1. Introduzione
La problematica della speranza appare nell’opera di J. Tischner1 già negli articoli degli anni ’60 e ’70 pubblicati soprattutto in Znak e Tygodnik Powszechny.2 In seguito si sviluppa e matura con i pensieri contenuti in Etica dei valori e della speranza (1982) fino alle opere pubblicate molti anni più tardi come: Filosofia del dramma (1998) e Il Diverbio sull’esistenza dell’uomo (1998). È una questione profondamente riflettuta ed elaborata. Possiamo parlare di una filosofia tischneriana della speranza, una filosofia formatasi sia sotto l’influenza del pensiero filosofico contemporaneo che della vita in Polonia degli anni ’70 e ’80.
In questo articolo che è solo un breve profilo della filosofia tischneriana della speranza, cercherò di presentare da vicino le sue dimensioni principali, di presentare la speranza come un valore che si manifesta nell’orizzonte del dramma.3 Un valore provato dall’uomo — l’essere drammatico che vive «il tempo dato gli avendo intorno a sé gli altri uomini e la terra come una scena sotto i piedi».4 Il tempo, l’altro e la scena: ecco tre dimensioni principali del discorso sulla speranza.
2. Il tempo della speranza
L’uomo tischneriano, un pellegrino su questa terra, vive in un tempo che può portargli o un abbattimento o una speranza-possibilità di vittoria. Può sfruttare il proprio tempo o perderlo-sprecarlo, può capire la sua chiamata e venire sempre in tempo, oppure essere uno di quelli che sono sempre in ritardo, che non arrivano mai in tempo. Il viaggiatore nel suo viaggio attraverso il tempo sperimenta diversi valori, uno di essi è la speranza: «portatrice di un’esperienza tutta particolare del tempo».5 Il pellegrino vive nel tempo e nel tempo è la sua speranza. Non si può dire che lui esista, ma piuttosto che si forma in continuazione, crea se stesso, cambia e si perfeziona oppure cade. Anche la sua speranza cresce e matura con il tempo che passa. Nel suo sviluppo attuale (verso il futuro) possiamo trovare le tracce del passato. Anche se il futuro è più importante, questo non significa che il passato e il presente non abbiano alcun significato. Guardando nel passato della speranza raggiungiamo i suoi fondamenti, attingiamo da essi una forza per le prove di oggi. Intraprendendo al momento una realizzazione delle azioni presenti ci dirigiamo verso i suoi frutti, verso il futuro. Se non avessimo la speranza che un domani le nostre azioni portassero ad un adempimento, non riusciremmo a fare niente, o riusciremmo a fare davvero poco.
Siamo pellegrini, cerchiamo un posto sulla terra, andiamo raminghi per il mondo come Ulisse, che Tischner fa diventare un simbolo della speranza rivolto verso il passato. Ulisse tornò ai posti nei quali era già stato. La sua speranza «era soprattutto memoria»,6 aveva «la forma del cerchio».7 La riempivano i ricordi, non dirigeva verso il futuro, ma tendeva alla ripetizione di ciò che era. Il camminare secondo questa speranza non è niente altro che il diventare un prigioniero del passato e cadere in una malattia della speranza chiamata malinconia, in una dolorosa consapevolezza che il tempo implacabilmente porta al futuro e così allontana dal passato, da una felicità già vissuta.
