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La formula «simul iustus et peccator» nella prospettiva di un'ontologia relazionale. In riferimento alla teologia luterana del battesimo

di Lubomir Zak (2 ottobre 2012)

Come emerge dalla ricezione, da parte del magistero e della teologia cattolico-romana, della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999) di Augsburg, la celebre formula di Lutero «simul iustus et peccator» continua a essere percepita con una non poca perplessità e, di conseguenza, con il desiderio di «neutralizzare» o almeno circoscrivere al minimo la sua importanza per la tradizione della Riforma. Il presente saggio intende mostrare l'innegabile centralità della controversa formula sia in Lutero che nella tradizione luterana, partendo dal presupposto che essa non solo contiene uno dei temi centrali della teologia luterana della giustificazione, ma incarna in modo fedele e privilegiato la logica e la prospettiva interpretativa di fondo della «nuova teologia» che il Riformatore intendeva elaborare. Più concretamente, si vuole mettere in luce il nesso tra le intuizioni fondamentali di questa formula, che tematizza la giustificazione nei termini volutamente e radicalmente paradossali, e l'idea di Lutero di poggiare la riflessione sulle verità di fede su un'ontologia dinamico-relazionale. La specificità di tale nesso viene presentata sul caso della teologia luterana del sacramento del battesimo, con il seguente risultato: la concezione che Lutero ha del battesimo è una conseguente concretizzazione, nell'ambito dei sacramenti, del simul iustus et peccator, e perciò la complessità della sua concezione del battesimo non è interpretabile se non dal di dentro dell'ontologia dinamico-relazionale espressa in modo paradigmatico proprio dalla formula del simul.

1. Introduzione

Il 31 ottobre 1999 è stata firmata, ad Augsburg, la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione fra la Chiesa cattolico-romana e la Federazione luterana mondiale, in cui non poteva certo mancare il riferimento ad una delle idee classiche della dottrina della giustificazione elaborata da Martin Lutero: quella, cioè, espressa mediante la celeberrima formula simul iustus et peccator. Tale idea viene menzionata implicitamente al n. 28, dove si dice: «Anche il giustificato deve chiedere ogni giorno perdono a Dio, così come si fa nel Padre nostro (Mt 6, 21; 1Gv 1, 9); egli è continuamente chiamato alla conversione e alla penitenza e continuamente gli viene concesso il perdono».1 Al n. 29, invece, viene citata esplicitamente, laddove sta scritto che i per i luterani il cristiano «è "al tempo stesso giusto e peccatore"». Il documento continua, spiegando che il cristiano «è del tutto giusto, poiché Dio, attraverso la Parola e il sacramento, gli perdona i peccati e gli accorda la giustizia di Cristo, che egli fa propria nella fede e che lo rende giusto in Cristo davanti a Dio. Tuttavia, guardando a se stesso egli riconosce, per mezzo della legge, di rimanere al tempo stesso e del tutto peccatore, poiché in lui abita ancora il peccato (1Gv 1, 8; Rm 7, 17. 20)».2

Com'è noto, la formula simul iustus et peccator è apparsa anche nel testo della Risposta della Chiesa cattolica alla Dichiarazione congiunta fra la Chiesa cattolica e la federazione luterana mondiale circa la dottrina della giustificazione,3 elaborato di comune intesa fra la Congregazione per la Dottrina della Fede e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Essa viene citata in un lungo passaggio in cui la parte cattolica assume una posizione nettamente critica verso quanto viene affermato nei nn. 28-30 (del paragrafo 4. 4) della Dichiarazione congiunta, successivamente firmata ad Augsburg. Nella Risposta si dice:

Le difficoltà più grandi per poter affermare un consenso totale tra le parti sul tema della giustificazione si riscontrano nel paragrafo 4. 4. Das Sündersein des Gerechtfertigten (nn. 28-30). Pur tenendo conto delle differenze, in sé legittime, risultanti da approcci teologici diversi al dato di fede, dal punto di vista cattolico già il titolo suscita perplessità. Secondo la dottrina della Chiesa cattolica infatti nel battesimo viene tolto tutto ciò che è veramente peccato, e perciò Dio non odia niente in quelli che sono nati di nuovo (cfr. Concilio di Trento, Decreto sul peccato originale, DS 1515). Ne consegue che la concupiscenza che rimane nel battezzato non è propriamente peccato. Perciò per i cattolici la formula "zugleich Gerechter und Sünder", così come viene spiegata all'inizio del n. 29 ("Er ist ganz gerecht, weil Gott ihm durch Wort und Sakrament seine Sünde vergibt... In Blick auf sich selbst aber erkennt er... dass er zugleich ganz Sünder bleibt, dass die Sünde noch in ihm wohnt... "), non è accettabile.4

La problematicità della formuladi Lutero viene richiamata, nella Risposta, anche in un successivo passaggio, in cui si fa riferimento al n. 41 della Dichiarazione congiunta, concretamente all'affermazione che «l'insegnamento delle Chiese luterane presentato in questa Dichiarazione non cade sotto le condanne del Concilio di Trento». Secondo la Risposta, affinché sia possibile un'affermazione del genere, essa dovrebbe essere preceduta dal superamento di alcune divergenze tra cattolici e luterani; e ciò «vale in primo luogo per la dottrina sul "simul iustus et peccator"».5

Si capisce che nel breve arco di tempo che intercorse tra la pubblicazione della Risposta e la solenne firma della Dichiarazione comune non si è potuto aprire un serio confronto6 sul significato teologico della formula in questione e sulle sue eventuali convergenze con la dottrina cattolico-romana. Ecco perché il rilievo critico della Risposta è stato percepito da alcuni ecumenisti e teologi come un'importante e -- almeno per ora -- permanente riserva della Chiesa cattolica7 circa l'accettabilità del simul iustus et peccator; e questa loro impressione non è stata mitigata né dalle distese e concilianti parole dell'Allegato8 alla Dichiarazione congiunta di Augsburg né dalle affermazioni9 della Dichiarazione ufficiale comune della Federazione luterana mondiale e della Chiesa cattolica, documento con il quale le due parti hanno voluto confermare la Dichiarazione congiunta nella sua interezza. Ne è, tra l'altro, una conferma la marginale ricezione della Dichiarazione congiunta da parte delle comunità e dei gerarchi? della Chiesa cattolica.10

Il teologo G. Iammarrone è uno di coloro che non solo hanno seguito con attenzione gli sviluppi appena descritti, ma hanno anche voluto contribuire alla soluzione del problema. Egli così ha fatto con il saggio La formula "simul iustus et peccator" e la dottrina teologica ad essa sottesa nel dialogo ecumenico cattolico-luterano dal 1967 al 2000,11 e soprattutto con l'opera Il dialogo sulla giustificazione. La formula "simul iustus et peccator" in Lutero, nel Concilio di Trento e nel confronto ecumenico attuale (Messaggero, Padova 2002). Iammarrone, da convinto ecumenista e studioso di Lutero,12 è del parere che sia i documenti succitati, inclusa la Dichiarazione congiunta di Augsburg, sia le opere dei teologi cattolici, scritte prima e dopo la firma del 1999, non siano riusciti a cogliere e a esprimere del tutto la complessità dell'intuizione che tale formula problematica contiene. Riferendosi in particolare ai nn. 29-30 della Dichiarazione congiunta, egli sostiene che l'esposizione ivi presente della dottrina luterana sulla giustificazione non esprime «la dottrina più propria di Lutero sul simul».13 A suo avviso, una maggiore fedeltà al Riformatore e alla sua dottrina sulla giustificazione avrebbe invece permesso di valorizzare la concezione luterana della dialettica dell'esistenza cristiana e il suo spessore antropologico e teologico, mettendo maggiormente in luce un dato sorprendente, cioè

che le dottrine di Lutero e Trento, pur se diverse nell'approccio e nel linguaggio, in realtà nella sostanza siano da considerare espressioni teologiche della medesima verità cristiana e conciliabili non solo sul piano esperienziale della fede, ma anche su quello della formulazione dottrinale, ragione per cui possano e debbano costituire entrambe la base di un pieno accordo ecumenico su questo punto non ancora pienamente raggiunto nella Dichiarazione congiunta e nell'Allegato che l'accompagna.14

Il presente contributo intende riprendere le intuizioni di Iammarrone, sottolineando la centralità della formula di Luteroper tutta la sua teologia e la necessità di intravedere nel simul iustus et peccator una concezione rigorosamente dialettica -- e in ogni caso fedele alla Scrittura -- della vita credente: dialettica, in quanto colui che crede sperimenta passo dopo passo, salendo cioè da un grado all'altro della perfezione, «il profondo rinnovamento interiore rispetto al peccato e la simultanea permanenza di questo ex parte in esso».15

Il mio punto di partenza sta nel riconoscere che ogni tema della teologia di Lutero s'iscrive nella cornice tematica ed ermeneutica della giustificazione per fede, espressa con la paradossale formula simul iustus et peccator, e nel ribadire che la giusta comprensione di tali singoli temi dipende dalla giusta comprensione di quest'ultima: ossia delle sue originarie intenzioni e intuizioni teologiche.

Dovendo restringere il campo dell'indagine, mi limiterò a mettere a fuoco l'inscindibile nesso, in Lutero, tra l'idea del simul e la teologia del battesimo, mostrando che la sua concezione del battesimo è una conseguente concretizzazione, nell'ambito della teologia dei sacramenti, del simul iustus et peccator; come pure che la complessità della sua idea del battesimo non è interpretabile se non dal di dentro del significato più profondo racchiuso nella formula del simul.

