1. «Riconoscitori di forme» e intuizione eidetica
In questo lavoro si intende concentrarsi su due poli complementari: quello di percezione e quello di percepito. Entrambe queste tematiche sono state approfondite in due contesti apparentemente molto distanti, quello fenomenologico di Husserl (come relazione tra soggetto e ambiente) e quello di Ray Kurzweil (saggista, inventore e imprenditore statunitense) che ha dedicato la sua vita allo sviluppo di interfacce artificiali in grado di comprendere ed elaborare il linguaggio umano, sia scritto che parlato. Rifacendosi al desiderio di Cartesio nel determinare cosa renda effettiva la nostra conoscenza del mondo e se esistano dei principi indubitabili che ne possano garantire la apoditticità, Husserl si impone un distacco dalla prospettiva idealistica. Il filosofo tedesco dimostra la volontà di rifiutare un riduzionismo che fa capo solo alla dimensione interna del soggetto e parallelamente l’intenzione di non escludere una componente così fondamentale dell’analisi del reale1 quale la datità dell’esperienza. Ciò che viene proposto è una correzione dell’Idealismo tramite un ritorno alla realtà effettiva delle cose e un tentativo di rendere giustizia all’esigenza di oggettività che un richiamo a una coscienza singola non poteva fornire. In questa prospettiva nasce una scienza che viene definita da Husserl «fenomenologia pura».2 Essa viene concepita come una teoria oggettiva della conoscenza, che si pone l’obiettivo di coniugare la genesi empirica (propria dello psicologismo intenzionale) con l’oggettività dei logici. Ciò che conduce Husserl a questa «svolta fenomenologica» è il suo interesse per il concetto di vissuto intenzionale;3 esso è inteso come un fenomeno o atto psichico che definisce l’esistenza stessa di un essere reale. Ciò a cui si perviene è una definizione che si configura come una in-esistenza intenzionale,4 quindi una oggettualità immanente che prevede la nascita di un contenuto nella coscienza.
Questo riferimento intenzionale si svilupperà nella teorizzazione di Husserl come la peculiarità per cui la realtà assume i tratti di un oggetto mentale che presenta un corrispettivo reale (sensibile). Il binomio che si viene a creare è un rapporto tra contenuti intenzionali e contenuti immanenti: i primi appartengono alla dimensione interna dei vissuti, mentre i secondi rappresentano la struttura (effettivamente immanente) attorno alla quale i primi possono svilupparsi. Questi ultimi non sono puramente intenzionali ma sono oggetti rappresentati nell’atto (ad esempio, non si vedono le sensazioni di colore, ma gli enti colorati). Questa interpretazione offre a Husserl lo spunto per riuscire a coniugare due dimensioni che l’Idealismo aveva separato, quella interiore del soggetto e quella esteriore del mondo esperibile. L’esperienza, per Husserl, non sarà più completamente esterna o completamente interna, ma risulterà come un ponte di elaborazione tra contenuti mentali, quindi intenzionali, e contenuti immanenti. L’individuo non può più essere limitato da un rapporto tra esperienza e soggettività condizionato dal concetto di rappresentazione in senso kantiano. In Husserl l’oggetto si offre mediante una presentazione al soggetto.5 L’aspirazione del filosofo è quella di produrre enunciati analitici applicabili però a contenuti empirici; unendo così l’idealità all’empiricità, si può riuscire ad analizzare e a descrivere nella loro generalità essenziale (nella loro purezza) i vissuti rappresentazionali e giudicativi.6 In questa visione, la logica pura non si presta alla fenomenizzazione dei contenuti, ma deve diventare fenomenologia, secondo Husserl, senza cadere nel relativismo ingenuo dello psicologismo.
Questo inedito approccio è, per sua stessa natura, genetico, cioè relativo alla genesi di questi concetti nel soggetto stesso. Nell’interpretare il rapporto tra l’individuo e la realtà Husserl si sofferma su un concetto trasversale: l’intuire in sé. Questa tematica valica i confini stessi della filosofia teoretica per trovare espressione in ulteriori ambiti. La visione fenomenologica della realtà proposta da Husserl può rappresentare un’utile cifra di interpretazione, se si intende analizzare il contesto contemporaneo dell’innovazione tecnologica. Ciò che, in Husserl, era una analisi descrittiva che aveva il compito di svelare i meccanismi di interazione tra il soggetto e la realtà, diventa una impalcatura su cui poter costruire una analisi di come ricreare quello stesso processo per cui l’essere umano necessita, in egual misura, di una componente empirica e di una ideale. Ciò che rende paragonabili il pensiero fenomenologico di Husserl (come profonda coesione tra soggetto e ambiente) e quello più attuale di Kurzweil, è l’interesse di quest’ultimo nell’ambito del riconoscimento ottico dei caratteri e nella realizzazione di una interfaccia che possa comprendere ed elaborare la comunicazione umana (sia parlata che scritta). Come Husserl aveva impostato la sua analisi sulla percezione umana della realtà, così Kurzweil ha spostato il baricentro di questa stessa ricerca nell’ambito del linguaggio,7 lasciandone tuttavia inalterata la vera struttura portante. Queste due linee di pensiero sono accomunate dalla volontà di identificare e interpretare le modalità attraverso cui, rispettivamente una mente umana e una rete neurale artificiale, possano interfacciarsi con un determinato livello di realtà: nel primo caso quella costituita dal nostro mondo sensibile, mentre, nel secondo, quella composta dalla nostra capacità di esprimerci.