«Però il destino dei cristiani non è il destino di Ulisse che per tutta la vita tornava là da dove era uscito. È piuttosto il destino di Abramo che andava verso la terra promessa che non aveva mai visto».8 La speranza del pellegrino cristiano dirige verso Dio, che non è un Dio dei ricordi e della memoria, ma un Dio della speranza,9 il quale viene nel futuro e con il quale l’uomo si unisce nel futuro. Il senso della vita umana non deve essere «un senso chiuso», si possono fare delle scelte. Ci sono due possibilità: «la speranza secondo la memoria» e «la memoria secondo la speranza». La scelta della prima soluzione significa seguire Ulisse ed essa costituisce il consenso ad un senso chiuso della vita. La scelta della seconda opzione è la riflessione su ciò che è passato, è la consapevolezza del fatto che insieme alla storia — ai fatti avviene l’uomo stesso.10
La speranza di un tale uomo non è riempita di ricordi e di memoria, ma ciò non vuol dire che essi non abbiano nessun significato (positivo). La loro comprensione è diversa che nel caso di Ulisse: «non si deve creare una speranza dei ricordi. I ricordi sono importanti, ma non si devono mescolare i tempi — i ricordi sono ricordi e la speranza è la speranza. I primi riguardano il passato, la seconda il futuro».11 Dai ricordi — dal passato l’uomo giunge in una situazione di crisi e di prova. Giunge per confermare le sue attese — la sua speranza. Ecco che si trova davanti a (come gli sembra) problemi invincibili. Le difficoltà si accumulano e accrescono, arriva il tempo della revisione della speranza. L’uomo raggiunge il passato e verifica su quale terra è cresciuta la sua speranza, in chi (nelle mani di chi) un giorno ha consegnato il proprio destino futuro. L’attingere nel passato della speranza costituisce una verifica dei suoi fondamenti, senza un ieri della speranza non ci sarebbe né l’oggi della speranza, né il suo domani.
La fase successiva del nostro pellegrinaggio attraverso il paese del tempo della filosofia tischneriana della speranza è il presente. La speranza crea la possibilità di viverlo in modo autentico, indica «il modo di collegamento dell’ uomo con il presente. Grazie ad essa l’uomo può credere che agisce in questo presente in un modo saggio».12 Qui — nel presente possiamo leggere in modo vero o invero il mondo, qui prendiamo delle decisioni e facciamo delle scelte, qui confermiamo se stessi come persone dotate o non dotate di eroismo. Tischner scrive che il presente è un posto in cui dobbiamo fare «una sintesi creativa del passato con il futuro. La speranza — andando verso l’avanti prende qualcosa dal passato. Qualcosa, che […] può avere oppure ha un significato per il futuro».13 Allora dobbiamo leggere il passato, scegliere da quello che è vero e pieno di speranza, dobbiamo realizzarlo con la consapevolezza che da quello che avremo scelto dipenderà dove arriveremo. Nel presente del tempo drammatico si realizza una sintesi fra ciò che era e ciò che sarà. Qui si attualizza ciò che già non c’è più e ciò che ancora non c’è.
Il simbolo del presente della speranza è il Samaritano Misericordioso: l’uomo che non ha deluso la speranza riposta in lui da un bisognoso. Ha aiutato, ha fatto quello che si doveva fare, ha accolto la sfida del momento. Un tipo particolare di speranza giudeo-cristiana sorge dall’esperienza del tempo sperimentata da un pellegrino: il tempo delle benedizioni. Esse permettono di attendere un miglioramento del destino, danno la speranza che il male che affligge l’uomo passerà.
L’ultima tappa del pellegrinaggio attraverso il tempo della filosofia tischneriana della speranza è il futuro (verso il quale è indirizzata la dimensione elementare) della speranza. «La speranza è l’apertura dell’uomo al futuro»,14 «l’esperienza del tempo nella speranza è soprattutto l’esperienza di qualche futuro».15 Il tempo del pellegrino è il futuro, verso di esso si dirige, in esso vede un adempimento delle proprie speranze. Il simbolo della speranza diretta verso il futuro è il già menzionato Abramo della Bibbia, un pellegrino che per cercare la terra promessa aveva abbandonato la casa e si mise in cammino verso un mondo lontano e sconosciuto. I suoi passi nei paesi sconosciuti furono guidati proprio dalla speranza che supera il tempo terreno. Il suo fondamento non si trova «nel tempo dove tutto si spegne, dove la morte dice l’ultima parola»16 ma cresce da Qualcosa trascendentale. Il pellegrino affronta il cammino della vita grazie alla speranza, senza la quale non sarebbe possibile nè un pellegrinaggio, nè lui stesso come un essere che si dirige verso il futuro. La speranza «non soltanto sorregge nel pellegrinaggio, ma rende anche possibile la vita».17 La speranza rende liberi — senza di essa l’uomo sarebbe un prigioniero della situazione, del tempo e del luogo. Con essa può abbandonare ciò che possiede nel nome di ciò che ancora non possiede, ciò che esiste nel nome di ciò che ancora non si è realizzato. Il pellegrino si rivolge verso il futuro e crede di poter superare tutti gli ostacoli. La forza della speranza lo porta verso un qualche futuro, ancora non determinato, ma già sentito come un valore. La speranza è la condizione che rende possibile una qualsiasi attesa: l’ uomo aspetta fino a quando ha una speranza, quando perde la speranza smette di aspettare.18 Tutto quello che è più importante nella vita del pellegrino dipende dalla speranza, grazie ad essa supera le dificoltà, vince la paura ed il dolore, con essa va avanti, con essa vive.
