo farà stare sempre meglio e poi la controlla, può controllarla. Invece la scienza va per proprio conto anche perché lui non le pone vincoli e limiti di sorta. Inoltre avviene che con la tecnica e il tecnicismo che si espandono nella vita dell’uomo moderno questi vede la sua identità messa da parte. L’uomo nella società consegnata alla tecnica e al tecnicismo che pure lui contribuisce a consolidare e ampliare, assiste al fatto che la sua identità non è presa in considerazione nel suo rapportarsi con il mondo perché quello che guida e stabilisce il suo fare quotidiano, è la tecnica e il tecnicismo cui lui deve soltanto sottostare. Così l’uomo si rende conto che il proprio io è messo da parte, è diventato insignificante, pedina in un gioco in cui non incide e si sente ancora più solo e insicuro di quanto già sentisse. A quel punto da dentro di lui emerge ulteriore e più forte necessità di marcare l’identità del proprio io in qualche modo, che è legittimarla attraverso l’esprimere quello che ha dentro che è manifestare un segno di sé. Questa è esigenza di dare spazio alla identità del proprio io nel mondo, nel rapporto con gli altri, con qualcosa che esca da dentro di sé senza aggiustamenti e mediazioni. Ha la necessità di far sentire la propria identità, il suo esserci, lasciando una traccia che è marcare con un segno di sé, in qualche modo, il territorio della sua esistenza. Per questo come prima cosa sogna il successo, cerca il successo che è forte riconoscimento da parte degli altri. Il non riuscirci lo fa cadere senza appello nella sconfitta di sé che è la perdita di sé, perdita della considerazione di sé, fino a ritrovarsi a terra, ferito, senza prospettive, abbattuto. Per non cadere in questa condizione e trovare il segno di una propria identità, non individua altra via che dare spazio, sfogo, alla forza istintiva di sopravvivenza che sta dentro di lui così da marcare con un segno di sé la sua esistenza. Ed ecco che con le azioni dettate dalla carne, dall’istinto di sopravvivenza, fa qualcosa per lasciare il segno del suo esserci e può giungere anche a manifestare violenza brutale e animalesca. È così che in modo aberrante lascia un segno dell’identità di sé nell’esistenza. In queste azioni tragiche si ode l’urlo dell’uomo con cui manifesta da un lato lo strazio della sua solitudine, il sentirsi solo, abbandonato e dall’altro esprime l’esigenza di fare sentire sé, di marcare l’esistenza con un segno di sé, che è farsi ascoltare, che è necessità di incidere nella sua esistenza e nell’esistenza degli altri. Questo in ultima analisi è manifestazione di attaccamento alla sua esistenza che è funesta manifestazione perché conduce alla distruzione di un’esistenza dignitosa, per far cadere in un’esistenza di degrado, desolazione e finanche morte. Questa è la condizione in cui si trova l’uomo d’oggi che di fronte alla sfida di capire l’esistenza, ha scelto con la ragione di allontanare Dio ritrovandosi a dare spazio al proprio io e alle proprie esigenze disinteressandosi di quelle degli altri, oltre che a dare spazio senza limiti alla scienza, alla tecnica e al tecnicismo. Il risultato è che l’uomo si ritrova solo, emarginato, insoddisfatto nella caverna senza Dio e dunque senza luce provenire da Fuori da quella caverna. Quella è luce in grado di fargli capire il senso della vita che è quello che c’è da capire di profondo nella vita. Senza quella luce si ritrova solo, perdente e cade nella rete del richiamo dell’istintività e impulsività della sua carne al fine di manifestare a sé e agli altri un segno forte che faccia sentire il suo esserci con cui manifesta soltanto la sconfitta e la desolazione in cui si trova.