Per procedere ad un effettivo confronto tra queste due diverse interpretazioni della stessa tematica è necessario introdurre quelli che sono i rudimenti del pensiero di Kurzweil sulla realizzazione di una mente artificiale. Secondo il pensatore statunitense la nostra mente è costruita attorno a una fondamentale funzione: il riconoscimento di forme.8 Attraverso questa espressione si intende una naturale predisposizione del nostro cervello a immagazzinare una serie di caratteristiche rilevanti che comportino la creazione di un prototipo da utilizzare in futuro. La realizzazione di questi schemi mentali implica che anche una percezione parziale di uno stimolo (che possa richiamare il prototipo creato) renda possibile il riconoscimento di caratteristiche invarianti. La variazione nella realtà è il grande ostacolo che rende difficoltoso il riconoscimento, secondo Kurzweil questo è uno dei motivi più influenti per cui abbiamo sviluppato un organo di senso così complesso come il cervello (nello specifico la nostra neo-corteccia).9 L’interpretazione influenza in maniera determinante quella che è la nostra esperienza del mondo: in senso evoluzionistico, si può affermare che migliore è la nostra capacità di riconoscere le forme, migliore sarà la nostra adattabilità all’ambiente, così come saranno migliori le nostre possibilità di tramandare il nostro patrimonio genetico. In sintesi, lo sviluppo del cervello è finalizzato ad una sola funzione: prevedere il futuro.10
La nostra interazione con la realtà (ridotta a flusso di dati) è costituita da elenchi monodimensionali11 che si articolano in liste secondo una decrescente attenzione al dettaglio (si passerà da un primo punto generico, per poi andare a essere sempre più specifici). Questo esempio di funzionamento richiama la modalità attraverso cui le informazioni che ci pervengono dai riconoscitori di forme vengono organizzate secondo uno schema di carattere gerarchico (questa tendenza ad operare in senso gerarchico si rispecchia anche nelle nostre azioni, determinando l’ordine delle componenti di una routine). Sviluppando la tematica dei riconoscitori di forme risulta abbastanza semplice creare un parallelo con l’attività dell’intuizione husserliana. Nelle «Ricerche Logiche»12 Husserl descrive il suo ideale di fenomenologia, in cui si afferma una netta distinzione tra due tipologie differenti di intuizioni: quelle attinenti ad oggetto specifico con riferimento a un particolare caso (che soffrono il rischio del relativismo) e quelle intuizioni relative, invece, all’essenza (cioè all’idealità dell’oggetto e non a una sua declinazione sensibile, con il rischio di perdere il contatto con il materiale empirico). Il filosofo intende coniugare questi due estremi, appartenenti alla dimensione della realtà e a quella dell’intenzionalità dell’oggetto,13 per giungere ad una effettiva conoscenza, in maniera del tutto simile al processo per la creazione di un riconoscitore di forme (esempio: abbinare un dettaglio alla sua astrazione dal contesto).
La soluzione evidenziata da Husserl è quella di individuare un’intuizione del pensiero corrispondente ad un offrirsi della cosa che diventa oggetto nella coscienza sotto forma di vissuto. È cruciale sottolineare come la componente di passività del soggetto che subisce la presentazione oggettuale, determini una trascendenza del contenuto. L’oggetto, altrimenti immanente, non è creato dal soggetto, ma, come accade nelle liste gerarchiche che compongono i riconoscitori di forme, esso «si espande» temporalmente attraverso esperienza, ricordo e ipotesi. Nella fenomenologia di Husserl, la coscienza costituisce la trascendenza dell’oggetto attraverso il concetto di ritenzioni.14 Questo processo di progressiva crescita del quantitativo di informazioni a disposizione del soggetto, permette di eliminare a poco a poco gli adombramenti di un oggetto, cioè quelle sfaccettature che necessariamente vengono a mancare nel momento in cui si esperisce sensibilmente una realtà. Le ritenzioni, attraverso una serie di momenti conseguenti, vanno a comporre quello che noi percepiamo come oggetto. È proprio questo processo in divenire che rende possibile una costituzione genetica dell’oggetto, non più data ma necessariamente temporale.15 Le ritenzioni, come la creazione di liste monodimensionali necessarie per le routine comportamentali, hanno il tempo come componente irrinunciabile. Esso, nella filosofia fenomenologica di Husserl, è il presupposto stesso della conoscenza; solo grazie a una dilatazione temporale può essere intuita un’essenza in maniera oggettiva (trattenendo nella memoria si crea necessariamente, una genesi temporale dell’aggregato). Questo processo di ritenzione nel tempo, che si basa sull’offrirsi dell’oggetto, prende le caratteristiche di una intuizione essenziale. Essa viene denominata da Husserl intuizione eidetica.16
Nella prospettiva della fenomenologia, l’intuizione eidetica rappresenta il completo superamento della psicologia descrittiva. Essa riesce a riferirsi a contenuti appartenenti all’ambito del reel e ai contenuti della realtà sensibile cioè del real.17 Husserl, in tal modo, costruisce una realtà nella coscienza (inclusione dell’oggetto intenzionale nella coscienza stessa come vissuto), del tutto simile a quella necessaria all’interno di una rete neurale che si interfaccia con un ambiente esterno tramite un ordine gerarchico di riconoscitori di forme.18 Risulta così evidente come, in entrambi gli approcci descritti, il fattore tempo rappresenti la prima variabile comune, nel caso di Husserl, proprio per la necessaria dipendenza da un vissuto, si presuppone un dilatarsi del contenuto esperito in un processo di percezione in divenire. Nel pensiero del filosofo tedesco, non esiste un unico momento dell’esperienza, ma una serie di momenti che vanno a costruire la percezione dell’oggetto nel soggetto. Allo stesso modo, i riconoscitori di forme per accumulare un grado sufficiente di ridondanza, devono essere sollecitati da una esperienza continua e maggiore risulta il grado di esemplari analizzati in congruente lasso di tempo, maggiore sarà la possibilità di un riconoscimento corretto dell’ente percepito.