2. Una teologia del battesimo carica di contraddizioni?

La teologia del battesimo elaborata da Lutero è stata oggetto di numerosi e competenti studi da parte di teologi sia luterani che cattolici16 i quali, lo si deve riconoscere, in molti casi non giungono a conclusioni convergenti. Da alcuni di loro viene ravvisata la difficoltà di rintracciare, nell'opera del Riformatore, un pensiero sul battesimo formulato in termini chiari e univoci. Altri constatano che si tratta di un pensiero che nel suo sviluppo subisce mutamenti assai radicali, dividendosi in due o più fasi segnate da una certa discontinuità. Tra le dimostrazioni della progressiva trasformazione della concezione di battesimo in Lutero viene ricordato il mutamento degli schemi da lui utilizzati per descrivere tale sacramento nella sua essenza ed efficacia. Mentre, cioè, nella predica Eyn Sermon von dem heyligen hochwirdigen Sacrament der Tauffe (1519) egli indica gli elementi costitutivi del battesimo con i termini "segno, significato e fede" (termini i cui singoli significati si determinano reciprocamente), nella De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (1520) compare la triade "promessa, fede e segno", per ricorrere successivamente ad altri abbinamenti terminologici, con uno spostamento sulla diade "parola di Dio" e "segno esterno". Ciò che viene sottolineato in riferimento a tali cambiamenti è la differente -- e per alcuni persino contraddittoria -- concezione del ruolo della fede, connessa con l'esistenza di diversi significati attribuiti al termine "fede".

Infatti, inizialmente sembra che per Lutero sia la sola fede il principio dominante, al quale la realtà "materiale" del sacramento del battesimo è subordinata in modo accidentale. Tale posizione è presente in molti dei suoi testi. Ad esempio laddove nel De captivitate afferma che se «questa fede [nella promessa divina17 -- L. Z.] non c'è [già] o non viene preparata, il battesimo non serve a nulla: anzi, è di danno, non solo quando lo si riceve, ma per tutta la durata della vita».18 Lutero ne parla anche nel sermone dell'Ascensione (1520), ribadendo: «Il sacramento non serve a nulla dove non c'è fede». E ancora: «Se dunque ci si deve privare di una delle due cose, è preferibile privarsi del battesimo piuttosto che della fede».19 Il problema è che negli scritti di Lutero trovano spazio anche frasi che spostano in modo evidente l'accento sull'importanza del rito battesimale, arrivando di conseguenza a relativizzare il ruolo della fede. Basti sfogliare le pagine del saggio Von der Wiedertaufe an zwei Pfarrherrn (1528), dove scrive:

Chi si fa battezzare perché ha fede, non è soltanto un insicuro, è anche un cristiano idolatra e rinnegato, perché confida e costruisce su di sé, cioè su di un dono che Dio gli ha fatto, e non sulla parola di Dio, così come un altro costruisce sulla propria forza, ricchezza, potenza, sapienza, santità, doni, anche questi, che Dio gli ha dato. Se invece uno è battezzato sul fondamento della parola e dell'ordine di Dio, fosse pur assente la fede, il battesimo sarebbe pur sempre corretto e certo, perché lo si compie come Dio ha ordinato; e anche se al battezzando non giovasse, a causa della sua incredulità, non per questo sarebbe scorretto, dubbio e privo di valore.20

Lo stesso concetto ritorna nel Größer Katechismus (1529), dove Lutero sottolinea a chiare lettere che

il battesimo non è altro che l'unità di acqua e parola di Dio, il che significa che, quando la parola accompagna l'acqua, il battesimo è autentico, anche qualora non vi si aggiunga la fede. La mia fede, infatti, non costituisce il battesimo, ma lo riceve; dunque, il battesimo non viene invalidato, se anche non è rettamente ricevuto o utilizzato, perché, come ho detto, non è legato alla nostra fede, ma alla parola di Dio.21

Che il motivo dello sviluppo del pensiero teologico di Lutero -- e dello spostamento degli accenti da un tema all'altro, come anche da una prospettiva interpretativa all'altra -- sia in una forte dipendenza dal contesto e dall'interlocutore al quale egli si rivolge o al quale si riferisce è un fatto ben noto che riguarda anche la sua teologia del battesimo. L'interlocutore di quest'ultima è, in un primo tempo, il "papato", ossia l'istituzione romana, la sua dogmatica, liturgia e spiritualità, impregnate dall'idea e dalla prassi del "sacramentalismo" (il riferimento è ad una visione oggettivante dei sacramenti, ben espressa con la formula ex opere operato). Ciò spiega perché Lutero in questo periodo evidenzi l'importanza del ruolo della fede e perché affermi la non indispensabilità del segno. Successivamente, invece, quando si deve confrontare con il movimento anabattista e con gli Schwärmer, gli accenti cambiano: senza attenuare il riferimento alla Parola, egli insiste con forza sull'indipendenza del battesimo dalla fede o non fede di chi battezza e di chi viene battezzato.

Eppure la conoscenza del dato contestuale non è sufficiente per cogliere il profilo unitario della concezione del battesimo del Riformatore: infatti, nonostante tale conoscenza, vi è chi, da un lato, o accusa o loda il tardo Lutero di un ritorno a una posizione più marcatamente sacramentalista; chi, dall'altro, parla di un grossolano fraintendimento, ribadendo che per lui conta, anche nella fase posteriore, solo la Parola e non il sacramento in sé: non la sua celebrazione né l'elemento materiale che lo costituisce.22 Data la facile reperibilità, negli scritti del Riformatore, di conferme per entrambe le discordanti interpretazioni, sembrerebbe che la difficoltà degli studiosi di giungere a conclusioni condivise e convergenti stia nella non chiarezza di Lutero stesso e, anzi, nella mancanza di coerenza interna del suo pensiero. Ma allora è valida e sempre attuale l'osservazione critica del teologo tubinghese J. A. Möhler, il quale nel 1832 scrisse: «Lutero è molto mutevole nelle sue affermazioni, fin troppo spesso asserisce anche il contrario di quanto ha detto in precedenza»?23

Non è mia intenzione indagare sui casi di presunta frammentazione e incoerenza del pensiero di Lutero sul battesimo. Sono convinto che la giusta comprensione della sua teologia non solo presupponga la conoscenza del dato contestuale, ma esiga prima di tutto che i suoi concetti teologici e il loro utilizzo vengano interpretati dal di dentro del loro ambiente semantico originario: quello della "teologia nuova", radicata nel terreno della Scrittura e tesa a riflettere sulle verità di fede alla luce dell'urgente domanda circa la conoscenza certa di tali verità dal di dentro dell'evento salvifico (che accade come dono della sola gratia) dell'autorendersi-presente di Dio stesso, in Cristo per mezzo dello Spirito, "per me", "per te", "per noi"; evento che crea e sostiene la comunità dei credenti, la Chiesa, come strumento del Suo divenire storico e percepibile con i sensi (leibhaftig) .24

Il ricordarsi che Lutero intendeva la sua produzione e azione teologica come esercizio di un nuovo modo di fare teologia significa mettere in primo piano la prospettiva, da lui tematizzata e utilizzata, del fundamentum fidei dynamicum. Prospettiva che poggia sulla "strutturale" relazione tra Rivelazione e fede, evidenziandone lo spessore (e il significato) gnoseologico ed ecclesiologico, ma anche antropologico, nel senso che la presenza/assenza di tale relazione segna in modo determinante -- sul piano dell'ontologia della salvezza -- la persona umana.25

Ebbene, sono proprio l'esistenza e la specificità di tali prospettiva e relazione -- così determinanti per la teologia di Lutero -- a rappresentare l'ambiente interpretativo entro il quale dev'essere inscritta e dentro il quale va sviluppata la sua riflessione sul battesimo.

3. L'idea della giustificazione e l'ontologia relazionale

Qual è lo specifico della concezione del battesimo elaborata dal Riformatore? Per poterlo cogliere è necessario mettere in luce lo specifico del suo concetto di fede e, insieme, della sua idea di giustificazione per fede, strettamente connesso con lo specifico della sua teologia del peccato. Infatti, la concezione che Lutero ha del battesimo è comprensibile solo se intesa come parte integrante della sua teologia della giustificazione per fede. In questo senso essa va compresa come un ulteriore approfondimento della riflessione su Dio e sulla Sua azione salvifica a favore dell'uomo, il quale, tramite il dono della fede, entra in relazione con il Creatore del suo essere "nuova creatura". Si può perciò dire che la teologia del battesimo rappresenta, per il Riformatore, un peculiare percorso di addentramento nei temi teologici di prim'ordine, con al centro il tema della giustificazione per fede. Al contempo, il tema della giustificazione stabilisce i parametri di valore prospettico: esso, cioè, determina quell'orizzonte ermeneutico che orienta Lutero nella comprensione e nella descrizione del significato più profondo (originario) del creato e della vita umana,26 ma soprattutto nella comprensione e nella descrizione di tutte quelle realtà che appartengono all'ambito della fede e di cui la teologia è chiamata a occuparsi: tra queste, i sacramenti.