L’uomo non ha le chiavi, dove la scienza, la tecnica e il tecnicismo si sono assiepati, pertanto non li controlla, li teme ma non può farne a meno e dunque subisce quello che gli impongono di fare nel quotidiano. Si sente solo, emarginato, rifiutato, allora si consegna ancora di più al richiamo dell’istinto della carne, alle pulsioni della pancia per dare soddisfazione al proprio io. In questo modo un uomo primitivo, un nuovo uomo primitivo entra sulla scena del mondo evoluto che è da definire in questo modo perché si contraddistingue rispetto all’uomo precedente (che aveva Dio come riferimento) per una maggiore e più marcata propensione a lasciarsi guidare dall’istintività, carnalità, emotività propria della natura umana. Questa è la condizione che è iniziata a consolidarsi con l’uomo d’oggi e che si consoliderà e diffonderà in futuro. Nella fase attuale della sua comparsa, l’uomo primitivo si manifesta tale soprattutto fuori dal tempo dedicato al ruolo ricoperto nella società; dà sfogo alle spinte emotive dell’istinto nel tempo cosiddetto libero. È lì che l’uomo della società evoluta potendo decidere senza imposizione alcuna come manifestarsi, sceglie di lasciarsi andare all’istinto di sé, sceglie di dare spazio alla sua emotività, alla pancia, alla carne e di affrancarsi dalla ragione che non è riuscita a dargli soddisfazione nel mondo. In questo modo si svincola da ogni morale, etica, rispetto di sé e degli altri e può cadere in atti di violenza sulle cose ed anche sulle persone. Quest’uomo sceglie di manifestarsi a livello istintivo in modo dirompente per marcare di sé l’esistenza sua e degli altri; e gli piacciono queste sensazioni forti, le pulsioni della carne. Ora da questo è attirato, il resto non lo soddisfa e lo annoia. È nei momenti in cui non ha imposizioni cui è costretto ad attenersi che l’uomo del mondo evoluto trova il modo di manifestarsi come nuovo uomo primitivo. In ogni caso quando ha la possibilità di esprimersi e quando gli è chiesto di esprimersi senza limitazioni, lui non fa leva sulla ragione, sulla riflessione, bensì risponde di pancia, dà spazio all’istinto, alla sua emotività con cui manifesta che quello che conta per lui è dare importanza, rilevanza, piacere, al suo io, il resto è secondario, non gli interessa. Così nella vita corrente sceglie opzioni che imprimono un cambiamento alle situazioni di vita corrente al fine di manifestare e dare risalto al suo esserci, per marcare la sua identità. Di conseguenza facilmente rompe legami di qualsiasi genere che vive come condizionamenti alla sua identità, oppure li vive come situazioni in cui non c’è il dovuto riconoscimento alle sue esigenze e istanze personali. Tra questi ci sono legami di amicizia, di convivenza, di famiglie costituite. Nasconde le sue insicurezze e precarietà cercando di arginarle arroccandosi e chiudendosi sempre più nel proprio io, nell’identità del proprio sé, nel marcare la propria identità, rimanendo da solo con le sue emozioni forti. Questo è il nuovo uomo primitivo generato dalle società evolute.