2. Percezione, ridondanza e anticipazione
Il secondo nucleo di analogia è dato dalla modalità attraverso cui Kurzweil ritiene funzioni un riconoscitore di forme e dal modo in cui si viene a costituire il vissuto del percepito all’interno del soggetto in Husserl. Il fattore di ridondanza (come numero di esempi collezionati da un soggetto e connesso ad un unico oggetto da riconoscere) varia a seconda della difficoltà del riconoscimento stesso e della novità intrinseca dell’esperienza. Il compito del riconoscitore di forme è quello di elaborare una delle molte copie presenti in memoria per poter identificare correttamente la percezione. Nel caso della neocorteccia umana, 300 milioni di riconoscitori di forme hanno reso possibile apprendere, prevedere, riconoscere e realizzare ciò che era necessario per la creazione di un linguaggio, della scrittura e di tutti i nostri utensili.19 Creando un parallelo tra la realtà fisiologica del nostro cervello e quella elettronica di una rete neurale artificiale, è possibile definire il concetto di forma (ovvero la presentazione husserliana) come una gerarchia interna di diversi moduli.
In relazione al lavoro di Kurzweil sul linguaggio e la sua comprensione, ci riferiremo a questi moduli nello specifico caso di riconoscimento di una parola (apple). Il primo modulo è rappresentato dall’input: esso consiste in forme di livello inferiore che costituiscono la forma principale. Ciascuna di queste forme di livello inferiore non dovrà essere ripetuta, ma avrà una connessione a ogni forma di livello superiore che presenta quel determinato carattere insieme a un corrispettivo livello di ridondanza (nel cervello umano, queste connessioni sono connessioni fisiche dei neuroni). Nel nostro esempio l’input è rappresentato da una delle ridondanze della lettera A. Il secondo modulo di una forma è costituito dal nome (nel nostro caso la parola apple) ed è una forma di livello superiore che si attiva quando riconosce la parola in questione. Il «nome» di una forma è semplicemente l’assone che emerge da ciascun elaboratore di forme; quando quell’assone si attiva vuol dire che è stata riconosciuta la forma corrispondente. Il terzo e ultimo modulo di ogni forma è l’insieme di forme di livello superiore di cui è a sua volta parte (nel caso della lettera A, è l’insieme di tutte le parole che contengono la lettera A).20
Paragonando la prospettiva appena illustrata della teoria dei riconoscitori di forme con ciò che aveva ipotizzato Husserl per la formazione dell’oggetto nella coscienza, risultano evidenti delle analogie. Il filosofo tedesco prevedeva un processo che si caratterizzava di cinque momenti distinti: il primo è l’impressione (paragonabile al concetto di input) e rappresenta il flusso di dati che provengono dai sensi. La caratteristica di questo processo è la totale passività del soggetto che si limita a subire questa affezione dell’oggetto che si «presenta». Il secondo momento è dato dall’intuizione (il soggetto intuisce l’essenza dell’oggetto non in maniera passiva). Il terzo momento è dato dall’attenzione: essa rappresenta la piena attività del soggetto che diventa ego cosciente. La percezione, ovvero il quarto momento, può essere interna o esterna, e lavora tramite ritenzione e anticipazione che determina una dose inequivocabile di incertezza, data dalla previsione di ciò che verrà processato dai sensi in futuro. La conoscenza prodotta tramite questo passaggio non è mai completa e immutabile, ma ha sempre un margine di miglioramento; essa, grazie all’essenza della cosa percepita, è indubitabile, ma è soggetta modifica a causa del processo di anticipazione. Il momento conclusivo è quello della creazione del vissuto del percepito con la riaffermazione di un principio di trascendenza nell’immanenza del soggetto.21
Similmente nello studio della mente umana e nel tentativo di riproporne una sua versione artificiale, vengono affrontati temi che rimandano a questi cinque punti appena elencati. Nell’elaborazione di forme più complesse, attraverso la teoria dei riconoscitori, possiamo riscontrare delle similitudini al concetto di anticipazione. Nel momento in cui viene processata una forma di livello superiore (corrispondente, per esempio, ad un volto), la catena consequenziale di informazioni che risalgono la gerarchia costruita dalla nostra neocorteccia non segue necessariamente un moto dal basso verso l’alto. Essa può essere percorsa anche in senso contrario; attraverso questo processo (non sempre coronato dal successo) è possibile parlare di previsioni e predizione della futura esperienza.22 Nel caso della lettura, ricollegandoci all’esempio preso in precedenza, nel momento in cui i nostri riconoscitori di forme ci forniscono una serie di lettere in un determinato ordine, già incontrato, come A-P-P-L, viene abbassato il livello di allerta (o soglia di attivazione) per la lettera E. Questa modalità di approccio, come lo stesso Husserl aveva intuito, non è scevra da errori, ma consente di incrementare le nostre possibilità di accedere ad una esperienza perfettibile.
