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Recensione a Massimo Folador, Un'impresa possibile. Persone e aziende che costruiscono il futuro

di Selene Zorzi (20 dicembre 2015)

Massimo Folador, Un'impresa possibile. Persone e aziende che costruiscono il futuro, Guerini Editore, Milano 2014.

Dopo il fresco approccio di una prima lettura della Regola di Benedetto (RB) dal punto di vista imprenditoriale elaborato in L'organizzazione perfetta (2006) e dopo gli approfondimenti tematici che troviamo in Il lavoro e la Regola (2008), stavolta M. Folador propone una meditazione ancora più globale sull'economia civile, il mondo dell'impresa, la crisi economica attuale, l'etica e la spiritualità con la luce che su tutto questo può gettare non solo l'intuizione di una mente illuminata come San Benedetto, ma in generale di quella proveniente dalla sapienza del mondo classico antico e non da ultimo dalla grande tradizione dell'umanesimo italiano e dall'economia civile. Ecco Un'impresa possibile. Persone e aziende che costruiscono il futuro (2014) .

La RB, come accade un po' per tutti i testi che hanno una grande tradizione, lungo la storia è stata compresa e interpretata in modo diverso, spesso a partire da un una particolare istanza proveniente dalla cultura e dalla società. Ogni epoca nel rileggere un testo mette infatti in evidenza un aspetto piuttosto che un altro.

Gregorio Magno per esempio (nel VII sec.) elogiava RB perché tra le tante Regole monastiche presenti in antichità per la sua discretio o moderazione. Altri periodi storici successivi, segnati dal cesaropapismo, hanno preferito sottolineare la figura dell'Abate benedettino cogliendone la funzione quasi monarchica; secondo la famosa ideologia cluniacense del monachos propter chorum si è parlato dei monaci come funzionali alla preghiera oppure è prevalsa l'idea della vita monastica come «vita angelica», soprattutto allorché -- in un modo che sarebbe stato inaccettabile per monaci del deserto dei primi secoli -- la vita contemplativa si separò dalla vita attiva identificandosi e venne ad identificarsi -- soprattutto nel tardo Medioevo e nell'età Moderna -- con una spiritualità disincarnata e intimista. Tacendo dell'impatto che la cultura ha avuto sulla plasmazione delle forme del monachesimo femminile, dove è diventato centrale lo «stare dentro», risulta chiaro che le istanze socio-culturali inevitabilmente determinano i modelli della vita cristiana, così anche del monachesimo abbiamo interpretazioni molto variegate.

Non è un caso che oggi la RB sia oggetto di un nuovo interesse derivante dalle istanze del mondo del lavoro. Per nessun'altra dimensione monastica Benedetto afferma la radicalità del lavoro ai fini dell'identità monastica: «... solo allora saranno veri monaci quando vivono del lavoro delle loro mani» (RB 48, 8). Si tratta di un'affermazione che escluderebbe dalla definizione gran parte dei monasteri odierni che non riescono a mantenersi se non grazie alle offerte e alle pensioni sociali. La crisi economica e la conseguente riflessione etica derivante dalle sue sfide, ha suscitato un forte interesse per la RB, che ha indubbiamente contribuito a fondare la civiltà europea.

Uno dei protagonisti italiani di questo interesse è Massimo Folador, manager e formatore, che dedica oramai un terzo libro alle tematiche del reciproco fecondarsi di RB e mondo del lavoro. La RB viene così oggi riletta soprattutto evidenziandone l'impianto concreto che Benedetto ha inteso dare alla vita cristiana: una organizzazione di vita in cui lo Spirito possa infibrarsi nella biologia umana e donare così alle persone pienezza, armonia e pace. Limitandosi a definirne tempi e spazi in cui tutta la persona, nella sua dimensione fisica, psichica e spirituale trova equilibrio, Benedetto ha fondato una delle spiritualità più feconde del cristianesimo. Oggi colpisce la rivoluzione che Benedetto fece compiere alla concezione del lavoro, prima di lui considerato attività da relegare ai servi della gleba e a partire da lui valorizzato in tutta Europa come «momento di crescita e di sviluppo sia individuale che organizzativo» (p. 122).