Il primo uomo primitivo era guidato e succube della natura che imperversava nella sua vita e dagli impulsi dell’istinto di sopravvivenza che partivano dalla carne, che passavano dalla pancia. Quell’uomo si è trovato in questo modo sulla scena della vita; ha impiegato millenni ma poi si è svincolato dal padrone carne per farsi guidare dalla ragione, dalla razionalità che in particolare l’ha aiutato a stabilire modi di convivenza civile nelle società stati e nei rapporti fra stati. L’uomo ha visto i risultati concreti portati dalla ragione ed ha iniziato a dubitare dell’esistenza di Dio perché non vedeva nella vita suoi segni concreti. Ed ha iniziato a pensare che Dio fosse un’illusione e che con la ragione poteva affrancarsi da lui. Ma, la ragione si è rivelata anch’essa padrone perché l’uomo esasperandone la presenza, l’ha osannata e quella l’ha condotto a consegnarsi a ciò che lei ha prodotto: la scienza e la tecnica. Queste hanno affascinato l’uomo con i loro risultati rendendolo sempre più sicuro, forte, vincente sulla natura, sulle precarietà del fisico (malattie che lo attaccano e altro) sulle precarietà della condizione di vita. L’uomo considera la scienza, il suo salvatore perché lo libera dai problemi che incombono e imperversano sulla sua vita. Il rapporto con la scienza diventa prioritario perché è vincente sulle difficoltà umane prima insormontabili, prime fra tutte le malattie. Il rapporto con la scienza fa sentire l’uomo sempre più forte al punto da fargli presagire alla lunga di diventare imbattibile con questo alleato. A questo punto l’uomo allontana Dio dalla propria esistenza. Così l’uomo si affida alla scienza e alla tecnica, ne fa i nuovi totem cui inchinarsi e chiedere aiuto in caso di necessità. Ma, in questo modo diventano padroni della sua vita, infatti, agisce in totale dipendenza ai loro dettami, lui ne diventa succube e la sua identità ne rimane alterata, compromessa e lui cercherà aggiustamenti affidandosi alla sua carnalità. Il rapporto con la scienza diventa preminente, ma è impersonale, asettico, perché la scienza non si può toccare, con essa non può stabilirsi un rapporto emotivo. È un rapporto gelido che non ha calore, emotività, ma ormai è imprescindibile per l’uomo. Così l’uomo è condizionato da quello che la scienza e la tecnica portano e appaiono nel rapporto con lui, al punto che tende ad abituarsi a ciò che è freddo, impersonale, asettico. Questo comporta che nell’uomo sono perturbate anche le relazioni umane che tendono a essere superficiali e non profonde, mentre per loro natura sono calde ed emotive. In particolare la tecnica figlia della scienza è in grado di creare rapporti tra persone e in ogni caso entra in essi tale che questi non sono più quelli di prima perché li altera. Infatti, i rapporti cambiano, diventano meno profondi, più superficiali, più di facciata, perché si comunica facilmente con frasi veloci, brevi e non meditate che non vanno in profondità anche perché spesso coinvolgono gruppi di persone e dunque si hanno rapporti più impersonali, più asettici, più freddi. Questo anche perché fra le persone c’è meno il rapporto diretto (quando non c’è proprio) perché proprio c’è il mezzo tecnico tra di loro, c’è la sua mediazione del mezzo tecnico che per sua natura è freddo, impersonale. La tecnica di per sé agevola le comunicazioni, amplifica le interazioni fra le persone, moltiplica il numero di persone conosciute, ma il tempo a disposizione delle persone, anche volendo, a volte non consente di avere con loro una relazione approfondita, pertanto sono relazioni che possono essere aleatorie, superficiali. Il rapporto fra le persone in molti casi è stabilito se non addirittura creato dal mezzo tecnico, dalla piattaforma tecnologica, che poi in ogni caso ne diventa il mediatore e il diffusore (basti pensare ai rapporti che si creano e stabiliscono con le comunicazioni tramite i social, oppure ai rapporti tra spettatori e partecipanti a trasmissioni televisive o comunque mezzi audiovisivi).