Il fine ultimo del riconoscimento (sia nel pensiero di Husserl che in quello di Kurzweil) è il calcolo delle probabilità, cioè riuscire a stimare il coefficiente secondo cui un determinato risultato atteso sia concretamente possibile, maggiormente sviluppata risulta questa capacità attraverso l’esperienza, maggiore sarà la capacità adattativa del soggetto nell’ambiente. Come è stato già sostenuto, nel caso di Husserl la percezione dell’individuo è profondamente influenzata da due componenti distinte: anticipazioni e ritenzioni. Questo duplice processo di predizione della realtà conseguente al suo stratificarsi nel soggetto, esattamente come quello descritto per i riconoscitori di forme, ha lo scopo di prevenire l’impressione stessa sui sensi, dando all’individuo la capacità di prevedere un contenuto. Ovviamente in entrambi gli approcci è connaturato un coefficiente variabile di errore in relazione alla quantità di dati disponibili per l’elaborazione.Questa analisi porta alla conclusione che in entrambi gli approcci presentati coesistano due dimensioni che sono funzionali all’analisi del reale: una, quella della trascendenza e l’altra, quella di una immanenza. Entrambe queste componenti si trovano in una relazione in cui la prima è in parte contenuta nella seconda con la finalità di consentire al soggetto una previsione del contenuto esperito in relazione ai dati in suo possesso.
3. Evoluzione del concetto di epochè nella determinazione della coscienza
Un terzo e ulteriore nucleo di analogia può essere individuato attraverso l’analisi e la comparazione del concetto di epochè (inteso come svolta trascendentale nel pensiero di Husserl) e la modalità attraverso cui Kurzweil cerca di arrivare ad una definizione di coscienza e dei suoi contenuti. Nella fenomenologia husserliana, per trascendentale si intende un contenuto apodittico, puro, che possa essere utilizzato per superare l’approccio naturale delle scienze di fatti (mancanti nella loro analisi della componente fondamentale dell’Erlebnis). Husserl intende applicare un’epochè, interpretabile come una sospensione del giudizio, a ciò che eccede questa sfera di sicurezza. Da questa presa di posizione, scaturisce l’impossibilità di dimostrare l’effettiva sfera dell’esistenza e della corporeità giungendo pertanto alla loro messa tra parentesi. Similmente, Kurzweil, proiettando nel futuro la sua ricerca, si interroga su quella che potrebbe essere una definizione di coscienza inclusiva sia per reti neurali naturali che per reti neurali artificiali. A suo modo, applica un epochè, ritenendo che la coscienza possa essere definita unicamente attraverso definizioni esclusive e non inclusive.Per Husserl, la percezione e la codifica dei dati sensibili non può essere uno stadio conclusivo della comprensione della realtà. Si deve necessariamente aggiungere un ulteriore passaggio che si delinea come certezza, condivisibilità e comunicabilità del materiale esperito. Il concetto di presentazione dell’oggetto al soggetto riportava il baricentro dell’attenzione alla realtà effettiva delle cose, partendo da questo assunto, è necessario dare una definizione del concetto di trascendentale.23 Esso implica per Husserl un contenuto che non sia soggetto al divenire proprio della sfera sensibile. La svolta trascendentale rappresenta proprio questa volontà di mettere in secondo piano la contingenza del mondo, intesa come possibilità di errore e di inganno dei sensi. Dalla speculazione del filosofo, viene individuato un centro di indubitabilità collocabile nell’io e nella sua egoità, che consente di pervenire ad un piano di apoditticità.24
Nell’ottica della fenomenologia husserliana un vissuto che mi si offre per presentazione, con le modalità di ricordo, percezione, fantasia o errore, è indubitabile e, quindi, apodittico perché supera l’approccio naturale che impongono le scienze positive.25 Quest’ultime, secondo Husserl, suggeriscono una visione che non può portare ad una conoscenza effettiva della realtà poiché tendono ad una ipostatizzazione26 della natura che impone un mondo rigido e precostituito. Esse sono «scienze di fatti» che non si curano delle cose che realmente percepiamo, ma semplicemente di una loro astrazione che le separa dal loro contesto rendendole inerti. Il flusso continuo dell’Erlebnis, per Husserl, è l’unico che può consentire un’effettiva conoscenza apodittica del reale: nella prospettiva del filosofo si tratta di andare a cogliere un’esistenza trascendentale nel movimento vitale della coscienza stessa.27 Questa linea di pensiero porta alla conclusione che la filosofia abbia la necessità di un nuovo inizio che deve necessariamente essere trascendentale. Il suo compito è quello di tornare ad abbracciare il senso originario, quello di indagare l’origine e la possibilità della conoscenza come presupposto necessario di tutte le scienze. Secondo Husserl, il vero approccio filosofico è necessariamente fenomenologico, occorre dunque mettere tra parentesi l’atteggiamento ingenuo naturale attraverso l’epochè, o messa tra parentesi dell’esistito.28 L’unica sfera di vera apoditticità è rintracciabile nel vissuto della coscienza, il concetto stesso di apodittico richiama quello di trascendentale e viceversa.Il mondo dell’atteggiamento naturale non si dissolve dinnanzi alla coscienza, altrimenti andrebbe a contraddire il sostrato di intenzionalità dell’esperienza stessa. Piuttosto la sospensione del giudizio implica semplicemente la messa in discussione che il mondo esista come realtà precostituita e conclusa.29 Ci si può riferire in modo apodittico solo ed esclusivamente alla sfera dell’ego trascendentale (cioè al polo egologico puro di apoditticità).
