Tradimento e fedeltà come le categorie della filosofia dell’uomo di Józef Tischner

Józef Tischner1 è uno di quelli filosofi cha hanno costruito il loro pensiero intorno all’uomo e ai principali problemi della sua vita. L’uomo decritto nella filosofia di Tischner viene definito come l’essere drammatico, nella conseguenza, la sua vita viene chiamata: dramma. La parola «dramma» è la parola chiave della filosofia tischneriana dell’uomo. Filosofo polacco si richiama al significato greco di questo termine e poi riferendolo alla vita umana ci presenta l’uomo drammatico, che come un personaggio nel teatro antico, ha sotto i piedi la terra, cioè la scena del dramma, invece intorno a sé le altre persone (gli altri esseri drammatici), che incontra e con le quale vive.

L’incontro degli uomini drammatici può fruttare con il bene che realizzano insieme o che uno di loro dona all’altro, ma — purtroppo — può portare anche il male. Secondo Tischner, realizzando il bene l’uomo diventa libero, facendo il male cade nella schiavitù del male e nell’illusione della libertà. Nella filosofia di Tischner, la libertà, significa «il modo di esistenza del bene».2 Essere libero significa essere fedele al bene e creare del bene. La concezione della libertà, presentata dall’autore del Diverbio sull’esistenza dell’uomo, mostra la possibilità della vita nella prospettiva del bene che porta l’uomo nel mondo dei valori fissi e invariabili che gli indicano la direzione nella quale dovrebbe dirigersi per realizzare pienamente la propria libertà.

L’uomo drammatico vive nel tempo, che si distende dal momento della nascita dell’uomo fino al momento della sua morte. Questo tempo non è contro di lui, ma per lui: gli offre, infatti, lo spazio nel quale può perfezionare se stesso tale e quale a come è stato creato da Dio a Sua somiglianza. Dio è il Bene e crea il bene; se l’uomo vuole essere fedele alla propria natura deve dirigersi verso il bene e fare così che attraverso la propria esistenza e i propri atti entri nel mondo il bene. Se l’uomo abbandonerà il bene e realizzerà il male, perderà se stesso e si sottoporrà alla forza e dominazione del male.

Fra le più importanti categorie della filosofia dell’uomo di Józef Tischner, si trovano la fedeltà e il tradimento. La fedeltà appartiene al mondo indirizzato al bene e alla libertà inseparabilmente legata ad esso; il tradimento, al contrario, appartiene al mondo del male che toglie all’uomo la libertà e lo allontana dalla propria natura. Queste due categorie portano in due direzioni diverse: seguendo la strada del tradimento l’uomo perde se stesso, scegliendo la strada della fedeltà si salva.

Nel presente testo avvicineremo il significato delle parole: tradimento e fedeltà nella filosofia di Tischner. Nella prima parte delle analisi, parlando del tradimento, si atterremo ai testi di Friedrich Nietzsche e Niccolò Machiavelli. Nonostante le loro idee filosofiche rimangano lontane dalle idee di Tischner, possono essere utili per svolgere la questione del tradimento, ritenuto come un lato negativo dell’attività umana. Nella seconda parte delle considerazioni, parlando della fedeltà, si rivolgeremo alle opere di Gabriel Marcel. Si può affermare che la sua filosofia sia stata non soltanto l’ispirazione per alcune analisi condotte da Tischner,3 ma anche che le loro filosofie si integrino e si arricchiscano a vicenda.

1. Il tradimento

L’uomo, che attraverso i suoi atti realizza il male crea intorno a sé lo spazio, dove sul bene prevale il male, che nelle relazioni interpersonali si presenta sotto la forma del tradimento. Józef Tischner chiama il tradimento: «colpa di tutte le colpe» e «peccato di tutti i peccati».4 Nel momento del tradimento l’uomo sceglie e realizza il male, respinge invece il bene e, che ne consegue, la libertà. Che cosa è il tradimento che sottopone l’uomo al potere del male? Nella filosofia tischneriana, tradire «significa qualcosa di più che soltanto: non essere fedele, significa: prima promettere la fedeltà e poi tradire».5 Significa «rompere i legami dell’affidamento»6: «promettere la fedeltà» — il bene «e poi tradire» — dare il male. L’uomo tradisce e perciò all’inizio delle analisi dobbiamo porre la domanda sul motivo del tradimento. Quali sono le cause che portano al tradimento? Perché l’uomo tradisce? Il tradimento davvero deve avere un motivo?