3. L’uomo della speranza
L’uomo drammatico non vive nel mondo da solo. Intorno a lui ci sono altri uomini che lui, contrariamente a quanto si suol credere, non vede, non sente e non incontra. Vede solo la superficie, non l’uomo come uomo. L’uomo come uomo appare soltanto quando si trova davanti a lui in quanto partecipe dello stesso dramma. Questa partecipazione non viene come qualcosa dato da sentire e da vedere, ma come una pretesa, una domanda alla quale si deve rispondere.19 La risposta è importante perché trasforma quelli che si incontrano in soggetti di un dramma della reciprocità. L’apertura all’altro è un’apertura dialogica, grazie ad essa accanto all’uomo si trova un Tu. Non «davanti« ma «accanto», non «tu», ma «Tu». Quelle determinazioni hanno un grande significato, introducono in un mondo delle relazioni con gli uomini, non con le cose. Nel Libro del pellegrino J. Tischner scrive che «la speranza viene dall’uomo insieme ad un altro uomo. Perché per un uomo un altro uomo è sempre una promessa ed un adempimento di una promessa».20 Può promettere la fedeltà, l’amore o la verità e può mantenere la promessa o non mantenerla. In quel momento inizia un dramma nel dramma ed un tradimento della speranza. La speranza in un certo modo rende possibile il rapporto con un altro uomo, senza di essa il pellegrino non verrebbe incontro all’altro. Le sorti della storia interumana della speranza possono essere varie. Noi — seguendo l’autore della Filosofia del dramma — guarderemo più da vicino quelle che sembrano essere le più importanti: il deposito fiduciario della speranza, il tradimento della speranza ed anche la relazione fra la speranza e l’amore, la speranza di un amore perfetto.
«Tratto sostanziale di ogni speranza è il momento dell’affidarsi. Vivendo di speranza noi riponiamo in qualcuno la nostra speranza»,21 lo facciamo depositario di essa. L’affidamento della speranza è legato all’incontro con l’altro. Ai vari incontri si uniscono varie proposte di realizzazione comune dei valori, diverse speranze e diversi affidamenti della speranza, diversi sia per quanto riguarda il contenuto che la loro importanza. Ci sono speranze meno e più fondamentali, «la speranza fondamentale» è quella con la quale il pellegrino si proietta verso i valori più importanti per lui stesso. In essa si rifugia dalla caduta nella disperazione ed in essa esprime la verità di se stesso. Incontrare l’altro in questa speranza non è affatto facile perché essa è spesso una «speranza itinerante»22 fra i vari valori. Però se si riesce a sapere che cosa l’uomo si aspetta nella propria speranza essenziale, in chi la ripone e verso che cosa la indirizza, si potrà dire di aver conosciuto l’uomo.