L’analisi proposta da Husserl circa la coscienza umana, parte dall’evidenza della proposizione «io sono». Ciò rappresenta un primum di per sé evidente. Tuttavia il filosofo si interroga se esso rappresenti un’evidenza adeguata e, nonostante il tentativo di rifondare la conoscenza su una base apodittica, implichi che tutti i risultati delle altre scienze possano essere soggetti all’epochè. Egli ritiene che i vissuti che vivono all’interno del soggetto continuino a valere: la messa-tra-parentesi dell’esistenza non implica l’invalidità dell’esperienza interna.30Il nucleo di conoscenza apodittica che si viene a costituire risiede così nel polo egologico del soggetto, il piano trascendentale che viene guadagnato tramite l’io puro31 dimostra come cosa e coscienza risultino collegate: l’oggetto è solo in correlazione della coscienza così come la coscienza è solo in relazione all’oggetto. Husserl conclude con il confermare una dinamica dialettica di intenzionalità che lega questi due poli (evitando l’Aufhebung hegeliana). Se da un lato, l’analisi husserliana della coscienza come binomio tra significazione e orizzonte di senso necessario, riesce a trovare una definizione alla più profonda e pura declinazione della soggettività, dall’altro, la speculazione di Kurzweil si scontra con una serie di problematiche contemporanee relative al concetto di coscienza e soggetto cosciente. Nell’affrontare questo delicato problema, Kurzweil si confronta innanzitutto con la complessità insita nel determinare un distinguo efficace ai casi ipotizzabili di coscienza con cui si viene in contatto. L’autore scredita l’ipotesi di definire la coscienza come la capacità di riferirsi alla propria attività di pensiero, suggerendo degli esempi che dimostrano la fragilità di questa ipotesi32 (come l’impossibilità di un bambino di dare conto dei propri pensieri o quella di un animale di riferire i suoi percorsi mentali).
Un’ipotesi paventata da Kurzweil nel determinare cosa sia cosciente, alla luce di quanto si è detto sulle intelligenze artificiali, è quella di rifarsi alla teoria del panprotopsichismo.33 Con questo termine si intende l’idea che tutti i sistemi fisici siano coscienti su diversi livelli, l’essere umano, ad esempio, è più cosciente di un oggetto inanimato. Questa teoria propone di individuare nella coscienza la caratteristica emergente di un sistema fisico complesso. La risposta che viene fornita induce a concludere che la coscienza possa essere uno stato ontologico differente da quello fisico. In questa prospettiva, se un calcolatore emulasse la complessità di un cervello umano ne avrebbe la stessa coscienza emergente. Risulta complementare a questa teoria, la soluzione proposta dall’introduzione dei «qualia»,34 la coscienza risulta pensabile solo come l’insieme di esperienze che non possono essere spiegate, ma semplicemente vissute (ad esempio, cercare di descrivere il colore rosso a un individuo cieco dalla nascita). Questi due esempi vogliono sottolineare come sia quasi impossibile cercare di definire da una dimensione di trascendenza come la coscienza umana, una posizione di immanenza. Risulta evidente, secondo Kurzweil, che sia impossibile trovare una risposta facendo affidamento su di un approccio scientifico falsificabile, è necessario ricorrere a supporti speculativi filosofici. Il saggista statunitense ritiene che sia necessario operare un «salto di fede»,35 in altre parole, ognuno è chiamato a chiedersi chi e cosa ritiene sia cosciente, Kurzweil ipotizza che quando verranno riconosciuti dei qualia ad una macchina e essa sarà in grado di parlare dei propri stati e delle proprie esperienze, potrà essere riconosciuta cosciente.36
Dopo gli interrogativi sorti sulla coscienza e una sua possibile definizione, Kurzweil si chiede di cosa si sia effettivamente coscienti e cosa possiamo ritenere esperienza cosciente. Viene riportato un esempio dell’esperienza dello psicologo americano Michael Gazzaniga.37 Ad un paziente con danni al corpo calloso vennero mostrate due immagini, rispettivamente una zampa di gallina, al campo visivo destro e a quello sinistro un campo innevato. In un secondo momento il paziente è stato indotto a individuare, tra una serie di immagini proposte, una che corrispondesse alla prima esperienza. Come c’era da aspettarsi la mano sinistra (controllata dall’emisfero destro) ha scelto una pala, mentre la destra indicava l’immagine di una gallina. Alla domanda del perché il paziente avesse operato tale scelta, il soggetto ha sostenuto che ovviamente l’immagine della zampa si abbinava alla gallina, ma spostando lo sguardo sulla mano sinistra che indicava la pala ha sostenuto che servisse una pala per pulire il pollaio. Questo esperimento, secondo Kurzweil, mette in luce una componente fondamentale della nostra esperienza: la confabulazione, l’emisfero sinistro non sa nulla della neve, ma controlla la risposta verbale e costruisce una spiegazione logica della scelta. In sintesi «si assume la responsabilità di una scelta che non ha mai deciso e mai controllato, ma pensa di averlo fatto».38 La mancanza di un apparato di raccordo come il corpo calloso, solleva un importante quesito sulla coscienza dell’esperienza soggettiva. Se ipotizziamo che entrambi gli emisferi abbiano una coscienza, allora, ci si può domandare se anche l’attività inconscia della neocorteccia rappresenta una coscienza indipendente.39 Il test svolto da Gazzaniga dimostra una realtà interessante sul libero arbitrio: nel caso proposto, uno dei due emisferi ritiene di aver preso in maniera cosciente una decisione contravvenendo l’evidenza dei fatti. Kurzweil, a questo punto, si domanda quanto noi siamo effettivamente responsabili delle nostre azioni e fautori effettivi delle nostre esperienze.