I quattro capitoli in cui si suddivide il testo, non si presentano come analisi specialistiche, e non possiamo affermare che siano suddivisi in modo ferreo per tematiche: il libro volutamente evita un approccio accademico. Anche la bibliografia, tra l'altro minima, è eloquente. Il flusso delle meditazioni segue una sua linearità che non è suddivisa in paragrafi benché vi si possano riconoscere argomenti distinti. A fronte di ciò che oggi appare in libreria, soprattutto legato al Management, il testo di Folador ha un respiro sapienziale inedito, una profondità capace di essere alla portata di tutti.

Mi sembra necessario segnalare questo volume come la punta di un iceberg di un più vasto e interessante «segno dei tempi» che Folador ha incrociato da tempo e sta tentando di interpretare. Vorremmo qui provare a decodificarne l'importanza della sua operazione su vari livelli: tradizionale, antropologico, spirituale, ecclesiale e sociale.

Quanto alla storia della tradizione, rileggere la RB dal punto di vista della crisi economica odierna, permette un duplice operazione: da un lato uno smascheramento della lettura proveniente dagli ambienti monastici, più inclini a interpretare la RB a partire dalle consuetudini, che non a lasciarsi interpellare dalla ricchezza propositiva delle fonti; dall'altra permette di ricordare, come fa bene Folador, il significato del lavoro nella costruzione della società e della persona, significato che l'economia contemporanea ha smarrito quando ha esaltato uno dei binomi a scapito dell'altro: ricchezza-lavoro, profitto-bene comune, società civile-economia, merci-beni. Secondo il pioniere del libero mercato, Adam Smith, e i suoi emuli contemporanei come M. Friedman, l'obiettivo di una impresa sarebbe quello di realizzare il massimo del profitto possibile (cfr. pp. 140-147).

Come Benedetto e sulla scia dell'umanesimo italiano, al contrario di quello anglosassone e di Hobbes, Folador scommette su un'antropologia positiva, sul fatto che «nelle persone e nelle comunità vi è una sorta di capacità congenita a dare il meglio di sè» (p. 21; cfr. pp. 63-64; 137-149). «Ciò che spinge naturalmente le persone ad agire con positività non è soltanto il raggiungimento del proprio interesse, ma valori ben più alti e nobili» (p. 149).

Dal punto di vista spirituale, Folador raccoglie più o meno inconsapevolmente l'istanza di un'antropologia integrale che il cattolicesimo afferma a parole nei documenti magisteriali e nella teologia almeno dal XIX sec. ma che non ha ancora saputo tradurre in istituzioni e spiritualità rinnovate, per non parlare della morale e della predicazione. Siamo eredi di una spiritualità in cui l'accezione di monaco è soprattutto quella di isolato Era una spiritualità proveniente da una certa idea di Dio e di essere umano, oggi superate. Si è perseguito per secoli un'ideale di perfezione spirituale basato su un modello di persona indipendente, tanto più perfetta quanto più capace di fare a meno di tutti gli altri, delle relazioni e dei propri desideri: riconosciamo però che si tratta di un ideale della fuga dal mondo fondamentalmente gnostico. Esso si basa su alcuni di quei dualismi oppositivi quali Dio-mondo, spirito-materia, anima-corpo, preghiera-lavoro che valorizzano solo uno dei due poli a scapito dell'altro e che l'incarnazione di Cristo ha cancellato. Invano si ricorda che nel famoso motto benedettino «ora et labora" la parola più importante è proprio quell'»et» che tiene insieme le dimensioni (cfr. p. 67). Leggere la RB ricorda che una vita spirituale si sostanzia di cose concrete come l'alzata mattutina, l'orario per andare al bagno, quello per mangiare, il modo equo di dormire, per coltivare interessi, arti e relazioni (cfr. p 125). Folador ricorda che il termine monaco fa riferimento alla persona che cerca la sua unità interiore, la sua pienezza, il suo equilibrio (p. 123).