L’uomo dalla filosofia di Józef Tischner non è un demonio, il quale come l’unico è «traditore dalla natura»,7 l’uomo è «traditore delle cause di circostanze».8 Il suo sottoporsi al male che giunge attraverso il tradimento deve avere qualche motivo, anche più nascosto e assurdo, ma deve averlo. Forse si tratta di rabbia, il traduttore dice pure: «tradisco, perchè mi sono arrabbiato con te»,9 tradisco e con questo tradimento ripago il torto che ho subito nel passato. «Il tradimento è la rivalsa»10 per le speranze ingannate e tradite dall’altro. Esso è la giustizia della rivalsa che, come la legge del taglione, dichiara: «occhio per occhio, dente per dente», «tradisco, perché sono stato tradito».11 E anche se non ci sono più coloro che hanno tradito, la rivalsa dura e si dirige verso i presenti, si dirige verso loro nonostante siano innocenti del tradimento, che si è realizzato nel passato. I sottomessi al male ricambiano tradimento con tradimento non solo a chi glielo ha procurato, ma anche a coloro che non lo hanno fatto. La giustizia della rivalsa in realtà è un’ingiustizia, che punisce gli innocenti. I traditori sanno che cosa significa la fedeltà, sanno che essa sia possibile, ma nonostante ciò tradiscono. Condotti da forza di rivalsa, sono sordi e chiusi al bene che libera. La logica del loro atteggiamento non considera che lo scopo della vera giustizia è il bene e che non esiste tale forza che costringerebbe l’uomo a rispondere al male con altro male. Non sanno dell’amore che permette il perdono e dona all’altro il bene da lui non meritato.

La rivalsa non è l’unico motivo di tradimento. Una volta l’uomo è stato tradito e oggi non crede più nella fedeltà, il tradimento che aveva ricevuto ha distrutto in lui la capacita di credere nella fedeltà degli altri. Tali «traditi diventano sempre più incapaci alla fedeltà. […] Nell’essere tradito da colui di cui si fidava incondizionatamente si può perdere tutto — soprattutto l’organo spirituale della fedeltà, facoltà dell’affidarsi».12 L’altro è colui che tradisce, l’uomo non è più capace né di dargli la confidenza né di affidargli la sua speranza. Il male sfrutta il ricordo del dolore provocato dal tradimento: l’uomo teme di essere tradito e, difendendosi da un altro tradimento, tradisce per primo. Tale uomo non è guidato dalla voglia di rivalsa, ma dalla paura. Dalla sua situazione nasce la domanda relativa a come ricostruire nell’uomo la fede nell’altro e come aiutarlo ad uscire dal nascondiglio pieno di dolore. Come è possibile liberarlo dall’influenza del male che lo distrugge? Gli basta l’aiuto dell’altro l’uomo, la sua presenza e la sua fedeltà, oppure occorre l’aiuto di Dio che si esprime sotto la forma della grazia che dà all’uomo la forza di potersi affidare un’altra volta? E noto che l’uomo possa tradire anche coloro che gli sono fedeli, che gli donano il bene; sembra che l’uomo non sia in grado di salvare l’altro uomo dallo spazio del tradimento e che abbia bisogno dell’aiuto di Dio, che è l’unico essere capace di alzare l’uomo da ogni caduta e salvarlo da ogni male: occorre solamente che l’uomo si apra alla Sua presenza e alla Sua grazia.

Per i traditori per causa di paura o di rivalsa nessuno, chi viene tradito da loro, non è innocente, loro gli imputano la colpa di compartecipazione in essere simile a colui dal quale hanno subito il tradimento. Questa compartecipazione può consistere nell’essere donna, essere uomo, rappresentante di una certa razza o nazione. L’uomo che tradisce ritiene che la gente sia cattiva, che — come scriveva Machiavelli — «immancabilmente si mostrerà tale, ogniqualvolta che avrà per questo occasione».13 Nell’atteggiamento del traditore si nasconde un presupposto il cui niente è in grado di cambiare. Anche il fatto che gli accusati da lui fanno il bene non cambia la sua opinione: rimangono cattivi ed egli ritiene che, soltanto per qualche causa ancora non conosciuta, nascondano la loro predisposizione al male.14

Prima che l’uomo ceda alla tentazione del male e diventi traditore, deve adempiere in se stesso un certo tipo di cambiamento radicale: deve tradire se stesso, come essere creato dal Bene e per il bene, quindi, deve tradire se stesso come uomo.

Chi diventa l’uomo quando tradisce se stesso? Non può diventare un demonio. Può però diventare l’imitatore del demonio. La regola della sua vita, come nel mondo di Übermensch (superuomo) di F. Nietzsche, e come nello stato naturale descritto da T. Hobbes, può diventare egoismo, desiderio di potere e «insaziabile desiderio della potenza sempre più forte».15 Tale l’uomo può cambiare la sua vita in volontà di dominazione e di sottoporsi tutti quelli che ha definito come suoi nemici. Lui non li percepisce come suoi pari, ma come «una creatura sporca»,16 che «dovrebbe essere superata»,17 per rendere il mondo pulito dal male che — come ritiene — sia impresso in loro. Per raggiungere il suo scopo, l’uomo che imita il demonio è pronto per fare ogni male.