Quanto al concetto di fede, le sue caratteristiche sono determinate dall'idea che il Riformatore ha di Dio -- che è al tempo stesso absconditus et revelatus27 -, come anche dall'idea della cooperatio dell'uomo all'opera della salvezza, intesa come santificazione o, appunto, giustificazione: la fede è, da un lato, un'opera esclusiva di Dio, dall'altro, è un atto di fiduciale abbandono a Dio, alla Sua parola nella quale Egli si rende presente sub contraria specie.28 Presa nella sua paradossale complessità, la fede è una realtà in divenire: il suo accadere coincide con il passaggio dell'uomo «da fede a fede»29 (cfr. Rm 1, 17), un passaggio da intendere come un evento di trasformazione sempre in atto, nel senso che credendo, o stando nella fede, l'uomo vive ininterrottamente -- dalla radice più profonda del suo "io" fino alla punta dei suoi capelli -- il passaggio dal "vecchio" al "nuovo", dal suo non-essere-ancora al suo essere-già una "nuova creatura".30

Compresa in questi termini, la fede si presenta come un evento di vera e propria rinascita (sperimentato, ovviamente, anche come illuminazione, santificazione, purificazione, rinnovamento e inecclesiazione), da intendere alla luce della dottrina luterana della creazione, che pone al centro l'atto della creazione ex nihilo. Secondo Lutero, cioè, Dio è non solo Colui che all'inizio creò il mondo dal nulla, «chiamando ad essere le cose che non sono»,31 ma anche Colui che prosegue nell'opera creatrice secondo la stessa dinamica della prima creazione: ex nihilo, appunto.32 Ebbene, questa concezione dinamica e processuale della fede -- in quanto opera creata da Dio -- coincide con la concezione dinamica e processuale che Lutero ha della giustificazione per fede. Un'idea espressa con le parole: «Noi sappiamo che l'uomo giustificato non è ancora giusto, ma è in movimento e corre [in ipso motu seu cursu] verso la giustizia».33

La formula simul iustus et peccator va interpretata dal di dentro di una simile impostazione della dottrina sulla fede e sulla giustificazione. Infatti, con essa si intende esprimere il già e, insieme, il non ancora dell'uomo che viene giustificato da Dio, da considerare come due aspetti inscindibili di un'unica identità credente; come due margini entro i quali accade sempre nuovamente quell'evento di grazia -- il darsi di Dio e con Lui della verità salvifica sull'uomo34 -- che in continuazione rifonda il credente in quanto "creatura nuova". La paradossalità della formula sta proprio qui: essa indica che l'essere-credente significa essere sempre-in-movimento, e per questo colui che crede si deve considerare un peccatore bisognoso di costante perdono. Volendo descrivere tale situazione, Lutero afferma che il peccato è «una realtà viva e in quotidiano movimento, così come lo è l'anima in cui esso abita». Dunque, «anche la giustizia è una realtà viva e in quotidiano movimento, in quanto l'anima non può essere in riposo senza che o ami o odi ciò che è di Dio».35 La stessa idea viene esposta in Diui Pauli apostoli ad Romanos epistola (cfr. Rm 12, 2) dove -- dopo aver riassunto la dinamica circolare dell'essere dell'uomo con i termini "sempre peccatore", "sempre penitente" e "sempre giusto" -- Lutero scrive:

Infatti, proprio perché si pente, [l'uomo] diventa giusto da non-giusto. Dunque il pentimento è il termine medio tra l'ingiustizia e la giustizia. Così egli è nel peccato, relativamente al punto di partenza; e nella giustizia, relativamente al punto d'arrivo. Dunque: se ci pentiamo sempre, siamo sempre peccatori, tuttavia siamo per ciò stesso giusti e veniamo giustificati; in parte siamo peccatori, in parte siamo giusti, cioè: non siamo nient'altro che penitenti. Come all'inverso, gli empi che recedono dalla giustizia tengono il mezzo tra il peccato e la giustizia, ma con un movimento contrario. Perciò questa via è la via che conduce al cielo e all'inferno. Nessuno è così buono da non poter diventare migliore; nessuno è così cattivo da non poter diventare peggiore, finché non perveniamo alla [nostra] forma finale.36

Ciò che si deve sottolineare è lo spessore ontologico del significato della formula simul iustus et peccator: essa, cioè, intende esprimersi su ciò che nell'uomo viene "operato" -- tramite l'evento della giustificazione -- sul piano del suo essere-persona.37 Inoltre, si deve aver chiaro che l'ontologia che sta dietro tale formula è, sì, dinamica e insieme processuale, ma soprattutto relazionale, ed è pensata in chiave teocentrica e soteriologica. Secondo Lutero, infatti, l'uomo esiste (veramente "è") solo se è-in-relazione con/in Dio. Come a questo proposito annotò W. Joest, il Riformatore intende sottolineare con forza il carattere "eccentrico" dell'essere-persona, facendo capire che il centro ontologico della persona non è da cercare in essa stessa, ma in Dio. Ricordo soltanto che tale concetto di persona è, in Lutero, in profonda sintonia con il concetto di fede e con quello di giustificazione per fede: in che cosa, infatti, consistono il credere e l'essere giustificati per fede, se non nel lasciar trapiantare il proprio "io-sono" in Cristo (e permettere che esso venga rivestito della forma Christi), liberando in sé lo spazio affinché sia l'"io-sono" di Lui, unigenito Figlio di Dio Padre, a illuminare la tenebra dell'uomo? Per dirla con le parole di Lutero:

Se è una fede autentica, è fiducia certa del cuore e fermo consenso attraverso i quali Cristo è percepito, così com'è oggetto della fede. Anzi: non è l'oggetto, ma -- per così dire -- è presente nella fede stessa. [...] Dunque, la fede giustifica perché coglie e possiede questo tesoro, ossia Gesù Cristo presente.38

La concezione del battesimo elaborata da Lutero non fa che riprendere e approfondire le intuizioni di fondo che animano proprio questa idea della giustificazione per fede, la quale, da parte sua, imprime al concetto luterano di battesimo -- e a tutti gli altri concetti ad esso connessi -- quei tratti essenziali che, nel loro insieme, ne determinano la specificità.

4. Il battesimo come passaggio dalla morte alla vita

Se è vero che i teologi del tardo medioevo erano soliti considerare il battesimo nel suo nesso con il peccato originale, Lutero cerca di superare questa riduzione, impostando la riflessione su tale sacramento nella prospettiva appena descritta della giustificazione per fede. Ciò spiega perché, tra le affermazioni che il Riformatore utilizza per esprimere l'essenza e il significato del battesimo, troviamo quelle che esplicitamente si riferiscono alla giustificazione. Per dirla con le parole del De captivitate: «Il battesimo significa due cose, morte e risurrezione, cioè vera giustificazione piena e compiuta».39 Secondo Lutero, infatti, l'atto «con cui il ministro immerge un bambino nell'acqua significa la morte, mentre quello con cui lo tira di nuovo fuori significa la vita»;40 e riferendosi poi a Rm 6, 4 aggiunge: «Questa morte e questa risurrezione noi le chiamiamo "nuova creazione" [cfr. 2Cor 5, 17], "rigenerazione" [cfr. Tt 3, 5], "rinascita spirituale" [cfr. Gv 3, 6] e non bisogna interpretarle soltanto allegoricamente come morte del peccato e vita della grazia, come molti son soliti fare, ma come vera morte e vera risurrezione».41 Parole simili si trovano anche nel Größer Katechismus, dove Lutero riflette sul significato della "cerimonia esterna" del sacramento. Egli scrive: «veniamo immersi nell'acqua, in modo che essa ci ricopra, e ne veniamo poi tratti fuori. Queste due cose, l'immersione e l'emersione, indicano la forza ed efficacia del battesimo, che non è nient'altro che l'uccisione del vecchio Adamo, seguita dalla risurrezione dell'uomo nuovo».42

Dire che il battesimo significa morte e risurrezione permette di cogliere molto della specificità dell'idea che Lutero ha di questo sacramento. Come ricordato, anche la sua teologia della giustificazione per fede poggia sui due eventi, considerandoli presenti in modo permanente nell'essere dell'uomo fino a quando egli non riceverà definitivamente, mediante la risurrezione alla fine dei tempi, la pienezza della forma Christi. E, infatti, la concezione del battesimo è, in Lutero, intimamente connessa con tale comprensione della giustificazione. Anzi, questa seconda conferisce a tale concezione alcuni tratti particolari che diverse volte, nel passato e nel presente, non pochi teologi cattolici confusero e confondono, allorché ne fanno oggetto delle loro severe critiche. Mi riferisco all'idea del battesimo come realtà sempre in atto. Essa è presente, ad esempio, nel De captivitate, dove Lutero, spiegando che il sacramento del battesimo non è qualcosa di momentaneo ma di duraturo, afferma che, sebbene «la sua celebrazione termini subito, la realtà che esso significa dura tuttavia fino alla morte, anzi fino alla risurrezione nell'ultimo giorno. Per quanto a lungo noi viviamo, compiamo sempre quel che il battesimo significa, cioè moriamo e risorgiamo».43 Se è vero che un cattolico, pur ignaro dell'orizzonte teologico dal quale vengono formulate tali parole, non dovrebbe avere difficoltà ad accettare tale spiegazione, egli quasi certamente comincerà a capire di meno appena presti attenzione alle seguenti parole di Lutero:

Tu sei stato battezzato sacramentalmente una volta, ma devi essere continuamente battezzato per mezzo della fede, devi sempre morire e sempre rivivere. (. .) Noi dunque non siamo mai privi del segno né della sostanza stessa del battesimo: anzi, dobbiamo sempre più essere battezzati, finché non giungeremo al perfetto adempimento del segno nell'ultimo giorno.44

La stessa affermazione si trova anche nel Größer Katechismus. Qui il Riformatore annota che l'uccisione del vecchio Adamo e la risurrezione dell'uomo nuovo «devono proseguire in noi nel corso dell'intera nostra vita, in modo tale che una vita cristiana non sia altro che un battesimo quotidiano, che è iniziato una volta e viene costantemente proseguito».45