L’uomo affida all’altro le proprie speranze, l’altro può essere fedele o tradire. Tradire vuol dire promettere e non mantenere la promessa. Tradire significa deludere, deludere l’altro e la sua speranza. La speranza che lui mi ha affidato ed in un certo senso anche lui stesso contenuto in quella speranza. Non posso tradire ogni uomo, ma soltanto quelli davvero incontrati, quelli che mi hanno affidato la propria speranza. «il tradimento è privilegio del depositario della speranza».23 Tischner scrive che «tradire è qualcosa di più che solo non essere fedele. Significa: prima promettere la fedeltà e poi tradire»,24 significa «rompere i nessi della fiducia».25 Il tradimento può manifestarsi nell’assenza al fianco di colui a cui abbiamo promesso la presenza, l’andare via — la fuga in un momento di bisogno. Può essere anche una denuncia cosciente di colui che mi ha affidato se stesso. In primo caso parliamo del «tradimento passivo», nell’altro del «tradimento attivo». Il depositario può tradire apertamente e di nascosto, può tradire nonostante il fatto che prima voleva davvero esserci fedele e anche perché è venuto soltanto per tradire. Il falso depositario rimane con l’uomo che gli si affida, ma la sua presenza è solo fisica. In realtà lui non era mai stato un vero depositario e mai aveva accolto la speranza; è presente perché sta realizzando qualche scopo, sta aspettando fino al momento in cui l’altro gli si affida per poter tradirlo. «L’altro (uomo) può tradirmi, ma ciò non significa che io posso tradire l’altro».26 Sono libero ed il tradimento non determina il mio comportamento, posso sempre iniziare tutto da capo, da un nuovo fiduciario e da una nuova accoglienza del fiduciario. Posso, bisogna solo che io lo voglia.
Con la speranza è legato anche l’amore. Dentro di noi abita la speranza dell’amore perfetto. In Soccorso nell’esame di coscienza leggiamo che «l’amore e la speranza camminano sempre insieme. A volte si porta in avanti l’amore, a volte la speranza».27 L’uomo che non ama spera che un giorno amerà e sarà amato. Quello che ama spera che il suo amore supererà tutte le prove della vita, che porti felicità e sarà eterno. In tanti testi Tischner scrive che l’amore nella sua essenza è un reciproco deposito fiduciario della speranza, reciproco — fra l’uomo e l’uomo e fra l’uomo e Dio. Tempo fa sulla terra è venuto Gesù e ha comandato l’amore non come un sogno vago e confuso, ma l’ha fatto vedere come una cosa possibile da realizzare. Così è nata la più grande delle speranze umane, l’amore vero è a portata del cuore umano. Se l’uomo vorrà, l’amore sicuramente viene, se amerà sarà amato.28
L’amore scopre all’uomo un altro, cioè un mondo nuovo e un altro, cioè un uomo nuovo. Grazie ad esso il pellegrino si accorge che il suo sostegno non è né una legge della storia, né una classe sociale, ma il cuore dell’uomo, nel quale può riporre una parte del suo cuore colmo d’amore.29 L’autore di Filosofia del dramma ci convince che l’essenza dell’uomo sia l’amore e che tutto il resto giri intorno all’amore. L’amore è un modo elementare di partecipazione nel bene.30 L’uomo è buono, perché è dotato di amore, finché amerà e avrà la speranza dell’amore, il male non potrà vincerlo. L’amore insegna disinteresse e pazienza. Chi ama deve saper aspettare, compiere qualche sacrificio, rinascere e morire, capire il principio che chi vuole mantenere la vita la perde, e chi la perde la mantiene. Nell’amore il pellegrino dà un dono all’altro, regala se stesso per ricuperare se stesso con il suo amore. Rivolgendosi con la fiducia verso l’altro e nella speranza che l’altro ricambi questo amore, gli si dona povero e si restituisce ricco. Ricco d’amore, un amore continuamente in crescita, e ricco di fiducia. La speranza diventa una forza penetrante che mantiene e sviluppa l’amore. L’uomo aspetta e spera che indipendentemente da tutto l’altro un giorno ricambi l’amore, che le situazioni di prova non solo non indeboliranno il suo amore, ma che grazie ad esse l’amore diventi ancora più forte e più profondo.