Una conseguenza importante è che da quest’uomo si allontana l’emotività, quella sanguigna, vera, non edulcorata e lui ne sente la mancanza. Sì, i social, le trasmissioni televisive come anche la filmografia in generale possono far leva e fanno leva sull’emotività di chi scrive le brevi frasi e di chi le riceve, dello spettatore televisivo e c’è l’immedesimarsi di questo in quello che è rappresentato, ma è emotività del momento, fugace, illusoria. A quest’uomo manca l’emotività nel quotidiano, quella vera, diretta con le persone, senza intermediari artificiali. Così l’uomo richiama a sé l’emotività, l’istintività, la carnalità che ha dentro di lui perché ne sente la mancanza; lo fa per il suo appagamento personale. Dà loro nuova vita trovandone spazi nel quotidiano per nutrirsene in modo vorace da nuovo uomo primitivo. L’uomo sente e vive la scienza e la tecnica come alleati insostituibili per fronteggiare e sconfiggere la sua finitezza e precarietà, ma si sente anche emarginato perché non ha la possibilità di incidere su di esse, inoltre gli creano vincoli e meccanismi da cui vorrebbe, ma non può svincolarsi. Nonostante ciò l’uomo del mondo evoluto sarà sempre di più in futuro ben contento di farsi gestire e scandire i modi e le operatività del fare quotidiano, dalla scienza e dalla tecnica, perché lui avrà sempre di più la possibilità di lasciarsi andare al richiamo della carne. Questa contraddizione lo fa stare e lo farà stare sempre di più in futuro, in una condizione di continua inquietudine. Quello che l’uomo ha costruito ora già procede per conto proprio (es. il c. d. mercato in ambito economico finanziario che determina situazioni di fatto a cui nessuno osa soltanto dubitarne la legittimità) con indirizzi e controlli umani sempre meno presenti e questa condizione si allargherà e consoliderà. È in base a tutto questo che sul palcoscenico del mondo cosiddetto evoluto è entrato in scena e si diffonderà la figura di un nuovo uomo primitivo, che è guidato dall’istinto, dalla pancia, dalla carne e che è succube della scienza, della tecnica e del tecnicismo perché non ne è padrone perché non ne ha le chiavi, deve soltanto attenersi a quello che gli è scandito e di fatto imposto da quanto lui stesso ha costruito.

Il primo uomo era primitivo per necessità, il nuovo uomo primitivo lo è per scelta. Questi è l’uomo d’oggi del mondo evoluto che ha allontanato Dio, che cerca soltanto il piacere effimero che allieta il corpo e lo spirito al momento, che è consegnarsi alla carne, alla pancia, alle emozioni. Quest’uomo è ben contento di aver trovato il modo che gli consente di avere tutto il tempo che desidera per dedicarsi al raggiungimento del piacere di qualunque tipo con cui ottiene l’ebbrezza di superare, azzerare, annullare la finitezza dei suoi limiti. È soltanto un’ebbrezza perché un qualsiasi piacere è sì uscire per un attimo dai propri argini di sé, ma è soltanto una fiammata di superamento di quei confini; il piacere è vampata fugace, che si consuma presto. Quello che lascia è terreno bruciato, consumato, arido perché brucia tutto, non costruisce nulla, alla lunga rimane il niente, la solitudine, l’insoddisfazione che in mancanza di nuovi piaceri conduce alla desolazione che apre all’abbattimento. Così l’uomo dalla paura della precarietà del primo uomo primitivo ha percorso un lungo itinerario di cambiamenti, di lotte anche fratricide, di scoperte, di sconfitte, d’illusioni, di presunte vittorie, ha lasciato che la ragione da strumento che nelle sue mani lo aiutasse a vivere meglio lo ha fatto diventare unica guida nella sua vita scalzando Dio. Il risultato è stato giungere al deserto della propria vita, dove gli altri sono potenziali nemici usurpatori del proprio io, che è vivere nel deserto di sé, in balia della propria carne, che è ritrovarsi, di fatto, al punto di partenza come nuovo uomo primitivo. Infatti, quest’uomo non ha compreso nulla di veramente importante e significativo sull’esistenza umana. E se gli rimane una qualche energia, aspira a un nuovo piacere da cercare, una nuova passione, una nuova fiammata e poi di nuovo esaurimento, aridità, e il triste ciclo riprenderà il suo corso. Questo nuovo uomo primitivo del mondo evoluto tecnicamente, rimanda a un altro uomo primitivo che compare in altri territori fisici e culturali che sta in uno stadio di abbrutimento nettamente più avanzato. Lì la società è meno progredita socialmente e con un tasso di avanzamento tecnico nettamente inferiore ma anche lì giunge