La differenza tra la concezione cattolica e quella di Lutero si avverte immediatamente: mentre la prima vede nel battesimo e in ciò che tramite esso viene effettuato la definitività di un nuovo inizio, la seconda al contrario vi vede la gradualità di un processo, ossia di un movimento di radicale trasformazione, iscritto all'interno dello spazio di possibilità -- delimitato dai due opposti punti di confine -- che l'uomo porta dentro di sé in quanto semper iustus et peccator. Per questo Lutero, riferendosi al significato del battesimo, dice che bisogna «comportarsi senza sosta in modo tale da spazzar via quanto viene dal vecchio Adamo, in modo che scaturisca quanto appartiene a quello nuovo» e spiega che tale comportamento sta nell'«immergersi veramente nel battesimo e riemergere quotidianamente».46

Non occorre riportare altre citazioni per dimostrare quanto, in Lutero, la concezione del battesimo sia debitrice alla sua idea della giustificazione per fede. Infatti, se la giustificazione è opera di Dio soltanto -- visto che solo Lui può condurre dalla morte alla vita, dallo stato dell'uomo "vecchio" a quello dell'uomo "nuovo" -- , è evidente che lo è anche il sacramento del battesimo. Ecco perché il Riformatore, di fronte a coloro che relegavano l'efficacia del battesimo al rito, ossia ai "segni esterni" utilizzati per la sua celebrazione, e che non evidenziavano a sufficienza l'assoluto prius di Dio nell'opera di rinascita veicolata dal sacramento -- avvertendo il pericolo di una visione del battesimo collocata al di fuori della rigorosa prospettiva della giustificazione per fede -, interviene con parole che sembrano svalutare in modo radicale tutto ciò che gli altri consideravano parte dell'essenza del sacramento: la celebrazione e i "segni esterni", appunto. Se poi in altri momenti Lutero non relativizza questi ultimi, se non li definisce insignificanti47 per il compimento dell'opera della giustificazione per fede, allora relativizza il contributo dell'agente, il celebrante. Nel senso che, se da un lato è evidente che colui che celebra, il ministro, è un uomo, dall'altro dev'essere chiaro che l'agente unico e vero è solo Dio.48 Ed è per questo stesso motivo che Lutero vuole vedere i "segni esterni" fuori dal dominio dell'uomo, legandoli strettamente a Dio come una sua proprietà (anche per questo gli piace chiamare l'acqua battesimale «acqua di Dio») .49

E ancora: quando il Riformatore sa di aver a che fare con coloro che tendono ad attribuire il merito dell'efficacia del battesimo alla fede e che considerano la fede una sorta di "opera" dell'uomo, che renderebbe possibile l'azione risanatrice veicolata dal sacramento, la sua reazione è analoga: dichiara che il battesimo «non è legato alla nostra fede»;50 in altri termini, egli richiama ad una concezione "oggettiva" della fede, corrispondente a quell'idea della cooperatio che riconosce la radicale differenza tra l'operare di Dio e quello dell'uomo. Questo secondo è chiamato a cooperare, sì, ma nei seguenti termini: riconoscere sempre nuovamente il proprio bisogno di guarigione, di liberazione dal peccato, e credere nell'attuazione della Parola della promessa divina: «Chi crede ed è battezzato, sarà salvato; ma chi non crederà, verrà condannato»51 (Mc 16, 16). Alcuni testi di Lutero intendono evidenziare proprio questa visione del battesimo e perciò fanno riferimento alla presenza, in esso, dell'opera creatrice di Dio, che non può non sfuggire alla logica umana, in quanto, per mezzo della celebrazione del sacramento, entra in azione, nell'uomo, la potente e inarrestabile Parola di Dio.

Aggiungo soltanto che i costanti ricorsi, negli scritti del Riformatore, al posto e al ruolo della Parola nel sacramento del battesimo non possono che essere compresi in questa stessa ottica.

5. La centralità sacramentale del battesimo

Alla luce di quanto detto, si può capire bene il perché della centralità del battesimo per la vita cristiana, ribadita costantemente da Lutero. Centralità dettata anzitutto dal fatto che si tratta di uno dei «due sacramenti istituiti da Cristo».52 Il battesimo -- spiega Lutero -- «è una realtà divina, non escogitata e inventata dagli uomini»; esso, insomma, «non è un giochetto umano, bensì è stato istituito da Dio stesso».53 All'origine della sua istituzione stanno la volontà e il comando del Signore, e perciò la Sua stessa Parola, esattamente come nel caso dell'istituzione del "Santo Sacramento dell'altare". Ciò spiega perché Lutero, in Von den Konziliis und Kirchen, dopo aver definito la Parola di Dio «la vera reliquia, la vera unzione, che unge per la vita eterna»,54 indica come "preziosa reliquia" anche -- e soltanto -- il battesimo e il sacramento dell'altare (la Cena). Allo stesso tempo attribuisce al battesimo la stessa importanza ecclesiale, ossia lo stesso intimo nesso con la communio sanctorum, che possiedono la Parola e il sacramento dell'altare. Infatti, se il popolo santo -- che agli occhi del mondo è ignoto, absconditus55 -- «si può riconoscere per il fatto che ha la santa Parola di Dio», allora esso si può riconoscere anche «dal santo sacramento del battesimo, quando viene insegnato, creduto e amministrato rettamente, nel modo stabilito da Cristo».56 Si capisce; se insegnato, creduto e amministrato rettamente, il battesimo è ciò che deve essere: strumento dell'opera creatrice e salvifica di Dio per mezzo della Sua Parola incarnata e predicata. Di conseguenza risulta evidente perché, a causa del forte nesso di questo sacramento con l'opera creatrice e salvifica di Dio in Cristo per mezzo dello Spirito Santo -- la giustificazione per fede -, Lutero riconosca la straordinaria unicità e centralità del battesimo nei confronti di quelli che, nella Chiesa cattolico-romana, venivano e vengono tuttora chiamati "sacramenti". Il caso del sacramento della penitenza57 ne è una lampante conferma.

Riferendosi alla penitenza, nel Größer Katechismus Lutero subordina tale sacramento direttamente al battesimo, essendo convinto che questo secondo, «sia con la sua efficacia sia col suo significato», include in sé il primo: perché la penitenza, «propriamente, non è altro che il battesimo».58 Il motivo di tale inclusione è chiaro: dato che la penitenza sta nell'«attaccare, con serietà, l'uomo vecchio ed entrare in una nuova vita», per viverla bisogna percorrere lo stesso cammino tracciato già dal battesimo che «non solo rappresenta simbolicamente questa nuova vita, ma anche la compie, la comincia e la prosegue».59 Per questo si può e si deve ribadire che «il battesimo sussiste sempre e, se anche qualcuno cade e pecca, possiamo comunque ricorrervi, onde sottomettere nuovamente l'uomo vecchio».60 Ed è proprio questa sussistenza che non è più necessario ricevere un altro battesimo: infatti, quanto all'efficacia e al significato, «c'è solo un unico battesimo».61 Dunque, la penitenza «non è altro che un convertirsi e un entrare di nuovo nel battesimo»;62 tramite essa, cioè, «si rinnova e si persegue nuovamente quanto prima si era iniziato e che, tuttavia, si era abbandonato».63

Una simile centralità del battesimo si nota anche nei confronti di un altro "sacramento": la confermazione, appartenente nella tradizione cattolico-romana ai sacramenti dell'iniziazione cristiana. Com'è noto, Lutero parla della cresima nel De captivitate, rilevando la mancanza di riferimenti ad essa nella Scrittura. Il che lo porta a concludere: «Noi, al contrario, ricerchiamo i sacramenti che sono stati istituiti per volontà divina e non troviamo alcun motivo per comprendervi la confermazione».64 Di conseguenza, egli insiste perché la confermazione venga considerata «come un rito ecclesiastico o una cerimonia sacramentale, simile alle altre per la consacrazione dell'acqua e di altre cose».65 Un rito che non può essere paragonato ad altri sacramenti, dato che non poggia sulla promessa della Parola di Dio e su un comando del Signore, ma che ha una sua importanza grazie all'orientamento al sacramento del battesimo: al suo significato e alla sua ininterrotta attuazione.

Di tale presa di posizione sono eredi fino ad oggi la teologia e, soprattutto, la liturgia luterana. Anche se, cioè, sul piano della dottrina la tradizione evangelico-luterana continua a mantenere le riserve nei confronti della sacramentalità della cresima (o confermazione) ,66 sul piano della vita di fede, dei singoli e delle comunità, considera la confermazione una realtà di notevole significato, legandola in modo esplicito al battesimo. Ricordo che la confermazione è anzitutto connessa con uno specifico periodo di tempo (Konfirmandenzeit) durante il quale i credenti già battezzati -- generalmente si tratta di giovani adolescenti -- sono chiamati a intensificare la loro esperienza di fede e di comunità, mentre i non battezzati fanno un'intensa esperienza di catecumenato. In entrambi i casi i confermandi sono invitati a vivere, in modo comunitario, il passaggio verso la piena maturità nella fede, partecipando a quelli che sono gli eventi centrali del tempo cresimale: la celebrazione che inaugura tale periodo, la celebrazione del battesimo -- nel caso della persona non battezzata -- , la confessione, la cena del Signore, il rito della presentazione (chiamato nell'antica tradizione della Riforma Katechismus-Examen), il rito della cresima e, infine, la veglia serale che conclude il giorno della cresima.

Partendo dall'analisi dei testi liturgici della tradizione evangelico-luterana si può constatare che al centro dei momenti del Konfirmandenzeit sta, dall'inizio alla fine, la realtà del battesimo, connessa con l'esigenza di una riscoperta nuova e personale del suo significato salvifico. Aggiungo soltanto che questa centralità del battesimo ha anche una sua espressione più popolare, molto sentita dalle comunità luterane: la celebrazione della memoria della confermazione.67 Essa prevede un rito che ricorda a ogni partecipante -- e non può essere diversamente -- il battesimo ricevuto e il "sì" dato ad esso (a ciò che questo sacramento significa e opera) nel giorno della confermazione.