Il saggista americano riporta anche i risultati di una ricerca svolta dall’Università della California da parte del professore Benjamin Libet Davis: «l’attività cerebrale coinvolta nell’avvio dell’azione da parte della corteccia motoria (responsabile dell’esecuzione dell’azione) si verificava in effetti in media circa 500 millisecondi prima dell’esecuzione del compito. Questo significa che la corteccia motoria si preparava a eseguire quell’attività circa un terzo di secondo prima che il soggetto fosse consapevole di aver preso una decisione in merito».40 In conclusione la diatriba sulla coscienza e i distinguo che operiamo tra la mente umana e le reti neurali artificiali, non sono così evidenti come potremmo pensare. Lo stesso libero arbitrio che ci imputiamo come risultato di un processo di percezione e significazione del mondo con cui entriamo in contatto può essere messo in discussione. Risulta così evidente come in entrambi i pensatori presi in analisi è necessario operare una circoscrizione di un orizzonte ignoto in cui non possiamo basarci su certezze scientifiche o metafisiche, si tratta di operare una scelta di campo che implica in ogni caso una riduzione.
4. Un rapporto tra significazione, senso e coscienza individuale
L’ultimo nucleo di analogia che è stato individuato riguarda una comune chiave di lettura che ha caratterizzato sia il pensiero del saggista americano, sia quello del filosofo tedesco: l’irrinunciabilità di un contesto «ambientale» necessario per la donazione di senso. Dopo aver assodato un’area di pura apoditticità mediante la riduzione dell’epochè, Husserl si domanda se le condizioni di senso applicabili al reale siano dettate dall’io o dal mondo. La risposta che offre è duplice: il mondo dei vissuti, cioè, l’orizzonte di senso della Lebenswelt, fornisce un senso che può essere dotato di significato solo dall’azione umana. Tuttavia questa significazione, a sua volta, è necessariamente influenzata da questo sostrato. I vissuti sono un’evidenza di senso che io modifico attivamente con la Sinngebung o donazione di senso. In questo processo anche il soggetto viene necessariamente modificato perché facente parte di questo flusso, evolvendo, secondo una storicità una significazione differente che è inerente al contesto.41 Secondo Husserl la donazione di significato che l’essere umano attribuisce al senso è rintracciabile nella storia solo grazie ad un’interpretazione lineare del tempo.42 Dare significato al senso significa poterne parlare: l’incontro tra donazione di senso (dell’uomo) e il mondo circostante riesce a far emergere questo senso nel significato. Il soggetto relativo riesce così a realizzarsi in un assoluto, ossia in qualcosa che è per me valido; il fatto che gli altri mi comprendano, significa, dunque, che oltre alla mia soggettività relativa esiste qualcosa di valido per tutti. Il senso rimane valido e fedele a sé stesso, le sole cose che mutano sono i significati che gli attribuiamo nell’evolversi della cultura.43
Queste due componenti necessarie (Sinngebung e Lebenswelt) producono nel soggetto il vissuto rendendo possibile l’apoditticità dell’ego trascendentale. Entrambi, secondo Husserl, sono uniti da un legame intenzionale in una dinamica dialettica che mantiene i due opposti separati, arricchendoli.44 Il tutto può essere riassunto come un’eterna dinamica tra cosa e coscienza. Nel caso di Kurzweil, viene presentata una visione in cui l’organizzazione generale della nostra mente, dei nostri ricordi e delle routine che rappresentano le modalità di interazione con l’ambiente, rispondono ad apparato gerarchico di conoscenze (in forme verticali sempre più generali). Questa visione è approfondita dallo studio sul libero arbitrio e di come esso influenzi la nostra idea di coscienza. Questo porta necessariamente il saggista statunitense ad affrontare il concetto di determinismo.45 E, per poter definire questo punto, viene presentato un esempio sull’attività di un calcolatore. Il risultato atteso da un programma a cui verrà posto un quesito, è necessariamente l’insieme di quattro variabili: il programma al momento della domanda, la domanda stessa, lo stato dei parametri interni che influenzano la decisione e la conoscenza accumulata.46 In questa prospettiva, il risultato che emergerà sarà necessariamente determinato e calcolabile. Se estendiamo questo esempio ad un insieme di variabili più ampio, si avrà la descrizione dell’interazione di un individuo umano all’interno di un ambiente.
Come sottolinea Kurzweil, esistono due posizioni che descrivono questo dibattito sul libero arbitrio: l’incompatibilismo, cioè quella posizione per cui libero arbitrio e determinismo non sono compatibili, viene rifiutata, in questa prospettiva, l’esistenza del libero arbitrio alla luce del condizionamento da parte di eventi passati, presenti o futuri determinati. La seconda posizione è quella del compatibilismo, che sostiene la libertà di decidere quello che si vuole anche se quello che si decide è o può essere determinato.47 Kurzweil arriva alla conclusione che, come nel caso della definizione di una coscienza, si debba operare un salto di fede sul credere che gli esseri umani siano dotati di libero arbitrio anche se si fa fatica a trovare esempi che possano comprovare questa posizione.48 Risulta ora chiaro come due posizioni così distanti, sia temporalmente che concettualmente, riescano a conciliarsi nel definire quelli che sono i limiti del percepire umano che ne vincolano l’esistenza: Husserl descrive un ambiente esterno che forgia la percezione, una donazione di significato ad un senso che è una costante del tempo stesso. In Kurzweil, invece, il perimetro che racchiude e delimita le capacità umane è rappresentato da un ambiente interno. Più parti indipendenti del cervello, grazie alla loro plasticità e ai vari livelli di coscienza che presentano come elemento emergente, concorrono a creare la realtà nel soggetto, imponendogli così delle forme a priori, che non possono essere in alcun modo valicate. In entrambi i pensatori risulta evidente una costante impossibile da ignorare: l’essere umano, come qualsiasi prodotto artificiale che ne simuli le caratteristiche attraverso l’uso di reti neurali, presenterà una distanza non quantificabile dal contesto sensibile in cui esso si trova ad interagire. Secondo Husserl la presentazione dell’oggetto tradotta in un processo temporale di ritenzioni e percezioni, porta alla nascita di un vissuto che, sottoposto all’epochè, non può confermare l’effettiva esistenza di una realtà ma unicamente lo specchio di essa nei nostri sensi. Allo stesso modo, Kurzweil sostiene come non si possa parlare di una realtà svincolata da una codifica tramite i riconoscitori di forme che ingabbiano il sensibile in schemi di carattere gerarchico.
Considerando questa impossibilità di fondo, si ritiene, invece, che la vera realtà a cui entrambi gli approcci non possono in alcun modo sottrarsi è quella dell’intersoggettività. Grazie ai nostri sistemi di analisi, sviluppati durante l’evoluzione umana, risulta costante la nostra volontà di trovare un terreno comune per poterci relazionare con qualcosa che eccede la nostra soggettività. Husserl compie la sua dissertazione filosofica alla luce delle conquiste di Kant e Cartesio, incarnando l’ultimo slancio di modernità che poneva al centro dell’analisi la soggettività umana. Quest’approccio deve prendere necessariamente in considerazione ciò che rende l’essere umano un animale così unico: una coniugazione di corporeità e insita limitatezza, con un’impareggiabile capacità di astrarre ed astrarsi. La natura ha creato una forma così specifica nell’essere umano, da concepire un’ essenza tanto consapevole da essere necessariamente separata da ciò che l’ha creata. È esattamente, mediante la consapevolezza di questa rottura, che prende vita il tentativo titanico di Husserl di colmare la distanza tra realtà e egoità. Kurzweil, grazie all’avanzamento tecnologico, si trova nella posizione di poter creare ciò che al tempo di Husserl era solo possibile descrivere, cioè una mente funzionante in grado di comprendere e relazionarsi con un ambiente esterno. Tuttavia, è talmente tanto radicato nell’essere umano questo binomio inconciliabile che vede opposta una coscienza al reale, da produrre un risultato dotato dello stesso fatale difetto del suo creatore. La nostra coscienza, intesa come complessa capacità di analisi della realtà unita al nostro pensiero critico, è simulata così pedissequamente dai primi risultati nel campo delle intelligenze artificiali da confermare che non saremo mai padroni di una realtà oggettiva in senso assoluto. Ciò che la nostra mente filtra attraverso le ritenzioni è incamerato dalle reti neurali tramite algoritmi che distorcono necessariamente dei dati per poterli analizzare. Assodando questa distanza con un dato puro e oggettivo, ciò che abbiamo dimostrato è che l’evoluzione e la nostra aspirazione alla comunicazione ha portato alla nascita di una seconda realtà, uno specchio che riflette un miraggio irraggiungibile in cui ciò che realmente esiste è unicamente la nostra interconnessione.
Husserl suggerisce a riguardo: «La fede nell’ideale della filosofia […] che fin dall’inizio orienta l’epoca moderna, vacilla; e non soltanto per il motivo esteriore che il contrasto tra gli insuccessi costanti della metafisica e l’entità sempre più poderosa dei successi teoretici e pratici delle scienze positive salì alle stelle. Tutto ciò agì sui profani come sugli scienziati, i quali, nell’imprese specializzate delle scienze positive, erano diventati sempre più professionisti estranei alla filosofia. Ma anche i ricercatori ricolmi di spiriti filosofici e per ciò fondamentalmente interessati ai supremi problemi metafisici, avvertirono un sentimento sempre più inquietante di fallimento; un sentimento che in essi aveva motivi più profondi per quanto oscuri, una protesta sempre più chiara contro l’ammissione, profondamente radicata, delle ovvietà dell’ideale dominante. Si delinea così una lunga epoca che da Hume e Kant giunge fino ai giorni nostri, l’epoca della lotta appassionata per la comprensione dei veri motivi di un secolare fallimento».49 Sarebbe auspicabile un recupero della dimensione della libertà e della soggettività attraverso l’uso consapevole della filosofia e una riaffermazione del primato della ragione scevra dall’abuso dello sviluppo scientifico e tecnologico dell’umanità. È necessario riaffermare l’originaria dimensione soggettiva e intersoggettiva della vita concreta degli uomini, che Husserl chiama mondo della vita50.
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, tr. it. di V. Costa, Einaudi, Torino, 2002, p. 56. ↩︎
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E. Husserl, Ricerche Logiche, vol. 1, tr. it. di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 235. ↩︎
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Ib., p. 157. ↩︎
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Ib., p. 158. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 52. ↩︎
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Ib., p. 90. ↩︎
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Il lavoro sul riconoscimento dei caratteri svolto dalla Kurzweil Computer Products, Inc è alla base degli attuali operatori personali disponibili su dispositivi mobili e fissi. ↩︎
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R. Kurzweil, Come creare una mente, i segreti del pensiero umano, tr. it. di V. B. Sala, Apogeo, Trento, 2013, p. 25. ↩︎
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La funzione di ogni riconoscitore di forme nella neocorteccia consiste nell’elaborare un’interazione (cioè una tra le molte copie ridondanti della maggior parte delle forme nella neocorteccia) di una forma. ↩︎
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R. Kurzweil, Come creare una mente, i segreti del pensiero umano, cit., p. 16. ↩︎
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Per monodimensionali si intende una semplificazione massima del quantitativo di informazioni necessarie per codificare un determinato input, si parlerà quindi di dati esprimibili con un punto facente parte a sua volta di un aggregato. ↩︎
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E. Husserl, Ricerche Logiche, vol. 1, cit., p. 235. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, cit., p. 209. ↩︎
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Ib., pp. 97 - 98. ↩︎
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E. Husserl, Ricerche Logiche, vol. 2, traduzione italiana di G. Piana, Il Saggiatore, Milano, 1968, p. 149. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, cit., pp. 17 - 18. ↩︎
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cf. p. 86. ↩︎
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R. Kurzweil, Come creare una mente, i segreti del pensiero umano, cit., p.24. ↩︎
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Ib., p. 25. ↩︎
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Ib., pp. 25 - 27 ↩︎
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E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, tr. it. di P. Spinicci, Guerini e Associati, Milano, 1993, pp. 119 - 121. ↩︎
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R. Kurzweil, Come creare una mente, i segreti del pensiero umano, cit., p. 35. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, cit., pp. 76 - 77. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 2, cit., p. 102. ↩︎
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Ib., p. 179. ↩︎
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E. Husserl, Ricerche Logiche, vol. 1, cit., p. 383. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, cit., p. 119. ↩︎
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Ib., p. 71. ↩︎
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Secondo Husserl, infatti: «[…]Io non nego questo mondo, quasi come se fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi come fossi uno scettico; ma esercito in senso proprio l’epochè fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, come faccio, direttamente nella vita pratico-naturale, ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente essente.» (Ib., p. 69.) ↩︎
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Ib., p. 78. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 2, cit., pp. 102 - 105. ↩︎
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R. Kurzweil, Come creare una mente, i segreti del pensiero umano, cit., p. 168. ↩︎
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Ib., p. 170. ↩︎
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Ib., p. 170. ↩︎
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Ib., p. 175. ↩︎
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Ib., p. 176. ↩︎
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Ib., p. 190. ↩︎
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Ib., p. 191. ↩︎
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Ib., p. 191. ↩︎
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Ib., p. 193. ↩︎
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N. Ghigi, «L’univocità del senso nella storia dell’umanità», Città Nuova, Roma 2017, pp. 33 - 34. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, cit., p. 204. ↩︎
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c.f. N. Ghigi, «L’univocità del senso nella storia dell’umanità», Città Nuova, Roma 2017, pp. 81 - 82. ↩︎
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E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. 1, cit., pp. 205 - 208. ↩︎
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R. Kurzweil, Come creare una mente, i segreti del pensiero umano, cit., p. 195. ↩︎
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Ib., p. 195. ↩︎
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Ib., pp. 196 - 197. ↩︎
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Ib., p. 202. ↩︎
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E. Husserl, «La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale», il Saggiatore, Milano, 1965, p. 40. ↩︎
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Ib., p. 148. ↩︎