1. Berkeley a confronto con il realismo
Uno tra i bersagli polemici preferiti da Berkeley è ciò che egli chiama “materialismo”, ovvero la tesi secondo la quale gli oggetti materiali esterni1 esistono che vi siano o meno degli esseri senzienti che la percepiscono.2 Nel corso delle sue opere filosofiche, Berkeley non sostiene solamente che gli oggetti materiali non sono gli unici a esistere; piuttosto, egli rifiuta di accordare l’esistenza a qualsiasi realtà mind-independent. Con le parole di Downing: «Una risposta che esprime con esattezza ciò che Berkeley rigetta è che gli oggetti materiali siano cose o sostanze mind-independent. E un oggetto mind-independent è un qualcosa la cui esistenza non dipende da esseri pensanti o percipienti, e che pertanto esisterebbe sia che esistano, sia che non esistano degli oggetti pensanti (delle menti). Berkeley sostiene che tali oggetti mind-independent non esistono».3 Dunque, l’avversario principale del vescovo irlandese è ciò che in questo articolo viene chiamata Tesi Realista Generale:
TRG — La realtà esterna esiste in modo indipendente da qualsivoglia entità pensante o percipiente (la realtà esterna esisterebbe anche se non venisse pensata o percepita da nessuna entità pensante o percipiente).
Berkeley è antirealista nella misura in cui rigetta la TRG. Nei suoi lavori, è possibile rintracciare una critica serrata di molte tra le varianti del realismo disponibili al suo tempo. Le versioni della TRG di cui questo lavoro si occupa sono quelle per cui esiste una distinzione tra realtà assoluta e realtà relativa, quelle che fanno ricorso al concetto modale di “possibilità”, quelle che fanno uso (di una qualche variante) della distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie, e quelle secondo cui la TRG può essere difesa per mezzo degli strumenti forniti dalle scienze. Si invita il lettore a tener presente che gli argomenti esposti da Berkeley (e ripresi nelle pagine a seguire) contro le varianti della TRG sono intesi colpire non solo quest’ultime, ma anche, di riflesso, la TRG in quanto tale.
1.1. Il realismo come tesi priva di supporto empirico
L’accusa più grave che Berkeley rivolge ai filosofi che sostengono la TRG non è tanto che essa comporta l’emersione di incoerenze o contraddizioni, ma soprattutto che essa è priva di supporto empirico.
Nella quarta entry del Trattato sui principi della conoscenza umana, il vescovo irlandese sostiene che la tesi realista, per quanto favorita da molti, filosofi e non, «implica una contraddizione manifesta. Infatti, i suddetti oggetti [case, montagne, e fiumi] non sono altro che le cose che percepiamo con i sensi, e non percepiamo altro che le nostre idee o sensazioni; ora, non è forse manifestamente contraddittorio che una qualunque di queste idee, o una qualsiasi combinazione di esse, possa esistere senza essere percepita?»4 Secondo Berkeley, di una realtà che esistesse senza essere percepita non si può avere idea5, in quanto, in base al principio fondamentale dell’empirismo, tutta la conoscenza deriva dall’esperienza.
Pappas rimprovera al vescovo irlandese di non fornire una dimostrazione logica circa l’inconsistenza del realismo, e di non fornire ragioni utili a provare che le sue tesi sono verità necessarie.6 Si tratta di una critica probabilmente ingenerosa. Infatti, lo scopo di Berkeley non consiste propriamente nel dimostrare una contraddizione nella tesi realista, né nel dimostrare la necessarietà della sua tesi. Alla fine del Secondo dialogo, Philonous afferma: «Laddove non vi siano idee, non si può dimostrare nessuna contraddizione [repugnancy] tra le idee».7 Nell’ottica radicalmente empirista del vescovo irlandese, senza idee (senza sensazioni) non è possibile costruire un edificio conoscitivo solido. Le difficoltà implicate dalla TRG emergono nel momento in cui il suo sostenitore è posto di fronte alla seguente alternativa: o egli trova giustificazioni per la sua tesi in ciò che si percepisce e si esperisce, oppure dovrebbe spiegare quali sono i mezzi non empirici che gli permettono di mantenere la sua posizione. Nel primo caso, il realista dovrebbe mostrare come l’esperienza fornisca evidenze per l’esistenza di qualcosa che è indipendente dalla medesima esperienza in cui appare; nel secondo caso, egli dovrebbe far uso di strumenti non disponibili nell’esperienza umana. In entrambe le situazioni, le difficoltà appaiono essere notevoli.
Una versione della TRG consiste nel tracciare una demarcazione tra realtà assoluta e realtà relativa.8 Secondo tale versione, «è opportuno distinguere tra la realtà in sé e la realtà nelle sue relazioni con i percipienti».
Berkeley dichiara a proposito di tale tesi: «Questo è nonsense, gergo».9 La motivazione che lo spinge a compiere questa affermazione è l’idea secondo la quale una realtà in sé, non percepita, assoluta, non può essere concepita dalle menti umane, in quanto gli uomini non possono conoscere senza fare uso di percezioni ed esperienze, e in quanto la realtà in cui i percipienti vivono è tale proprio perché entra a far parte dell’esperienza dei percipienti. Chi volesse affermare l’esistenza di un mondo assoluto, che si pone al di là di quanto percepito e pensato, avrebbe l’onere di provare l’esistenza di ciò che egli dichiara esistere pur senza averne esperienza. Il sostenitore di posizioni berkeleyane è invece legittimato a riproporre all’avversario la domanda che Philonous rivolge a Hylas nel Secondo dialogo: «E di grazia, dove immagini che possa esistere questa ignota materia?»10 Finché il realista non mostra11 dove è la realtà assoluta, il berkeleyano, un po’ come San Tommaso Apostolo, è autorizzato a non credere.
In sintesi, secondo il vescovo irlandese, la TRG è una tesi cui «credono solo pochi filosofi».12 Egli assume dunque la posizione molto dura secondo la quale nel momento in cui i filosofi teorizzano circa un mondo assoluto, in sé, ipotizzano «l’esistenza di non si sa cosa, per nessuna ragione, e senza alcuno scopo».13
1.2. La possibilità non dà diritto all’esistenza
La TRG può essere articolata in modo da far emergere il legame tra la tesi realista da una parte, e la nozione modale di “possibilità” dall’altra. Pertanto, si potrebbe affermare che «è possibile che la realtà esista indipendentemente da ogni entità pensante o percipiente».14
Hylas articola con le seguenti parole questa variante di realismo: «Ma almeno questo mi sembra abbastanza evidente: è possibile che tali cose [gli oggetti sensibili] esistano realmente. E poiché non vi è nessuna assurdità in questa ipotesi, ho intenzione di assumerla come vera, a meno che tu non produca buone ragioni per convincermi del contrario».15 Berkeley contesta questa versione della TRG in due modi, il primo metodologico, il secondo sostanziale. La risposta metodologica consiste nel far vedere che l’onere della prova spetta al realista. Afferma Philonous: «Come! Siamo giunti a questo: tu credi nell’esistenza degli oggetti materiali, e la tua credenza si fonda sulla semplice possibilità di essere vera; per giunta, mi chiedi di portare buone ragioni contro di essa, anche se chiunque riterrebbe ragionevole che la dimostrazione spettasse a colui che sostiene la tesi affermativa».16 La seconda mossa del vescovo irlandese consiste nel far emergere l’irrilevanza della nozione di possibilità (e quindi della gemella nozione di necessità) nel momento in cui si costruiscono tesi ontologiche. Con le parole di Philonous: «Anche ammettendo che la materia sia possibile, questo non le dà nessun diritto di esistere».17 Dunque, se il realista volesse limitarsi a sostenere, in senso epistemico, che è possibile che la sua tesi sia vera, non avrebbe compiuto passi avanti: infatti, è altrettanto possibile che la sua tesi si riveli infondata. Inoltre, se egli intendesse la sua posizione in termini più metafisici, e intendesse sostenere l’esistenza di realtà possibili, Berkeley potrebbe replicare che è difficile avere percezioni (esperienze) attuali di tali realtà. Nulla, d’altra parte, vieta al realista di porre il discorso su un piano non empirico. Se così fosse, tuttavia, egli si dovrebbe assumere l’onere di spiegare quali sono gli strumenti da lui chiamati in gioco a giustificazione della sua posizione.
1.3. Il master argument, o test di San Tommaso Apostolo
L’argomento sostenuto più convintamente da Berkeley contro il realismo non è un argomento in senso proprio. Il cosiddetto master argument si ritrova nei testi berkeleyani in più versioni.18 Una è la seguente: «Basta solo che ciascuno di quei fautori di empietà19 esamini i propri pensieri, e provi a concepire una roccia, un deserto, un caos, o un miscuglio confuso di atomi — insomma una cosa qualsiasi, sensibile o immaginabile — che esista a prescindere da una mente: non avrà bisogno di altre prove per convincersi della sua follia».20 Berkeley sfida l’avversario a pensare a una cosa sensibile che esista non percepita, e a dare contenuto effettivo alla TRG. Egli ritiene contraddittorio l’argomentare circa un mondo non sentito21; meglio, egli ritiene che questo tipo di argomentare non porti lontano, in quanto rinuncia a trovare fondamento in ciò che è empiricamente dato.
In letteratura è presente un corposo dibattito circa il modo corretto di intendere il master argument. In particolare, la diatriba riguarda il rapporto e la direzione del rapporto tra concepibilità e possibilità. Credo che il modo migliore per trattare il master argument consista nel mettere tra parentesi queste discussioni. Quando Berkeley sostiene che la realtà mind-independent è inconcepibile, sta semplicemente sostenendo che non se ne ha, né se ne può avere, alcuna idea22, essendo le idee sensazioni, avendo tutta la conoscenza origine dalle sensazioni, e non esistendo sensazioni di realtà non sentite. Come più volte detto, il vescovo irlandese sta sfidando l’avversario realista a dare corpo alla sua tesi, lo sta sfidando ad avere un’idea (una sensazione) di qualcosa di non percepito. Dunque, l’obiettivo del filosofo irlandese non sembra tanto quello di mostrare la contraddizione in cui cade il realista, quanto quello di far emergere come sia arduo intuire cosa sia la realtà mind-independent.