la diversità dirompente dell’uomo moderno tecnologico armato della tecnica che avanza ovunque nel mondo senza ostacoli, travolgendo modi di fare e di pensare. In alcuni membri di questa società l’avanzare dell’uomo moderno incute paura di distruzione delle proprie tradizioni, culture e credenze religiose che definiscono i confini entro i quali sta la loro identità. Tale che quella diversità dirompente è sentita e vissuta come minaccia e distruzione della loro identità e dunque come annientamento di loro stessi. Il risultato è che emerge in questi territori un nuovo uomo primitivo che abbraccia e si consegna all’istinto della propria carne per creare uno spazio dove mettere al sicuro la propria identità, fino a consegnarsi a propositi di morte e alzare con la violenza mura di protezione in cui difendersi e da cui attaccare quell’uomo moderno. Lo attacca a morte con tutti i mezzi anche con il richiamo e l’affiliazione di figli delle proprie matrici culturali che vivono nei territori dell’uomo moderno e dunque possono colpire più facilmente. Questi cadono nell’affiliazione di morte perché si sentono emarginati, non compresi, esclusi in quelle terre dove, pure sono nati e vivono, ma che non considerano proprie. Così quest’uomo primitivo sceglie di consegnarsi all’abbrutimento di sé che è dare spazio all’istinto del richiamo del sangue contro il nemico moderno che vede avanzare. Inventa giustificazioni provenire da Dio, che è piegare Dio ai propri voleri di morte per trovare una sponda alle proprie nefandezze di distruzione contro altri simili e dare risposta alle proprie insicurezze. E con i corpi dei nemici straziati mostrati come vessilli di forza, erge il suo muro che crede di sicurezza con il quale si sente protetto e vincente che invece è consegnarsi alla morte. A questo punto il disegno è completo e visibile: nutrirsi di morte per allontanare la morte; quanto di più illogico, disumano e autodistruttivo si possa pensare. Questo è il risultato finale, l’ultimo stadio brutale e feroce di vivere consegnandosi all’istinto della carne.

Quando prende il sopravvento l’abbrutimento di sé consegnato all’istinto del sangue, nuovi nemici s’individuano, anche appartenenti allo stesso credo religioso ma con secolari e radicate differenze e altri alleati di morte si trovano e il conflitto e la morte si diffondono ancora di più. La comparsa e diffusione di questo feroce uomo primitivo con le funeste azioni che attua, con tragici aiuti di morte che riceve e la reazione che determina nei paesi colpiti, impone scenari di guerra tragici a intere popolazioni inermi. All’inizio del terzo millennio emergono nuovi esemplari di uomini primitivi nelle società cosiddette evolute e in società meno evolute che sono sintomo di malessere di queste società. Sorge la domanda: «c’è un altro itinerario per l’esistenza umana? C’è un’altra prospettiva di vita cui tendere? C’è un altro modo di intendere e vivere la vita ed i rapporti con gli altri per non creare società che facciano cadere le persone nel richiamo basso dell’istintività della carne? C’è per l’uomo moderno un senso da dare all’esistenza che non sia mettere soltanto foglie secche sul fuoco delle proprie paure e della vacuità del piacere fine a se stesso dove gli altri sono visti come altro esterno a sé, ben disgiunto da sé e quindi tutti potenziali intralci alle proprie esigenze?». L’uomo che pensa, che rifletta, che si rende conto di questo, comprende prima di tutto che la scienza e la ragione da cui discende, sì hanno risolto una serie importante di esigenze e necessità umane, ma hanno condotto l’uomo moderno della società evoluta ad aridità e solitudine crescente, mentre in altre società hanno portato paura di annientamento e reazioni sanguinarie. Da questo si comprende che la ragione, la scienza e la tecnica non hanno risolto le esigenze di conoscenze basilari riguardo all’esistenza umana che ne permettessero una convincente evoluzione: cos’è l’esistenza umana? Qual è il senso della vita? Come giungere a una convivenza civile tra tutti i popoli? E allora c’è il chiedersi: perché la ragione non ha trovato le risposte alle domande che aspettano da sempre? In ogni caso è possibile per l’uomo riappropriarsi delle redini della ragione per guidarla sui sentieri della scienza e della tecnica e imporre a queste vincoli e limiti cui devono attenersi invece di lasciarsi guidare supinamente da esse? Tale che diventino a tutti gli effetti risorse a disposizione dell’uomo e non idoli cui sottostare?

