Hegel: la conoscenza della Wirklichkeit. Tra metodo matematico e metodo filosofico

Introduzione

Nell’opera hegeliana viene rivolta particolare e significativa attenzione a ciò che è il negativo, che è presentato da Hegel come il motore che muove la vita in vista della sua reale espressione: il suo esser effettualità. «L’essere è assolutamente mediato […] \<ed> è il concetto»,1 e il suo movimento è concepito in virtù di un motore che è il negativo. Col suo Discorso sul metodo,2 Hegel vuole porre in evidenza i limiti e i problemi ricavati dall’analisi dell’assunzione del metodo matematico come metodo filosofico. Il metodo filosofico è rispecchiamento della realtà; per Hegel, esso deve mostrare la verità, l’effettualità del reale. Adottare il metodo matematico come metodo filosofico implicherebbe l’assunzione di un metodo che non rispecchia la realtà per come essa si dà, ma che mostra una realtà senza vita, senza mediazione, poiché esso non assume su di sé il cosiddetto peso del Concetto.

I problemi che riguardano la natura della matematica, riscontrati da Hegel lungo la sua analisi messa in atto nella sua Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, sono diversi: la matematica di per sé non può rivelare alcuna realtà nella sua verità per una difficoltà intrinseca alla sua stessa natura, poiché la verità della matematica è una dimostrazione, e ciò non implica, anzi, esclude il mostrare la vita per come essa veramente si presenta. È la filosofia che per Hegel ha il compito di presentare la verità del reale; l’attività della filosofia non è la dimostrazione – poiché quest’ultima è l’attività della matematica –. La filosofia non dimostra alcunché, e non inizia la propria attività da posizioni assunte a priori e dettate esteriormente rispetto alla cosa da esporre, a differenza dell’attività matematica che agisce esattamente in tale maniera.

La natura della verità matematica in Hegel

Hegel osserva, nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, come la verità matematica non può essere paragonata alla verità della realtà per come essa è, poiché la verità matematica è frutto di un’astrazione intellettuale che non comprende e, quindi, non presenta – per sua stessa natura – alcun movimento appartenente all’oggetto indagato; la dimostrazione matematica è «un operare esteriore alla cosa».3 La critica hegeliana rivolta alla matematica individua dapprima la sua manchevolezza di conoscenza. Hegel in questo modo osserva il carattere aconcettuale e formale della matematica che non mostra la necessaria mediazione per il darsi della verità della cosa. Possiamo comunque osservare come la matematica si serve di una certa mediazione – differente da quella del reale – per portar a termine la formulazione di un dato teorema affinché questo possa risultar vero. Ma la verità del teorema non esprime la sua necessità; la necessità della mediazione, mostrata dalla matematica, viene espressa dal soggetto matematico e non dalla cosa-oggetto stessa: «la dimostrazione non è un momento della cosa»;4 essa, in quanto può essere anche non richiesta, non è quindi necessaria alla verità della cosa stessa; è un alcunché di accidentale che nulla dice circa il suo oggetto – circa «l’oggetto del matematico»5 – «ma è solo un’operazione esterna dell’intelletto».6 Questa natura propria della matematica la porta ad essere inadatta ad esprimere la verità del reale che è, per l’appunto, la sua effettualità. Il carattere dimostrativo della matematica è, per Hegel, dunque, la manchevolezza stessa della matematica. Infatti «nella conoscenza matematica, l’essenza della dimostrazione non ha ancora il significato e la natura di essere momento del risultato stesso»,7 anzi, continua Hegel dicendo che «nel resultato un tale momento [della dimostrazione] è già passato e dileguato».8

Il teorema e la dimostrazione, quindi, non appartengono alla cosità della cosa ma solo al soggetto che le pone, è da esso che partono, ed esso li esprime nella loro accidentalità e non necessità: «il teorema si considera […] come un teorema vero. Ma questa sopraggiunta circostanza non riguarda il suo contenuto […] [bensì] soltanto la sua relazione al soggetto: il movimento della dimostrazione matematica non appartiene all’oggetto, ma è un operare esteriore alla cosa».9 Nell’operare matematico, inoltre, la cosa viene alterata perché la «considerazione»10 di essa sopraggiunge esteriormente. Inoltre, nella Prefazione alla Fenomenologia di Hegel, quest’ultimo opera per la decostruzione del valore del metodo e del sapere matematico – e scientifico lato sensu – che ha la pretesa di dire il vero sulla realtà, quando, invece, esso presenta il vero come un momento immediato e dato a prescindere dal lavoro del negativo. Sotto quest’ultimo punto scrive G. Ripanti che «Il pensiero dogmatico nasce dalla concezione astratta di vero e falso […] [e] tutte le conoscenze che fossero senza […] il travaglio del negativo, sono conoscenze di natura dogmatica o geometrica».11