Al fine di rendere perspicuo l’argomento di Berkeley, si propone in questa sede di leggere il master argument come test di San Tommaso Apostolo. San Tommaso, dopo la morte di Gesù, sente parlare della risurrezione del Maestro; egli, in un primo tempo, non crede alle voci. Dopo otto giorni, Gesù gli appare e lo invita a toccare il suo costato e a guardare le sue mani; effettuato il test, San Tommaso esclama: «Mio Signore e mio Dio!» La posizione di Berkeley nei confronti della realtà mind-independent è in un certo modo paragonabile a quella di San Tommaso. Una realtà che non si mostra ai sensi è una realtà cui è difficile credere.23 Una tesi che non trova supporto in ciò che si sente è una tesi che comporta incredulità. Prima di credere a una realtà mind-independent, sarebbe d’aiuto toccare e vedere tale realtà, al modo di San Tommaso.24
1.4. L’argomento del sogno
L’argomento del sogno è uno strumento classico sfruttato dagli avversari della TRG. Berkeley riprende questo argomento, lungamente utilizzato nel corso della storia della filosofia, al fine di mostrare che non esiste una connessione necessaria tra la realtà esterna mind-independent e la percezione che gli esseri senzienti avrebbero di essa. Infatti, nulla vieta che l’esperienza che si ha da “svegli” non sia in realtà che un sogno.25 Con le parole di Berkeley: «Tutti riconoscono (e ciò che accade nei sogni, nel delirio dei folli e in casi analoghi lo prova oltre ragionevole dubbio) che potremmo essere affetti da tutte le idee che abbiamo in questo momento, anche se non esistesse nessun corpo esterno simile a esse».26 Dunque, la TRG sembra essere pleonastica, in quanto le idee e l’ordine tra idee non richiedono necessariamente, per essere spiegati, la postulazione di oggetti esterni mind-independent.
Molti realisti lasciano cadere l’argomento del sogno come una stranezza molto improbabile, non degna d’attenzione; tuttavia, è un errore sottovalutare quest’argomento. Berkeley, mediante esso, fa ben vedere quanto sia facile iniziare a dubitare di tutto nel momento in cui si compra la TRG.27 Inoltre, il fatto che l’esperienza potrebbe essere esattamente come è anche senza l’esistenza di una realtà mind-independent rappresenta un’autorizzazione a utilizzare nei confronti di quest’ultima il rasoio di Ockham.28
1.5. L’argomento del piacere, l’argomento del microscopio, e l’argomento della relatività della percezione
Un altro argomento classico proposto da Berkeley per mettere in difficoltà il sostenitore della TRG concerne l’impossibilità di astrarre le idee di piacere e dolore dalle idee delle altre qualità sensibili. Essendo il piacere e il dolore sensazioni interamente soggettive (il dolore non è nella lama del coltello, e il piacere non è nella torta alle carote), ed accompagnando essi tutte le altre qualità sensibili, sembra seguire che tutte le qualità sensibili non siano mind-independent.29
Alla stessa famiglia di argomenti appartiene l’argomento del microscopio. I colori degli oggetti esterni svaniscono se analizzati al microscopio (il sangue che all’occhio nudo appare rosso, al microscopio appare trasparente, se si eccettua la presenza dei globuli rossi), e, in generale, sembrano variare al variare delle condizioni ambientali e dello stato del percipiente.30 Come sottolinea Atherton, scopo di Berkeley non è di «mostrare che i colori sono mind-dependent, ma di mostrare che essi non possono essere mind-independent».31 Il punto, ovviamente, vale anche per le considerazioni berkeleyane su piacere e dolore, ed è coerente con quanto detto in precedenza circa l’impossibilità di trovare supporto empirico per la TRG.
Berkeley, nei Dialoghi, declina l’argomento della relatività della percezione in molti modi. Esempio tipico è quello della mano fredda e della mano calda: «PHILONOUS: Supponi ora che una delle tue mani sia calda e l’altra fredda, e che entrambe vengano immerse insieme nella medesima bacinella d’acqua, che si trovi a una temperatura intermedia: l’acqua non sembrerà forse fredda a una mano, e calda all’altra? HYLAS: Sì. PHILONOUS: Dunque, in base ai tuoi princìpi dovremo concludere che quell’acqua è realmente calda e realmente fredda nello stesso tempo; cioè, per tua stessa ammissione, affermeremo un assurdo».32 Un altro esempio di relatività della percezione è ricavabile prendendo in considerazione le diverse percezioni che diversi animali hanno di quello che si suppone comunemente essere il medesimo ambiente.33
Il vescovo irlandese è consapevole che l’argomento della relatività della percezione non implica la falsità della TRG: «Devo confessare che questo procedimento argomentativo non prova tanto che non ci sia nessuna estensione o nessun colore in un oggetto esterno, quanto piuttosto che non conosciamo, con i sensi, la vera estensione o il colore reale di un oggetto».34 Dunque, i risultati che si possono ricavare dalla famiglia di argomenti che ruota intorno al tema della relatività della percezione sono più di carattere epistemologico che ontologico.
D’altra parte, come ben sottolinea Stroud35, la preoccupazione primaria di Berkeley non è legata all’epistemologia, non concerne la distinzione tra “apparenza” e “realtà”, non riguarda il modo con cui si conosce la vera realtà esterna. Piuttosto, il filosofo irlandese vuol mettere in luce le difficoltà incontrate dai suoi avversari circa la nozione di esistenza da loro sposata e circa la tesi secondo la quale è possibile affermare che la realtà esiste anche quando nessun percipiente ne ha percezione. Il fatto che il sostenitore della TRG fatichi a uscire dalla gabbia delle apparenze sensibili non viene sfruttato da Berkeley per assumere una posizione epistemologicamente scettica, ma, al contrario, viene utilizzato per mostrare lo stretto legame tra realismo e scetticismo. L’obiettivo polemico del vescovo irlandese concerne l’ontologia realista e le sue conseguenze. La filosofia di Berkeley ha preoccupazioni prima di carattere ontologico, e poi di carattere epistemologico.
Se l’argomento della relatività della percezione non dimostra la falsità del realismo, esso è in grado comunque di mettere in difficoltà il difensore della TRG. Come nota Pearce, Berkeley sembra proporre all’avversario un dilemma: «Se il materialista si fida dei suoi sensi, deve concludere che l’acqua è sia fredda, sia calda, il che è una contraddizione. Ma la sfiducia nei sensi è, per Berkeley, l’impronta caratteristica dello scetticismo».36 L’argomento della relatività della percezione serve dunque a Berkeley per mostrare la scarsa fiducia che la TRG comporta per il lavoro dei sensi, e per mostrare le conseguenze cui tale mancanza di fiducia conduce, prima tra tutte lo scetticismo.37
1.6. La critica della distinzione tra qualità reali e qualità sensibili, e del dogma dei due mondi
Per sfuggire al dilemma esposto in chiusura del precedente paragrafo, al realista rimane una strada alternativa e promettente: quella di distinguere tra qualità reali, appartenenti ai corpi sia che siano percepiti o meno, e qualità sensibili mind-dependent. Questa mossa porta verso un realismo indiretto di tipo lockiano, il quale può essere così definito:
Le idee di qualità secondarie sono mind-dependent, ma sono causate da qualità primarie esistenti nei corpi esterni sia nel caso vengano percepite, sia nel caso in cui non lo siano.
Una volta posta la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie, il realista deve cercare un modo per spiegare la genesi causale delle idee di sensazione (il fatto che i percipienti, secondo questa versione della TRG, abbiano accesso alla realtà solo al termine dei processi causali rilevanti, è ciò che rende indiretto il tipo di realismo qui in esame). Scrive Berkeley: «Quanti affermano che la figura, il movimento e le altre qualità primarie o originarie esistono al di fuori della mente, in sostanze prive di pensiero, devono anche ammettere che i colori, i suoni, il caldo, il freddo, e le analoghe qualità secondarie non esistono: essi dicono, infatti, che queste ultime sono sensazioni dotate di un’esistenza puramente mentale, che dipendono e sono occasionate dalle diverse grandezze e strutture, dai differenti movimenti delle piccole particelle di materia».38
Al fine di comprendere come sia possibile sfruttare da un punto di vista realista la distinzione tra qualità reali e qualità sensibili, si prenda l’esempio dei colori. L’argomento della relatività della percezione mostra come sia difficile distinguere tra colori reali e colori apparenti: tutti i colori sembrano pericolosamente inclini ad appartenere alla seconda categoria. Per sfuggire a questa conclusione, la tesi proposta è che l’esistenza dei colori dipende da proprietà fisico-materiali genuinamente reali e mind-independent.
Berkeley, nel corso dei suoi scritti, cerca di mettere in difficoltà questo tipo di impostazione. Un primo punto da sottolineare concerne la stravaganza delle distinzioni tra qualità reali e qualità sensibili.39 Philonous si rivolge in questo modo a Hylas: «Puoi sostenere quello che vuoi riguardo ai colori invisibili dei filosofi. Non mi interessa discutere di questi; ti consiglio soltanto di riflettere se, data la ricerca che conduciamo, sia prudente per te affermare che il rosso e il blu che vediamo non sono colori reali; lo sono invece certi movimenti e figure sconosciuti che nessuno ha mai potuto né potrà mai vedere».40 Berkeley, in questo e in simili passaggi, non sta dicendo che non esistono spiegazioni scientifiche del come i colori vengano prodotti: sta invece sostenendo che declinare l’ontologia delle qualità sensibili a partire dalla postulazione di qualità mind-independent è una mossa che difficilmente porta a risultati soddisfacenti. Il punto del vescovo irlandese emerge con efficacia dalle seguenti domande retoriche, rivolte da Philonous a Hylas: «Ma come è possibile che ciò che è sensibile assomigli a ciò che è insensibile? Può una cosa reale, di per sé stessa invisibile, assomigliare a un colore, o una cosa reale non udibile assomigliare a un suono? In una parola, c’è qualcosa che possa assomigliare a una sensazione o idea, se non un’altra sensazione o idea?».41 Come sempre nella lettura dei testi berkeleyani, è necessario tenere in conto il suo obiettivo complessivo, e non solo la lettera delle sue parole.42 Il vescovo irlandese non vuole semplicemente dire che non esiste alcuna somiglianza tra qualità reali e sensibili. La sua tesi è più forte: egli afferma che non è possibile avere nessuna idea (sensazione) della relazione (sia essa di somiglianza, causale, segnica, o di altro tipo) tra qualità mind-independent e qualità mind-dependent, in quanto delle qualità mind-independent gli uomini potrebbero non avere mai alcuna esperienza.