Per colui che ha tradito in se stesso uomo, gli uomini non sono e non possono essere uguali. Egli divide i migliori dai peggiori e a questi ultimi toglie il diritto di chiamarsi: uomo. Oppure lascia loro questo diritto, ma ritiene se stesso e i suoi simili superiori dall’uomo e crede che soltanto a loro si debbano la libertà, i diritti e il bene. Per i peggiori non lascia alcun bene, nemmeno il diritto alla giustizia, alla compassione e alla pietà.18

Accanto del tradimento che nasce dalla rivalsa oppure dalla paura, nelle opere di Tischner è compreso anche il tradimento «nel manicheo orizzonte di mancanza della speranza».19 In esso dominano altre regole: il tradimento non richiede la giustificazione, l’uomo tradisce «senza il motivo della rivalsa, per la «verità» stessa che è impressa in tradimento. Com’è questa «verità»? Si può esprimerla nel modo seguente: qualcuno crea il mondo e lo tradisce in continuazione, permettendo al suo annientamento».20 L’uomo tradisce perché, come ritiene, tutto ciò che esiste sia un tradimento e venga tradito. Vive nella falsità e nell’illusione, interpreta il passare delle «forme di questo mondo» come un tradimento attuato dal Creatore. Pensiamo ci, se questo tradimento non abbia veramente dei motivi. Non si tratta anche qui di qualche paura o rivalsa? La rivalsa per fragilità del bene e la paura di perdere ciò che è importante che si manifestino con il prevedimento di un colpo aspettato? Forse questa è una grande sconfitta dell’uomo davanti all’immensità del male, che non ammette alla speranza di rialzarsi e di continuare il cammino della vita? La concezione della filosofia dell’uomo di Józef Tischner permette di dirigersi verso queste possibilità. L’uomo è un essere che può non riconoscere correttamente il mondo, le sue forme e la forza del bene che a volte si manifesta attraverso la sua debolezza e fragilità.

Tradendo, l’uomo tradisce sempre qualcuno o qualcosa. Chi o che cosa viene tradito dall’uomo? Leggendo le opere dell’autore della Filosofia del dramma, la risposta appare da sola: l’uomo può tradire un altro uomo, può tradire se stesso e può tradire il bene. Tradendo l’altro, nello stesso atto, tradisce sé stesso, tradisce anche il bene come un valore, al quale si deve la fedeltà assoluta. Il tradimento di se stesso e del bene annunciano il futuro tradimento dell’altro.

Nelle opere di Józef Tischner incontriamo due divisioni del tradimento: nel Convincere Signore Dio leggiamo di tradimento passivo e attivo, nell’Etica della solidarietà di tradimento palese e non palese. Purtroppo, in nessuno dei testi, Tischner non chiarisce quali relazioni accadono fra i tipi dei tradimenti sopra citati. Su tradimento passivo scrive che significa: «l’andare via, l’abbandono dell’uomo in bisogno»,21 il rifiuto della presenza, il lasciare l’altro con la sua solitudine. Qualcuno ha affidato all’uomo le proprie speranze, in esse ha racchiuso in qualche modo se stesso, l’uomo gli stava vicino, ma quando è arrivato il momento della prova, si è girato e lo ha abbandonato. Sul pensiero viene l’atteggiamento della gente, che descriveva N. Machiavelli, della gente che è «affezionata […] quando il bisogno è lontano […] però volta le spalle, quando ti trovi nel bisogno.22 Di tradimento attivo parliamo guardando Juda che tradisce e «condanna a morte il Giusto».23 Questo tradimento non significa l’abbandono, ma la presenza che serve al male: l’uomo è presente con chi gli si è affidato e proprio attraverso questo suo «sono» arriva il male.

Prendiamo adesso in considerazione le seguenti distinzioni: tradimento palese e non palese. Józef Tischner scrive: «la forma palese del tradimento è la denuncia»,24 il suo esempio è il tradimento di soprannominato Juda. «La forma non palese del tradimento è il rifiuto della collaborazione»,25 il rifiuto dell’aiuto, l’abbandono del bisognoso che si mostrata nel tradimento compiuto da Pietro, che dice: «non conosco questo uomo». Il tradimento di Juda si presenta sia come tradimento attivo sia come palese. Il tradimento di Pietro significa sia tradimento non palese sia tradimento passivo. Sembra che il tradimento passivo sia un altro modo per definire il tradimento non palese, e il tradimento attivo per definire il tradimento non palese.

Come avviene il tradimento? Come l’uomo tradisce l’altro? Pare che esistano due modi per realizzare il tradimento. Nel primo, l’uomo sin dall’inizio viene all’altro soltanto per tradirlo. Nel secondo, per motivi non spiegabili sino alla fine, la sua iniziale fedeltà si trasforma in tradimento. Machiavelli direbbe che questo sia normale, perchè la gente è ignobile e rompe tutti gli impegni, anche quelli di fedeltà, «appena si presenterà l’occasione del proprio profitto».26 Nella filosofia di Tischner non è cosi, l’uomo non è cattivo, se fa del male lo fa perchè non riconosce il bene e cede alla tentazione del male. Che cosa può causare il tradimento nonostante la fedeltà iniziale? Che cosa può provocare nella vita dell’uomo un cambiamento, per effetto del quale egli cade nel male che lo tenta al tradimento? Le cause possono essere varie, sembra però che ciò che le lega è incapacità all’eroismo e la debolezza nel momento della prova.