La facoltà che presiede questo tipo di operazione – quella matematica e scientifica più in generale12 – è da Hegel attaccata: egli conduce la critica al lavoro svolto dall’intelletto;13 su questo punto dice G. Giordano che Hegel attacca «la conoscenza prodotta dall’intelletto […] [messa] in contrapposizione alla conoscenza prodotta dalla ragione, che sola ci può dare il vero (filosofico), il sapere unitario, che non esclude nessuno dei momenti precedenti, ma tutti li ricomprende in un orizzonte di senso. […] [Dunque], La caratteristica dell’operare dell’intelletto è il “separare”».14 Si vuole mostrare come Hegel contrasta direttamente l’opera cartesiana, il modo d’agire del filosofo-matematico, ergo la seconda delle regole esposte e asserite da Cartesio, dove questi esprime la possibilità di conoscere la verità tramite la «scomposizione in elementi costitutivi semplici dei problemi che si vanno affrontando».15 Il risultato che vuole ottenere questa tipologia di riflessione (o indagine intellettualistico-cartesiana), è quello atto ad esprimere il vero contrapposto al falso; ed in questo modo si dischiude la «logica bipolare del vero e del falso»,16 dove ciò che conta è scoprire ciò che è vero contrapposto a un presunto ineffettuale, in altre parole, contrapposto al falso. Il risultato di questo approccio riduzionista è lo schernimento e il depotenziamento del negativo; la potenza del negativo è la potenza che muove la vita ed è ad essa necessaria; quindi, il negativo non può pensarsi contrapposto al vero ma insieme ad esso: l’unità degli opposti è ciò che deve esser considerata come il vero, dunque, il pensamento del vero e del falso insieme. La ragione è, per Hegel, ciò che scopre questa verità, la verità. La ragione è quella facoltà che abolisce le pseudo-conoscenze prodotte dalla parcellizzazione operata dall’intelletto; la ragione ha la capacità di tenere insieme le parti del tutto per pensare la verità che è il tutto, considerando il tutto per come esso si presenta, vale a dire: pensando il vero e il falso insieme, come momenti distinti del tutto, ma anche, e soprattutto, come momenti uniti.

Cosa intende qui Hegel? Vuol dire che gli opposti non sono l’identica cosa dentro o fuori la loro sintesi: gli opposti sono prima della sintesi qualcosa di tutt’altro che dopo la sintesi. Prima dell’unità sono momenti opposti e basta: […] vero-falso. Il loro esser-altro completo corrisponde a ciò che precede l’unità; nell’unità o sintesi, dove il falso, che non è più come falso, è un momento della verità.17

È tramite la potenza della ragione che lo spirito trova se stesso e scopre l’assoluto per come esso è veramente; realmente «lo Spirito è questa potenza solo in quanto guarda in faccia il Negativo e si sofferma presso di lui. Questo soffermarsi è la forza magica che volge il Negativo nell’essere».18 L’intelletto non dà, dunque, alcuna verità, perché pensare l’essere significa pensare anche il negativo, mentre l’operazione dell’intelletto è, come abbiamo già visto, la negazione del negativo. Mostrare il ruolo del negativo significa mostrare la vita, e, quindi, l’essere per come esso è in verità.

Nella prospettiva hegeliana […] proprio il falso, come negativo, diviene il motore che conduce al vero. È la ragione che ci fa cogliere il vero come “intero”, come “processo” e “risultato”. L’intelletto è invece “tabellesco” presenta solo risultati staccati quasi dal contesto e, soprattutto, tolti dal processo che li ha prodotti; è assolutamente superficiale.19

Inoltre, secondo Hegel è un dogmatismo quello di pretendere di conoscere e di esprimere la verità immediatamente e definitivamente. La verità non è statica, e quindi non può essere espressa nella sua immediatezza. Hegel comprende bene che, anche un singolo dato riportato dal contesto storico, anche la singola informazione più disparata non può essere di certo data né immediatamente, né definitivamente. Infatti, scrive:

A questioni come le seguenti: quando sia nato Cesare, quante tese facciano uno stadio, e quale stadio, ecc., si deve dare una risposta netta; proprio come è esattamente vero che nel triangolo rettangolo il quadrato dell’ipotenusa è eguale alla somma dei quadrati dei cateti. Ma la natura di una tale così detta verità è diversa dalla natura di verità filosofiche.20

A questioni di tal genere, che possono sembrare meri quesiti di storia, non possiamo dare risposta immediata, seppure sembrerebbe che ad essi si possa rispondere immediatamente. C’è invece un mondo fatto di ricerca e di sviluppo alle spalle di una risposta ad un quesito come “quando è nato Cesare”; una volta data la risposta, sembrerebbe essere – erroneamente –, alla vista dei più, o ancora, per il senso comune, una soluzione arrivata semplicemente ed istantaneamente. Invece, «abbiamo bisogno di tutta una serie di informazioni e concetti (resoconti, narrazioni storiche [ecc.] […]) che potrebbero addirittura fare cambiare in seguito la datazione»,21 dunque, «tali nude verità, come quelle sopra citate ad esempio, non sono senza il movimento dell’autocoscienza».22 Hegel, inoltre, attacca ancora più in profondità la matematica, ne contesta il metodo: la matematica avanza seguendo un approccio logico-deduttivo, vive di dimostrazioni, a partire da teoremi dettati esteriormente rispetto alla cosa-oggetto da conoscere; ne consegue che: «Del sapere matematico, Hegel critica innanzitutto l’esternità del conoscere all’oggetto conosciuto, l’estraneità del soggetto rispetto ai contenuti della sua attività».23 La dimostrazione che, come abbiamo già detto, è l’agire proprio della matematica, è l’astrazione portata a compimento dall’intelletto ed è l’inessenziale rispetto all’oggetto da conoscere; la dimostrazione non è necessaria perché non appartiene all’automovimento dell’oggetto. L’astrazione che compie la dimostrazione non ci dice nulla circa la verità della cosa.

Il contenuto della geometria non è dotato di automovimento, non è esso stesso divenir-altro-a-se-stesso. L’articolazione del sapere che ha luogo nella dimostrazione non proviene dall’oggetto, bensì è imposta a quest’ultimo dal soggetto della conoscenza.24

Sostiene Ripanti:

Certamente, nelle matematiche non basta sapere i teoremi d’Euclide per ritenersi geometra, ma occorre anche sapere le dimostrazioni; tuttavia la dimostrazione non è un momento della cosa, della materia oggetto del matematico, ma è solo un’operazione esterna dell’intelletto.25

Il messaggio hegeliano è ancora una volta limpido nelle sua dichiarazione: «Nel conoscere matematico la considerazione è un operare che, per la cosa, vien da fuori: ne segue quindi che la cosa vera viene alterata»,26 perché l’attività astraente dell’intelletto, applicandosi all’oggetto non ne coglie la sua verità ma lo altera; tale astrazione fa scomparire l’oggetto smembrandolo e trasformandolo in altro all’infuori di sé – a differenza dell’attività filosofica27 – perché nella attività matematica non c’è la considerazione della necessità del movimento dell’oggetto, ossia, del Concetto.

La dimostrazione delle proprietà del triangolo rettangolo contiene la falsità dell’astrazione isolante dell’intelletto, costruisce un qualcosa che non è un automovimento del triangolo stesso, ma un qualcosa di posto dall’esterno; la dimostrazione, la costruzione, non è necessaria, segue una finalità che non è propria dell’oggetto stesso.28

È chiaro che la critica hegeliana colpisce alla base la struttura della logica ipotetico-deduttiva: Hegel osserva come la deduzione non trova la sua conoscenza a partire dal suo proprio contenuto, poiché essa la riceve dall’esterno: il fondamento della conoscenza deduttiva è un universale accettato aprioristicamente; ne segue che la forma del ragionamento ipotetico-deduttivo non rispecchia l’essenza del contenuto perché è ad esso applicata esteriormente: la forma non è posta, con il contenuto, in una vera unità poiché il contenuto è, da sempre, estraneo nella sua essenza alla forma del ragionamento. La logica deduttiva può annunciare una verità di fatto, una verità di forma, ma non una verità effettuale. Il bersaglio di Hegel è il sillogismo aristotelico: rispettando i canoni della forma sillogistica non è detto che si ottenga una correlazione esatta tra il processo e il fine, proprio perché il risultato è avulso rispetto al processo proposizionale.29 Vale la pena riportare una citazione di Hegel proprio in merito alle considerazioni che egli fa sulla logica classica, su dove la si possa riscontrare, in altre parole in quali casi questa logica viene ad osservarsi, e la differenza che corre tra questa e la proposizione speculativa che è propria, invece, della logica-filosofica:

Tuttavia, le forme che sono rappresentate nelle opere aristoteliche come forme logiche sono solo forme del pensare proprio dell’intelletto, e non del pensare speculativo, esse non sono le forme della razionalità in quanto distinta dalle funzioni dell’intelletto: si tratta invece della logica del finito. E proprio per ciò si deve acquistarne nozione: infatti, nell’ambito del finito, la si ritrova dappertutto. Ad esempio, in matematica [corsivo mio] si ha a che fare con un incessante dedurre. Nella giurisprudenza ed in altre scienze vige la sussunzione del particolare sotto l’universale e la congiunzione dei medesimi. Esse sono le forme caratterizzanti all’interno della coscienza finita e vi sono numerose scienze, conoscenze, eccetera che non conoscono e non abbisognano di nessun’altra forma del pensare, in quanto si servono solo delle forme del pensare finito.30 Pertanto esse esprimono il metodo generale delle scienze ordinarie: ne sono il fondamento. Tuttavia esse sono solo relazioni di determinazioni finite, ed il sillogismo è l’intero, la totalità di queste determinazioni; il sillogismo è razionale proprio in quanto è la forma assunta dalla razionalità sul piano dell’intelletto.31

Ma Hegel pone una differenza tra sillogismo posto sul piano dell’intelletto e sillogismo posto sul piano dell’assoluto. Il primo ha la “virtù” del “qualunquismo” perché «Sul piano dell’intelletto […] il sillogismo ha il senso di collegare un qualunque [corsivo mio] contenuto con un’altra determinazione».32 Sul piano del sillogismo assoluto, invece, questo ha «un senso per il quale un oggetto o un soggetto […], si collega con se stesso, in maniera che si dia un terzo elemento che sia l’unità dei due precedenti».33 E ancora, per concludere questo aspetto, Hegel aggiunge che: «Sul piano dell’intelletto, il sillogismo consiste nel passare, per via deduttiva, da una determinazione ad un’altra. L’unità costituisce il momento essenziale del contenuto speculativo ed esprime la natura speculativa del sillogismo razionale».34 Hegel pone anche in evidenza la differenza tra le scienze empiriche – differenti dalle scienze deduttive35 – e la scienza speculativa , filosofica. Premettiamo che la filosofia, secondo Hegel, deve «concordare con l’esperienza della natura»36 e la sua formazione presuppone la fisica empirica; il contenuto della filosofia della natura che deve corrispondere all’empiria, comunque vede l’esclusione dell’intuizione che invece veniva posta da Schelling, infatti: «un richiamo a quel che è stato detto intuizione; la quale non suol essere altro che rappresentazione e fantasia […] procedente secondo analogie [è inammissibile]».37 La differenza radicale tra le scienze empiriche e la scienza speculativa è quella dettata dal fatto che, le scienze ordinarie «possono fare ipotesi ed assumere metodi»,38 mentre la filosofia «deve giustificare anche le sue ipotesi e i suoi metodi».39 Le scienze empiriche, come accennato precedentemente, sono differenti rispetto alle scienze deduttive,40 in quanto «divergono dai canoni hegeliani della scienza, e possono essere recuperate alla filosofia solo se sono ravvivate dal pensiero, che le predispone ad una considerazione filosofica».41 Le scienze deduttive, invece, non possono essere rifiutate dall’interessamento filosofico perché sono «scienze dell’intelletto».42

Dobbiamo adesso considerare il ruolo dell’intelletto nella logica hegeliana, infatti, secondo Hegel das Logisches:43 «ha tre momenti: l’astratto o intellettuale [che è il momento delle determinazioni rigide e differenziate tra di esse], il dialettico o negativo-razionale, e lo speculativo, o positivo-razionale».44 Nella logica speculativa è presente – è conservata – la logica ordinaria, quella dell’intelletto; lo schema rappresentativo della logica hegeliana è evidenziazione del ruolo necessario giocato dal pensiero intellettivo affinché possa nascere l’unità degli opposti, ed è per questo che Hegel considera parte del pensiero speculativo l’opera astraente dell’intelletto; ed è per questo che quest’ultima si differenzia in particolar modo dalle scienze empiriche. Si deve osservare, più esplicitamente, come avvenga l’unità degli opposti secondo la logica hegeliana:

Il secondo [momento – il negativo razionale –] è quello in cui [le determinazioni finite poste dall’intelletto] si sopprimono da sé e passano in quelle opposte. Il terzo [momento] “concepisce l’unità delle determinazioni nella loro opposizione; ed è ciò che vi ha di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso”.45

Continua Moretto affermando che, a partire dall’attività dell’intelletto quale primo momento della logica di Hegel «L’Aufhebung dialettica prende il concetto astratto, e lo eleva a momento di una superiore unità, ma non lo sopprime».46 L’esempio di scienza dell’intelletto che qui vogliamo maggiormente tenere in considerazione è quello della matematica. La matematica per Hegel si fonda costitutivamente tenendo come punto di riferimento dei principi primi indimostrabili dai quali, poi, scaturisce la dimostrazione. La costituzione delle scienze dell’intelletto, e più nello specifico, della matematica, trova la sua formazione negli Elementi di Euclide, i quali, in sostanza sostengono che «vi sono delle definizioni degli oggetti su cui si opera, e i princìpi, ossia delle proposizioni prime indimostrate da cui prende le mosse la dimostrazione».47 Qual è allora il compito che qui gioca la filosofia? Hegel rispetta il metodo matematico, ne evidenzia la sua valenza; la filosofia, nei suoi confronti, può avanzare su due piani diversi: in primis può «migliorare l’ordine espositivo»;48 in secundis può mostrare una giustificazione filosofica degli assiomi utilizzati in matematica. Inoltre, Hegel osservava che la matematica è una scienza deduttiva perché «le conseguenze di una proposizione si ottengono, come per la sintesi, applicando regole logiche di deduzione».49 In riferimento alla relazione tra matematica e filosofia, secondo Moretto, Hegel si posiziona alla stregua di Kant «il quale aveva detto che la filosofia trascendentale doveva giustificare i princìpi della stessa matematica».50

Matematica quale indagine della quantità e non della qualità

«Hegel ravvisa il limite della matematica nel fatto che essa si occupa esclusivamente di quantità, di grandezze»,51 ed è per questo che tralascia l’essenza del reale, poiché per sua stessa natura procede in superficie e non tocca il concetto, la cosa stessa. Il filosofo tocca anche un altro aspetto della matematica, che esteriormente si può osservare fin da subito come una manchevolezza naturale della stessa. Infatti, a differenza della filosofia che mostra la necessità della cosa, la necessità che porta al risultato, e che conduce, quindi, alla verità, nella matematica questo discorso non vale perché la dimostrazione non è propria della cosa, non è ad essa necessaria. Con le parole di Moretto possiamo dire che:

Il processo assume un carattere soltanto strumentale, non è essenziale al risultato che si tratta di dimostrare. Il risultato è esterno al processo da cui risulta, è concepibile e determinabile anche in assenza del movimento che lo dimostra. Viceversa, quest’ultimo non produce risultato come suo esito immanente, ma come un fine ad esso assegnato soltanto dal soggetto del sapere. Alla reciproca estraneità di soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto, si accompagna quella tra processo e risultato, movimento e fine.52

Hegel critica la matematica nel suo essere attività astratta in riferimento all’analisi che essa dà del suo oggetto; infatti, l’oggetto che esamina la matematica diventa oggetto irreale per diverse ragioni. Innanzitutto, la matematica “divide” il suo oggetto in più parti, come nel caso del triangolo dell’esempio hegeliano, dove:

l’intero che viene «smembrato» non attua un movimento di autoposizione tramite divenir-altro e riflessione di se stesso in questo altro, bensì è ridotto in pezzi dall’attività che il soggetto, mentre costruisce la dimostrazione, esercita su di esso come oggetto inerte.53

L’oggetto matematico è un oggetto morto, dunque irreale, che non presenta auto-movimenti, fissato in uno spazio altrettanto irreale ed immobile. Infatti, lo spazio per Hegel non può essere quello matematico, non può essere un «loculo dove si deponga un qualcosa, isolandolo dalla realtà; lo spazio reale è […] “ambiente”, luogo di interscambio con i corpi presenti e fra i corpi».54 G. Giordano acutamente osserva la contemporaneità di Hegel e la reciprocità della sua filosofia con le ultime scoperte della sua stessa epoca, ovvero «la sua sintonia con la scienza più avanzata del suo tempo, la scienza che scopre il Secondo principio della Termodinamica».55 D’altronde, osservando le posizioni della biologia organismica, che si sviluppa durante il Novecento e che si oppone alle correnti del meccanicismo e del vitalismo, si noterà la correlazione esistente tra le considerazioni hegeliane e quelle biologiche. Vale la pena leggere un passaggio in cui il fisico F. Capra annuncia le posizioni della prima scuola organicistica, osservando come si è andato a sviluppare il pensiero sistemico:

Ross Harrison, uno dei primi esponenti della scuola organicistica, studiò il concetto di organizzazione, che gradualmente stava finendo per sostituire la vecchia nozione di funzione in fisiologia. Questo spostamento della funzione all’organizzazione rappresenta uno spostamento dal pensiero meccanicistico a quello sistemico, dato che il concetto di funzione è essenzialmente meccanicistico. […] Il biochimico Lawrence Henderson fu il primo a usare il termine «sistema» per indicare tanto gli organismi viventi quanto i sistemi sociali. Da allora in poi, il termine «sistema» ha assunto il significato di un tutto integrato le cui proprietà essenziali derivano dalle relazioni fra le sue parti, e «pensiero sistemico» definisce la comprensione di un fenomeno nel contesto di un insieme più ampio.56

È naturale allora avanzare una correlazione logica tra le osservazioni hegeliane e la biologia del Novecento circa lo studio della realtà, della vita, ed è da queste prospettive che si possono ben osservare le critiche che Hegel avanza nei confronti dei comportamenti matematici che egli ravvisa come riluttanti rispetto alla realtà per come effettualmente si presenta. Hegel scrive:

l’effettuale non è un qualcosa di spaziale, come vien considerato dalla matematica; di una tale ineffettualità costituita come le cose della matematica non si impacciano né la concreta intuizione sensibile, né la filosofia. In un elemento così ineffettuale non può capire che un vero ineffettuale, fatto di proposizioni rigide e morte; dopo ognuna di queste proposizioni si può far punto; la seguente ricomincia per conto proprio,57 senza che la prima accenni a muoversi verso l’altra, e senza che a questo modo sorga una connessione necessaria attraverso la natura della cosa stessa.58

Hegel dice ciò di cui la matematica si occupa, ovvero della «grandezza, la differenza inessenziale»;59 infatti, la matematica nel suo movimento non considera le differenze essenziali e il passaggio nelle loro rispettive opposizioni; la matematica viene definita da Hegel come un formalismo che «procede sulla linea dell’eguaglianza». Hegel quando parla degli oggetti della matematica, infatti, parla del «mortuum […] \<che> non muove se medesimo, non giunge alle differenze dell’essenza, non all’opposizione o ineguaglianza essenziale, […] all’automovimento».60 Il carattere della matematica, dunque, non coglie l’essenza, dice Hegel. Ciò che per secoli è stato indagato è «l’aspetto quantitativo ed omogeneo dei fenomeni, contro l’eterogeneo e il complesso,61 qualità ritenute trascurabili e marginali».62 Il pensiero moderno credeva che solo col linguaggio matematico si poteva arrivare ad una conoscenza vera ed oggettiva, rispetto alla complessità dei differenti punti di vista dei soggetti. Addirittura, la conoscenza matematica eguagliava l’uomo e il divino; il sapere matematico era ciò che le due dimensioni condividevano: «Il processo della certezza matematica, eguagliava perfino l’uomo alla divinità, perché gli consentiva di comprendere il Reale con la stessa perfezione».63 D’altronde, un esempio di questa credenza lo possiamo riscontrare anche in G. Galilei quando dice che: «quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l’istessa che conosce la sapienza divina».64 L’idea che si è avuta circa la conoscibilità dell’universo è stata espressa dalla credenza che questo potesse esser descritto e capito seguendo delle regole stabili e immutabili, che seguono una logica lineare di causalità, perfettamente conoscibili.

La conoscenza filosofica richiama l’essenza della realtà che viene invece ignorata dalla conoscenza di tipo matematico, quest’ultimo preferisce una conoscenza che sia legata a oggetti stabili e immutabili – ma d’altronde inesistenti – in modo tale che questi possano essere perfettamente ed interamente conoscibili e gestibili; eppure questa non è conoscenza della realtà, ma è la verità dell’irrealtà; invece, d’altro canto, «Si conosce ciò che non possiede un’essenza stabile e immodificabile, ma che ha un’identità acquisita dopo un lungo processo»:65 così Gembillo, con una breve espressione ripercorre la logica presente nella filosofia hegeliana: per Hegel la conoscenza è «il conoscere effettuale […] \<dove> la cosa […] non è esaurita nel suo fine bensì nella sua attuazione; né il resultato è l’Intiero effettuale; anzi questo è il resultato con il suo divenire».66 La conoscenza matematica non ha a che fare con l’eterogeneo, con le determinazioni concrete, con la vita, bensì astrae dalla realtà per sua stessa natura e rende l’eterogeneità della vita, omogenea. L’attività filosofica – per come è pensata da Hegel, e che presenta anche un’interessante personalità didattico-pedagogica – è ovvio che «sconvolge il tradizionale approccio quantitativo al Reale e impone il superamento delle generalizzazioni tipiche del procedere matematico».67 La filosofia hegeliana non si occupa del Mortuum, ma si occupa di ciò che è effettuale; vale la pena leggere con le stesse parole di Hegel il compito della corretta attività conoscitiva:

La filosofia al contrario non considera la determinazione inessenziale, ma la considera in quanto è essenziale; non l’astratto o l’ineffettuale è il suo elemento e contenuto, ma l’effettuale, che è ciò che pone se stesso e vive in se stesso, l’essere determinato che è nel proprio concetto. L’elemento della filosofia è il processo che si crea e che percorre i suoi momenti, e questo intero movimento costituisce il positivo68 e la verità di esso.69

La verità filosofica, allora, non è una verità colta per intuizione ed immediatamente – come voleva Schelling70 – ma è verità perché segue il processo del concetto, perché vede il vero esclusivamente nell’unità del percorso e della fine del percorso stesso; la verità filosofica è dettata dalla mediazione e viene colta, dunque, solo seguendo il processo che si crea e si sviluppa tramite i suoi momenti. D’altronde, che la dimostrazione matematica non può cogliere l’assoluto, e dunque, la totalità della realtà e la sua effettualità, lo dichiarava anche A. Einstein: «Descrivere ogni cosa in modo scientifico sarebbe possibile, ma assurdo. Non avrebbe senso, sarebbe come descrivere una sinfonia di Beethoven in base alla variazione della pressione dell’onda».71 Del resto «come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Ci sono delle realtà che non sono quantificabili. L’universo non è i miei numeri: è pervaso tutto dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto».72

Ernst Kol'man e Sonia Yanovskaya sostengono che in Hegel si possono leggere due differenti concezioni del tempo in riferimento al campo della matematica: da un lato c’è il tempo nella concezione della «matematica pura»;73 dall’altro c’è il tempo concepito dalla «matematica applicata».74 Secondo gli autori sopracitati, si può dire che Hegel considera la fisica – matematica applicata – un passo avanti rispetto alla matematica pura; la fisica è più attaccata alla realtà perché concepisce il tempo come movimento:

Being the science of the abstract determination of quantity, mathematics can only portray one side of reality. Between it and physics there is already an essential difference, a node, a transition to the new quality. For physics already researches matter from the qualitative essential side. Its molecules, atoms and electrons are no longer indifferent relationships in which mutually differing things can emerge without changing their quality, but precisely molecules, atoms and electrons in the wholeness of their particularity, the specific way they arise and develop. Therefore physics cannot be reduced to mathematics; the role of mathematics in science is limited. This standpoint is diametrically opposed to that of Kant, according to which science is only worthy of the name to the extent that mathematics finds a place in it.75

Hegel, anche letto sotto quest’ottica materialistica, non poteva considerare la matematica come una filosofia proprio perché non è una scienza che si occupa del concetto. Dallo sguardo che Hegel rivolge alla limitatezza del sapere geometrico moderno, apriamo adesso le porte del mondo contemporaneo mostrando gli sviluppi che sono stati portati avanti durante il Ventesimo secolo, che hanno permesso all’analisi matematica di descrivere la complessità della realtà, prima di allora ignorata. Certamente la matematica non costituisce per Hegel la disciplina che può attuare un’analisi qualitativa del reale, bensì quantitativa, ma all’inizio del Ventesimo secolo si è verificata una netta separazione dall’attività matematica “classica”. La consapevolezza della complessità del mondo, la scoperta e lo sviluppo delle teorie dell’auto-organizzazione che fanno riferimento a sistemi complessi, hanno portato su un nuovo piano di coscienza l’analisi matematica. Con le parole del fisico F. Capra possiamo dire che:

Le teorie e i modelli di auto-organizzazione […] si riferiscono a sistemi di elevata complessità che coinvolgono migliaia di reazioni chimiche interdipendenti. Nel corso degli ultimi trent’anni i concetti e le tecniche per affrontare questa enorme complessità hanno formato un insieme che comincia a delinearsi come un quadro di riferimento matematico coerente. Non c’è ancora un nome definitivo per questa nuova matematica76 [corsivo mio]. Detta volgarmente «matematica della complessità», tecnicamente viene definita come «teoria dei sistemi dinamici», […] o «dinamica non lineare».77

La matematica della complessità presenta un naturale distacco rispetto alla scienza classica e alle indagini portate avanti dalle “classiche” equazioni lineari. Infatti:

La nuova matematica […] è una matematica delle relazioni e delle configurazioni (patterns). È qualitativa piuttosto che quantitativa, ed è dunque un’espressione concreta dello spostamento dell’attenzione che è proprio del pensiero sistemico: dagli oggetti alle relazioni, dalla quantità alla qualità, dalla sostanza alla configurazione. Lo sviluppo di grandi computer ad alte prestazioni ha avuto un ruolo cruciale nel raggiungimento di questa nuova padronanza della complessità. […] oggi i matematici sono in grado di risolvere equazioni complesse78 [corsivo mio] che in precedenza non sapevano come affrontare. […] In questo modo essi hanno scoperto nuovi schemi qualitativi nel comportamento di quei sistemi complessi, un nuovo livello di ordine nascosto sotto il caos apparente.79

Capra apre un’altra parentesi interessante mostrando in pochi passaggi le ultime osservazioni fatte circa il mondo naturale, e gli studi che in riferimento a quest’ultimo si stanno sempre più compiendo:

Il cambiamento decisivo compiuto negli ultimi trent’anni è consistito nel riconoscere che la Natura, come afferma Stewart, è «inesorabilmente non lineare». I fenomeni non lineari dominano il mondo inanimato molto più di quanto avessimo immaginato, e sono un aspetto essenziale degli schemi a rete dei sistemi viventi. La teoria dei sistemi dinamici è la prima teoria che consente gli scienziati di occuparsi di questi fenomeni non lineari in tutta la loro complessità.80

Possiamo così comprendere maggiormente come Hegel avesse ben osservato i limiti della matematica euclidea: l’infondatezza di descrivere la realtà, di rappresentarla, chiudendola in un “immobilismo” che non le appartiene.


  1. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, tr. it. e a cura di E. De Negri, 7° ed., Storia e Letteratura, Roma 2021, vol. I, pp. 29-30. ↩︎

  2. Si veda G. Gembillo, Il “Discorso sul Metodo” di Hegel, in G.W.F. Hegel, Prefazione, a cura di G. Gembillo e D.Donato, Rubbettino, Catanzaro 2006. ↩︎

  3. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, vol. I, cit., p. 33. ↩︎

  4. G. Ripanti, L’epistème hegeliana, QuattroVenti, Urbino 1997, p. 46. ↩︎

  5. Ibidem↩︎

  6. Ibidem↩︎

  7. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, vol. I, cit., p. 33. ↩︎

  8. Ibidem↩︎

  9. Ibidem↩︎

  10. Ivi, p. 34. ↩︎

  11. G. Ripanti, L’epistème hegeliana, cit., pp. 45-46. ↩︎

  12. Si fa riferimento alle scienze particolari. ↩︎

  13. È l’intelletto la facoltà che presiede alle attività matematica e scientifica. ↩︎

  14. G. Giordano, Dimostrazione filosofica e dimostrazione matematica nella “Prefazione” alla Fenomenologia, in La Fenomenologia dello Spirito dopo duecento anni, a cura di G. Cotroneo et al., Bibliopolis, Napoli 2005, p. 290. ↩︎

  15. Ivi, p. 291. ↩︎

  16. Ibidem↩︎

  17. G. Ripanti, L’epistème hegeliana, cit., p. 45. ↩︎

  18. G.W.F. Hegel, Prefazione, cit., p. 45. ↩︎

  19. Ivi, pp. 292-293. ↩︎

  20. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit. p. 32. ↩︎

  21. G. Giordano, Dimostrazione filosofica e dimostrazione matematica, cit., p. 294. ↩︎

  22. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 32. ↩︎

  23. G. Rametta, Filosofia come «sistema della scienza». Introduzione alla lettura della Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel, Inschibboleth, Roma 1992, p. 238. ↩︎

  24. Ibidem↩︎

  25. G. Ripanti, L’epistème hegeliana, cit., p. 46. ↩︎

  26. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 34. ↩︎

  27. La filosofia mostra invece, in virtù della facoltà della ragione, l’automovimento proprio dell’oggetto. Si veda G.W.F. Hegel, Prefazione, cit. ↩︎

  28. G. Giordano, Dimostrazione filosofica e dimostrazione matematica, cit., p. 296. ↩︎

  29. Sia chiaro che Hegel non ha mai riscontrato nella logica di Aristotele l’applicazione concreta del suo sillogismo. Si legge in G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di R. Bordoli, 7° ed., Laterza, Bari 2020, p. 317: «Aristotele è lo scopritore della logica ordinaria, quella propria dell’intelletto, le cui forme concernono solo il rapporto d’una cosa finita con un’altra cosa finita. È però da notare che la sua logica non è fondata su questo [corsivo mio] e che essa non si basa su questi rapporti caratteristici dell’intelletto; Aristotele non procede secondo queste forme del sillogismo [corsivo mio]». ↩︎

  30. Qui si può osservare come Hegel dichiari l’autonomia delle scienze particolari e il rispetto nei confronti dei loro metodi; si veda G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, tr. it. di B. Croce, 6° ed., Laterza, Roma-Bari 2021. In merito a questa questione scrive A. Moretto, Filosofia della matematica e della meccanica nel sistema hegeliano, 2° ed., Il Poligrafo, Padova 2004, p. 37: «La filosofia […] secondo l’insegnamento di Platone, deve arrivare a “togliere” […] le ipotesi per attingere al principio anipotetico. Ciò nondimeno, per togliere le ipotesi è prima necessario che vengano poste delle ipotesi. La scienza filosofica non esclude pertanto la scienza ordinaria: è invece una riflessione sulla scienza ordinaria [corsivo mio]. Hegel si oppone al fatto che sia dato il nome di filosofia alle discipline che si limitano alla riduzione dei fenomeni alla sola empiria». ↩︎

  31. G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, cit., pp. 316-317. ↩︎

  32. Ivi, cit. p. 317. ↩︎

  33. Ibidem↩︎

  34. Ibidem↩︎

  35. Si veda A. Moretto, Filosofia della matematica e della meccanica, cit., p. 39 e sgg. ↩︎

  36. Ivi, p. 36. ↩︎

  37. G.W.F. Hegel, Enciclopedia, cit., p. 220. ↩︎

  38. A. Moretto, Filosofia della matematica e della meccanica, cit., p. 37. ↩︎

  39. Ibidem↩︎

  40. Possono considerarsi scienze deduttive, per Hegel: la geometria, la meccanica razionale, la logica formale – aristotelica, che già abbiamo evidenziato in questo stesso paragrafo essere prodotta dall’intelletto –, l’aritmetica e l’analisi. ↩︎

  41. A. Moretto, Filosofia della matematica e della meccanica nel sistema hegeliano, cit., p. 40. ↩︎

  42. Ibidem↩︎

  43. Il logico. ↩︎

  44. Ibidem↩︎

  45. Ivi, p. 41. ↩︎

  46. Ibidem↩︎

  47. Ibidem↩︎

  48. Ivi, p. 42. ↩︎

  49. Ibidem↩︎

  50. Ibidem↩︎

  51. G. Giordano, Dimostrazione filosofica e dimostrazione matematica, cit., p. 296. ↩︎

  52. G. Rametta, Filosofia come «sistema della scienza», cit., pp. 238-239. ↩︎

  53. Ivi, p. 239. ↩︎

  54. G. Giordano, Dimostrazione filosofica e dimostrazione matematica, cit., p. 297. ↩︎

  55. Ibidem↩︎

  56. F. Capra, La rete della vita, tr. it. di C. Capararo, 13° ed., Bur, Milano 2021, p. 38. ↩︎

  57. Si osserva come Hegel mostra la non necessità del movimento, in questo caso, e, dunque, la mancanza di attività speculativa. Non c’è una reale giustificazione della giustapposizione delle proposizioni, che, invece, rimangono per conto proprio nella loro giustapposizione senza che ci sia, tra esse, un – reale – legame. ↩︎

  58. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, vol. I, cit., p. 35. ↩︎

  59. Ivi, p. 36. ↩︎

  60. Ibidem↩︎

  61. Hegel concepisce la complessità della vita che non viene studiata dai suoi contemporanei, dalle scienze, dalla matematica in questo caso specifico, che invece si occupa dell’inessenziale, ovvero, di ciò che in natura non esiste: si occupa del “non-complesso”. ↩︎

  62. L. Nucara, Dalla conoscenza alla cognizione, in AA. VV., Conoscere è fare. Omaggio a Humberto Maturana, Armando Siciliano Editore, Messina 2008, p. 243. ↩︎

  63. Ibidem↩︎

  64. G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi, a cura di L. Sosio, Einaudi, Torino 1975, p. 131. ↩︎

  65. G. Gembillo, Conoscere e fare da Vico a Maturana, in Conoscere è fare, cit., p. 12. ↩︎

  66. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 3. ↩︎

  67. G. Gembillo, Conoscere e fare da Vico a Maturana, in Conoscere è fare, cit., pp. 13-14. ↩︎

  68. Si può osservare come qui Hegel si riferisca all’ultima tappa – prima del ricominciamento ciclico – della sua logica, ovvero, si è arrivati al momento speculativo, o positivo-razionale↩︎

  69. G.W.F. Hegel, Prefazione, cit. p. 53. ↩︎

  70. Scrive Hegel, tra le tante critiche e osservazioni circa l’inessenzialità della filosofia schellinghiana, in G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 8: «Questo parlare da profeti crede di restarsene nel centro e nel profondo della cosa; getta uno sguardo sprezzante sulla determinatezza (il horos) e, a bella posta, si tiene a distanza dal concetto e dalla necessità […] Ma come c’è una vuota estensione, così c’è una vuota profondità […] Parimente, quando quell’aconcettuale sapere sostanziale vuol dare ad intendere di avere affondata nell’essenza la peculiarità del e di filosofare veracemente e santamente, nasconde allora a se medesimo che invece di esser devoto al suo Dio, con il dispregio della misura e della determinazione, ora lascia in se stesso il campo libero all’accidentalità del contenuto». ↩︎

  71. A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso, a cura di A. Calaprice e tr. it. di S. Coyaud, [EPub], Mondadori, Milano 1999, p. 395. ↩︎

  72. M. Canciani, Vita da prete, 1° ed., Mondadori, Milano 1991, p.94. ↩︎

  73. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 36. ↩︎

  74. Ibidem↩︎

  75. E. Kol'man, S. Yanovskaya, Hegel & Mathematics, in Marx's Mathematical Manuscripts, New Park Publications, London 1983, https://www.marxists.org/reference/subject/philosophy/works/ru/kolman.htm. Tr. it.: «Essendo la scienza della determinazione astratta della quantità, la matematica può rappresentare solo un lato della realtà. Tra essa e la fisica c'è già una differenza essenziale, un nodo, un passaggio alla nuova qualità. Perché la fisica ricerca già la materia dal lato qualitativo essenziale. Le sue molecole, atomi ed elettroni non sono più relazioni indifferenti in cui possono emergere cose reciprocamente diverse senza cambiarne la qualità, ma proprio molecole, atomi ed elettroni nella totalità della loro particolarità, nel modo specifico in cui sorgono e si sviluppano. Quindi la fisica non può essere ridotta alla matematica; il ruolo della matematica nella scienza è limitato. Questo punto di vista è diametralmente opposto a quello di Kant, secondo il quale la scienza è degna di questo nome solo nella misura in cui la matematica vi trova posto». ↩︎

  76. Fanno parte di questa nuova matematica la teoria del caos e la teoria dei frattali; sono due branche fondamentali della teoria dei sistemi dinamici↩︎

  77. F. Capra, La rete della vita, cit., p. 130. ↩︎

  78. Sono equazioni non-lineari. Esistono dalla fine del secolo Decimonono due differenti strumenti matematici (accomunati per l’utilizzo delle equazioni lineari) per la costruzione dei modelli fenomenici: le equazioni del moto in riferimento ai sistemi semplici, e le equazioni termodinamiche in riferimento ai sistemi complessi. Comunque sia, non venivano utilizzate – o venivano raramente utilizzate – equazioni non-lineari perché presentavano una complessità tale da renderne complicata la risoluzione: le equazioni non-lineari venivano perciò “volgarmente linearizzate”, ma così facendo si continuava a perdere il senso della complessità della realtà, della vita. ↩︎

  79. Ivi, p. 131. ↩︎

  80. Ivi, p. 141. ↩︎