Berkeley si premura di far emergere come la TRG, declinata nei termini di un realismo indiretto di tipo lockiano, sia compromessa, a dispetto delle apparenze, con tesi molto lontane dal senso comune. Si prenda per esempio la definizione delle sensazioni uditive come “effetti causati dalla vibrazione di un corpo in oscillazione”. Questa spiegazione è compromessa con la distinzione tra «due specie di suoni: uno volgare, che è quello udito, e un altro filosofico e reale».43 Chiede Philonous: «Ma come puoi pensare che l’affermazione secondo la quale i suoni reali non vengono mai uditi, e l’idea di essi si ottiene in virtù di qualche altro senso, sia qualcosa di più che un paradosso filosofico?»44 Si vedrà nel secondo gruppo di paragrafi del presente lavoro come Berkeley non metta in discussione la possibilità di dare spiegazioni scientifiche.45 Piuttosto, egli sostiene tre punti. Primo, è impossibile spiegare la realtà sensibile (il suono udito) tramite una realtà mind-independent (il suono reale). Secondo, non esiste accesso alla realtà dei suoni che non sia il sentire suoni. Non esiste accesso alla realtà dei colori che non sia il vedere colori. In generale, qualsiasi spiegazione delle idee di qualità secondarie che non faccia ricorso all’accesso dei soggetti alla realtà sensibile non possiede gli strumenti per spiegare lo strutturarsi delle esperienze percettive. Terzo, come sottolinea Atherton, l’onere di dimostrare l’esistenza mind-independent delle qualità primarie ricade sulle spalle dei sostenitori delle diverse versioni della TRG: «Il materialista ha l’onere di dimostrare che le qualità sensibili già note come aspetti dell’esperienza sensibile esistono nei corpi anche in modo mind-independent».46
Berkeley affronta la questione della distinzione tra qualità primarie e reali e qualità secondarie e sensibili a partire dal versante ontologico, non da quello epistemologico. La tesi affermativa del vescovo irlandese è che tutte le qualità, primarie e secondarie, esistono in quanto percepite.47 Per le qualità reali si pone dunque la seguente alternativa: «O esse sono percepibili, e quindi sono idee e il loro esse è percipi, o sono impercepibili e pertanto non possono assomigliare alle nostre idee. In nessuno dei due casi si può dire che le qualità primarie, così intese, esistano “in” una sostanza non percipiente».48 Dunque, non si può affermare che Berkeley equipari le qualità primarie alle qualità secondarie, in quanto egli mette in discussione la legittimità stessa della distinzione. Il filosofo irlandese cerca di mostrare che delle qualità mind-independent non si può avere alcuna idea49, e che tutte le qualità possiedono realtà solo nel momento in cui si strutturano come oggetto d’esperienza.50
Da quanto detto si può ricavare la radicale opposizione del filosofo irlandese a ogni forma di realismo. La TRG, in particolare, ma non solo, nella versione dei sostenitori del realismo indiretto, è compromessa con ciò che Turbayne chiama il “dogma dei due mondi”:
Questo può essere descritto come la dottrina secondo la quale il mondo di tutti i giorni è una mera rappresentazione del mondo reale degli oggetti fisici che la scienza indaga.51
Una delle conseguenze derivanti dall’accettazione del dogma dei due mondi è che esso sembra costringere alla scelta tra oggettivismo e soggettivismo.52 Per esempio, nel caso dei colori, l’ontologia contemporanea si divide generalmente tra chi ritiene i colori essere una proprietà fisica (spesso viene citata la riflettanza), e chi ritiene i colori essere una costruzione della mente o del cervello. Il vescovo irlandese cerca di scardinare quella che egli considera una falsa alternativa: «Nella teoria di Berkeley, la neve è realmente bianca, e inoltre possiede realmente le proprietà di riflettanza superficiale»53; questo però posto che si riconosca «che non abbiamo nessun accesso speciale, non basato sull’esperienza, al cuore fisico delle cose».54
Un’altra conseguenza del dogma dei due mondi è l’attenzione inflazionata al tema delle illusioni sensoriali. Anzitutto, il realista appare sempre timoroso che i sensi forniscano informazioni fallaci. Invece Philonous, alla domanda di Hylas se i sensi ingannino, risponde: «Assolutamente no. Né i sensi, né la ragione ti informano che l’idea o la cosa che percepisci immediatamente esiste davvero fuori dalla mente. Grazie ai sensi, sai solo di essere affetto da certe sensazioni di luce, di colori, e così via».55 Secondo il vescovo irlandese, i sensi non forniscono informazioni fallaci o ingannevoli sulla realtà in sé, in quanto della realtà in sé nulla si può dire. Il dogma dei due mondi conduce invece verso lo scetticismo: «L’opposizione a qualunque genere di scienza, la frenesia degli scettici antichi e moderni non poggia forse sulla stessa base? C’è un solo argomento che tu possa portare contro la realtà delle cose corporee o a favore della conclamata, totale ignoranza della loro natura, che non presupponga che la realtà di quelle cose consiste nell’esistenza esterna e assoluta? In base a questa supposizione, acquistano un peso anche le obiezioni del mutamento dei colori sul collo di un piccione, o del remo che nell’acqua appare spezzato. Ma queste obiezioni, ed altre simili, svaniscono ove si neghi l’esistenza assoluta di originali esterni».56
In sintesi, il paradosso che l’analisi berkeleyana del dogma dei due mondi si impegna a far emergere è che il realista si trova costretto a fare i conti con dubbi mentalistici di ogni sorta derivanti dalle discrepanze tra la realtà sensibile da una parte, e la realtà reale dall’altra.
1.7. Likeness principle e comparing argument
Berkeley, nell’indirizzare la discussione su qualità reali e qualità sensibili, si serve del cosiddetto likeness principle, ovvero del principio secondo il quale un’idea può somigliare esclusivamente a un’altra idea. Il likeness principle è alla base di quello che alcuni autori chiamano il comparing argument: posto che un’idea può somigliare esclusivamente ad altre idee, posto che per poter comparare le idee con le qualità reali di cui sarebbero copie-effetti è necessario avere accesso tanto alle idee che alle qualità reali, e posto che si percepiscono esclusivamente idee57, si ricava che è impossibile comparare le idee con le qualità reali mind-independent che sarebbero responsabili della produzione di tali idee.58 Il likeness principle e il comparing argument sono strumenti utilizzati da Berkeley contro quel particolare tipo di realismo indiretto rappresentazionalista secondo cui «le idee di sensazione sono definite dalla somiglianza che hanno con la realtà* mind-independent *che le causa».59
D’altra parte, il bersaglio di Berkeley è il realismo indiretto in quanto tale; pertanto, egli certamente vorrebbe che il suo argomento fosse esteso contro tutte le nozioni di rappresentazione che coinvolgono una relazione con una realtà mind-independent, comunque intesa. Inoltre, va sottolineato che il comparing argument non è un argomento di stampo primariamente epistemologico. Come ben sottolinea Frankel, la tesi del vescovo irlandese è che «se qualcuno non ha basi esperienziali per vedere che x è come y perché non ha esperienza di y, allora egli non può sensatamente affermare che x è come y, e perciò non può sensatamente affermare che x rappresenta y».60 Dunque, secondo Berkeley, il realismo indiretto, comunque inteso, è una tesi difficilmente sostenibile, in quanto richiede di confrontare sensazioni e idee da un lato, e una realtà non data nell’esperienza dall’altro. Il problema non è solo che il realista indiretto non mette a disposizione strumenti soddisfacenti per comparare le rappresentazioni con la realtà e per conoscere la realtà: il problema è che questi propone di vedere le sensazioni come strumenti per percepire mediatamente una realtà insensibile, sconosciuta, trascendente in quanto non sentita. Se si riconoscesse il comparing argument come argomento epistemologico, si andrebbe già oltre ciò che Berkeley sarebbe disposto a concedere, in quanto si acconsentirebbe a porre la domanda circa la relazione tra realtà mind-independent e realtà sensibile, domanda che il vescovo irlandese ritiene mal posta.
In chiusura di paragrafo è utile sgombrare il campo da un facile fraintendimento. Berkeley non nega che sia possibile distinguere tra percezione mediata e percezione immediata. Anzi, la percezione mediata, la relazione di suggerimento, la relazione segnica tra idee svolgono un ruolo rilevante nel suo sistema. Tutto ciò che il filosofo irlandese nega è che si possa individuare e indagare una qualche relazione tra la realtà mind-independent da un lato e le idee-sensazioni dall’altro. Pertanto, l’invito che il vescovo irlandese porge mediante il likeness principle e il comparing argument non è di abbandonare la ricerca di relazioni legiformi; tale ricerca è anzi il metodo più efficace per la costruzione dell’edificio conoscitivo. Solo, si raggiungerebbero risultati migliori se si prendessero in considerazione le diverse realtà sensibili percepite nelle diverse modalità sensoriali, e non le realtà mind-indipendent di cui le diverse versioni della TRG parlano.