7. C’è un esercizio di saggezza da compiere

Dunque, c’è ancora molto da indagare e risposte da trovare sulla condizione umana, c’è ancora da capire quello che veramente è importante dell’esistenza. L’uomo di fronte alle domande che da sempre aspettano una risposta, l’unica possibilità che ha è ricevere Luce proveniente da fuori la caverna dove ora lui è confinato con il suo pensare. Così serve un uomo nuovo, un uomo che si ponga nella giusta disposizione, a ricevere quella Luce, questi è un uomo consapevole di dover aprire una nuova fase in cui togliere la ragione dal servizio alla carne e alle sue esigenze per porla al servizio della conoscenza di sé e degli altri che è disporla nella giusta disposizione per conoscere l’esistenza nella sua profondità. Così occorre partire da una nuova consapevolezza di sé e degli altri dove al centro è posta la dignità di ogni singolo uomo e donna che è sempre da tenere presente e salvaguardare. Tale che si veda e senta ognuno, nessuno escluso, non come nemico che possa toglierci qualcosa o a cui togliere qualcosa, bensì partecipe come se stesso dell’avventura umana e dunque membro della comunità umana con le stesse legittime esigenze di tutti gli altri, per una vita dignitosa e per una comprensione riguardo al senso dell’esistenza. Con il ricevere Bagliori di Luce provenienti da fuori la caverna, avviene il rigenerarsi dell’uomo che si sente partecipe della comunità umana ed è pronto alla conoscenza di sentieri nuovi di vita lungo i quali giungere a comprendere pienamente l’esistenza che si trova a vivere congiuntamente con gli altri uomini e donne. Per questo serve un uomo pensatore illuminato da nuova Luce che impari a tessere altre trame logiche facendole scaturire dalla ricchezza delle esperienze d’esistenza già acquisite che provengono da ogni parte e cultura. Cercherà di comporre un quadro d’insieme coerente che faccia emergere direttrici di risposta alle domande che aspettano da sempre, su cui impostare una nuova esistenza che sarà fondata sul riconoscimento della comunità umana come casa comune di ogni uomo e donna. Dove ognuno sia accolto, compreso e aiutato a vivere con dignità e ad avere rispetto di sé e degli altri. Dove ognuno scopra la necessità di porsi nella direzione di definire un’unione d’intenti con tutti gli altri.

Dopo migliaia di anni di storia e dunque di conoscenze acquisite, i tasselli necessari ci sono, sono soltanto da leggerli alla presenza della Luce nuova, sono da riprendere anche e soprattutto quelli messi da parte in un angolo e coperti di polvere, metterli tutti insieme nel giusto modo per renderli leggibili. Mediante la ragione è da trovare una trama logica che li lega uno all’altro, che lega esperienze diverse, al fine di ottenere come un puzzle, un quadro d’insieme organico che metta in condizione di comprendere quello che c’è da comprendere sull’esistenza umana; questo conta il resto è marginale. Un tassello tra i principali fra quelli messi da parte e impolverato è: l’uomo porta dentro di sé un anelito d’infinito, un anelito a superare i limiti imposti dalla finitezza e precarietà umana, dunque esiste la condizione di un essere cui si può alludere con le parole «Essere Assoluto, Essere che è Non parzialità»? oppure è un’invenzione umana? Insomma “Dio esiste o non esiste?”, che non è la domanda: “l’uomo ha bisogno di Dio?” bensì la domanda a cui rispondere è proprio: “Dio esiste?” vale a dire “esiste il Fuori la caverna dove vive l’uomo?” o “questo Fuori è un’illusione?” La dignità umana richiede una risposta non superficiale, bensì quanto più meditata, rigorosa e dunque attendibile perché se Dio esiste, ha un’influenza sostanziale sull’esistenza di ognuno. Se c’è il battito di una farfalla che partecipa e dunque influenza l’intero sistema ambientale, quanto può influire Dio, se Dio esiste, se Lui ha creato tutto? Così sono da cercare i fatti, le esperienze, le situazioni umane passate sulla questione del divino, provenienti da latitudini e culture diverse, anche all’apparenza completamente scollegate fra loro, ma che viste in un nuovo sguardo d’insieme possono fornire lumi al riguardo.