6. Il persistere o meno del peccato originale nel battezzato

Finora non è stata toccata, se non in modo indiretto, un'importante questione che scaturisce dall'utilizzo della formula simul iustus et peccator e che, sin dall'inizio della Riforma, ha attirato l'interesse della tradizione cattolico-romana: l'eliminazione del peccato originale mediante il battesimo. Che si tratti di una quaestio di prim'ordine viene ribadito già dal Concilio di Trento (cfr. Decretum de iustificatione e Decretum de sacramentis); e che essa continui ad essere oggetto di aperta discussione si evince dai rilievi presenti nella succitata Risposta della Chiesa cattolica alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. È anche a causa sua che diversi studiosi cattolici e protestanti parlano di inconciliabilità tra Lutero e il cattolicesimo, nonostante la firma della Dichiarazione congiunta.68 Uno di loro, il cattolico Leo Scheffczyk, riconosce il problema nella posizione fin troppo determinante del concetto di peccato originale nella teologia di Lutero e della Riforma e, insieme, nella dottrina della cosiddetta doppia giustizia, la quale dà per presupposto che nel credente perduri ancora sempre «una natura corrotta, peccatrice, che come tale non conosce alcun punto di inserzione per la grazia».69 Partendo da tali giudizi, Scheffczyk arriva ad affermare che il concetto luterano di grazia come donum è connesso con l'idea secondo cui sotto il donum ricevuto continui ad esistere nell'uomo la sua fondamentale peccaminosità,70 idea che vede nella permanenza del peccato originale una condizione stabile del credente. Dunque, secondo il parere di Scheffczyk, Lutero sarebbe stato convinto che il peccato originale, da lui identificato con la concupiscenza, «non può venir tolto»71 dal sacramento del battesimo.

Non è questa la sede per poter spiegare in che cosa consistano gli errori di tale interpretazione, commessi da Scheffczyk anche a causa di un affidamento acritico alla discutibile opera Der fröhliche Wechsel und Streit. Grundzüge der Theologie Martin Luthers (Johannes-Verlag, Einsiedeln 1980) di Th. Beer,72 né per poter far vedere quanto più pertinente ed equilibrata, rispetto a quella del teologo e cardinale tedesco, sia la lettura della dottrina luterana del peccato e della grazia proposta dal prof. Iammarrone.73 Mi preme soltanto di ricordare che simili prese di posizione continuano ad essere presenti nella "casa cattolica" e che l'allentamento, negli ultimi decenni, dell'interesse della teologia cattolica per Lutero e la sua teologia non fa che creare le condizioni per un evolversi di tali interpretazioni verso forme ancor più radicali.

Detto ciò, si deve riconoscere la complessità del tema in questione. Idealmente dovrebbe esser sufficiente, per una sua soluzione, la constatazione dell'esistenza della dura critica con cui Lutero affronta la dottrina e la prassi degli anabattisti. Se egli, cioè, ribadisce la necessità di mantenere la prassi di conferire il battesimale una sola volta durante la vita del credente, allora è chiaro che la ragione di ciò non può che stare nel riconoscimento dell'efficacia di questo sacramento nell'eliminazione del peccato originale. Tutto sembra complicarsi, però, a causa di alcune riflessioni di Lutero sul tema del permanere del peccato nell'uomo dopo la celebrazione del battesimo. Le troviamo, ad esempio, in Diui Pauli apostoli ad Romanos epistola, dove si legge:

Essi [i teologi scolastici -- L. Z.] s'immaginano che il peccato originale, come il peccato attuale, possa essere tolto per intero, come se essi fossero realtà che si possono rimuovere in un batter d'occhio -- come, per esempio, le tenebre vengono dissolte dalla luce -- , mentre ben diversamente ne parlano gli antichi santi padri Agostino e Ambrogio: essi s'esprimono in modo conforme alla Scrittura. [...] [Invece] il beato Agostino, con la massima chiarezza, ha detto che "il peccato (cioè la concupiscenza) viene rimesso nel battesimo, non in modo che non ci sia più, ma in modo da non essere più imputato". E il beato Ambrogio dice: "Io pecco sempre, perciò mi comunico sempre".74

Il Riformatore ritorna sullo stesso tema anche in Assertio omnium articulorum Martini Lutheri per bullam Leonis X. Novissimam damnatorum (1520), offrendone una spiegazione alla luce di quanto su questo argomento dice già Agostino; spiegazione che, in ogni caso, inizia con l'affermazione: «Negare che in un bambino rimanga dopo il battesimo il peccato significa oltraggiare Paolo e Cristo insieme».75 Riferendosi poi direttamente all'idea di Agostino circa la permanenza del peccato nel battezzato (De nuptiis et concupiscentiis, lib. 1, 25, 28), Lutero ribadisce:

Vedi: qui il peccato è e rimane, ma non viene imputato. Per questo bisogna attenersi all'uso [del linguaggio -- L. Z.] della Scrittura e degli antichi, chiamando la libidine e le altre passioni, rimanenti dopo il battesimo, non difetto ma vero peccato, dato che una cosa è la remissione di tutti i peccati e un'altra la loro completa eliminazione. Il battesimo li perdona tutti, ma nessuno dei peccati viene tolto completamente; inizia solo a toglierli, il che ha deluso coloro che comprendono il perdono come completa purificazione, costringendo loro stessi a riconoscere al posto del peccato un difetto e scivolando così da una concezione erronea in un'altra ancora peggiore.76

Eppure tra le asserzioni di Lutero ce ne sono alcune che sembrano contraddire le parole appena citate. Mi riferisco di nuovo a Diui Pauli apostoli ad Romanos epistola, dove, spiegando il significato di Rm 6, 10 («ma ciò che è morto al peccato è morto una volta per tutte»), Lutero sottolinea che «la morte spirituale deve essere subita una volta per sempre» e che proprio questo è il vero significato del battesimo; e poi aggiunge: «È vero: molto spesso cadiamo e ci rialziamo, poiché molto spesso si può ricuperare la vita di Cristo, ma non ci può essere iniziazione, se non una volta sola».77 Infatti «chiunque è stato battezzato o ha fatto penitenza, si è già sottratto al peccato ed ha già acquisito la giustizia in modo tale da non doversi più sottrarre in eterno ad un altro peccato e da non dover più acquisire, per tutta l'eternità, un'altra giustizia».78 «Imparate dunque» -- afferma Lutero in un sermone (25 gennaio 1534) -- «che il battesimo è un bagno nel quale si diventa uomini nuovi e vivi, come Cristo».79 Queste e altre citazioni, presenti nei testi del Riformatore, fanno intuire che il momento della celebrazione del battesimo coincide con un momento di taglio, di passaggio, di separazione tra il prima e il dopo rispetto alla condizione iniziale.

È evidente che la preoccupazione di un cattolico è quella di voler chiarire il seguente dilemma: il peccato originale viene o non viene cancellato? Per rispondere a questa domanda si deve ammettere che Lutero, e assieme a lui la tradizione evangelico-luterana, non intende rinnegare la vittoria di Cristo sul peccato originale nella persona battezzata, ma è disposto a parlarne solo a partire da quella prospettiva che, a parer suo, è l'unica a garantire l'equilibrio tra l'agire salvifico di Dio e la collaborazione da parte dell'uomo: la prospettiva della giustificazione per fede, appunto, pensata secondo la logica e l'ontologia del simul iustus et peccator. Ecco perché Lutero inserisce il tema del peccato originale nella trattazione più ampia dell'opera della giustificazione, in cui spiega che la giustificazione è un'opera salvifica di Dio onnipotente -- opera la cui efficacia coincide con quella della creazione ex nihilo -- che provoca nell'uomo un cambiamento insieme reale (già avvenuto) e graduale (in via di attuazione), un cambiamento che coincide con l'acquisizione della fede, con il rivestirsi "ontologicamente" in essa. Ed ecco perché Lutero mette in relazione il peccato originale e il passaggio dal non credere ad una fede sempre più matura. Egli spiega: «il peccato originale, come tutti i peccati, sta anche esso nel non credere. Il fatto è che nessuno ama, crede e spera in modo sufficiente fin quando vive nel corpo».80

La stessa risposta alla suddetta domanda si può ottenere percorrendo anche altre vie di approfondimento del pensiero di Lutero, come, ad esempio, quella della riflessione sul tema della presenza del character indelebilis nella persona battezzata. Secondo la tradizione dottrinale cattolico-romana, tre sono i sacramenti «che imprimono nell'anima un carattere indelebile, ossia un segno spirituale che distingue dagli altri» (DH 1313) ;81 e il battesimo è il primo di essi. Ma si può parlare dell'idea del conferimento del character indelebilis tramite il battesimo come di un'idea condivisa da Lutero, visto che questo termine non fa parte del suo lessico?

