1. Introduzione
Sin dalla scoperta dei sistemi di neuroni specchio (mirror neuron sistem — mns), negli anni Novanta del secolo scorso, una notevole mole di studi — proliferati non solo in seno alle neuroscienze, ma anche nell’ambito delle scienze cognitive (filosofia, psicologia, linguistica ecc.) — ha rinvigorito le ricerche e il dibattito sulle origini del linguaggio. Alla luce di queste indagini, possiamo chiederci fino a che punto arrivano a spingersi le ipotesi di un possibile processo di sviluppo incarnato del linguaggio verbale? Oppure, in che misura gli elementi sensoriali, percettivi e motori sono stati determinanti a caratterizzare la sinergia uditivo-vocale a partire dalla continuità con le prime forme di comunicazione gestuale? Infine, che ruolo ha giocato il gruppo, ovvero il contesto emotivo, relazionale e sociale in questa complessa evoluzione: in particolare, si può considerare un rapporto tra l’empatia e l’evoluzione delle funzioni linguistiche?
In questo breve saggio si cercherà di provare alcune risposte facendo riferimento alla recente letteratura scientifica sull’attività dei sistemi di neuroni specchio. Si cercherà, inoltre, di rintracciare le basi biologiche, innanzitutto emotive ma anche cognitive, dell’empatia che sarebbe stata decisiva nelle tappe che dall’evoluzione dalle forme più arcaiche di comunicazione gestuale hanno portato allo sviluppo del linguaggio verbale.
2. Sistemi specchio, funzioni senso-motorie, gestualità
Nella specie umana, i sistemi di neuroni specchio più importanti sono localizzati a livello dei lobi frontale (soprattutto dell’area di Broca e della corteccia premotoria) e parietale (inferiore e anteriore) dell’emisfero sinistro: questi assieme all’area 44 di Brodmann sono responsabili dei comportamenti motori e della rappresentazione dei movimenti della bocca e della mano (Buccino et al. 2001; Ferrari et al. 2003). Tra l’altro, le indagini di brain imaging — utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fmri) e la stimolazione magnetica transcranica (tms) — hanno evidenziato che i circuiti specchio sono responsabili oltre che della rappresentazione dei movimenti della bocca e della mano anche degli atti mimati e dei movimenti del piede (Aziz-Zadeh et al. 2004; Buccino et al. 2004a; Binkofski, Buccino 2006).
Diversi esperimenti hanno dimostrato che negli uomini si attivano importanti aree specchio di entrambi gli emisferi (in particolare il giro frontale inferiore dell’emisfero sinistro) nel momento in cui essi osservavano comportamenti motori oro-facciali (ad esempio masticare) di individui della propria specie anziché di altri animali (scimmie, cani ecc.). Risultati simili si sono avuti nel momento in cui il repertorio motorio piuttosto che mangiare riguardava i comportamenti comunicativi orali. Guardare mangiare un’altra persona, osservare un uomo che parla o ascoltare frasi evidentemente evoca un repertorio d’atti maggiore rispetto a quello richiesto, per comportamenti analoghi, dalle altre specie animali (Buccino et al. 2004b). Alcuni ricercatori (utilizzando sempre la fmri) hanno studiato la funzione neurale dell’area di Broca durante l’esecuzione di un compito in cui bisognava associare il riconoscimento di uno schema motorio o accompagnare l’espressione gestuale (manuale) alla produzione di un predicato verbale. In questo caso, è stata osservata l’attivazione dei circuiti specchio del giro frontale inferiore, del giro precentrale, della corteccia parietale inferiore e superiore e del solco intraparietale dell’emisfero sinistro che costituirebbero i correlati morfologici e funzionali dell’articolazione vocale (Hamzei et al. 2003; Skipper et al. 2007; Sato et al. 2008; Borghi, Scorolli 2009).
Le proprietà percettive e la ricchezza delle capacità motorie dei neuroni specchio umani sembrano meglio che nelle scimmie — o negli altri animali, dove ci sarebbero solo fenomeni di ripetizione involontarie, ossia comportamenti di facilitazione della risposta — funzionali ai processi di imitazione e di apprendimento (Oztop et al. 2006). I comportamenti di imitazione veri e propri riguardano infatti la riproduzione volontaria di un’azione finalizzata a un processo di apprendimento (Del Giudice et al. 2009). Ciò sembra confermato da alcuni studi secondo cui i comportamenti osservati vengono prima scomposti in una serie di azioni semplici (riconosciuti perché appartenenti al vocabolario d’atti del soggetto) e poi ricomposti nella nuova modalità motoria da imitare e da apprendere (Iacoboni et al. 2001; Byrne 2003).