2. Nominalismo, antiastrazionismo, e critiche al realismo scientifico
I temi trattati nei paragrafi precedenti non sono esaustivi della posizione di Berkeley nei confronti del realismo. Infatti, egli esamina anche quelle versioni della TRG che si appoggiano principalmente ad argomenti di origine scientifica, e secondo le quali
La realtà mind-indipendent può essere con successo descritta (o, più generalmente, pensata) per mezzo di una qualche teoria scientifica. La realtà esisterebbe così com’è anche se non esistessero entità percipienti in grado di costruire la teoria in questione.
Al fine di introdurre in modo circostanziato il punto, si presenteranno, nei prossimi due paragrafi, il nominalismo di Berkeley e la sua opposizione nei confronti di certi tipi di astrazione.
2.1. Il nominalismo di Berkeley
Uno dei modi in cui è possibile caratterizzare il radicale empirismo di Berkeley consiste nel far entrare in scena il suo altrettanto radicale nominalismo. Anzitutto, il vescovo irlandese segue Locke nell’affermare che «tutto ciò che esiste è particolare».61 Daniel fa ben vedere come tale massima si applichi sia alle menti che alle idee: primo, Berkeley sostiene che la mente percepisce sempre idee specifiche e determinate62; secondo, ogni mente particolare non può non avere le idee che ha, perché se avesse idee diverse, sarebbe una mente diversa, e non quella particolare mente.63 Va inoltre sottolineato, con Pearce, che non esiste alcuna rappresentatività (intenzionalità) intrinseca alle idee: «Le “idee” in questione sono particolari, sono immagini sensibili pienamente determinate che non rappresentano intrinsecamente (cioè, a prescindere dalle regole convenzionali per il loro uso) nient’altro che se stesse».64
Strettamente legato all’atteggiamento nominalista è il sostegno di Berkeley alla tesi di origine lockiana secondo la quale non si devono prendere le parole, le definizioni, le teorie per cose. Per esempio, nel momento in cui si definisce il movimento come “il cambiamento di posizione di un corpo in funzione del tempo”, non ci si dovrebbe sentire legittimati a trarre conclusioni sulla natura reale del movimento sensibile: «Senza dubbio, è ben difficile che una definizione possa rendere più chiare, o farci conoscere meglio, le cose che percepiamo attraverso i sensi. Allettati da questa vana speranza, i filosofi hanno reso difficili le cose facili, avviluppando le loro menti in difficoltà create per la maggior parte da loro stessi — sia riguardo al moto, sia riguardo ad altri argomenti — che hanno tormentato inutilmente l’ingegno umano, senza nessuna utilità».65 Berkeley, ovviamente, non nega l’utilità delle ipotesi scientifico-matematiche; nega, invece, che esse possano cogliere la natura degli oggetti sensibili. La realtà di questi ultimi può essere attestata esclusivamente dai sensi. Dunque, nel sistema del vescovo irlandese, le definizioni filosofico-scientifiche hanno grande utilità posto che siano mantenute all’interno del sistema teorico di riferimento; d’altra parte, nulla, nemmeno il più perfetto sistema teorico, può definire la (o sostituirsi alla) realtà particolare delle sensazioni particolari e delle cose sensibili particolari.
2.2. L’antiastrazionismo di Berkeley
Secondo Berkeley, quello di prendere le parole e le teorie per cose non è l’unico rischio che si può rintracciare nelle imprese filosofico-scientifiche. Si consideri, come esempio, il caso delle teorie sul movimento: «Da quanto abbiamo detto, risulta chiaro che, per comprendere la vera natura del moto, è di grandissimo aiuto: 1) Distinguere le ipotesi matematiche dalle cose in sé stesse; 2) Guardarsi dalle astrazioni; 3) Considerare il moto come qualcosa di sensibile […]. Se ci comporteremo in questo modo, tutti i teoremi più famosi della filosofia meccanica […] rimarranno inalterati, e lo studio del moto sarà liberato da un’infinità di minuzie, sottigliezze, e idee astratte».66 Dunque, al fine di introdurre la trattazione di Berkeley del realismo scientifico, è d’aiuto tracciare una breve panoramica della sua critica delle idee astratte.
Notoriamente, il vescovo irlandese prende le distanze da tre tipi di astrazione. Il primo si basa sull’idea che sia possibile pensare separatamente qualità sensibili (per esempio, il colore e l’estensione) che non possono esistere separatamente, cioè non possono essere percepite separatamente. Berkeley spiega che un colore non può mai essere visto in astrazione rispetto all’oggetto esteso colorato, e che non esiste nulla di esteso che non sia colorato; asserire altrimenti significherebbe cadere in un’astrazione empiricamente ingiustificata.67
Il secondo tipo di astrazione che il filosofo irlandese contesta è quella che va dal particolare all’universale. Per esempio, egli ritiene infruttuoso costruire un’idea generale di uomo che sia astratta dall’esistenza particolare di uomini particolari68: nel suo sistema esistono uomini particolari, in carne e ossa, e non l’umanità o l’uomo in generale.
La principale prova proposta da Berkeley a sostegno della sua analisi dei primi due tipi di astrazione consiste nel fare appello all’esperienza in prima persona69: «Se qualcuno possiede questa meravigliosa facoltà di formare idee per astrazione, nessuno potrà dirlo meglio di lui».70
Al fine di introdurre la critica di Berkeley alla TRG declinata secondo i canoni del realismo scientifico, è necessario accennare anche alla sua posizione nei confronti di quel particolare tipo di astrazione che consiste nello scindere l’esistere dal percepire. Con le parole di Berkeley: «Può forse esistere uno sforzo astrattivo più sottile di quello che serve a distinguere l’esistenza degli oggetti fisici dal loro essere percepiti, così da immaginare che esistano non percepiti? Cos’altro sono la luce e i colori, il caldo e il freddo, le estensioni e le figure, in una parola tutto ciò che vediamo e sentiamo con il tatto, se non sensazioni, nozioni, idee, o impressioni dei sensi? È forse possibile separare, anche solo con il pensiero, una qualunque di esse dalla percezione?».71 Secondo Berkeley, non esistono, in senso stretto, argomenti in favore o contro il realismo, essendo la realtà qualcosa da percepire e non da dimostrare. Come si vedrà nel terzo gruppo di paragrafi del presente lavoro, Berkeley sostiene che i filosofi che fanno astrazione dalle sensazioni al fine di dimostrare l’esistenza mind-independent della realtà non possono che giungere a una posizione scettica. D’altra parte, secondo Berkeley, «tutto quel dubitare, che tanto disorienta e confonde la mente, rendendo la filosofia ridicola agli occhi del mondo, scompare se uniamo un significato alle nostre parole, e smettiamo di giocare con i termini assoluto, esterno, esiste e simili, che non sappiamo cosa significano».72 L’unico modo per evitare lo scetticismo è, secondo il vescovo irlandese, dare fiducia ai sensi: fare astrazione da essi comporta il perdersi in questioni metafisiche inestricabili, tutte accomunate dalla confusione tra fatti e teorie, tra astrazioni e realtà sensibili, e dalla compromissione con ipostatizzazioni che trascendono l’esperienza.73
2.3. Il liberismo scientifico di Berkeley
Una via spesso seguita dai filosofi realisti è quella di delegare alla scienza il compito di trovare argomenti a sostegno della propria posizione metafisica. Berkeley, come si può intuire, non ritiene questa una mossa vincente. Secondo lui, un cattivo uso degli strumenti scientifici non aiuta la risoluzione delle questioni metafisiche, ma anzi le complica, in quanto comporta l’introduzione di difficiles nugae.74 Non sorprende dunque che il vescovo irlandese cerchi spesso di mettere in guardia dai tentativi di sostanzializzare nella realtà mind-independent le ipotesi scientifiche.75 Le migliori teorie scientifiche (Berkeley pensa anzitutto alla meccanica newtoniana) non hanno bisogno di speculazioni metafisiche a loro sostegno: «La filosofia meccanica non postula né presuppone, in senso stretto, nessuna causa efficiente naturale; non ha nessun rapporto, nessuna connessione con la materia, né inferisce la sua esistenza. Per la verità, si deve ammettere che i filosofi meccanicisti suppongono l’esistenza della materia, anche se questo non è affatto necessario».76
Secondo Berkeley, la filosofia naturale, nella sua più ampia accezione77, ha il compito di indagare e scoprire le regole che governano i fenomeni naturali; tuttavia, se da qui si volesse inferire l’esistenza mind-independent di cause efficienti, per esempio di tipo meccanicistico78, si farebbe il passo più lungo della gamba. Con le parole del filosofo irlandese: «I princìpi della filosofia sperimentale si possono propriamente definire i fondamenti sui quali essa poggia, le fonti dalle quali deriva non l’esistenza, ma la conoscenza delle cose corporee, realizzata attraverso il senso e l’esperienza».79 Dunque, una cosa è conoscere regolarità, un’altra fare ontologia: la prima compete alla scienza, della seconda i sensi sono i giudici ultimi. Berkeley ritiene necessario evitare la confusione tra fatti e teorie: «Forza, gravità, attrazione e termini simili sono utili ai ragionamenti e ai calcoli relativi al moto e ai corpi mossi, ma non servono a comprendere la semplice natura del moto in sé stesso, né designano altrettante qualità distinte. Per quanto riguarda l’attrazione, è chiaro che Newton non l’ha mai considerata una qualità vera e fisica, ma soltanto un’ipotesi matematica».80
Il filosofo irlandese nei suoi scritti non prende mai le distanze dalla scienza, ma da un certo uso filosofico-metafisico della scienza. Si prenda il caso della matematica. Secondo Berkeley, i numeri non hanno un’esistenza mind-independent: essi non esistono né in un mondo iperuranico-matematico, né posseggono realtà in sé.81 Egli contesta quelle astrazioni che portano a «sognare che nei numeri si nascondano potenti misteri, per mezzo dei quali è possibile spiegare le cose naturali».82 I numeri sono piuttosto creazioni arbitrarie, plasmabili in base all’interesse di chi ne fa uso. Secondo Berkeley, è possibile avere un’idea di cosa siano due libri o due pagine o due righe, ma nessuna idea astratta del due in sé.83 I numeri non sono da lui trattati in termini essenzialistici, ma come strumenti utili, sfruttabili nei modi più diversi e arbitrari a seconda degli interessi teorici in gioco.84
Dunque, il filosofo irlandese è pronto a concedere la massima libertà nella formulazione di ipotesi utili alla risoluzione dei problemi matematici. Per esempio, egli non pone ostacoli al trattare una linea curva come composta di infinte linee rette, posto che questa mossa sia utile alla risoluzione di problemi geometrici o di altro tipo; tuttavia, se si desiderasse fare un passo in più e affermare che le curve sono, ontologicamente, somme di rette (se si desiderasse concedere il proprio sostegno alla TRG declinata nei termini del realismo scientifico), si andrebbe oltre ciò che l’esperienza attesta, e si metterebbe sul tavolo una dogma non necessario.85 Se invece si assumesse, con Berkeley, una posizione pluralista, diverrebbe possibile affermare che di uguali fenomeni si possono dare spiegazioni diverse, posto che tali spiegazioni siano utili alla costruzione dell’edificio teorico-conoscitivo.86
Se non è lecito utilizzare la scienza per fare metafisica, nemmeno è lecito utilizzarla al fine di individuare connessioni tra fenomeni caratterizzabili in termini di necessità o possibilità. Studiare le regolarità della natura non significa individuare connessioni necessarie tra cause ed effetti. Il vescovo irlandese anticipa la critica humeana agli usi illeciti della nozione di causalità: «Quanto alla pretesa che avanzate, secondo la quale le idee avrebbero una connessione necessaria con quella causa, a me sembra un gratis dictum […]. Io vedo gli effetti o le apparenze, e so che gli effetti devono avere una causa, ma non vedo né so che la loro connessione con quella causa è una connessione necessaria. Comunque sia, sono certo di non vedere una simile connessione necessaria».87 Berkeley dunque non nega che si possano individuare delle connessioni legiformi tra i fenomeni88; tuttavia, nega che tali connessioni presentino il carattere della necessità metafisica, essendo questa qualcosa che non si dà nell’esperienza.
Secondo il vescovo irlandese, non si dà nemmeno il caso che le cause ipostatizzate dai sostenitori del realismo scientifico spieghino il modo in cui realtà sensibile si struttura. Si prenda il caso delle leggi dell’ottica geometrica, spesso utilizzate per spiegare meccanismi e fenomeni visivi: «Ciascuno è da solo il miglior giudice di ciò che percepisce e di ciò che non percepisce. Invano mi si dirà che percepisco certe linee ed angoli i quali introducono nella mia mente le varie idee di distanza, se io stesso non ne sono cosciente».89
Per chiarire questo punto, si potrebbe effettuare un test con un uomo cieco dalla nascita. Gli si enunci nel modo più chiaro possibile la più perfetta teoria ottica (o la più perfetta teoria neurofisiologica, o la più perfetta teoria sulla visione in generale, etc.) della distanza visiva: probabilmente, questo non gli darà accesso alla realtà visiva della distanza visiva. D’altra parte, se si cercasse di spiegare a un normovedente in che cosa consiste la realtà visiva della distanza visiva, sarebbe preferibile chiedergli di aprire gli occhi, piuttosto che enunciargli una qualunque teoria.
Secondo Berkeley, i sostenitori del realismo scientifico possono essere messi in difficoltà anche nel caso si conceda l’esistenza mind-independent della realtà. Philonous porta Hylas a sostenere quanto segue: «Ammetto che sarebbe possibile per noi percepire tutto proprio come adesso, anche se non vi fosse al mondo nessuna materia; e se anche la materia esistesse, non riesco a concepire in che modo potrebbe produrre nelle nostre menti una qualsiasi idea».90 Dunque, non solo la postulazione di una materia mind-independent sembra essere non necessaria (si ricordino l’argomento del sogno e quanto si è detto sull’applicabilità del rasoio di Ockham nei confronti della TRG), ma, quand’anche si ammettesse l’esistenza di una realtà mind-independent, non si avrebbe alcun mezzo per dimostrare una sua corrispondenza con le percezioni degli esseri senzienti. La posizione di Berkeley è, sul punto, molto simile a quella di Locke, il quale fa ben vedere che solo l’intervento di Dio può rendere conto della connessione tra qualità reali da una parte, e idee di qualità secondarie dall’altra.91
Secondo il vescovo irlandese, sono due gli errori fondamentali che si possono compiere nel momento in cui si cerca di spiegare i fenomeni sensibili. Il primo consiste nel ritenere che il fare appello a sensazioni in una modalità sensoriale possa spiegare le sensazioni (le realtà) in altre modalità sensoriali. Il secondo consiste nel ritenere che una teoria possa sostituirsi a una sensazione.
Un chiaro esempio del primo tipo di errore è la confusione tra immagini visive e immagini retiniche che spesso emerge nelle spiegazioni dei fenomeni visivi: «Le cosiddette “immagini” retiniche […] non sono tanto immagini, quanto piuttosto figure o proiezioni, cioè figure tangibili proiettate da raggi tangibili su una retina tangibile. Queste figure sono così lontane dal costituire gli oggetti propri della visione, che non vengono neppure percepite dalla vista: hanno, infatti, una natura esclusivamente tangibile».92 Questo “argomento” potrebbe essere esteso a tutte le spiegazioni dei fenomeni visivi che non fanno uso di fenomeni visivi. Il punto di Berkeley è che le cose tangibili non possono spiegare le cose visibili: «Che rapporto può esserci tra il movimento dei nervi e le sensazioni di suono o di colore nella mente? Come è possibile che le seconde siano l’effetto del primo?»93
Il secondo tipo di errore consiste nello scambiare le teorie con la realtà: «Gli uomini si esprimono come se un’idea fosse causa di un’altra idea, scambiano le inferenze della ragione per le percezioni dei sensi, e confondono il potere che si trova in qualcosa di esterno con l’oggetto proprio del senso, che in verità non è nient’altro che una nostra idea».94 Affermare che gli oggetti sensibili sono ontologicamente effetti di cause mind-independent significa confondere la teoria con la realtà sensibile. Secondo Berkeley, se si desidera ottenere una spiegazione circa l’esistenza della realtà visibile, il metodo migliore consiste nell’aprire gli occhi, non nel teorizzarla o nel dare appoggio a una qualche versione della TRG.
La scienza, nel sistema di Berkeley, è una scienza liberata dai lacci metafisici della TRG. Dall’osservazione della realtà si possono ricavare esclusivamente regolarità empiriche. Portare a termine dimostrazioni matematiche o costruire teorie fisico-meccaniche sono operazioni diverse dallo spiegare la natura della realtà sensibile.95 Non è necessario, secondo il vescovo irlandese, ipostatizzare le leggi di natura o considerarle come verità necessarie. Le leggi di natura sono da lui intese come princìpi generali che rendono gli uomini in grado di fare previsioni e stabilire regolarità.96 Dunque, le spiegazioni scientifiche sono strumenti utili alla vita pratica. Il compito della scienza non è tanto quello di portare i concetti della metafisica nella realtà sensibile, quanto quello di comprendere le regolarità presenti nell’esperienza sensibile.97 Una teoria scientifica andrebbe giudicata dai suoi risultati, dal numero di previsioni empiriche che permette di compiere, non in base agli interessi di dottrine metafisiche a essa estranee.98
3. Realismo, scetticismo, e fiducia nei sensi
L’accusa più insistente che Berkeley muove alle diverse versioni di realismo è che esse implicano lo scetticismo.99 Nel prossimo paragrafo si analizzerà il rapporto intercorrente tra TRG e scetticismo. Nel paragrafo successivo si cercherà di mostrare la via che Berkeley propone per uscire dal pantano scettico.
3.1. Il realismo come causa dello scetticismo
Si potrebbero individuare due modi in cui, per Berkeley, si manifesta il legame tra realismo e scetticismo. Anzitutto, scettico è chi non si fida dei sensi. I sensi sembrano fornire al realista solo delle apparenze mentali, e sembrano nascondere la natura delle cose.100 L’impossibilità di fidarsi dei sensi comporta l’emersione di paradossi, difficoltà, incoerenze, dubbi, e porta il realista verso un «desolato scetticismo».101 Il realista Hylas è costretto ad ammettere, in apertura del Terzo dialogo, che della costituzione interna dei corpi, delle essenze, della natura vera e reale degli oggetti non si può sapere nulla, in quanto tutto ciò su cui si può fare affidamento sono le apparenze ingannevoli dei sensi.102 Per di più, se non ci si fida dei sensi, si è portati a dubitare dell’esistenza stessa della realtà, dato che per i sostenitori della TRG essa è indipendente dai sensi, e dato che la verifica sensibile è l’unico modo per entrare in contatto con la realtà.103
Il fatto che i sostenitori del realismo manchino di fiducia nei sensi permette al vescovo irlandese di mostrare come sia falsa la tesi secondo la quale il realismo è la posizione che meglio si sposa con il senso comune: «Che le qualità che percepiamo non si trovino negli oggetti; che non dobbiamo credere ai nostri sensi; che non sappiamo nulla della vera natura delle cose, e non possiamo mai essere sicuri neppure della loro esistenza; che i colori e i suoni reali non siano altro che figure e movimenti sconosciuti; […] queste sono le nozioni stravaganti che urtano il giudizio genuino e incorrotto dell’umanità».104 In sintesi: da un lato, la postulazione dell’esistenza di una realtà mind-independent non può che comportare incredulità, in quanto è sempre possibile che essa sfugga alla presa dei sensi; dall’altro lato, i sostenitori della TRG propone come ovvia una tesi «stravagante», lontana dalla realtà di ciò che si sente.
Il secondo motivo per cui la TRG si approssima pericolosamente allo scetticismo è che il realismo vive della distinzione tra idee-sensazioni e cose, tra l’essere percepito e l’esistere; in altre parole, esso vive sul dogma dei due mondi (di cui uno sarebbe reale, in sé, mind-independent, l’altro sensibile, mind-dependent).105 Secondo Berkeley, nel momento in cui le sensazioni sono «considerate segni o immagini relativi a cose o archetipi esistenti al di fuori della mente, si precipita nello scetticismo. Vediamo solo apparenze, non le vere qualità delle cose».106 Il problema, dunque, è il seguente: «Come si fa a sapere che le cose percepite sono conformi a quelle che non vengono percepite, perché esistono al di fuori della mente?»107 La critica berkeleyana assume una valenza generale, ed è volta a colpire tutte le possibili versioni in cui la TRG potrebbe venir declinata. Infatti, Berkeley sostiene che, qualsiasi relazione si immagini esistere tra realtà mind-independent e sensazioni — sia essa causale, basata sulla somiglianza, segnica, o di altro tipo — non vi è modo per conoscere la verità e realtà di tale connessione, dato che il lato mind-independent della relazione potrebbe non venire mai percepito. Quale che sia la posizione del realista nei confronti delle idee e delle sensazioni, egli sembra sempre rincorrere una vera realtà che sarebbe in grado di spiegare la realtà sensibile. Tuttavia, una volta operata la distinzione tra vera realtà e realtà apparente, tra esistenza e percezione, diviene arduo ricomporre la frattura.
Il seguente passo, in cui Philonous si rivolge a Hylas, riassume bene la posizione di Berkeley nei confronti del rapporto tra scetticismo e realismo: «Il risultato di tutto questo è che piombiamo nello scetticismo più disperato. Lascia, ora, che ti domani, in primo luogo, se il fatto che tu riferisci le idee a certe sostanze non percepite e assolutamente esistenti, che ne sarebbero gli originali, non sia la fonte di tutto questo scetticismo. In secondo luogo, se i sensi o la ragione ti informino dell’esistenza di quegli originali sconosciuti; se così non fosse, non sarebbe assurdo supporli? In terzo luogo, ti chiedo se, dopo un’attenta indagine, ti risulti che l’espressione esistenza esterna o assoluta di sostanze non percepite abbia un significato, o designi qualcosa che si possa distintamente concepire».108
La critica di Berkeley al realismo non concerne solo la difficoltà di conoscere la realtà in sé, ma anche la difficoltà di trovare ragioni per credere nell’esistenza della realtà in sé.109 Per il filosofo irlandese, non si può considerare il realismo come la migliore spiegazione disponibile in campo ontologico ed epistemologico: egli sostiene infatti che la spiegazione dell’esperienza umana e dell’esistenza della realtà sensibile deve essere cercata in Dio più che nella realtà mind-independent.110 D’altra parte, la tesi realista non può essere considerata la spiegazione più semplice, e anzi il vescovo irlandese utilizza nei suoi confronti il rasoio di Ockham: «Dato che l’esperienza potrebbe essere esattamente quella che è senza che la materia esista, l’ipotesi materialista non è la più semplice spiegazione».111
3.2. I sensi come unica arma utile a sconfiggere lo scetticismo
Una delle caratteristiche fondamentali dell’empirismo di Berkeley è la fiducia che egli accorda ai sensi. Il vescovo irlandese utilizza tale fiducia al fine di rompere il legame tra realismo ed empirismo: «Il primo obiettivo di Berkeley è quello di dimostrare che, dopo tutto, una comprensione adeguata della nostra dipendenza dai sensi e dall’immaginazione per quanto riguarda gli oggetti della conoscenza deve allontanarci dal materialismo, piuttosto che avvicinarci a esso».112 La filosofia di Berkeley è un tentativo di fuggire la tesi scettico-realista che denuncia l’insufficienza dei sensi. Il vescovo irlandese descrive così la fobia realista per i sensi: «Non basta vedere e toccare, gustare e odorare una cosa: la sua vera natura, la sua entità assoluta ed esterna rimane nascosta. Infatti, benché questa entità sia una finzione del nostro cervello, l’abbiamo resa inaccessibile a tutte le nostre facoltà».113
Secondo Berkeley, al fine di confutare lo scetticismo non è necessario fare appello né a realtà non sentite né a ragioni metafisiche. Piuttosto, sono i sensi a testimoniare l’esistenza della realtà: «Limitiamoci a questa cosa particolare: l’esistenza del mio guanto non è provata a sufficienza dal fatto che lo vedo, lo tocco, e lo indosso? O altrimenti, come è possibile che una cosa ignota, che non vedo né posso vedere, che esiste in un modo sconosciuto, in un luogo ignoto o addirittura in nessun luogo, costituisca una prova della realtà di questo oggetto, che vedo effettivamente in questo luogo? La presunta realtà di ciò che non è tangibile può forse essere la prova reale dell’esistenza reale di una cosa tangibile? Ciò che è invisibile può provare che qualcosa di visibile esiste, o, in generale, una cosa non percepibile può mai provare l’esistenza di una cosa percepibile?»114
È difficile trovare una “confutazione” dello scetticismo più chiara e convincente di quella proposta dal vescovo irlandese. Essa è riassumibile in una formula: bisogna dare fiducia ai sensi. Nell’ottica berkeleyana, non è necessario lasciarsi andare a considerazioni su realtà indipendenti da quanto si sente, non è necessario astrarre il percepire dall’esistere. Come si è cercato di mostrare, compiere tali mosse significherebbe cadere nella trappola dello scettico e regalargli la vittoria. Probabilmente, la lezione principale desumibile dalla filosofia di Berkeley è che per confutare lo scetticismo è sufficiente seguire la natura, fidarsi dei sensi115, e sentire la realtà sensibile.116
3.3. Realtà berkeleyane
Il vescovo irlandese rigetta la TRG, ma non per questo rinuncia alla realtà di quanto percepito, né si rinchiude in un fortino solipsista. Egli scrive: «Dico che il tavolo su cui scrivo esiste, cioè lo vedo e posso toccarlo; se uscissi dallo studio, potrei dire che esiste, intendendo che, se fossi nello studio, potrei percepirlo, o che qualche altro spirito lo percepisce effettivamente».117 Secondo Berkeley, la realtà esterna alle menti particolari dei percipienti possiede un’esistenza continuata, anche quando essa non viene da loro percepita, in quanto Dio la percepisce e pensa. Pertanto, il mondo è, secondo il vescovo irlandese, un luogo pubblico, in quanto è sempre accessibile al Creatore onnisciente; lo stesso dicasi per le percezioni particolari degli esseri finiti.
In letteratura, si ritrovano interpretazioni di passi come l’ultimo citato che si propongono di indagare le affinità tra la filosofia di Berkeley e gli approcci realisti. Per esempio, Laird porta avanti un’analisi incentrata primariamente sul tema della distinzione, condivisa dal vescovo irlandese e dai realisti, tra atto mentale da una parte, e oggetto percepito dall’altra.118 Secondo Berkeley, le idee di sensazione sono passivamente ricevute dall’esterno, e pertanto i percipienti non possono crearle dal nulla. Il riconoscimento dell’esistenza di cause esterne non è però sufficiente a rendere Berkeley un realista, in quanto
Ammettere l’esistenza di cause e oggetti esterni a un percipiente non implica ammettere l’esistenza di una realtà indipendente da tutte le entità pensanti o percipienti (non implica l’accettazione della TRG).
Come dimostra la citazione che ha aperto il paragrafo, il vescovo irlandese concede il proprio assenso alla tesi per cui il mondo continua a esistere quando non percepito da una mente finita; di più, egli ammette la sua esistenza anche nel caso nessuna mente finita lo percepisca. D’altra parte, Berkeley sostiene che la realtà, per esistere, deve essere percepita almeno da un’entità: Dio.119 Tale posizione è sufficiente a rendere incompatibile l’approccio del vescovo irlandese con la TRG, essendo quest’ultima la tesi per cui il mondo esterno esiste in modo indipendente da qualsivoglia entità pensante o percipiente.
Pappas sottolinea come tutte le forme di realismo accettino due clausole esistenziali: «(1) Esistono oggetti macrofisici non teorici; e (2) tali oggetti macrofisici ordinari, nonché almeno alcune delle loro proprietà non relazionali, esistono indipendentemente dai percipienti e dalle percezioni, e non sono generalmente affetti da questi ultimi».120 Berkeley accetterebbe la prima clausola, ma non la seconda. Come esplicitato dalla TRG, il realismo afferma che il mondo (o, almeno, alcune sue qualità rilevanti) è indipendente dai percipienti, nel senso che esisterebbe anche se nessuna entità lo percepisse.121 Da parte sua, Berkeley sostiene che «la TRG è una tesi vuota, di cui non vi è alcun bisogno nella vita pratica».
Quanto alla vuotezza della TRG, il vescovo irlandese afferma: «Io vedo questa ciliegia, la tocco, ne gusto il sapore, e sono certo che un nulla non può essere visto, toccato o gustato: dunque, questa ciliegia è reale. Togli le sensazioni di morbidezza, di succosità, di rosso, di aspro, e toglierai anche la ciliegia».122 La TRG è una tesi vuota perché priva di supporto empirico: una volta che le percezioni di un oggetto vengono meno, è difficile capire cosa rimanga nell’esperienza. Ovviamente, questo non prova che gli oggetti esterni non esistano in modo conforme a quanto stabilito dalla TRG; tuttavia, al realista rimane il compito di stabilire con quali strumenti sia possibile provare la sua tesi. Quanto alla non necessarietà della TRG ai fini della vita pratica, Berkeley scrive: «Domanda al giardiniere per quale motivo egli crede che quel ciliegio esista nel giardino, e ti dirà che ci crede perché lo vede e può toccarlo; insomma, perché lo percepisce con i sensi».123 Il mondo percepito è, secondo Berkeley, pienamente reale, ed è tutto ciò di cui vi è bisogno nella vita di ogni giorno. I sostenitori della TRG, da parte loro, non si accontentano della realtà in cui i sensi sono immersi, e postulano l’esistenza di un mondo potenzialmente non percepito da nessuno. Di fronte alla prospettiva proposta, il berkeleyano tende ad assumere l’atteggiamento di San Tommaso Apostolo, e ad affermare che la sua fede in una realtà assoluta vacillerà fino a quando non sarà dato vederla, udirla, toccarla, annusarla, assaporarla.
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In questo articolo ci occupiamo delle critiche di Berkeley al realismo come tesi concernente la realtà esterna, non menti e spiriti. ↩︎
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Berkeley, G., Opere filosofiche, a cura di Parigi, S., UTET, Torino 2007, nota 2 a pag. 207. Cfr. anche la nota 1 a pag. 386. ↩︎
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Downing, L., George Berkeley, in “Stanford Encyclopedia”, disponibile online all’indirizzo http://plato.stanford.edu/entries/berkeley/#toc, 2011, paragrafo 2. Corsivo nel testo. Mia traduzione. ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 200. ↩︎
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Idea è, secondo Berkeley, ciò che viene immediatamente percepito dai sensi. Egli spesso tratta i termini “idea”, “sensazione”, e “oggetto sensibile” come sinonimi. ↩︎
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Cfr. Pappas, G., Berkeleyan idealism and impossible performances, in Muehlmann, R. (ed.), Berkeley’s Metaphysics: Structural, Interpretive, and Critical Essays, The Pennsylvania State University Press, State College 1995, pp. 131-3, 143-5. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, in Berkeley, G., Opere filosofiche, cit., p. 359. ↩︎
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Nel tracciare la distinzione tra realtà assoluta e realtà relativa (nonché altre distinzioni più particolari, come per esempio quella tra spazio assoluto e relativo), Berkeley ha spesso in mente la filosofia naturale di Newton e il dibattito scientifico a lui contemporaneo. Entrare nel merito della filosofia della scienza berkeleyana non rientra negli scopi del presente articolo: pertanto, in questa sede si fa riferimento a essa solo ove rilevante agli scopi dell’esposizione del tema qui trattato, ovvero la critica del realismo metafisico.Ovviamente, il lettore, per una comprensione più articolata di quanto qui esposto, è invitato ad approfondire la relazione tra la filosofia di Berkeley, il lavoro di Newton, e il dibattito scientifico che ha preso vita nella prima metà del XVIII secolo. Un buon punto di partenza è il seguente: Downing, L., Berkeley’s natural philosophy and philosophy of science, in Winkler, K. (ed.), The Cambridge companion to Berkeley, Cambridge University Press, Cambridge 2005, pp. 230-65. Si rimanda inoltre al paragrafo 2.3. del presente lavoro. ↩︎
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Il passaggio è citato in Parigi, S., op. cit., p. 49. Corsivo nel testo. Esso è la entry 832 dei berkeleyani Philosophical Commentaries. Si noti che questo passaggio implica che vi è qualcosa di ambiguo nell’attribuzione a Berkeley dell’etichetta di “fenomenista”. Infatti, “fenomeno” significa “ciò che appare”; l’utilizzo di questa terminologia sembra implicare, anche se non necessariamente, la legittimità della distinzione tra una realtà in sé e una realtà che appare al percipiente. Berkeley rifiuterebbe tale dicotomia. Le sensazioni sono, per il vescovo irlandese, reali: nessuna realtà in sé si nasconde dietro alle cosiddette “apparenze sensibili”. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 353. ↩︎
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L’empirista Berkeley chiede al realista di giustificare empiricamente la tesi secondo la quale esiste una realtà mind-independent. Il realista, da parte sua, potrebbe legittimamente rifiutarsi di porre il discorso sul piano empirico. Tuttavia, se così fosse, sarebbe legittimo chiedergli quali siano gli strumenti empiricamente non fondati da lui utilizzati. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, cit., p. 380. ↩︎
-
Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 352. ↩︎
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Questa tesi modale, espressa in termini di possibilità, è più debole rispetto alla tesi che afferma l’esistenza mind-independent della realtà. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, in Berkeley, G., Opere filosofiche, cit., p. 333. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 357. ↩︎
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Una versione si trova in Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., pp. 209-10: «Basta guardare nei propri pensieri, e provare a immaginare che un suono, una figura, un movimento o un colore esistano al di fuori della mente, senza essere percepiti. Questo facile esperimento basta a rendere evidente che ciò per cui si discute è un’autentica contraddizione, tanto che mi accontento di sfidarvi su quest’unico punto: se potete concepire che una sostanza estesa e in movimento, o, in generale, qualunque idea o qualsiasi cosa simile a un’idea possa esistere al di fuori di una mente che la percepisce, mi dichiarerò vinto». Un’altra variante è esplicitata in Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., pp. 317-8: «Mi contento di porre la nostra disputa su questo piano. Se puoi concepire l’idea astratta e distinta di movimento o di estensione, spogliata di tutti i modi sensibili — come il veloce e il lento, il grande e il piccolo, il rotondo e il quadrato, e così via — che abbiamo riconosciuto essere solo nella mente, in questo caso darò ragione a te. Se invece non sei in grado di concepire un’idea simile, sarebbe irragionevole da parte tua insistere ancora su ciò di cui non hai alcuna nozione». Tali e simili passi dovrebbero essere compresi anche alla luce all’antiastrazionismo di Berkeley. Per un approfondimento di quest’ultimo, si rimanda al paragrafo 2.2. del presente lavoro. ↩︎
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Secondo Berkeley, il realismo e il materialismo implicano lo scetticismo e l’ateismo. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 342. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Cfr. Downing, L., Berkeley’s natural philosophy and philosophy of science, cit., p. 247. ↩︎
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Certamente, il realista potrebbe sostenere che la realtà sentita dai sensi è mind-independent. Se questa fosse la sua mossa, tuttavia, diverrebbe suo compito spiegare come nell’esperienza si dia una realtà indipendente dall’esperienza. ↩︎
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Dal master argument interpretato come test di San Tommaso Apostolo si può ricavare il sospetto che l’esistenza della realtà non sia un qualcosa su cui si possa argomentare o teorizzare. Con Berkeley, la realtà è un qualcosa anzitutto da sentire, da percepire. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 353. ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., pp. 207-8. ↩︎
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Downing, L., George Berkeley, cit., paragrafo 2.1.4.. ↩︎
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Cfr. Grayling, A. C., op. cit., p. 182. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., pp. 296 sgg.. ↩︎
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Cfr. Ivi, pp. 307 sgg.. ↩︎
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Atherton, M., op. cit., p. 105. Mia traduzione. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., p. 300. ↩︎
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Cfr. Ivi, pp. 307 sgg.. ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 206. ↩︎
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Cfr. Stroud, B., Berkeley v. Locke on primary qualities, in “Philosophy”, vol. 55 (212), 1980, pp. 150-1. ↩︎
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Pearce, K., Berkeley’s meta-ontology: bodies, forces, and the semantics of ‘exists’, disponibile online all’indirizzo http://writings.kennypearce.net/existenceOfBodies.pdf, 2013, p. 15. Mia traduzione. ↩︎
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Quanto sostiene Berkeley a proposito del legame tra realismo e scetticismo verrà analizzato più nel dettaglio nel terzo gruppo di paragrafi del presente lavoro. ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 203. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., p. 311. ↩︎
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Ibidem. Corsivo nel testo. ↩︎
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Ivi, p. 334. Corsivo nel testo. ↩︎
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Si veda Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 225, in cui il vescovo irlandese riprende da Bacone il detto secondo il quale «si deve pensare come i dotti, e parlare come il volgo». Si veda anche Berkeley, G., Saggio per una nuova teoria della visione (1709), in Berkeley, G., Opere filosofiche, cit., pp. 147-8: «Perciò desidero, una volta per tutte, che chiunque ritenga degno della sua considerazione capire ciò che ho scritto sulla visione, non si attacchi a questa o quella frase, né si accanisca su un modo di esprimersi, ma desuma onestamente quello che voglio dire dal tenore complessivo del mio discorso». ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., p. 304. ↩︎
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Ivi, p. 305. È opportuno notare come spiegare i suoni mediante una realtà mind-independent e spiegare i suoni mediante sensazioni ottenute in altre modalità sensoriali non sia la stessa cosa. Secondo Berkeley, la seconda operazione è legittima, la prima no. Per gli interessi del presente discorso, è possibile tuttavia mettere tra parentesi il punto, e trattare i due casi come equivalenti. Comunque, in chiusura del prossimo paragrafo e nel paragrafo 2.3. si cercherà di mostrare perché è bene non confondere questi due insiemi di casi. ↩︎
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Sulla filosofia della scienza di Berkeley, si veda il secondo gruppo di paragrafi del presente articolo. ↩︎
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Atherton, M., How Berkeley can maintain that snow is white, in “Philosophy and phenomenological research”, vol. 67 (1), 2003, p. 104. Mia traduzione. ↩︎
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Cfr. Stroud, B., op. cit., p. 153. ↩︎
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Ibidem. Corsivo nel testo. Mia traduzione. ↩︎
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Per essere più precisi, Berkeley sostiene che non esiste nulla, eccetto le menti, la cui esistenza non consista nell’essere percepito. ↩︎
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Questo, ovviamente, non significa che Berkeley non riconosca il maggior potere esplicativo di cui alcune qualità sembrano essere dotate rispetto ad altre. ↩︎
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Murray Turbayne, C., Berkeley’s two concepts of mind, cit., p. 87. Mia traduzione. In maniera più ampia, si potrebbe descrivere il dogma dei due mondi come la posizione secondo la quale è possibile distinguere tra percezione ed esistenza, come la posizione secondo la quale è possibile concepire una realtà mind-independent che non sia sentita. In questo modo, la definizione coprirebbe non solo il realismo indiretto, ma anche quello diretto. ↩︎
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Ovviamente, esistono innumerevoli posizioni intermedie. Nondimeno, molte di esse sembrano muoversi all’interno di questo paradigma. ↩︎
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Atherton, M., op. cit., p. 113. Mia traduzione. ↩︎
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Ibidem. Mia traduzione. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., p. 328. La posizione di Berkeley sembra, sul punto, compromessa con il solipsismo. Tuttavia, si deve ricordare che nella sua filosofia non esistono sensazioni private, essendo il suo Dio onnisciente. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, cit., p. 400. ↩︎
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Questa è una premessa impegnativa. Nel trattarla, è utile considerare che, per Berkeley, i termini “idea”, “sensazione” e “oggetto sensibile” sono sinonimi. Questa considerazione permette di aggirare l’obiezione secondo la quale per Berkeley non si vedrebbero scrivanie ma idee, non si mangerebbero pezzi di pane ma idee. Per il vescovo irlandese le scrivanie e i pezzi di pane percepiti sono idee nel senso che sono oggetti sensibili, e non oggetti dotati di esistenza assoluta e mind-independent. Egli scrive: «Sono un uomo di stampo comune, abbastanza semplice da credere ai miei sensi, e da lasciare le cose come le trovo. In parole povere, io sono dell’opinione che le cose reali siano proprio le cose che vedo, tocco, e percepisco con i sensi. […] Ad esempio, un pezzo di pane sensibile appaga il mio stomaco diecimila volte meglio di più di quel pane insensibile, inintelligibile, e reale, del quale tu [il materialista-realista Hylas] parli» (Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, cit., p. 363). ↩︎
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Cfr. Istvan Jr, M. A., op. cit., pp. 111-2. ↩︎
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Cfr. Downing, L., George Berkeley, cit., paragrafo 2.1.2.. ↩︎
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Frankel, M., Something-we-know-not-what, something-we-know-not-why: Berkeley, meaning, and minds, in “Philosophia”, vol. 37, 2009, p. 390. Corsivo nel testo. Mia traduzione. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: primo dialogo, cit., p. 317. Corsivo nel testo. Si legge in Berkeley, G., Sul movimento (1721), in Berkeley, G., Opere filosofiche, cit., p. 429: «Quei termini [i termini generali] sono stati introdotti nell’uso comune in parte per abbreviare il discorso, in parte dai filosofi a scopi didattici: non perché siano conformi alla natura delle cose — che sono sempre singolari e concrete nella loro esistenza — ma perché servono alla trasmissione delle discipline, in quanto rendono universali le nozioni e le proposizioni». ↩︎
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Cfr. Daniel, S. H., How Berkeley redefines substance. A reply to my critics, in “Berkeley’s studies”, vol. 24, 2013, p. 47. ↩︎
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Cfr. Ivi, pp. 45-6. ↩︎
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Pearce, K., Berkeley’s meta-ontology: bodies, forces, and the semantics of ‘exists’, cit., p. 13. Mia traduzione. ↩︎
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Berkeley, G., Sul movimento, cit., p. 444. ↩︎
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Berkeley, G., Sul movimento, cit., p. 452. ↩︎
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Cfr. per esempio Berkeley, G., Saggio per una nuova teoria della visione, cit., pp. 108-9. ↩︎
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Cfr. per esempio Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., pp. 182-3. ↩︎
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Il fatto che talvolta Berkeley non si appoggi ad argomentazioni logico-deduttive fa storcere il naso ad autori di rigorosa impostazione analitica. Pappas, per esempio, ritiene insoddisfacente l’approccio di Berkeley sulla critica delle idee astratte proprio per la mancanza di argomentazioni logico-deduttive. Si veda a tal proposito Pappas, G., op. cit., pp. 135-6. ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 184. ↩︎
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Ivi, p. 200. ↩︎
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Ivi, p. 244. Corsivo nel testo ↩︎
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Cfr. Murray Turbayne, C., Berkeley’s two concepts of mind, cit., pp. 88-90. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 261. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, cit., p. 379. È d’uopo sottolineare, con Berkeley, che il realista scientifico, nel momento in cui ipostatizza le ipotesi scientifiche, assume già l’esistenza di quella realtà mind-independent che egli caratterizza in termini scientifici. Il realismo scientifico, come verosimilmente tutte le forme di realismo, trova fondamento in una petizione di principio. ↩︎
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Berkeley, G., Corrispondenza filosofica tra George Berkeley e Samuel Johnson. Lettera del 25 novembre 1729, in Berkeley, G., Opere filosofiche, cit., p. 470. ↩︎
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In questa sede non si desidera entrare nel dettaglio delle singole dottrine scientifiche prese in esame da Berkeley. Piuttosto, l’obiettivo consiste nell’indagare cosa egli affermi circa la possibilità di chiamare la scienza, comunque intesa, a sostegno di posizioni metafisiche realiste. ↩︎
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Berkeley, essendo un autore settecentesco, si confronta con il meccanicismo e con le dottrine newtoniane; pertanto, nelle sue opere si trovano numerosi riferimenti in tal senso. Tuttavia, lo scopo del vescovo irlandese non consiste, probabilmente, nel limitare la portata metafisica della sola scienza del suo tempo; piuttosto, egli sembra proporre un’analisi che vorrebbe applicabile a qualsiasi tentativo di utilizzare la scienza per scopi metafisici. ↩︎
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Berkeley, G., Sul movimento, cit., p. 440. ↩︎
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Ivi, p. 433. Corsivo nel testo. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Saggio per una nuova teoria della visione, cit., pp. 142-3. ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 261. Corsivo nel testo. ↩︎
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Cfr. Ivi, pp. 204-5, 261-3. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Sul movimento, cit., p. 453. ↩︎
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Ivi, p. 451. Berkeley utilizza questo argomento in relazione a molti temi, quali per esempio la divisibilità infinita dello spazio e del tempo, lo spazio assoluto, il movimento assoluto, la regola del parallelogramma, etc.. ↩︎
-
Cfr. Ivi, p. 453. ↩︎
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Berkeley, G., La teoria della visione difesa e chiarita (1733), in Berkeley, G., Opere filosofiche, cit., p. 504. ↩︎
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A rigore, la relazione causale tra fenomeni è intesa da Berkeley come una relazione segnica (Cfr. Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 232). Tuttavia, vi sono molti passi in cui egli tratta delle sensazioni come effetti aventi una causa metafisica. Questa mossa serve al filosofo irlandese per preservare il ruolo di Dio come causa di tutte le esperienze di tutti gli uomini. ↩︎
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Ivi, p. 92. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 353. ↩︎
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Per un’analisi approfondita della teoria lockiana a riguardo, cfr. OMISSIS. ↩︎
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Berkeley, G., La teoria della visione difesa e chiarita, cit., p. 513. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 338. Questo problema era già stato sottolineato in modo molto chiaro da Locke. ↩︎
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Berkeley, G., La teoria della visione difesa e chiarita, cit., p. 499. Un esempio concreto concerne la confusione che è possibile compiere tra le astrazioni geometriche e la realtà. Sul punto, si veda Callahan, G., op. cit., p. 15, in cui si legge: «Forming such abstraction may be very useful, but we should never confuse them with concrete reality: we can never go out into our back garden and hope to discover lying there a dimensionless point, an infinitely thin line, or a colourless triangle». ↩︎
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Cfr. Downing, L., Berkeley’s natural philosophy and philosophy of science, cit., p. 248. ↩︎
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Cfr. Ivi, p. 250. ↩︎
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Cfr. Ivi, p. 252. ↩︎
-
Cfr. Ivi, p. 253. ↩︎
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In questa sede non si prende in esame la teoria di Berkeley sul rapporto tra realismo e ateismo. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 222. ↩︎
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Ivi, p. 179. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, cit., pp. 360-2. ↩︎
-
Cfr. Ivi, p. 362. ↩︎
-
Ivi, p. 381. ↩︎
-
Cfr. Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 242. ↩︎
-
Ivi, p. 243. Corsivo nel testo. ↩︎
-
Ibidem. ↩︎
-
Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 384. Corsivo nel testo. ↩︎
-
Frankel, M., op. cit., p. 386. ↩︎
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Secondo Berkeley, Dio rappresenta la migliore spiegazione della realtà. Generalmente, i sostenitori della TRG rifiutano tale posizione. Nondimeno, se ne può ricavare che non necessariamente la via realista è la migliore per spiegare l’esistenza della realtà.Ovviamente, possono essere trovate alternative sia al paradigma esplicativo basato sulla TRG, che su quello basato su Dio. ↩︎
-
Grayling, A. C., op. cit., p. 182. Mia traduzione. ↩︎
-
Ayers, M., Was Berkeley an empiricist or a rationalist?, in Winkler, K. (ed.), op. cit., p. 57. Mia traduzione. ↩︎
-
Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: prefazione, p. 286 ↩︎
-
Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, p. 357. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, p. 384. ↩︎
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Secondo Berkeley, la credenza e la certezza nell’esistenza della realtà possono derivare esclusivamente dai sensi (Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, pp. 369, 373). ↩︎
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Berkeley, G., Trattato sui principi della conoscenza umana, cit., p. 199. ↩︎
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Cfr. Laird, J., Berkeley’s realism, in “Mind”, vol. 25 (99), 1916. In ultima istanza, Laird ammette l’impossibilità di trattare Berkeley come un realista. ↩︎
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Cfr. Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: secondo dialogo, cit., p. 341. ↩︎
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Pappas, G., Berkeley and common sense realism, in “History of philosophy quarterly”, vol. 8 (1), 1991, pp. 27-8. Mia traduzione. ↩︎
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Cfr. Ivi, 30. ↩︎
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Berkeley, G., Tre dialoghi tra Hylas e Philonous: terzo dialogo, cit., p. 387. Corsivo nel testo. ↩︎
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Ivi, p. 369. Si noti che Berkeley, in questo significativo passaggio, non compie riferimenti a Dio. Certamente, l’operare del Creatore è insostituibile e centrale nel suo paradigma, ma questo non vieta a un berkeleyano di accettare il punto del vescovo irlandese senza accettare il lato religioso della sua posizione. ↩︎