A livello ecclesiale, Folador ha già da tempo individuato una sfida entusiasmante e piuttosto inedita. Non è il solo, né il primo a lavorare sulle affinità elettive tra spiritualità e mondo del lavoro. Certamente però dal suo studio emerge qualcosa di significativo: come formatore, Folador è impegnato a trasmettere ai diversi anelli dei vari livelli della società del lavoro le basi di una riflessione umana che oggi è difficile da trovare. Estromessa dalle scuole, forse relegata solo in classi di Liceo di docenti illuminati, chiusa nelle Facoltà accademiche delle Scienze Umane inaccessibili ai più, essa invano si cerca sotto cumuli di povertà di linguaggio e di impulso delle omelie domenicali. Con una dose di coraggio e disillusione dobbiamo riconoscere che l'Italia non è più un paese cattolico; i giovani hanno abbandonato le parrocchie e forse tra poco abbandoneranno anche i movimenti ecclesiali. Di fatto non ci sono luoghi dove formare le persone alle analisi, valutazioni e elaborazioni delle questioni fondamentali della vita fuori delle cerchie specialistiche sempre più ristrette. Ciò che le grandi sapienze e i testi sacri della letteratura mondiale veicolavano, oggi sono recuperate dalle attuali spiritualità fai-da-te con esiti spesso improduttivi e superficiali. Se c'è una «chiesa in uscita», quella di cui parla Papa Francesco, è anche qui. Essa raggiunge le persone con «buone notizie», laddove esse si trovano cioè nei luoghi di lavoro. Non sarà una chiesa ufficiale o istituzionale, forse nemmeno teologicamente esatta, ma sa parlare la lingua dell'uomo e della donna comuni e va guardata con attenzione perché probabilmente produrrà frutti preziosi.

A livello sociale non c'è forse ancora una richiesta cosciente, ma il mondo ha un gran bisogno di riascoltare domande di senso, parole buone, belle, vere (l'autore approfondisce, tra altre, le parole come virtù, scuola, desiderio, emozioni, meditazione, talenti, motivazione, riconoscimento, autostima, bene comune, etica, libertà, ascesi, ascolto, dialogo, consapevolezza, cura, reciprocità, carità, gratuità, generosità). Folador è convinto, come gli antichi, della «possibilità che una parola possa non soltanto guidare le persone verso la verità ma anche muoverle verso la vita, far diventare le azioni quotidiane di ciascuno più vive» (p. 18). Non a caso Askesis è anche la società a cui egli ha dato vita e che si occupa di formazione e consulenza.

Il testo si rivolge ad un pubblico vasto e non specialistico; anche per questo ha scelto uno stile editoriale non accademico senza nulla togliere alla serietà degli argomenti. Un libro «che, senza identificare soluzioni precise, ma chiaramente simpatizzando per alcune conclusioni, prova di fatto a creare uno spazio di riflessione attraverso il quale porsi delle domande e poi, forse, individuare delle risposte» (p. 131, cfr. 150). Ecco perché consigliamo la lettura di questo volume pieno di parole che non solo ricordano ma che sanno far leva su quelle motivazioni che ogni persona ritrova dentro di sé quando si convince che «l'impresa è ancora possibile»: l'impresa di migliorare se stessi, di coltivare relazioni autentiche, di collaborare ad una comunità o azienda che mettano al centro le persone con i loro talenti e prendano sul serio la loro ricerca e bisogno di felicità. È questo che crea il capitale di cui abbiamo di nuovo disperatamente bisogno oggi: quello umano, relazionale e spirituale che produce «valore per sé e per gli altri» (p. 149; cfr. 168; 197), ossia vera ricchezza.

Convinto che «... l'economia deve rimettersi a servizio dell'uomo nella sua interezza e contribuire a dare un volto e un senso nuovo all'agire quotidiano delle persone e delle comunità» (p. 149), Folador ci fa riflettere con lui su alcune piste «per capire se proprio dentro al bene che la verità sa generare possa risiedere quella bellezza terrena e spirituale che sola è in grado di muovere il desiderio di ciascuno e indirizzare verso un fine comune i nostri talenti, la nostra intelligenza, la nostra libertà» (p. 202).

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