Prima di tutto va ricordato che, come tutte le scelte tematiche di Lutero, anche quelle terminologiche furono determinate dalle situazioni contestuali. Dunque, se egli evita l'uso del termine in questione, con ciò non intende rinnegare la realtà da esso significata. Lo evita, si capisce, per il nesso fin troppo stretto con la dottrina -- abusata nella prassi liturgica di quell'epoca -- sull'ex opere operato dei sacramenti, una dottrina che sembrava mortificare o cosificare del tutto ciò che per sua natura non può essere spogliato della veste del mistero: l'operare salvifico del Deus absconditus et revelatus, ossia il Suo libero autorendersi-presente per gli uomini. Al contempo, però, pur evitando la logica e il linguaggio cosificanti, il Riformatore non è affatto estraneo al riconoscere che con il battesimo nell'animo del credente si imprime realmente uno stabile "marchio". Si tratta, tuttavia, di un "marchio" vivo: la presenza di Cristo82 e, insieme a Lui, della SS. ma Trinità. Infatti, se Cristo, e con Lui Dio Trinità, è presente nel battesimo (sono le tre Persone divine a battezzare),83 allora con il conferimento del sacramento è Lui stesso, in persona, a entrare nel cuore dell'uomo e a prendervi una stabile dimora.84 Dunque, con il battesimo inizia quella "situazione nuova" che, pur non cancellando affatto l'incolmabile distinzione tra Dio e l'uomo, viene contrassegnata da un misterioso e ininterrotto scambio tra l'uomo e la Parola incarnata di Dio, sperimentato come fröliches Wechsel und Streit (admirabile commercium) .85 Uno scambio che tocca e rende più sana e feconda -- sempre più illuminata dalla verità -- la radice più profonda dell'uomo, il suo essere-creatura/figlio di Dio.

7. Conclusione: un confronto tra le differenti ma legittime prospettive

Il presente studio mostra che il pensiero di Lutero non può essere misurato con i parametri e gli schemi né della teologia tardomedievale né della teologia cattolica contemporanea. Quanto alla sua concezione del battesimo, si deve prendere sul serio il tentativo con il quale egli sfida la teologia dei suoi tempi: quello di inventare un linguaggio teologico nuovo e, soprattutto, quello di introdurre una logica (una dialettica) e un'ontologia che rappresentino un'alternativa al sistema di logica e di ontologia dei suoi oppositori. La formula simul iustus et peccator appare in questo senso l'emblematico esempio di una "teologia nuova", paradossale e dialettica, desiderosa di rispettare il mistero della maestà di Dio e delle dinamiche e forme del Suo ininterrotto rendersi-presente nel mondo degli uomini. Oggi, passati cinque secoli dalla nascita di questo originale stile del teologare, è tempo di interrogarsi sulla possibilità di riconoscerne la legittimità quale discorso autenticamente cristiano su Dio Trinità e sulla Sua economia di salvezza: una legittimità riguardante sia il suo metodo sia i suoi contenuti. Il fatto che il Riformatore wittenberghese, nel trattare gli svariati argomenti della dottrina cristiana, rifiuti di adoperare le "classiche" categorie della metafisica e della teologia di tradizione scolastica deve essere valutato come un errore di principio nell'interpretare le verità di fede? Non è forse vero che una scelta del genere caratterizza anche le formulazioni dottrinali della tradizione ortodossa, le quali non soltanto sono tollerate da parte della Chiesa cattolico-romana, ma sono considerate da essa come ispirative e, in alcuni casi, persino esemplari (cfr. Unitatis redintegratio 17)?

Iammarrone è stato incline a riconoscere alla teologia di Lutero, e in particolare alla sua dottrina sulla giustificazione per fede, espressa sinteticamente con la formula simul iustus et peccator, il diritto di permanenza nella grande "casa" delle formulazioni dottrinali (antiche e nuove) delle verità di fede cristiana.86 Egli ha capito che l'originalità della formulazione di Lutero sta nel voler esprimere il nesso costitutivo tra tali verità e il loro unico e unitario fundamentum fidei (l'autorendersi-presente salvifico di Dio nella Sua Parola incarnata mediante lo Spirito Santo in mezzo alla Sua comunità) e nel ribadire la permanente e vitale dinamicità di quest'ultimo. Ciò non significa che Iammarrone non abbia preso in considerazione alcuni limiti della teologia luterana, riconoscendo, ad esempio, che il «suo linguaggio non sistematico, polemico e iperbolico, non è facilmente riconducibile ad unum».87 Tuttavia, egli è stato convinto che il vero problema della formula simul iustus et peccator non fosse intrinseco ad essa, ma fosse invece causato dalla sua non corretta ricezione a partire dal Concilio di Trento. Il fatto è -- spiega Iammarrone -- che il «concilio di Trento e la quasi totalità dei teologi cattolici sino a tempi recenti, nel rifiutare la visione luterana della giustificazione e la formula simul iustus et peccator, hanno preso il termine peccato in senso univoco, globale».88

Quanto si potrebbe trarre, per la teologia cattolica e il dialogo ecumenico, da tale positiva apertura alla teologia di Lutero si trova tematizzato nella parte finale di Il dialogo sulla giustificazione di Iammarrone, parte che rappresenta un importante lascito del teologo francescano. Al suo centro sta la convinzione -- ancora da approfondire e da diffondere -- che

sia Lutero che Trento abbiano collocato sul piano della formulazione teologica la medesima vera esperienza cristiana, esprimibile e di fatto espressa in forma concisa e paradossale con la formula "giusto e al tempo stesso peccatore" (simul iustus et peccator). Le accentuazioni senza dubbio sono diverse, il linguaggio anche: in Lutero è decisamente esistenziale, spesso iperbolico, paradossale, a volte addirittura scioccante; nel Tridentino accentuatamente "oggettivo", "descrittivo", "sapienziale", comunque, considerato nella sua integralità, vicino all'esperienza vissuta del giustificato. Nell'approccio e nel contesto linguistici propri a ognuno tuttavia, a nostro parere, è intesa ed espressa la medesima esperienza cristiana di fede con gli strumenti della riflessione teologica in forme che, se bene intese, sono accettabili sul piano dottrinale reciprocamente dalla Chiesa cattolica e dalla Confessione Luterana. Per questo, crediamo, la formulazione del Riformatore e quella di Trento sono più che compatibili, perché nella sostanza, in profondità, intendono esprimere la medesima res.89

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Note

  1. Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (25 giugno 1998), in Enchiridion Oecumenicum, vol. 7, EDB, Bologna 2006, 1858 (= EO). Il documento è reperibile anche online sull'URL del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani: http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_31101999_cath-luth-joint-declaration_it.html (6 agosto 2012). Testo

  2. E la spiegazione, al n. 29, prosegue: «[egli] infatti, continua a riporre la sua fiducia in false divinità e non ama Dio con quell'amore indiviso che Dio, in quanto suo creatore, esige da lui (Dt 6,5; Mt 22,36-40 e parr.). Questa opposizione a Dio è in quanto tale un vero e proprio peccato. Ma, grazie ai meriti di Cristo, il potere assoggettante del peccato è vinto. Non è più un peccato "che domina" il cristiano, poiché esso è "dominato" mediante Cristo al quale il giustificato è unito nella fede; così il cristiano, finché vive sulla terra, può condurre pur in modo discontinuo una vita nella giustizia. E, nonostante il peccato, il cristiano non è più separato da Dio, poiché, nato di nuovo mediante il battesimo e lo Spirito santo, ritornando quotidianamente al battesimo, egli riceve il perdono del suo peccato, per cui il suo peccato non lo condanna più e non è più per lui causa di morte eterna. Quindi, affermando che il giustificato è anche peccatore e che la sua opposizione a Dio è un vero e proprio peccato, i luterani con ciò non negano che egli, nonostante il peccato, non sia separato da Dio in Cristo né che il suo peccato sia un peccato "assoggettato". Nonostante le differenze nella concezione del peccato del giustificato, essi concordano su quest'ultimo punto con la parte cattolica» (ibid., 1859). Testo

  3. La Risposta è stata pubblicata in L'Osservatore Romano, 4 luglio 1998, 4, e -- assieme ad altri documenti citati -- è reperibile sull'URL http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_01081998_off-answer-catholic_it.html (6 agosto 2012). Inoltre, il testo della Risposta fa parte della raccolta dei documenti pubblicati in Il Consenso cattolico-luterano sulla dottrina della giustificazione. Documenti ufficiali e commenti, a cura di F. Ferrario e P. Ricca, Claudiana, Torino 1999, 67-72. Testo

  4. Ibid., 68. E continua ancora: «Questa affermazione non sembra infatti compatibile con la rinnovazione e la santificazione dell'uomo interiore di cui parla il Concilio di Trento (cfr. Decreto sulla giustificazione, cap. 8: "... iustificatio... quae non est sola peccatorum remissio, sed et sanctificatio et renovatio interioris hominis" [DS 1528]; cfr. anche can. 11 [DS 1561]). Il termine "opposizione a Dio" (Gottwidrigkeit) che si usa nei nn. 28-30 viene inteso in modo diverso dai luterani e dai cattolici, e diventa perciò in realtà un termine equivoco. In questo stesso senso può anche essere ambigua per un cattolico la frase del n. 22, "...rechnet ihm Gott seine Sünde nicht an und wirkt in ihm tätige Liebe durch den Heiligen Geist", in quanto la trasformazione interiore dell'uomo non appare con chiarezza. Per tutte queste ragioni rimane quindi difficile vedere come si possa affermare che questa dottrina sul "simul iustus et peccator", allo stato attuale della presentazione che se ne fa nella Dichiarazione congiunta, non sia toccata dagli anatemi dei decreti tridentini sul peccato originale e la giustificazione» (ibid., 68-69). Testo

  5. Ibid., 71. Si veda anche la relazione del card. Edward I. Cassidy, letta in occasione della presentazione (il 25 giugno 1998) della Risposta ufficiale della Chiesa cattolica alla Dichiarazione congiunta, reperibile nell'URL http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_01081998_pres-cassidy_it.html (6 agosto 2012). Testo

  6. Tale confronto è stato, tra l'altro, richiesto con insistenza anche da numerosi teologi luterani. Si veda la loro critica Presa di posizione sulla Dichiarazione congiunta, pubblicata in Il Consenso cattolico-luterano sulla dottrina della giustificazione, 81-85. Testo

