Guido Zingari, Il pensiero in fumo. Giordano Bruno e Pier Paolo Pasolini: gli eretici totali, a cura di M. Caponera, Rogas Edizioni, Roma 2016, pp. 148.
In questo saggio di grande attualità – apparso per la prima volta nel 1999 e del quale viene ora riproposta in una veste editoriale nuova una seconda edizione arricchita da una Postfazione di Marco Caponera – Guido Zingari si prefigge di fare «una lettura non ortodossa dell’opera di Giordano Bruno e Pasolini, che metta in questione gli stereotipi, le interpretazioni convenzionali» che «hanno, in qualche modo, distorto» l’immagine del filosofo e del poeta, «facendo perdere di vista le tracce, il valore della loro testimonianza» (p.5). Tale «lettura», il cui «svolgimento tendenzialmente più logico-critico che cronologico» (p.9) legittima l’accostamento di due personalità così distanti storicamente, ma assai vicini nell’«indole eretica» e nell’«eresia totale» che li distinse (p. 18), intende anche proporre un’analisi, «non in senso sociologico ma ontologico», di quella «mentalità eretica» che «si traduce in atteggiamenti di rottura verso la realtà circostante» e «verso le possibilità di convivenza con gli altri» (p. 11). Possono essere ricondotti a due i fili conduttori che guidano questa insolita indagine sull’eresia, tracciata nei quindici brevi ma densi capitoli che compongono il testo, in cui affiora saltuariamente anche il desiderio di contribuire alla costituzione di quella «storia della mentalità eretica», ancora tutta da scrivere (pp. 47-48), che appartiene forse «ad una storia più grande e più profonda del disprezzo e del dileggio della vita umana e della natura» (p. 11).
Nel ripercorrere alcuni momenti significativi delle opere di Bruno e di Pasolini (spesso citate testualmente con una inconsueta partecipazione), ma chiamando in causa anche alcune emblematiche «eresie singolari» appartenenti all’ambito politico, filosofico e poetico (pp. 71-78), Zingari, in primo luogo, mette in rilievo i caratteri che contraddistinguono «l’eresia totale». Tali caratteri, del tutto lontani dal profilo dell’«estetismo eretico», «narcisista» e «trasgressivo» solo a «fini di lucro» (pp. 67-70), vengono ravvisati nell’«intelligenza incauta» e «profetica», nel «grande coraggio», nella «volontà di capire» (p. 14), ma anche nell’attrazione verso il «desiderio di libertà» e «di conoscenza», nello «slancio di fiducia nei confronti degli altri e delle cose», «nella voglia instancabile di felicità, di gioia, di “mitezza”» (p. 17), nell’utilizzo dell’«ironia» e dell’«umorismo sapiente e graffiante» (p. 28), nel «rifiuto del rifiuto materiale, fisico» (p. 31), nella rinuncia «alla passività mentale e al dogmatismo intellettuale in quanto tali» (p. 51), in breve nel «cercare di pensare in proprio» (p. 54) senza il timore di «ristabilire equilibri, nuove armonie tra l’individuo […], la natura e la società» (p. 22). Zingari ritorna spesso su questi caratteri per evidenziare «il risvolto positivo» e il «senso» di quanto Bruno e Pasolini «hanno lasciato in eredità» (p. 21), giacché questi due «eretici totali» non solo «si sono battuti fino alla fine» «per un’affermazione di riscatto e di redenzione per tutti», lottando «per un mondo nuovo, diverso» (p. 113); essi hanno anche cercato di «dar voce a una felicità e a una gioia incontrollabili», facendo emergere «nel pensiero e cantare nella poesia la grandezza sublime della natura, la dignità dell’uomo, calpestata ed espropriata dal potere del Potere» (p. 114).
Oltre a questo messaggio positivo, «che si trasmette dalle ceneri disperse dei loro roghi o dai deserti nei quali furono abbandonati», in contrasto con la «figura tipo dell’eretico» che ci è stata tramandata (p. 115), l’autore si impegna anche a mostrare le strategie di quel Potere che, conducendo la sua «crociata contro gli eretici», gestisce sostanzialmente una «congiura» «contro l’intelligenza, la poesia e l’uso creativo della ragione del possibile» (p. 18). Sono amare e dure le considerazioni con cui Zingari, dipanando questo secondo filo conduttore della sua indagine, fa emergere le responsabilità di quegli «apparati del sistema» (p. 18) che si attrezzano per far tacere ed eliminare «l’inaccettabile scandalo dell’intelligenza, del suo effetto destabilizzante, di denuncia e di chiara provocazione» (p. 55). Nel «rogo fisico, materiale» in cui terminò la vita di Bruno, e nel «rogo dell’indifferenza» in cui si è voluto avvolgere la morte di Pasolini, egli individua l’espressione di un Potere che riduce al silenzio chi rompe gli schemi asserviti ad un ordine consolidato delle cose (pp. 33-41); nell’«arma letale» della «retorica» ravvisa la «tattica verbale» del Potere nel giustificare la condanna dell’eresia (pp. 89-97); nella trasformazione della «novità eretica» in «falsità in quanto tale» scorge l’attività con cui il Potere si ingegna per tramandare un’idea negativa dell’eretico (pp. 99-107). Nonostante il duro linguaggio nei confronti di un «Potere nefasto», «preso di mira a più riprese, impietosamente», e sollecitato a riconoscere «con grande umiltà» che esso «si è profondamente sbagliato» (p. 40), il messaggio di fondo a cui è riconducibile tutta l’analisi del saggio si propone come un appello insistente ad apprezzare e a inseguire la bellezza dell’indipendenza e del coraggio di un’intelligenza critica e libera che non può rinunciare a se stessa quando scorge nuove verità capaci di edificare un mondo più rispettoso dell’umanità che ci appartiene.
Il testo – la cui lettura richiede una conoscenza del pensiero di Giordano Bruno e dell’attività poetica e politica di Pier Paolo Pasolini non limitata alla strumentalizzazione che le diverse ideologie ne hanno fatto – risulta assai impegnativo, pur nella sua agilità e scorrevolezza: obbliga il lettore ad andare oltre le argomentazioni storico-filosofiche rigorose; lo costringe ad interrogarsi sulle ragioni più implicite da cui scaturisce l’elogio dei caratteri in cui si identifica la «mentalità eretica»; lo impegna a soppesare le dure denunce nei confronti delle strategie «nichilistiche» messe in atto dagli apparati del sistema. È forse per questo imprescindibile lavoro richiesto a chi si accosta al saggio che Marco Caponera, nella sua appassionata Postfazione, scrive provocatoriamente che Il pensiero in fumo non è un libro «per i burocrati della filosofia» (p. 136), ma un libro per «pensatori» «liberi», disposti a «ragionare per scoprire la logica sottesa in queste vite, il senso dell’essere eretico» (p. 135).