I meccanismi di imitazione e di apprendimento sarebbero permessi dalla possibilità di sfruttare i fenomeni di comprensione e di riconoscimento degli schemi motori, dalla valutazione degli effetti delle azioni osservate, ma soprattutto dalla specifica modalità dei circuiti specchio di codificare le informazioni senso-motorie in un formato neurale comune e condiviso. In tali casi entrano in gioco anche processi cognitivi complessi — attraverso l’intervento di diverse regioni corticali — che riguardano funzioni come l’attenzione o la memoria e specifici meccanismi di controllo che possono facilitare o inibire l’attività dei neuroni specchio. I sistemi di neuroni specchio sembrano perciò coinvolti nell’imitazione, nella codifica mnemonica e dunque nell’apprendimento di nuove configurazioni motorie (Buccino et al. 2004c).
Considerando nel complesso gli aspetti produttivi e percettivi, il linguaggio umano presenta una rilevante componente motoria evidente nell’articolazione vocale, nella gestualità non verbale, nella struttura delle lingue segnate e nella scrittura. I comportamenti linguistici chiamano in causa prevalentemente le funzioni corticali dell’emisfero sinistro nelle stesse parti in cui i sistemi di neuroni specchio sembrano più diffusi e in stretta sinergia con le aree motorie (Corballis 2009).
Le recenti ipotesi sulla progressiva e parallela evoluzione sia dei sistemi specchio sia delle funzioni comunicative gestuali e verbali poggiano sulla straordinaria importanza cognitiva e linguistica dell’area ‘motoria’ di Broca responsabile dei movimenti laringei, oro-facciali, brachio-manuali (nonché delle associazioni sintattiche e semantiche) e sede delle più importanti strutture di neuroni specchio (Rizzolatti, Arbib 1998; Iacoboni, Wilson 2006). Probabilmente, l’evoluzione del tratto vocale sopralaringeo della specie Homo sapiens-sapiens ha sfruttato appieno, naturalmente assieme alle altre funzioni cognitive, le possibilità delle strutture corticali specchio e consentito lo sviluppo della facoltà del linguaggio verbale e della corrispettiva funzione linguistica (Corballis 2009).
Sembra perciò che l’evoluzione del linguaggio sia passata attraverso una serie di tappe in cui l’importanza dei sistemi neurali specchio coinvolti nei processi di comprensione-riconoscimento immediato di specifici atti motori, l’imitazione, l’apprendimento (nonché la riproduzione e l’uso intenzionale del comportamento linguistico) appaiono necessari e determinanti. Essi non solo costituirebbero il prerequisito (preconcettuale e prelinguistico) neurale e motorio dell’articolazione gestuale e del linguaggio verbale umano ma, come sembrano dimostrare altre ricerche, avrebbero un ruolo determinante pure nel riconoscimento degli stati emotivi che sono alla base delle esperienze soggettive e sociali (Rizzolatti, Arbib 1998).
3. Gesto manuale, articolazione vocale, configurazioni della lingua dei segni
Secondo alcuni studiosi, la specie Homo ha progressivamente sviluppato diverse modalità comunicative a partire dai comportamenti di imitazione e di apprendimento consentiti dalle caratteristiche funzionali dei neuroni specchio e dal loro controllo cognitivo (Molnar-Szakacs et al. 2006). Tali forme di comunicazione sarebbero state dapprima di tipo gestuale, ovvero brachio-manuale, da cui però gradualmente, nel corso dell’evoluzione filogenetica, si sarebbero originate le articolazioni del linguaggio verbale (Gentilucci, Corballis 2006). In questo caso però, rispetto alle ipotesi che vorrebbero l’origine del linguaggio dai vocalizzi animali, l’attenzione è posta al progressivo passaggio dai gesti manuali ai gesti orali (Corballis 2009; Zlatev 2008).
Apparentemente i richiami animali possono sembrare più ‘vicini’ alle vocalizzazioni umane, tuttavia esistono notevoli differenze di natura sia strutturale sia funzionale. Dal punto di vista morfologico cerebrale infatti i vocalizzi dei primati coinvolgono prevalentemente le aree sottocorticali tra cui il giro del cingolo, il diencefalo e il tronco encefalico. Inoltre, nei primati non sono rintracciabili strutture morfologiche assimilabili (soprattutto sul versante funzionale) a quelle del tratto vocale sopralaringeo che consentono l’articolazione dei suoni linguistici (Lieberman et al. 1972). Come sappiamo, nell’uomo l’articolazione vocale è permessa dal coinvolgimento delle aree corticali, specie quelle dell’emisfero sinistro, in particolare dei lobi frontale e temporale (Jürgens 2002).
D’altro canto, dal punto di vista comunicativo le ‘produzioni’ vocali animali sono legate esclusivamente a scopi emotivi legati alla sopravvivenza: segnalare pericoli (paura), indicare la presenza di propri simili (gioia) o di cibo (sorpresa), nei rituali di accoppiamento ecc. Ovviamente, oltre a esigenze comunicative-emotive di questo tipo, le articolazioni vocali umane implicano anche comportamenti cognitivi e linguistici molto più complessi: ad esempio, l’uso computazionale, referenziale, relazionale (soggettivo e intersoggettivo) dei simboli (fonemi e grafemi) verbali (Hauser et al. 2002).
Circa due milioni di anni fa, la specie di ominidi Homo habilis probabilmente iniziava a comunicare attraverso una rudimentale forma di proto-linguaggio gestuale, la specie Homo erectus era forse in grado di produrre atti motori mimico-gestuali. Mentre, come dimostrerebbero i calchi della calotta cranica ottenuti dai resti fossili, la specie Homo sapiens presentava già strutture cerebrali (specie delle aree dell’emisfero sinistro e verosimilmente i sistemi di neuroni specchio) che avrebbero consentito di sviluppare assieme alle modalità di comunicazione gestuale anche le prime articolazioni vocali (Corballis 2009).
L’evoluzione umana successiva, dall’Homo sapiens-sapiens in poi, sarà caratterizzata dall’uso intenzionale e cognitivo delle capacità di comunicazione gestuale e vocale. Alla base dello sviluppo filogenetico del linguaggio pare ipotizzabile un meccanismo istintivo di atti comunicativi condivisi che avrebbero permesso prima di accostare e poi di associare il significato del gesto a quello della parola (Arbib 2005). Le radici delle parole di lingue storico-naturali anche lontane (polinesiane, cinese, indœuropee ecc.) evocherebbero infatti i rapporti tra l’originario movimento manuale e l’articolazione vocale: ci sarebbe cioè una sorta di relazione tra i gesti e i suoni linguistici che riprodurrebbero rispettivamente movimenti ampi o stretti (Paget 1930; Gentilucci, Corballis 2006).
L’attenzione alla funzione linguistica dei sei articolatori del tratto vocale sopralaringeo che permettono la produzione dei gesti sonori è poi alla base della cosiddetta teoria motoria della percezione del linguaggio (Corballis 2009). Questa ipotesi avrebbe il vantaggio di recuperare all’originario gesto manuale la componente percettiva e con essa la sinergia udito-voce (Lotto et al. 2008; Corballis 2009). Assieme al ruolo della percezione uditiva bisogna considerare anche l’importanza dei processi mnemonici e delle caratteristiche ricorsive della lingua (Aboitiz et al. 2006).
Infine, basta un semplice riferimento alle configurazioni manuali delle lingue dei segni (ls), ossia alla forma primordiale (o meglio, ‘naturale’, per i sordi) di ‘comunicazione gestuale’: è nota la funzione dei lobi frontale e parietale per la comprensione e per la produzione della ls, così come lo è quella dei sistemi di neuroni specchio (Corina, Knapp 2006). Durante l’evoluzione filogenetica, quindi, il linguaggio verbale pare aver sfruttato le possibilità percettivo-motorie consentite dall’area di Broca e dai circuiti di neuroni specchio (soprattutto quella dei cosiddetti sistemi di neuroni specchio-eco) sia per quanto riguarda il riconoscimento degli schemi motori fonetici, sia per quelli propri dell’articolazione vocale (Rizzolatti et al. 2006).
4. Percezione, emozione, empatia
In sostanza, l’attività dei sistemi di neuroni specchio permetterebbe la ‘risonanza’ dell’azione diretta a uno scopo, la stessa che poi sarebbe alla base sia dei meccanismi percettivi-motori (specie linguistici) che abbiamo visto sia della «simulazione incarnata»: l’attività di questi neuroni sarebbe dunque all’origine anche dello spazio intersoggettivo condiviso. Già l’atto del comprendere rifletterebbe l’atto del simulare, con la differenza che la comprensione ‘oggettiva’ delle azioni degli altri costituirebbe un processo di simulazione automatico, mentre nell’immaginazione sarebbe la volontà a suscitare la simulazione. Ancor prima di essere considerata una facoltà simbolica-cognitiva, la rappresentazione — a livello fisiologico cerebrale — consisterebbe in un processo elementare «pre-concettuale» e «pre-linguistico» di «controllo dell’azione» che solo in seguito verrebbe ri-adattato per gli «interscambi con il mondo esterno» (Gallese 2006, pp. 299-305).
Così, i neuroni specchio giocherebbero un ruolo pure nel «sistema della molteplicità condivisa», cioè nelle «relazioni d’identità» costitutive dell’empatia e dell’intersoggettività. Alcune aree somatosensoriali della corteccia costituirebbero il sostrato sensoriale della risonanza empatica, essa infatti pare contraddistinguersi primariamente per il suo carattere di esperienza corporea ossia di «percezione di una relazione di somiglianza con l’altro [che] risiede nella comune esperienza dell’azione» (Ibidem, pp. 308-20).
La radice emotiva dell’empatia emergerebbe sin dal contagio emozionale o persino nelle manifestazioni di sofferenza evidenti in diverse specie animali, mentre i più evoluti sentimenti di compassione apparterrebbero ai primati e all’uomo, ma solo in quest’ultimo le emozioni (e l’empatia) costituiscono il presupposto essenziale dei comportamenti cognitivi e morali. Tra le forme di contagio emozionale animale e i sentimenti di empatia umani esisterebbe dunque un trait d’union: però solo nell’uomo troviamo la consapevolezza della differenza fra la percezione del proprio stato emotivo e quello dell’altro o il riconoscimento dello scarto fra la propria esperienza e quella dell’altro. Alcuni esperimenti sui comportamenti di consolazione o di aiuto mirato, nonché studi sul riconoscimento della propria immagine allo specchio condotti sulle scimmie antropomorfiche dimostrerebbero tuttavia che già questi primati sarebbero in grado di rappresentarsi il punto di vista dell’altro e, verosimilmente, di provare sentimenti di empatia (Preston, de Waal 2002).
Secondo la teoria del modello della matrioska, ipotizzato sulla base del meccanismo di percezione-azione, il fenomeno dell’empatia costituirebbe il risultato di complessi processi di stratificazione primariamente emotivi. Vale a dire, esso avrebbe origine dal contagio emozionale (solo animale) per poi assumere le connotazioni dell’empatia cognitiva nel momento dell’assimilazione e dell’immedesimazione (dapprima emotiva) in una esperienza altra: questa forma di empatia sarebbe caratterizzata soprattutto dal riconoscimento dei sentimenti dell’altro, del suo punto di vista e dei suoi vissuti personali (de Waal 2008, pp. 62-3).
Oltre la sfera emotiva l’empatia implica appunto anche le capacità riflessive e cognitive, le stesse che consentono la comprensione di una esperienza altra e il riconoscimento di un soggetto altro. Ciò comporta la necessità di rappresentarsi concretamente desideri, intenzioni, aspettative personali e interpersonali dell’altro ancor prima di entrarci in relazione. Da qui l’esigenza di fare inferenze, previsioni, di attribuire credenze. Attraverso una vera e propria teoria della mente (Theory of Mind — ToM), l’empatia chiama in causa il riconoscimento (oltreché delle emozioni) degli stati mentali e dell’esperienza dell’altro. A parte la componente emotiva che incarna la base biologica essenziale dell’empatia ciò nonostante, in quanto esperienza soggettiva e dell’altro, essa mantiene quindi un legame molto stretto con la lettura della mente ossia con abilità tipicamente cognitive (Stueber 2010).
L’empatia muove dalla disposizione a immedesimarsi fino a condividere i desideri, i sentimenti, le intenzioni e le credenze di un’altra persona. Si tratta di un’esperienza che tocca i vissuti soggettivi e intersoggettivi investendo in vario modo il corpo, le emozioni, gli stati mentali e la volontà. Questo fenomeno di accostamento e di partecipazione intima ai vissuti dell’altro comincia con l’atto di rendersi conto, vale a dire con la scoperta e il riconoscimento dell’esperienza dell’altro come esperienza altra da sé: in questo senso essa incarna l’alterità, l’atto dell’incontro (soggetto-oggetto-soggetto) e della relazione con l’altro (Stein 1998). Però, in quanto specifica modalità di sentire l’altro, l’empatia nello stesso momento in cui permette di riconoscere la diversità dell’altro, consente di riconoscersi, di individuarsi: essa costituisce perciò una peculiare forma di esperienza in cui i vissuti soggettivi si aprono all’intersoggettività integrando modi di essere diversi in un sentire comune (Boella 2006).
Considerando il sostrato genetico, i correlati morfologici neurali e la continuità evolutiva almeno in parte del mondo animale, le emozioni su cui si fonda l’empatia rappresenterebbero «il punto di partenza» filogenetico dei progressivi processi di sviluppo sociale e culturale. Dalla natura emotiva dell’empatia deriverebbe «la forma originale, prelinguistica, del rapporto interindividuale che solo in un secondo tempo ha subito l’influenza del linguaggio e della cultura» (de Waal 2008, pp. 45-6). Probabilmente per questo motivo, nel corso dell’evoluzione filogenetica, tale disposizione sarebbe stata utilissima anche a rinsaldare i legami relazionali necessari alla sopravvivenza del singolo e soprattutto del gruppo.
Sembra, dunque, che nel corso dell’evoluzione filogenetica i sistemi di neuroni specchio abbiano svolto funzioni percettive, cognitive e motorie davvero determinanti. In particolare, nella specie di ominidi sapiens-sapiens essi avrebbero consentito di sviluppare dapprima le modalità di comunicazione gestuale e da qui, successivamente, anche le prime forme di articolazione vocale.
Oltre alle esigenze comunicative emotive — comuni al resto del mondo animale in cui sono legate esclusivamente a scopi riproduttivi o alla sopravvivenza — le produzioni vocali umane implicano invece comportamenti cognitivi e linguistici molto più complessi. L’evoluzione linguistica umana, infatti, è stata caratterizzata dall’uso cognitivo-intenzionale-relazionale delle capacità offerte principalmente dalle forme di produzione vocale.
A ciò, l’attività dei neuroni specchio avrebbe contribuito anche attraverso il cosiddetto sistema della molteplicità condivisa che costituirebbe la base cerebrale del fenomeno dell’empatia e, quindi, dell’intersoggettività. Permettendo di assimilare la propria esperienza a quella dell’altro, l’empatia nel corso dell’evoluzione degli ominidi pare essersi rivelata utilissima per rinsaldare i legami di solidarietà all’interno del gruppo e, con essi, probabilmente ha favorito anche lo sviluppo del linguaggio verbale assieme naturalmente al resto dei comportamenti emotivi, cognitivi, sociali e morali.
5. Conclusioni
Alla luce delle sue caratteristiche emotive, cognitive e sociali, l’empatia sembra particolarmente legata alla peculiare attività dei sistemi di neuroni specchio. Dalla scoperta di questi circuiti neurali nei macachi e nell’uomo una cospicua serie di studi pare aver individuato nelle funzioni corticali, nei correlati morfologici sensoriali uditivi e nel tratto vocale sopralaringeo — naturalmente assieme al ruolo di ‘collante’ intersoggettivo giocato dall’empatia — gli elementi cardine dell’evoluzione filogenetica del linguaggio verbale.
Da una prospettiva evoluzionistica e naturalistica la scoperta dei sistemi di neuroni specchio (oltre la spiegazione complessiva delle funzioni sensoriali, percettive e motorie corticali) ha contribuito a ridefinire tutta una serie di concetti nevralgici non solo nel campo delle neuroscienze, ma di grande interesse anche per gli ambiti della riflessione filosofica e della ricerca linguistica. Alcuni di questi, come abbiamo cercato di mostrare, riguardano direttamente l’origine del linguaggio: soprattutto ciò che attiene alla natura della percezione, della comprensione, delle rappresentazioni (soggettive e intersoggettive) e, appunto, al fenomeno dell’empatia.
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