  7. Una presentazione della Risposta e del suo carattere correttivo rispetto alla Dichiarazione congiunta si trova in L. Scheffczyk, Ecumenismo. La ripida via della verità, tr. it. di E. Babini, Lateran University Press, Città del Vaticano 2007, 473-489 (16. Unità nella verità. Sul primo anniversario della Dichiarazione comune), in part. 476-481. Testo

  8. Mi riferisco al n. 2 del documento, dove, dopo una serie di citazioni bibliche sul tema del peccato e della grazia (cfr. Rm 5,1; 1Gv 3,1; 2Cor 5,17; 1Gv 1,8-10; Gc 3,2; Sal 19,12; Lc 18,13; Rm 6,12), senza un approfondimento teologico dei passaggi problematici della Dichiarazione congiunta, si afferma: «Ciò ci ricorda il perdurante pericolo che proviene dal potere del peccato e dalla sua azione nei cristiani. In questa misura, luterani e cattolici possono insieme comprendere il cristiano come simul iustus et peccator, malgrado i modi diversi che essi hanno di affrontare tale argomento, così come risulta in DG 29-30» (EO, 1889). Testo

  9. Si veda in particolare quanto scritto nel n. 1; cfr. EO, 1884. Annoto che dai recenti riferimenti ai nn. 28-29 del card. W. Kasper, presenti in Harvesting the Fruits. Basic Aspects of Christian faith in Ecumenical Dialogue (Continuum, London -- New York 2009; tr. it. Raccogliere i frutti. Aspetti fondamentali della fede cristiana nel dialogo ecumenico, in Il Regno-Documenti LIV/19 [2009] 585-664), si evince che il tema del simul iustus et peccator va considerato come ormai "sostanzialmente risolto". Egli aggiunge soltanto che questo, come anche alcuni altri temi, potrebbe «comunque trarre vantaggio da un'ulteriore spiegazione e chiarificazione» (Raccogliere i frutti, 602). Testo

  10. Una sintetica spiegazione di questa situazione, formulata nella prospettiva di un'interpretazione critica del metodo dei consensi ecumenici, viene proposta da Scheffczyk, Ecumenismo, 481-489. Testo

  11. Comparso in Aa.Vv., Fons lucis. Studi in onore del Prof. Ermanno M. Toniolo, Marianum, Roma 2004, 585-621. Testo

  12. Ricordo che, oltre ai testi citati, egli si è dedicato alla teologia del Riformatore in L'Antropologia teologica di Lutero nei sermoni tenuti prima della controversia sulle indulgenze, in Miscellanea Francescana 76 (1976) 45-91; Gesù Cristo riconciliatore e redentore in Martin Lutero, in Aa.Vv., Gesù Cristo verità di Dio e ricerca dell'uomo, Herder -- Miscellanea Francescana, Roma 1997, 281-321; Le teologie della croce di S. Paolo, Martin Lutero e Jürgen Moltmann, in Doctor Seraphicus LII (2005) 15-53. Testo

  13. G. Iammarrone, Il dialogo sulla giustificazione. La formula "simul iustus et peccator" in Lutero, nel Concilio di Trento e nel confronto ecumenico attuale, Messaggero, Padova 2002, 112. Testo

  14. Ibid., 5-6. Mi permetto di annotare che la stessa convinzione sta alla base, come ipotesi di lavoro, dell'Area di ricerca interconfessionale Temi di teologia fondamentale in prospettiva ecumenica, operante dal 2001 con sede nella Pontificia Università Lateranense (Roma). Cfr. gli Atti con i materiali contenenti le molteplici e documentate conferme di tale convinzione: E. Herms -- L. Zak (edd.), Fondamento e dimensione oggettiva della fede secondo la dottrina cattolico-romana ed evangelico-luterana. Studi teologici, Lateran University Press -- Mohr Siebeck, Roma 2008 (ed. tedesca: Grund und Gegenstand des Glaubens nach römisch-katholischer und evangelisch-lutherischer Lehre. Theologische Studien, Mohr Siebeck -- Lateran University Press, Tübingen 2008); Id., Sacramento e parola nel fondamento e contenuto della fede. Studi teologici sulla dottrina cattolico-romana ed evangelico-luterana, Lateran University Press -- Mohr Siebeck, Roma 2011 (ed. tedesca: Sakrament und Wort im Grund und Gegenstand des Glaubens. Theologische Studien zur römisch-katholischen und evangelisch-lutherischen Lehre, Mohr Siebeck -- Lateran University Press, Tübingen 2011). Testo

  15. Iammarrone, Il dialogo sulla giustificazione, 102. Testo

  16. Per una sintetica presentazione di tali studi e, prima ancora, della teologia del battesimo, elaborata da Lutero, rimando ad A. Maffeis, Battesimo e fede, in Id., Teologie della Riforma. Il Vangelo, la chiesa e i sacramenti, Morcelliana, Brescia 2004, 87-139. Testo

  17. Lutero si riferisce alle parole di Mc 16,16: «Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo». Testo

  18. WA 6, 527-528; tr. it. M. Lutero, La cattività babilonese della chiesa, a cura di F. Ferrario e G. Quartino, Claudiana, Torino 2006, 179. Testo

  19. WA 9, 455, 25-30. Testo

  20. WA 26, 165; tr. it. M. Lutero, Sul ribattesimo, a due parroci una lettera di Martin Lutero, in Id., Sermoni e scritti sul battesimo, a cura di G. Conte, Claudiana, Torino 2004, 169. Testo

  21. BSLK, 701; tr. it. M. Lutero, Il grande Catechismo, in Id., Il Piccolo catechismo. Il Grande Catechismo, a cura di F. Ferrario, Claudiana, Torino 1998, 299. Testo

  22. Cfr. Maffeis, Battesimo e fede, 88. A mo' di esempio di una tale lettura (che avverte la presenza delle contraddizioni nella teologia dei sacramenti di Lutero, e in particolare del sacramento del battesimo) segnalo l'Introduzione del valdese G. Conte ai Sermoni e scritti sul battesimo. In essa si dice: «Poiché nel battesimo Lutero sottolinea in modo così prevalente l'aspetto della Parola e della promessa -- l'aspetto kerygmatico -- e la correlata esigenza della fede, che accoglie la Parola e ne vive, affiora inevitabilmente una tensione, se non una contraddizione, con la prassi pedobattista: lo spingerà alla discutibile affermazione della "fede degli infanti", che resterà uno dei suoi argomenti ricorrenti; ma non dei più convincenti. D'altra parte quella sottolineatura della fede è in tensione, se non in contrasto aperto, con reiterate affermazioni del periodo successivo nelle quali sosterrà che la fede -- né quella del battezzante, né quella del battezzato -- non è costitutiva del battesimo: la fede non "fa" il battesimo, che ha la sua realtà autonoma nella Parola della promessa e nell'istituzione divina, ma lo riceve. Si tratta di due accentuazioni in situazioni assai diverse, come vedremo; tuttavia è difficile negare che si è qui di fronte a una tensione che sfiora la contraddizione» (G. Conte, Introduzione, in Lutero, Sermoni e scritti sul battesimo, 24; corsivo mio). Un importante contributo alla chiarificazione della presunta "fluttuazione" o persino contraddittorietà della teologia dei sacramenti di Lutero -- con rifermento al tema del rapporto tra Parola e fede, tra sacramento e Parola e tra Chiesa e Parola -- viene offerto da E. Herms, Sacramento e parola nella teologia riformatrice di Lutero, in Id. -- Zak (edd.), Sacramento e parola nel fondamento e contenuto della fede, 15-77. A parere del noto teologo luterano, non si può dubitare della coerenza e unità interna della teologia di Lutero, inclusa la sua teologia dei sacramenti. Uno dei problemi di coloro che accusano Lutero di contraddittorietà sta nel come vedono il rapporto tra parola e fede: questo rapporto, cioè, «viene frainteso, se s'ignora che esso, per Lutero, esiste solo e soprattutto in un determinato senso all'interno del rapporto tra fede e sacramento» (ibid., 16). Per dirla con altre parole: «Si potrebbe dimostrare che tutte le formule teologiche fondamentali e complessive sviluppate da Lutero -- come, ad esempio, la nota definizione del soggetto della teologia, la dottrina della giustificazione, la contrapposizione tra Legge e Vangelo, la comprensione della dottrina dei due Regni o, appunto, la visione del rapporto tra parola e fede -- sono implicazioni di una teologia inserita dal principio alla fine nella fondamentale prospettiva rappresentata dalla questione circa il giusto e salutare uso, da parte della Chiesa, degli strumenti di grazia. Dunque si può e si deve dire, anche se sembra essere una provocazione, che, quanto al suo motivo autentico e alla sua intenzione autentica, la teologia di Lutero è, in tutte le sue parti e in tutti i suoi temi, una teologia sacramentale orientata alla cura delle anime» (ibid., 21-22). Testo

  23. J.A. Möhler, Simbolica o esposizione delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo i loro scritti confessionali pubblici, a cura di J.R. Geiselmann, tr. di C. Danna, Jaca Book, Milano 1984, 56. Testo

  24. Per questo tema rimando alle dettagliate riflessioni presenti in Protocollo della discussione, a cura di E. Herms, in Id. -- Zak (edd.), Fondamento e dimensione oggettiva della fede, 217-243; e soprattutto, con attenzione alla prospettiva sacramentaria, in Protocollo della discussione, a cura di E. Herms, in Id. -- Zak (edd.), Sacramento e parola nel fondamento e contenuto della fede, 283-355. Testo

  25. Si veda a tale proposito E. Herms, Das fundamentum fidei. Luthers Sicht, in Id., Phänomene des Glaubens. Beiträge zur Fundamentaltheologie, Mohr Siebeck, Tübingen 2016, 81-95. Testo