Nella vita del pellegrino sono importanti l’amore e la speranza da esso inseparabile, il pellegrino amando, ama sempre con la speranza. In Amore non amato leggiamo che: «nella vita l’uomo ha tre amori elementari: l’amore di se stesso, l’amore del prossimo e l’amore di Dio».31 Tutti sono ugualmente importanti, senza l’amore di se stesso non si può parlare dell’amore dell’altro uomo e senza l’amore dell’altro dell’amore di Dio. Non può esserci che qualcuno ami Dio e non ami se stesso e l’altro uomo. L’amore del pellegrino è un amore vero soltanto quando ama ugualmente se stesso, l’altro e Dio.
4. La scena della speranza
Sotto i piedi dell’uomo descritto dal Tischner si estende il mondo — la scena del dramma, un piano degli incontri e delle separazioni, il posto dove il pellegrino cerca la propria casa. Cerca perché spera che un giorno la trovi. Se perdesse la speranza smetterebbe di cercare. La scena non è un posto degli egoisti solitari, essa è anche per gli altri, è un luogo d’incontro. L’esperienza della terra come scena ottiene una dimensione piena quando è mediata dal dialogo con l’altro. L’essere sulla terra — come avverte l’autore di Filosofia del dramma — porta con sé anche qualche minaccia. Il pellegrino può sopravvalutare la terra, riconoscere che tutto che ha e che può avere sia proprio qui, che la terra è tutta la sua felicità. Questo atteggiamento conduce al terrismo, al collegamento di tutte le speranze con la vita terrena e al riconoscimento della scena come cosa ultima. L’uomo non è capace di leggere il significato della terra, non riesce a guardarla come un segno, un cartello stradale e una strada verso l’altro (Dio e l’uomo), la tratta come uno scopo ultimo.
Per capire meglio l’uomo guarderemo adesso i posti che constituiscono l’ordine della scena: la casa, l’officina e il nascondiglio, e le speranze che a qusti elementi sono collegate. Proprio in essi si realizzano gli eventi più importanti delle tape successive della vita umana. La casa e l’officina sono i posti dello sviluppo dell’uomo, il nascondiglio è un posto della tradegia, della morte possibile.
Il pellegrino cammina attraverso il mondo con la speranza della casa. Non è importante che oggi ci sia una mancanza di casa e che da nessuna parte del mondo ci sia un posto in cui si rtorni. Non è importante che oggi ci sia solitudine e che da nessuna parte ci aspetta qualcuno. È importante la speranza stessa che un domani sarà diversamente, che tutto cambierà. L’uomo costruisce la casa, «il posto dove si trova […] la casa, diventa per l’uomo un principio dell’ordine del mondo,32 di qua si esce nel mondo, e qui dal mondo si ritorna». Qui il pellegrino è «se stesso da se stesso», qui fiorisce l’amore e nasce la reciprocità, qui la donna è donna e l’uomo è uomo. Qui si avverano i sogni e realizza la speranza. Tischner scrive che la casa è «lo spazio più vicino all’uomo […]. Avere una casa significa avere intorno a sé un territorio della familiarità iniziale».33 Costruendo la casa l’uomo si ambienta, addomestica la terra, la forma. La casa ed i valori che servono allo sviluppo della casa diventano i più importanti. Ia creazione della casa cambia il mondo nella terra promessa, fa scoprire un nuovo orizzonte dei valori che attendono la loro realizzazione. Nell’uomo nasce la certezza che la donna è donna quando è una madre, e l’uomo è uomo quando è un padre — la certezza che la casa significa la nascita di una nuova vita. La casa non è solo un posto di gioia, ma anche della tragedia possibile. La casa è fragile, la scena la minaccia con un’alluvione, con un terremoto, con un’esplosione di vulcano. L’altro la minaccia con un rifiuto della reciprocità e della fedeltà. Il tempo la minaccia con il suo trascorrere.34 Il trascorrere del tempo — la fugacità delle case terrene desta speranza che da un luogo c’è una Casa che non passa mai, che in qualche posto c’è un Coabitante che mai rifiuta la reciprocità e la fedeltà. L’uomo comincia a capire che la sua vera casa si trova nel cielo, però quel sapere può essere pericoloso, può indurre all’abbandono delle case terrene a beneficio delle case ultraterrene. L’assolutizzazione della casa-non-qui non è l’unico riferimento errato della casa. Esiste anche un altro estremo: l’assolutizzazione della casa-qui, dimenticarsi del cielo e riporre tutta la felicità sulla terra. La riconciliazione di queste case secondo l’autore di Il diverbio sull’esistenza umana, è una missione per tutta la vita dell’uomo.
Sulla scena il pellegrino costruisce la casa, costruisce vuol dire lavora. Ciò non significa che il lavoro si riduce soltanto alla costruzione della casa, ma piuttosto che la costruzione diventa un genere particolare di lavoro. Il desiderio di ambientarsi conferisce una direzione al lavoro, concentra intorno a sé tutti gli altri suoi valori. Il lavoro si realizza sempre in un minore o maggiore allontanamento dalla casa,35 è giudicato in ragione di questo allontanamento e del suo significato per la costruzione ed il consolidamento della casa. Secondo Tischner il lavoro dell’uomo non è un fenomeno marginale. È un adempimento delle parole: soggiogate e dominate la terra, con il vostro lavoro cambiate il mondo in una terra promessa. Il lavoro realizza sempre qualche speranza, di solito queste speranze sono legate alla terra, ma possono anche aprire a ciò che è ultraterreno. Con il lavoro umano, con i suoi frutti: il pane e il vino, Dio viene dall’uomo.36 Dio aprezza il lavoro umano, bisogna che lo aprezzi anche l’uomo stesso, che non unisca la speranza del lavoro solo alla terra e agli attrezzi, che intravveda in essa la possibilità di aprirsi all’altro: all’uomo e Dio. Bisogna che il pellegrino non passi da un’estremità all’altra, che non sottometta il proprio lavoro né alla speranza dei suoi frutti terreni, né di quelli esclusivamente ultraterreni. Si devono connettere queste due speranze, non si può permettere che le une uccidano le altre. La sorte dell’uomo lavoratore deve essere la vita che cresce in base a tutte e due le speranze,37 sia la speranza terrena che quella ultraterrena.
Il lavoro è sempre un lavoro con un altro uomo, il lavoratore spera che l’altro lavori onestamente, che non distrugga né il processo del lavoro né gli attrezzi del lavoro, né i suoi frutti. Aspetta che con lui e grazie a lui non si sprechino né la terra, né gli alberi che ci crescono, che l’altro non tradisca i valori del lavoro. La speranza del lavoro vuol evitare una crisi del lavoro, la quale fa sì che il lavoro prenda una forma di lotta contro la terra, diventi un modo di sfruttamento dell’uomo da parte di un altro uomo, non crei più ma distrugga. Distrugga se stesso e l’uomo lavoratore. Non si tratta più di lavorare per la casa, ma di lottare contro tutti e contro tutto intorno. La verità perde significato, è importante solo il risultato. L’uomo è pronto a ogni tradimento pur di ottenere un frutto di lavoro in più. Succede così, perché il pellegrino può non solo creare un lavoro, ma anche distruggerlo. La speranza costituisce la base di ogni lavoro. Senza la speranza che il lavoro un giorno abbia un senso e porti qualche profitto, l’uomo non farebbe niente. Il pellegrino lavoratore può dire che tutte le sue attività sono penetrate di speranza, che la perdita della speranza è l’inizio della fine dei valori e del senso del lavoro.
L’uomo della filosofia tischneriana del dramma è un uomo impregnato di speranza. Il suo mondo è un mondo aperto, la sua scena è piena di strade nuove. Però capita che con la speranza succeda qualcosa di male, «la speranza rimpicciolisce nell’uomo, e con essa rimpicciolisce anche lo spazio della vita dell’uomo. […] L’ethos della speranza diventa estraneo all’uomo. Invece di avanzare lungo il proprio cammino l’uomo si sente come costretto a cercarsi un nascondiglio da qualche parte nello spazio».38 Abbandona il mondo e si chiude in un nascondiglio, diventa un uomo che soffre di crisi della speranza. La sola entrata in un nascondiglio non è niente di male, qualche volta ognuno entra nel nascondiglio, ognuno tocca la crisi della speranza. «La crisi della speranza è diventata la compagna inseparabile della nostra vita. […] Non c’è nessuno che non sia toccato dalla crisi della speranza. La possibilità della perdita della speranza fa parte della nostra esistenza».39 In un momento difficile ognuno può rifugiarsi in un nascondiglio, la paura è una cosa umana. Di solito quando il motivo della paura passa, l’uomo abbandona il nascondiglio e si mette in cammino.40 Purtroppo ci sono anche coloro che non escono dai nascondigli nonostante che sia passato il motivo della paura. Diventano abitanti eterni — i prigionieri dei nascondigli. Non vogliono o non riescono ad uscire, pensano che tutto il mondo sia come quell’unico uomo che ha contribuito alla crisi della speranza. Il pellegrino tradito prova la crisi della speranza. Però, se la speranza tradita non riguardava le cose più importanti, la crisi passa velocemente. Se invece il tradimento riguardava i valori e le speranze veramente fondamentali, la crisi dura di più. L’uomo si chiude nello spazio del proprio dolore, del malaugurato dolore della speranza che svanisce e in quello spazio ci rimane. «In verità nel nascondiglio la speranza non svanisce del tutto, solo rimpicciolisce, ma rimpicciolisce a un punto tale da diventare pura e semplice speranza di sopravvivenza».41 La speranza dell’uomo del nascondiglio è una speranza malata, non si dirige verso il mondo e la gente, ma scappa da essi. La regola del suo movimento è la fuga. L’uomo ha paura del mondo e di quelli che ci vengono, non è più un libero pellegrino della speranza, ma un abitante di mondi estranei nei quali non fiorisce mai niente di buono.
La speranza penetra tutte le sfere della vita umana. Senza di essa non sarebbe possibile il pellegrinaggio, non sarebbe possibile la vita. Con essa si possono superare tutti gli ostacoli e percorere tutte le strade, anche quelle più buie. Approfondendo la filosofia tischneriana della speranza possiamo dire che la speranza protegge dalla solitudine. L’uomo si dirige sempre verso qualcuno o qualcosa con qualche speranza e anche se quello che sta aspettando non si è ancora realizzato in un certo modo è già presente. La speranza è uno scopo, un valore che dà ordine alla vita e, con la possibilità della sua realizzazione, le dà anche un senso.
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Józef Tischner (1931-2000) — fenomenologo della scuola filosofica di Cracovia, l’allievo di Roman Ingarden, uno dei più illustri filosofi contemporanei polacchi. Ha cominciato gli studi filosofici dall’ incontro col tomismo (nei anni successivi polemizzava contro di esso) e con il pensiero di Edmund Husserl (ha scritto la tesi di dottorato intitolata L’Io transcendentale nella filosofia di E. Husserl). Nelle sue opere troviamo le ispirazioni soprattutto del pensiero di G. W. F. Hegel, M. Heidegger i E. Lèvinas. È un rappresentante della filosofia del dialogo e della originalissima filosofia dell’ uomo chiamata filosofia del dramma. I principali problemi della sua filosofia sono: la libertà, la speranza, il bene, il male, la verità, il bello. In Italia sono stati pubblicati fra l’altro i seguenti libri: Il pensiero e i valori, Bologna 1980, Etica della solidarietà, Bologna 1981, La svolta storica, Bologna 1981, Il libro del pellegrino sulle vie dolorose della storia, Bologna 1982. ↩︎
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Gli articoli degli anni 1966-1975 sono raccolti nel libro Il mondo della speranza umana, Cracovia 1975. Gli articoli degli anni 1970-1980 nel libro Pensare secondo i valori, Cracovia 1982. ↩︎
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La parola «dramma» è una delle parole principali della filosofia tischneriana. Tischner si richiama al. significato grecco di questa parola e la riferisce alla vita umana, che chiama il drama. L’uomo viene chiamato un essere drammatico che come un personaggio nel teatro antico ha sotto i piedi la terra, cioè la scena della drama, invece intorno a sè le altre persone (gli altri esseri drammatici) e vive in un tempo — in tempo drammatico. ↩︎
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J. Tischner, Filosofia del dramma, Cracovia 1999, p. 7. ↩︎
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J. Tischner, Il pensiero e i valori, Bologna 1980, p. 313. ↩︎
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J. Tischner, J. Zakowski, Tischner legge il Catechismo, Cracovia 2000, p. 89. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, L’amore ci capisce, Cracovia 2000, p. 79. ↩︎
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Ibidem, p. 43. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Dio della speranza e della libertà, in «Zeszyty karmelitanskie», 3 (1993), p. 11. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, J. Zakowski, Tischner legge il Catechismo, cit., p. 93. ↩︎
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J. Tischner, Nel paese dell’immaginazione malata, Cracovia 1998, p. 301. ↩︎
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J. Tischner, Pensare secondo i valori, Cracovia 2000, p. 458. ↩︎
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Ibidem, p. 456. ↩︎
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J. Tischner, La Polonia è la patria, Parigi 1985, p. 165. ↩︎
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J. Tischner, Il mondo della speranza umana, Cracovia 2000, p. 277. ↩︎
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M. Malaguti, Al di là del silenzio: la misericordia nel cuore della storia, la relazione presentata alla conferenza «Le Giornate Tischneriane», 31. 05-01. 06. 2001, Cracovia. La traduzione polacca in: W. Zuziak (a cura di), Chiedendo dell’uomo, Cracovia 2001. ↩︎
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J. Tischner, Il libretto del pellegrino, Varsavia 1996, p. 9. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Il dono della speranza, in «Przewodnik katolicki», 43 (1975), p. 1. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Filosofia del dramma, cit., p. 9. ↩︎
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J. Tischner, Il libretto del pellegrino, cit., p. 22. ↩︎
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J. Tischner, Il pensiero e i valori, cit., p. 318. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Etica dei valori e della speranza, in J. Tischner, J. A. Kloczowski, Di fronte ai valori, Poznan 2001, p. 56. ↩︎
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J. Tischner, Il pensiero e i valori, p. 80. ↩︎
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J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 258. ↩︎
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J. Tischner, Etica della solidarietà, Cracovia 2000, p. 108. ↩︎
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J. Tischner, Il pensiero e i valori, p. 83. ↩︎
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J. Tischner, Il soccorso nell’esame di coscienza, Cracovia 2000, p. 18. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Il dono della speranza, in «Przewodnik katolicki", cit., p. 2. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Il pensiero e i valori, p. 85. ↩︎
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J. Tischner, Il diverbio sull’esistenza umana, Cracovia 1999, pp. 214-215. ↩︎
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J. Tischner, L’amore non amato, Cracovia 1993, p. 77. ↩︎
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J. Tischner, Il mulino polacco, Cracovia 1991, p. 108. ↩︎
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J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 228. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Filosofia del dramma, p. 229 anche J. Tischner, Il mulino polacco, p. 110. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Il mulino polacco, p. 103. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Etica della solidarietà, cit., p. 126. ↩︎
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Cfr. J. Tischner, Etica dei valori e della speranza, cit., p. 99. ↩︎
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J. Tischner, Il pensiero e i valori, p. 59. ↩︎
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Ibidem, p. 16. ↩︎
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Cfr. Ibidem, p. 60. ↩︎
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Ibidem. ↩︎