Guardiamo insieme con l’autore della Filosofia del dramma, come si comporta l’uomo, quando sin dall’inizio viene per tradire. Il traditore per poter guadagnare la fiducia usa tutti i mezzi possibili: tenta, illude, mente, promette e lusinga. Mostra la visione del bene, si mette la maschera di colui che nelle sue azioni si riferisce al bene. Tutto questo per guadagnare la fiducia dell’altro, per attirarlo alla reciprocità. Com’è questa reciprocità? Essa davvero può essere chiamata reciprocità? La reciprocità che viene offerta da chi mira direttamente al tradimento, ha un doppio volto: uno vero, conosciuto solo al traditore e un secondo, decorato con la maschera, che viene presentato all’uomo che gli sta davanti. Il traditore arriva per tradire, dall’inizio sa che il frutto della reciprocità deve essere il male. Chi viene ingannato da lui, non sa che si tratta del male, nutre la speranza per il bene.

La reciprocità nel mondo del tradimento è come i dialoghi dalle Nozze di W. Gombrowicz. Tischner scrisse che le parole in esse espresse «non sono le parole per qualcuno (per l’altro), ma le parole davanti a qualcuno. […] La parola “per qualcuno” è un dono, che unisce le persone libere. La parola “davanti a qualcuno” non è un dono, non propone la libertà e non è in grado di stabilire la fedeltà […]».27 L’uomo esprime parole per qualcuno, quando è aperto e quando vuole costruire insieme a lui qualcosa che porterà nel mondo il bene. Le parole davanti a qualcuno sono espresse da colui che vuole tradire, da colui che non è con l’altro, ma davanti all’altro. L’altro è per lui colui che prima deve essere attirato nell’affidamento della speranza e poi tradito. La reciprocità nel mondo del tradimento, a dire il vero, è soltanto l’apparenza della reciprocità. La vera reciprocità si dirige al creare, non al distruggere, apre al bene e alla possibilità della libertà, non al male e al pericolo della caduta che viene insieme ad esso.

Quando l’uomo che vive l’illusione della libertà priva del bene, guadagna la fiducia dell’altro allora giunge il tempo della verità. Colui che si è affidato ha la speranza al bene, intanto nel mondo entra il male. Tischner dice: «si realizza il male. […]. Il tentatore non prende la mano tesa. Il tentatore tradisce».28 Nel momento del tradimento «si fa sentire la voce della beffa […] il riso che cammina attraverso il mondo dichiarando la sconfitta del bene».29 L’uomo ha affidato, aveva la speranza al bene, ma ha ricevuto il male. Colui che ha tradito non è un demonio, sa che poteva comportarsi nell’altro modo, che fino all’ultimo memento poteva rifiutare il male e scegliere il bene, scegliere la chance per la liberazione e per la libertà. L’uomo non esiste per portare nel mondo il male, come fa un demonio, lui ha sempre la possibilità di scegliere tra il bene e il male. Fino a quando corre il suo tempo terrestre — il tempo drammatico, può tutto cambiare, basta che si apra al Bene e alla Sua grazia.

2. La fedeltà

L’uomo è libero, e «la libertà — come scrive Józef Tischner — deve fruttare con la fedeltà»,30 «la libertà precede la fedeltà, o piuttosto — sia la sua condizione».31 La fedeltà cresce dalla libertà, coloro che sono diventati schiavi del male non sono capaci di coltivarla. Essa non è l’ubbidienza senza le riflessioni, essa è un consapevole modo di essere, che pretende una continua conferma. «La forza del carattere dell’uomo — come sottolinea Gabriel Marcel — si riconosce e si misura dalla fedeltà della quale è capace».32 Tischner non solo è d’accordo con queste parole, ma va ancora più lontano e definisce la fedeltà come la misura della libertà umana. Nella sua filosofia la fedeltà è la conseguenza di una scelta fatta in modo libero ed il libero restare in questa scelta. La fedeltà «è l’amore, che resta nella scelta elementare»,33 la sua natura «consiste […] nel dare la testimonianza, nel confermare»,34 come dicono sia Tischner sia Marcel.

La prima domanda che viene in mente quando si pensa alla fedeltà è: verso chi è diretta la fedeltà? Tischner risponde: la fedeltà è il legame» che unisce l’uomo con l’uomo, è un legame interiore, iniziato da libera scelta».35 Considerando la fedeltà, vale la pena rivolgersi alle opere del già citato Marcel, il cui accanto della fedeltà all’altro scrive della fedeltà a se stesso.36 Fermiamoci un attimo su questa forma della fedeltà, essa ci aiuterà capire la fedeltà, con la quale l’uomo libero si dirige verso l’altro. Nel libro Homo viator Marcel presenta il personaggio dell’artista che, dal momento in cui ha raggiunto il successo, si limita «alla consapevole imitazione di se stesso». Smette di creare e si riduce al ripetere e copiare il passato. L’ambiente è soddisfatto del suo atteggiamento, non ha i problemi né per mettere il pittore nelle determinate correnti artistiche, né per riconoscere le sue opere. Alla domanda se egli sia fedele a se stesso, Marcel risponde non soltanto: «no», ma anche: «con la certezza, no». Fedeltà a se stesso è la capacità, prima, di ascoltare la voce interiore, e poi, di creare se stesso e la sua vita secondo il suo contenuto.37 Essa non significa l’eterno ritorno dello stesso, essa è la creazione e la vita. Colui che sa essere fedele a se stesso sa anche essere fedele all’altro, colui che è capace della fedeltà e anche capace della libertà e, tramite questa, della realizzazione del bene nel mondo interumano.

La fedeltà è un valore che possiede «la struttura dialogica»,38 la quale si esprime tramite il fatto che essa nasce fra due persone che si riconoscono reciprocamente come un valore e come un bene. Fedeltà significa sia il mantenimento della promessa data all’altro, sia l’affidargli se stesso e la propria speranza. Lo spazio della fedeltà è in realtà lo spazio della speranza: l’uomo che è fedele spera che l’altro: prima, alla sua fedeltà risponda con la propria fedeltà, e poi, che gli sia sempre fedele. Nel dialogo della fedeltà, l’altro — confidente della speranza, ha essenzialmente due possibilità: alla scelta può rispondere con la scelta, oppure con il rifiuto. Rispondendo con la scelta, può restare fedele a questa scelta, ma può anche, in futuro, rompere i legami della fedeltà. Il rompere i legami della fedeltà significa «no» espresso nei confronti dell’altro, di se stesso e del Bene. La fedeltà non è soltanto una questione con l’altro, essa è anche l’immagine dell’atteggiamento dell’uomo nei confronti di se stesso come uomo creato dal Bene e nei confronti del Bene stesso, del quale tracce e presenza si trovano in ogni uomo.

La fedeltà è l’atto della libertà che cresce dall’interno dell’uomo, atto il cui non è in grado estorcere alcuna forza esterna. «La fedeltà non si può pretendere»,39 come scrive Marcel, non si può parlarne come di una coazione, non si può imporla, essa nasce come testimonianza della libertà. «La questione della fedeltà si trova più profondamente che la capacità umana di capire i divieti e gli obblighi».40 Si può esprimerla e racchiuderla in norme giuridiche, però da quel momento il mantenere la fedeltà sarà sostituto con il rispetto di divieti e di obblighi, con il comportamento conforme alle norme esterne. Al posto della libertà verrà introdotto il dovere inteso come il rispetto delle regole e delle leggi stabilite e provenienti dall’esterno dell’uomo. La fedeltà indirizzata verso i valori cresce non dalle norme esterne, ma dal dovere interno e dalla voce di coscienza. L’uomo sensibile ai valori li riconosce e si sente obbligato a seguirli e a realizzarli. Niente di esterno lo costringe a schierarsi dalla parte dei valori, in lui stesso prende la parola la coscienza che dice: ecco il valore, ecco il bene, che aspetta per essere effettuato. L’uomo è consapevole, ragionevole e libero nelle sue scelte, è lui quello che decide. La fedeltà si manifesta negli atti. «La vera esistenza dell’uomo è […] il suo atto»,41 scriveva Georg Hegel e aveva ragione perché la fedeltà non si dimostra con le parole e le promesse, persino quelle prestate davanti all’altare, ma con i fatti e gli atti.

«Fedeltà più forte del tradimento cresce dalla speranza, della quale l’orizzonte è più ampio dell’orizzonte di tradimento».42 La fedeltà si dirige sempre verso il bene, anche se l’altro ha tradito, la fedeltà offre la speranza che tutto si possa cambiare — migliorare. Essa è eroica, non vuole smettere di esistere e ogni giorno di nuovo si rivolge all’altro. L’uomo libero crede che l’altro sia capace di realizzare la fedeltà e di operare il bene. Il suo atteggiamento non è guidato dalla logica, che il male ripaga con il male, non cresce dalla memoria del male subito, che aspetta la possibilità di rivalsa, dalla quale nasce la prontezza al tradimento.43 Non è così perché la fedeltà è «soprattutto l’atto della speranza […]. La speranza le concede il senso e la forma finale».44 La fedeltà è la speranza al bene fra la gente, alla libertà tra loro, è la speranza che nonostante tutto l’altro, un giorno, la riconoscerà e la ricambierà.

«La fedeltà è qualcosa di particolare: nasce dalla scelta, dalla confessione e dall’affidamento, dal fidarsi e dall’affidarsi»,45 nasce dalla libertà. Per capire meglio che cosa significa la fedeltà, guardiamo i tre momenti principali legati con la speranza che costituisce il suo contenuto: l’affidare la speranza, l’accogliere la speranza e il mantenere la fedeltà a questa speranza. Affidando la sua speranza, l’uomo la affida ad una, e non all’altra persona. «Le confessioni arrivano all’effetto senza la coercizione. La persona si confida, nonostante che non deve».46 Sia la decisione di affidarsi, sia la scelta di confidente della speranza sono atti della libertà umana. L’affidamento cambia il modo di concepire il mondo, causa che «l’uomo, del quale mi sono fidato è per me più presente che io stesso per me stesso».47 In lui è la mia speranza, da lui dipende la mia futura sorte. «Chi si confida si affida»,48 si affida all’altro. Se il fiduciario si dimostrerà non-fedele la speranza diventerà una speranza delusa e ferita; è possibile che la ferita sarà così grande che colui che si è affidato perderà persino la stessa capacita dell’affidarsi. Nell’affidamento è inscritta la speranza alla fedeltà del fiduciario, alla sua libertà e alla sua capacità di riconoscere e scegliere il bene.

Colui che è stato scelto come fiduciario, può accogliere la speranza che gli è stata affidata o non accoglierla. Però deve sempre rispondere alla domanda elementare, che dirige verso lui la sua libertà: «che cosa devo fare con questo confidare».49 La risposta sarà la manifestazione del suo atteggiamento verso il bene e i valori, sarà anche l’espressione della forma della sua libertà.

La speranza ci svela una successiva dimensione della fedeltà, che si esprime con la parola «responsabilità». La responsabilità come «la manifestazione della fedeltà umana»50 è legata con il bene comune — con il valore tra i due. Il fiduciario è responsabile dell’affidamento, della speranza che gli è stata affidata e dell’uomo stesso che gli si è affidato in questa speranza. È responsabile dell’influenza che i suoi atti (il mantenere o il non-mantenere la fedeltà) possono avere sulla sua vita e sulla sua libertà. La responsabilità del fiduciario si differenzia relativamente al valore dal quale cresce una fedeltà concreta; per esempio: mantenere la fedeltà alla promessa di lavare le finestre ad un amico non è paragonabile alla promessa che si fa al coniuge. Nello spazio della fedeltà, «esiste però una massima esperienza di responsabilità e una massima esperienza di fedeltà. Essa si realizza quando fra le due persone si è creato il reciproco affidamento della speranza più intima e, nello stesso tempo, più eroica. […] In quel momento la responsabilità della speranza diventa responsabilità dell’umanità dell’uomo concreto. E allora la nostra fedeltà deve essere assoluta, totale».51 Che cos’è e che cosa riguarda questa «più intima» e «più eroica» speranza? Questa domanda non è una domanda semplice alla quale si può dare una risposta univoca. Ogni uomo è diverso e per ognuno qualcosa di diverso costituisce il valore del mondo e della vita. Sì può dire soltanto che tale speranza è unita con il bene desiderato dall’uomo, con un bene particolare, perchè da esso è condizionato il valore di tutti gli altri valori che possono apparire nella sua vita. Se l’altro non manterrà la fedeltà a questa più elementare speranza umana, tutte le altre fedeltà e i valori non avranno nessun significato, perchè non esisterà ciò che da loro il valore e il senso. Indipendentemente se si parla della fedeltà alla speranza «più essenziale», oppure ad una di queste non-più-essenziali, il non-mantenerle significa sempre qualcosa di male. Significa il non-mantenere la fedeltà alla speranza dell’altro e anche a se stesso che, nel modo consapevole e libero, un giorno ha fatto la promessa di fedeltà. Significa contraddizione a se stesso e se stesso, perché — come sottolinea Tischner — «la fedeltà è il modo per mantenere la propria identità».52 Essa è il modo per salvarsi, è la testimonianza della libertà, tramite la quale arriva il bene.

La libertà si realizza nel tempo, nel tempo esiste anche la fedeltà che dalla sua natura «si dirige verso il futuro».53 Il tempo ci mostra la nascita e la durata della fedeltà. Il passato della fedeltà dà all’uomo la forza che in nessun presente non sprechi il futuro. La fedeltà di ieri gli dice che è abbastanza forte per non cedere alla tentazione del male. Gli ricorda che da tanto tempo è capace di mantenere la fedeltà, e che il tradimento di oggi cancellerebbe e sprecherebbe tutto questo che ha realizzato prima — la fedeltà primaria. La fedeltà che Marcel chiama «la segreta facoltà di rinnovamento»,54 è una forza sulla quale l’uomo si può basare nei momenti di prova. Qui si mostra il paradosso della fedeltà, il quale ci rivela che, nel momento di prova della fedeltà, bisogna basarsi proprio sulla fedeltà — fedeltà al bene e alla «volontà dell’condizionare, il quale è […] segno dell’Assoluto».55 Fedeltà ci dirige al Bene assoluto, ci ricorda che l’uomo è creato dal Bene e al bene, alla libertà che è il modo di esistenza del bene.

Il futuro della speranza si mostra all’uomo come il bene — il bene fra i due. Un particolare tipo della fedeltà è la fedeltà nel matrimonio. «La fede è simbolo della fedeltà ad un passato e nel contempo un preavviso di un certo modo di raccogliere il futuro che si avvicina».56 «La fedeltà al passato» significa fedeltà al bene inteso come l’amore, che un giorno ha unito due persone, significa anche fedeltà alla promessa matrimoniale data davanti a Dio. La fedeltà al futuro si dirige verso il futuro comune, in cui si realizzerà lo sviluppo e il perfezionamento dell’«insieme» dialogico. Lo sviluppo e il perfezionamento, perchè «la fedeltà, quando è autentica e creativa»,57 come sottolinea Marcel. Essa, infatti, quando diventa l’illusione, significa soltanto mantenere e conservare il passato, nei quali l’uomo resta sordo alla verità interna. Per lui non si tratta più del bene, ma soltanto di ciò che «non ci si direbbe che è stato vinto dalle circostanze».58

La fedeltà considerata nei testi di Józef Tischner non è la limitazione della libertà umana, non rappresenta delle catene che vengono messe, per esempio, dall’unione matrimoniale, piuttosto la fedeltà è la conferma della libertà. La conferma della libertà vera, cioè questa che sceglie e realizza il bene. Pensando alla fedeltà che appare dalle opere dell’autore della Filosofia del dramma, non possiamo dimenticare che egli è un pensatore profondamente cristiano e che nei suoi testi, come «nella biblica concezione dell’amore — fedeltà è una fedeltà sopra ogni altra cosa».59 Nessun evento e nessuna avversità della sorte esonerano l’uomo dalla fedeltà, neppure il fatto che l’altro lo abbia tradito non significa che lui può ripagare con lo stesso gesto. «La fedeltà è fedeltà sopra ogni altra cosa», perché si dirige non soltanto ad un concreto uomo, ma anche al Bene, il segno del quale si trova in lui.

Come volto della libertà, la fedeltà rimane unita al bene. Se non ci fosse il bene, la fedeltà non avrebbe il valore al quale dirigersi e quindi non potrebbe esistere. La fedeltà all’altro significa fedeltà all’altro come il bene per me (da me come il bene riconosciuto) e al bene con lui — al bene-fra-di-noi. Che cosa succede, per esempio con la fedeltà fra i coniugi, quando non esiste più il bene-fra-di-noi? Fedeltà non diventa in quel momento soltanto il restare nella scelta fatta in passato? Nel bene, che è passato e nel passato che è diventato soltanto un ricordo? L’uomo non è in quel momento come l’artista che «consapevolmente copia se stesso»? O forse proprio allora si manifesta creativa e costruttiva forza della fedeltà che è in grado di creare l’uomo assolutamente e inesorabilmente fedele al bene? Dalla questione della fedeltà nascono tante domande, alle quali, sentendo «la voce interna», deve rispondere l’uomo che desidera vivere nella verità e nella libertà.

3. Conclusione

Il tradimento e la fedeltà, considerati nelle opere di Józef Tischner, dirigono l’uomo verso due diverse direzioni. Scegliendo il tradimento, l’uomo rischia la perdita di se stesso e della sua libertà. Scegliendo la fedeltà, e nello stesso tempo il bene del quale essa è la manifestazione, si perfeziona e matura. Ogni atto di fedeltà gli permette di avvicinarsi a Dio che lo ha creato a Sua somiglianza. L’uomo libero sa che Dio, anche se viene tradito dall’uomo, mai lo tradisce. Il libero uomo drammatico diventa il testimone del Bene nel mondo delle relazioni interpersonali, diventa colui che si dirige sempre verso l’altro con il bene. Dio gli dà la forza di rispondere al male — al tradimento, con il bene — con la fedeltà, gli fa vedere l’amore dal quale nasce e cresce il perdono.


  1. Józef Tischner (1931 - 2000), uno dei più illustri filosofi contemporanei polacchi, fenomenologo della scuola filosofica di Cracovia, allievo di Roman Ingarden. Ha cominciato gli studi di filosofia dall’incontro col tomismo con il quale poi (negli anni successivi) polemizzava e con il pensiero di Edmund Husserl (scrissi la tesi di dottorato intitolata L’Io trascendentale nella filosofia di E. Husserl). Tischner è un rappresentante della filosofia del dialogo e della filosofia dell’uomo chiamata filosofia del dramma. Fra le questioni principali delle sue analisi si trovano: la libertà, il bene, il male e la speranza. In Italia Tischner pubblicò: Etica della solidarietà, trad. Adam Setola, CSEO Biblioteca, Bologna 1981, pp. 152; Il libro del pellegrino. Sulle vie dolorose della storia, trad. A. Setola, CSEO Biblioteca, Bologna 1982, pp. 143; Il pensiero e i valori, trad. A. Setola, CSEO Biblioteca, Bologna 1980, pp. 399; La svolta storica. Cristiani e marxisti in Polonia, CSEO Biblioteca, Bologna 1981, pp. 192; Etica del lavoro, CSEO Biblioteca, Bologna 1982, pp. 127; I metodi del pensare umano, trad. A. Setola, CSEO Biblioteca, Bologna 1982, pp. 189. Alcuni articoli di Tischner furono pubblicati in «Nuovo Areopago». ↩︎

  2. Queste parole ripete Józef Tischner in molte delle sue opere. Cfr. Il Mulino polacco, Cracovia 1991, p. 211; Confessione del rivoluzionario. Leggendo «Fenomenologia dello spirito» di Hegel, Cracovia 1993, p. 35, 45; in Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, Cracovia 1999, uno dei capitoli è intitolato: La libertà come il modo d’esistenza del bene, pp. 291-318. ↩︎

  3. Tischner incontrò Marcel nell’anno 1968, durante Congresso Filosofico a Vienna, dove Marcel fece - molto apprezzato da Tischner - discorso intitolato: Il testamento filosofico; nell’anno 1974 Tischner dedicò alla filosofia di Marcel uno degli articoli, che poi fu inserito nel suo libro: Pensare secondo i valori, la prima edizione: Cracovia 1981. ↩︎

  4. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, s. 14. Cfr. J. Tischner, Filosofia del dramma, Cracovia 1999, p. 247. ↩︎