  26. Per dirla con le parole del wittenberghese: «Chi infatti non capisce Dio [e, a partire da Lui, il Suo modo di giustificare il peccatore -- L.Z.], non può capire nessuna parte della creazione» (M. Lutero, Il servo arbitrio, Claudiana, Torino 1993, 81). Testo

  27. Sulla dipendenza, in Lutero, del concetto di fede dal concetto di Dio come absconditus et revelatus rimando a W. von Loewenich, Theologia crucis. Visione teologica di Lutero in una prospettiva ecumenica, EDB, Bologna 1975, in part. 41-66. Testo

  28. Si veda, a questo proposito, la spiegazione che Lutero dà, in De servo arbitrio, di Eb 11,1. Egli scrive: «Perché dunque ci sia spazio per la fede, è necessario che tutto ciò che è creduto sia nascosto. D'altro canto, non si può nascondere più profondamente che sotto un'apparenza, una sensazione o un'esperienza contrarie» (WA 18, 633; tr. it. M. Lutero, Il servo arbitrio, a cura di F. De Michelis Pintacuda, Claudiana, Torino 1993, 121). Testo

  29. Cfr. l'interessante commento a Rm 1,17 in M. Lutero, La lettera ai Romani (1515-1516), a cura di F. Buzzi, San Paolo, Cinisello Balsamo 19962, 205-208. Testo

  30. Per la comprensione, nella teologia del Riformatore, della costituzione dinamico-processuale della fede mi permetto di rimandare al mio L'ontologia della persona umana nel pensiero di Martin Lutero, inHerms -- Zak (edd.), Fondamento e dimensione oggettiva della fede, 396-412. Testo

  31. WA 40/III, 154,12-13. Testo

  32. Lutero spiega: «Come, infatti, all'inizio delle cose Dio creò il mondo dal nulla (per cui è creatore onnipotente), così permane immutato in questo suo modo d'agire. Tutte le sue opere fino alla fine del mondo sono tali che egli ciò che è nulla, piccolo, disprezzato, misero, morto rende prezioso, onorabile, benedetto e vivo [...]. Nessuna creatura può agire a questo modo, essendo impotente a fare qualcosa dal nulla» (WA 7, 547,1-8). Testo

  33. WA 39/I, 83,16. Testo

  34. La verità, cioè, che definisce l'uomo la creatura di Dio, l'opera delle (e nelle) Sue mani. Testo

  35. «Res enim viva et quotidie movens est peccatum, sicut et ipsa anima in qua habitat. Nam et iustitia res est vivens et movens, Non enim quiescere potest anima, quin vel amet vel odiat ea quae dei sunt» (WA 7,110,24-27). Testo

  36. WA 56, 442,16-26; tr. it. Lutero, La lettera ai Romani, 633. Sull'importanza dell'espressione «partim iusti, partim peccatores» per la corretta comprensione del significato della formula simul iustus et peccator si veda Iammarrone, Il dialogo sulla giustificazione, 27-67, in part. 48-67 (4. La condizione dialettica del credente, "giusto e al tempo stesso peccatore" chiamato alla penitenza). Testo

  37. Per un sintetico approfondimento di tale interpretazione mi permetto di rinviare al mio L'ontologia della persona umana nel pensiero di Martin Lutero, 399-408 (2.2 La dimensione ontologica della giustificazione; 2.3 L'ontologia del simul iustus et peccator). È di obbligo ricordare che Wilfried Joest è stato il primo ad aver mostrato come Lutero si sia dato il compito di sviluppare un'ontologia e un'antropologia conseguentemente relazionali, cogliendo il carattere relazionale della struttura ontologica dell'uomo. Si veda a questo proposito il suo Ontologie der Person bei Luther, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1967. Sul significato della ricerca di Joest e su alcuni suoi limiti di natura terminologica si veda W. Härle, "Hominem iustificari fide". Tratti fondamentali dell'antropologia della Riforma, in Herms -- Zak (edd.), Fondamento e dimensione oggettiva della fede, 447-454. Testo

  38. E continua: «Concepire come sia presente, però non è possibile: ci troviamo, l'ho già detto, davanti alle tenebre. Cristo è quindi là dove si trova la sicurezza del cuore, presente nella nuvola stessa e nella fede» (WA 40/I, 228,31-233; corsivo mio). Testo

  39. WA 6, 534; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 203. Testo

  40. WA 6, 534; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 203. Testo

  41. WA 6, 534; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 203 (corsivo mio). Testo

  42. BSLK, 704; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 304. Testo

  43. WA 6, 534; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 205. Testo

  44. WA 6, 535; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 207. Testo

  45. BSLK, 704; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 304. Testo

  46. BSLK, 704-705; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 304-305. Testo

  47. Per dirla con altre parole: se Lutero decide di non dichiarare come del tutto irragionevoli il parere e la prassi di coloro che sembravano vedere nei "segni esterni" il principale presupposto dell'efficacia dell'azione salvifica nell'uomo giustificato, egli interpreta i "segni esterni" come strumenti dell'autorendersi presente dell'unico Sacramento, Cristo, in cui si autorende presente la volontà salvifica e di comunione di Dio Trinità. Per il rapporto di sostanziale dipendenza dei "segni esterni" dall'evento-Cristo si veda Protocollo della discussione, a cura di Herms, in Id. -- Zak (edd.), Sacramento e parola nel fondamento e contenuto della fede, 284-335. Testo

  48. Per dirla con Lutero: non si è battezzati dagli uomini, «ma da Dio stesso; perciò, anche se si compie mediante mano umana, si tratta di vera opera di Dio, dal che ognuno può dedurre da solo che si tratta di qualcosa di molto più elevato di quanto può essere compiuto da un uomo o da un santo» (BSLK, 692-693; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 289). Testo

  49. BSLK, 693; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 290. Nel sermone del 25 gennaio 1534 Lutero afferma: «Non è quindi pura e semplice acqua, ma un'acqua resa divina, perché il nome e la persona stessa [di Dio] non sono distinti tra loro. Non è dunque un'acqua acquea, ma un'acqua divina, celeste, nella quale è presente la divinità in persona. [...] Così nel battesimo l'acqua è impregnata di Dio, porta il suo stesso Nome (durchnamet)» (WA 37, 264; tr. it. Lutero, Sermoni e scritti sul battesimo, 235-236). Testo

  50. BSLK, 701; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 299. Testo

  51. Cfr. BSLK, 691; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 288. Testo

  52. BSLK, 691; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 286. Testo

  53. BSLK, 690-691; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 288. Cfr. WA 37, 261; tr. it. Lutero, Sermoni e scritti sul battesimo, 229-230. Testo

  54. WA 50, 629; M. Lutero, I concili e la chiesa, a cura di G. Ferrari, Claudiana, Torino 2002, 315. Testo

  55. Cfr. WA 18, 649-653; tr. it. Lutero, Il servo arbitrio, 151-159. Testo

  56. WA 50, 630; Lutero, I concili e la chiesa, 320. Per una sintetica riflessione sul nesso, in Lutero, tra l'idea del Deus absconditus et revelatus e l'absconditas della Chiesa in quanto popolo santo mi permetto di rinviare al mio La trasmissione della Rivelazione e la costituzione della Chiesa secondo la teologia di Lutero, in Herms -- Zak (edd.), Fondamento e dimensione oggettiva della fede, 565-583. Testo

  57. Va rammentato che Lutero in Contra XXXII Articulos Lovaniensium Theologistarum (1545) continua a chiamare la confessione "sacramento", affermando: «Poenitentiam cum virtute clavium absolventium sacramentum libenter confitemur. Habet enim promissionem et fidem remissionis peccatorum propter Christum» (WA 54, 427,6-8; M. Luther, Lateinisch-Deutsche Studienausgabe, III, hrsg. von G. Wartenberg und M. Beyer, Evangelische Verlagsanstalt, Leipzig 2009, 694). Testo

  58. BSLK, 706; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 305. Testo

  59. E continua: «In esso [battesimo], infatti, vengono elargiti grazia, spirito e forza, per reprimere l'uomo vecchio, affinché emerga e si rafforzi quello nuovo» (BSLK, 706; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 305). Testo

  60. BSLK, 706; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 305. Testo

  61. BSLK, 706; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 306. Testo

  62. BSLK, 706; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 305. Testo

  63. BSLK, 706; tr. it. Lutero, Il grande Catechismo, 306. Testo

  64. WA 6, 550; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 261. Egli spiega: «Per costituire un sacramento si richiede prima di tutto una parola di promessa divina, dalla quale venga messa alla prova la fede. Ma non leggiamo da nessuna parte che Cristo abbia promesso qualcosa a proposito della confermazione, sebbene abbia lui stesso a molti imposto le mani e metta [questo atto] tra i segni nell'ultimo capitolo di Marco» (ibidem). Si veda inoltre WA 54, 427,6-8; Luther, Lateinisch-Deutsche Studienausgabe, III, 694. Testo

  65. WA 6, 550; tr. it. Lutero, La cattività babilonese, 261. Testo

  66. Cfr. Einführung, in Konfirmation. Agende für evangelisch-lutherische Kirchen und Gemeinden und für die Evangelische Kirche der Union, hrsg. von der Kirchenleitung der Vereinigten Evangelisch-Lutherischen Kirche Deutschlands, III, Luther-Verlag, Berlin 2001, 13. Testo

  67. Cfr. Erläuterungen, in Konfirmation. Agende für evangelisch-lutherische Kirchen, 192-193. Testo

  68. Cfr. Iammarrone, Il dialogo sulla giustificazione, 65. Testo

  69. Scheffczyk, Ecumenismo, 98. Testo

  70. