Davide Monaco, Deus trinitas. Dio come Non altro nel pensiero di Nicolò Cusano, Città Nuova, Roma 2010
Nel volume Deus trinitas. Dio come Non altro nel pensiero di Nicolò Cusano, Davide Monaco affronta un tema nevralgico del cammino speculativo del Cardinale Nicolaus Cusanus (1401-1464), ossia la ricerca di una formulazione concettuale sempre più adeguata del Presupposto. Il testo di Monaco, con manifesta vocazione manualistica, si presenta così sin dalle prime battute come il tentativo di ricostruire il Denkweg cusaniano attraverso una lettura per così dire “evolutiva”. La lettura storico-genealogica delle opere del Cusano — come sottolinea l’Autore nell’Introduzione — risale in effetti agli scritti «pionieristici» di Johannes Uebinger e di Francesco Fiorentino che già nell’ultimo ventennio del XIX secolo, in netta antitesi con il dominante approccio “sistematico” del tempo (che faceva leva soprattutto sul De docta ignorantia), portarono all’attenzione della Cusanusforschung gli ultimi scritti del Cardinale. A partire dai rilievi sollevati dal Fiorentino, prende dunque avvio la tendenza interpretativa volta a storicizzare il cammino speculativo del Cusano e a rinvenirvi delle linee evolutive che convergerebbero nelle sue ultime fatiche. Monaco si inserisce infatti in questo solco interpretativo — quello attualmente predominante, rappresentato perlopiù dalla lettura di Kurt Flasch — ripercorrendo nella prima parte del testo, intitolata “La caccia cusaniana al nome di Dio”, i principali scritti cusaniani.
L’occhio di riguardo che Monaco esplicita sin dall’Introduzione per il Non Aliud lo spinge tuttavia ad appiattire l’intera “caccia cusaniana” sulle tematiche e sugli approcci dell’ultimo Cusano, fornendo l’impressione di una evoluzione spesso troppo rigida e forzata. A farne le spese sono chiaramente le prime composizioni, in particolare quel De docta ignorantia — presentato come un avvio impacciato o persino «contraddittorio» — nel quale il Cardinale si limiterebbe a riproporre il principio socratico del sapere di non sapere. La docta ignorantia viene così ridotta da Monaco a un mero «principio critico-negativo», foriero di una filosofia negativa che sembra aggirarsi come «un’ombra» e che di fatto costituisce un «limite». Dal punto di vista dell’Autore del volume, dunque, questo eccessivo soffermarsi sulla teologia negativa impedirebbe al Cusano di schiarire la visione del Deus absconditus nel Deus incarnatus sive revelatus, attuata invece nelle pagine dell’Idiota in cui «si delinea chiaramente quel passaggio dalla prima fase della speculazione cusaniana, incentrata sulla ricerca delle tenebre dell’ignoranza del Deus absconditus e dominata ancora dalla potenza della negazione, a quella seconda fase del suo pensiero, caratterizzata dalla consapevolezza che, sebbene Dio sia ignoto, egli non è lontano da ciascuno di noi poiché in lui viviamo, ci muoviamo, esistiamo». E infine, libero dalla filosofia negativa, nel Deus Trinitas delle ultime opere, dove «a differenza del nome divino di possest, e della sua successiva riformulazione, il posse, il non aliud approfondisce la teologia trinitaria del cardinale rivelando il Principio primo come autodispiegamento trinitario».
In tutta franchezza ci sembra opportuno sottolineare, in controtendenza con l’Autore, come il livello su cui Cusano muove l’argomentazione nel De docta ignorantia non sia semplicemente morale o «scettico» bensì, sin da allora, ontologico — come testimoniano gli stessi importanti riferimenti al piano matematico, a cui Monaco dedica però, e non a caso, poche righe. D’altronde il riferimento costante in tutta la produzione cusaniana alla geometria e al numero non si esaurisce in una mera appendice ma assume piuttosto un ruolo decisivo nella comprensione della prospettiva gnoseologica che, platonicamente, non è mai distinta da una sostanziosa analisi ontologica del modello di explicatio del mondo. Ancora, quest’ipotesi di cammino graduale verso le ultime opere ci pare riduttivo in riferimento alla profondità dei vari temi presenti che, a volte, trovano una splendida formulazione proprio nelle prime opere del Cardinale. Ad esempio, tra gli altri, la cristologia Cusaniana, già presente nel III libro del De docta ignorantia, non può essere ridotta ad un “momento” del cammino — per Monaco, il “secondo” gradino, corrispondente alle opere comprese nel decennio tra il 1450 e il 1460 — tanto per le continue occorrenze in tutta la speculazione quanto, più radicalmente, perché a nostro avviso tanta ricchezza filosofica e religiosa viene perduta se non si intende come la Croce sia per il Cusano la vera e continua fonte di insecuritas, concettuale ed esistenziale, il vero tormento che spinge il Cardinale a ripercorrere continuamente sentieri già battuti con l’intento ben preciso di coglierne, di volta in volta, un riflesso differente, una prospettiva ancora intentata. Ecco perché la cristologia è tutt’uno con i temi di matrice agostiniano-eckhartiana della interiorità e del fondo dell’anima, a cui invero sono dedicate poche righe, poiché essi, qualora trattati adeguatamente, sarebbero emersi tanto come la preoccupazione costante del Cardinale quanto, dal punto di vista concettuale, come la chiave di volta in grado di sorreggere il paradossale rapporto del Deus Absconditus con il mondo (explicatio-complicatio) e allo stesso tempo la trascendenza dell’Uno.
Sorprende pertanto come, nelle pur precise indicazioni di Monaco in merito all’ontologia neoplatonica fornite nella seconda parte del testo, non si faccia leva sulle tematiche mistiche, fondamentali per inquadrare un certo filone scaturito dal neoplatonismo antico e presente nelle opere del Cusano — come Monaco stesso, del resto, nota: «La concezione dell’Uno eckhartiana rappresenta un significativo e autorevole precedente di cui lo stesso cardinale era a conoscenza e a cui aveva prestato più di un’attenzione nelle sue letture del maestro turingio». D’altronde, in ultima analisi, nella pur documentata esposizione del Non aliud, a cui di fatto è dedicata la seconda e più convincente parte del testo di Monaco, emerge con chiarezza il legame ancora vivo del Cusano con il filone “negativo”, a partire dalla ricostruzione delle fonti neoplatoniche: il Parmenides di Platone, il Commentarium in Plato Parmenidem e la Theologia Platonis di Proclo e il De divinis nominibus e la Mystica theologia di Dionigi l’Areopagita. La lettura del Non aliud - per Monaco l’ultimo e definitivo “gradino” del percorso — viene affrontata in questo libro sulla scia delle celebri interpretazioni di Werner Beierwaltes, autore della Prefazione, al quale Monaco si richiama nello stile stesso della argomentazione e che cerca di integrare attraverso alcuni riferimenti al dibattito sempre aperto tra interpreti e filosofi, anche lontani dal Cusano, in merito alla questione dell’Inizio.
In particolar modo, Monaco ripercorre in tal senso la linea del filosofo veneziano Massimo Cacciari, correndo tuttavia spesso il rischio di perdere il fuoco dell’analisi cusaniana per dirigerlo sulla ricerca schellinghiana dell’Arché come di un Puro Inizio sciolto dalla creazione (explicatio). Tema forte di alcuni scritti cacciariani. In realtà anche a questo stadio del percorso siamo costretti ad annotare come l’ipotesi trinitaria del principio e il richiamo all’Hen - che Monaco interpreta, con echi di Karl Rahner, attraverso un presunto binomio “Trinità immanente” / “economica” — non siano una conquista dell’ultimo Cusano. In testi come, ad esempio, il De Principio Cusano centra la speculazione proprio sulla possibile coerenza di un Principio al contempo uno e trinitario, configurando un’ipotesi molto lontana dall’impostazione qui emersa e che, al contrario, richiama pienamente tutta la tradizione neoplatonica. Ecco perché il pur nobile tentativo di presentare «il non aliud come una delle più originali riformulazioni che la storia del pensiero occidentale abbia mai conosciuto» nel pensare «quella vertigine del pensiero costituita dall’Uno» è a sua volta inefficace nella misura in cui Cusano si inserisce pienamente nella tradizione precedente senza, in quel punto, decisive innovazioni.
In conclusione, il volume è talora ripetitivo e appare sovradimensionato, nelle occasioni citate è alquanto eccepibile; in particolar modo, il tentativo di presentare il percorso intellettuale del Cusano come un progressivo allontanarsi dalla prospettiva negativa ci sembra malriuscito, sia perché offre un’immagine legittimamente opinabile e chiaramente incompleta dell’itinerarium cusaniano, come si è accennato, sia perché — soprattutto — l’elemento ontologico della filosofia negativa, presente sin dal De docta ignorantia, non risulta mai superato nelle ultime opere ma — anzi! — contribuisce a innervare il continuo combattimento spirituale e intellettuale che ha dato vita alla straordinaria speculazione del Cardinale di Cusa.