  5. J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 258. ↩︎

  6. J. Tischner, Etica della solidarietà, Cracovia 2005, p. 108. ↩︎

  7. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, p. 16. Cfr. op. cit., p. 13. ↩︎

  8. Ibidem, p. 16. ↩︎

  9. Ibidem, p. 13. ↩︎

  10. Ibidem. ↩︎

  11. Ibidem, p. 14. ↩︎

  12. J. Tischner, L’Amore ci capisce, Cracovia 2000, p. 144. Cfr. J. Tischner, Il Mondo della speranza umana, Cracovia 2000, p. 85. ↩︎

  13. N. Machiavelli, Principe, trad. C. Nanke, K. ¯aboklicki, Varsavia 1987, p. 119. ↩︎

  14. Cfr. Ibidem. ↩︎

  15. T. Hobbes, Leviathan, ossia la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile, trad. Cz. Znamierowski, Varsavia 1954, p. 85. ↩︎

  16. F. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, trad. W. Berent, Poznañ 1995, p. 10. Cfr. F. Nietzsche, Anticristo, trad. L. Staff, Varsavia MCMVIII, p. 18. ↩︎

  17. F. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, p. 31. Cfr. Ibidem, p. 41 ↩︎

  18. Cfr. F. Nietzsche, Anticristo, p. 6. ↩︎

  19. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, p. 15. ↩︎

  20. Ibidem, p. 15. ↩︎

  21. Convincere Signore Dio. Con don Józef Tischner parlano Dorota Zañko i Jaros³aw Gowin, Cracovia 2000, p. 78. ↩︎

  22. N. Machiavelli, Principe, p. 84. ↩︎

  23. Convincere Signore Dio. Con don Józef Tischner parlano Dorota Zañko i Jaros³aw Gowin, p. 178. ↩︎

  24. J. Tischner, Etica della solidarietà, p. 109. ↩︎

  25. Ibidem, p. 110. ↩︎

  26. N. Machiavelli, Principe, p. 84. ↩︎

  27. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, p. 59. ↩︎

  28. J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 225. ↩︎

  29. Ibidem, p. 262. ↩︎

  30. Convincere Signore Dio. Con don Józef Tischner parlano…, p. 49. ↩︎

  31. L’Incontro. Con don Józef Tischner parla Anna Karoñ-Ostrowska, Cracovia 2003, p. 133. ↩︎

  32. G. Marcel, Homo viator, trad. P. Lubicz, Varsavia 1984, p. 138. ↩︎

  33. L’Incontro. Con don Józef Tischner parla Anna Karoñ-Ostrowska, p. 143. ↩︎

  34. G. Marcel, Homo viator, p. 138. ↩︎

  35. J. Tischner, Il Mulino polacco, Cracovia 1991, p. 302. Cfr. Ibidem, p. 34. ↩︎

  36. Cfr. G. Marcel, Homo viator, p. 133. ↩︎

  37. Marcel esprime questa fedeltà con le parole: «essere fedele a se stesso - ciò è rispondere ad una certa chiamata interna, che mi imporre che io non accumuli l’attenzione su ciò che ho realizzato, ma contrariamente, che mi stacchi da tutto questo, ciò è che io non smetta di vivere e nella conseguenza di rinnovarsi», G. Marcel, Homo viator, p. 134. ↩︎

  38. J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 258. ↩︎

  39. Ibidem. Cfr. Ibidem, p. 133. ↩︎

  40. J. Tischner, Il Mondo della speranza umana, p. 87. ↩︎

  41. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. A. Landman, Varsavia 1963, v. I, p. 364. ↩︎

  42. J. Tischner, Il Mondo della speranza umana, p. 88. ↩︎

  43. Cfr. J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 247. ↩︎

  44. J. Tischner, Il Mondo della speranza umana , p. 88. ↩︎

  45. J. Tischner, Nel paese dell’ immaginazione malata, Cracovia 1998, p. 234. ↩︎

  46. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, p. 171-172. Cfr. Ibidem, p. 172. ↩︎

  47. G. Marcel, Homo viator, p. 136. ↩︎

  48. Cfr. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, s. 172; J. Tischner, Nel paese dell’immaginazione malata, p. 234, 303; J. Tischner, J. ¯akowski, Tischner legge il Catechismo, Cracovia 2000, p. 82. ↩︎

  49. J. Tischner, Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo, p. 175. ↩︎

  50. J. Tischner, Il Mondo della speranza umana, p. 95. ↩︎

  51. Ibidem, p. 96. ↩︎

  52. Convincere Signore Dio. Con don Józef Tischner parlano…, p. 17. ↩︎

  53. J. Tischner, Il Mondo della speranza umana, p. 76. ↩︎

  54. G. Marcel, Homo viator, p. 138. ↩︎

  55. Ibidem. ↩︎

  56. J. Tischner, Il pensare secondo i valori, Cracovia 2000, p. 131. ↩︎

  57. G. Marcel, Homo viator, p. 138. Cfr. Ibidem, p. 92. ↩︎

  58. Ibidem, p. 137. ↩︎

  59. J. Tischner, L’Amore non amato, Cracovia 1993, p. 53. ↩︎