La risposta a quella domanda cruciale non è finalizzata ad avere la possibilità di chiedere a Lui di intervenire nel mondo per mettere ordine o di incrociare le braccia, tanto c’è Dio. Bensì quella risposta e la conseguente Luce che proviene da Lui, sono necessarie per aiutare la ragione a rileggere e capire la storia umana così com’è stata dispiegata, a capire la portata delle esperienze personali, di quelle di tutta l’umanità, di esperienze speciali di taluni, di atrocità perpetuate, di sofferenze profuse, a trovare il nesso tra l’esistere dell’uomo e il senso della vita, così da capire l’esistenza in profondità e dedurre gli opportuni passi da compiere. C’è da ribadire che chi non crede all’esistenza di Dio, vale a dire chi non crede che ci sia un fuori dalla caverna dove ora l’uomo vive, e dunque pensa che nell’esistenza esistano soltanto enti parzialità, non dovrebbe ingaggiare dispute per confutare le posizioni di quelli che dicono di aver ricevuto un’esperienza dell’Essere Assoluto nella loro vita perché non ha gli elementi per contestare quell’asserzione e dunque sarebbe un vano tentativo. Sarebbe opportuno perché logico, che dicesse in modo onesto e rigoroso: nella mia esperienza non ho conosciuto l’Essere Assoluto che è Dio (che altri dicono di aver incontrato) che forse c’è sempre stato e sempre ci sarà, se si presenterà ne trarrò le conseguenze. In altre parole sarebbe opportuno che non dicesse: io escludo che Dio esista; bensì sarebbe ragionevole che scegliesse di dire: io ancora non l’ho incontrato.

Per colui che cerca la verità riguardo l’esistenza, che si applica con impegno e costanza in questa ricerca perché sente dentro di sé l’insopprimibile esigenza di indagarla sempre meglio, c’è un esercizio di saggezza da compiere. Esso consiste prima nel compiere un atto di umiltà con cui ammettere che con le proprie forze umane non può capire quello che c’è da capire di profondo sull’esistenza e poi compiere un atto di fede in Dio tale da chiedere a chi dice di averlo conosciuto, incontrato, su quale percorso di vita ha acquisito questa esperienza. Così da impegnarsi anche lui a percorrere quella via per cercare di avvicinarsi all’Essere Assoluto e disporsi nel migliore dei modi per poter ricevere la Luce di conoscenza di cui ha bisogno, che soltanto Dio gli può dare. E, nel caso, lasciare di controbattere che Dio non esiste a chi crede in Dio e parla di Dio, e non impegnarsi a demolirne le parole e gli argomenti che quello utilizza. Le quali parole sono sempre insufficienti a dimostrare che Dio esiste perché Dio è l’Essere che sta fuori, oltre le parzialità e in particolare sta fuori, oltre qualsiasi discorso composto di parole che sono necessariamente, sempre, parzialità parole, che non possono dargli presenza, bensì possono soltanto alludere a Lui. Io aiutato dalla mia personale esperienza di vita da sempre ho cercato di confrontarmi con le domande cruciali sull’esistenza umana di cui sopra, di cui qui ho trattato prendendo spunto dal mio libro di recente pubblicazione Tutto quello che è necessario sapere su Dio, Fede e Cultura, Verona 2015. Post scrittum Se Dio, l’Essere, non esiste e dunque non ho incontrato il vero Dio, nel presente saggio e ancora di più nel libro menzionato, come tutti i supposti credenti e anche i non credenti (dunque nessuno escluso) me la sono suonata e cantata. Se invece Dio, l’Essere esiste, ma il presente testo non è riuscito a coinvolgere il lettore nell’apertura nella direzione del Fuori la caverna (caverna, dove ora si trova confinato il pensare umano) e il lettore in precedenza non aveva ricevuto una anche se minima Presenza proveniente dal Fuori la caverna, lui penserà che me la sono suonata e cantata.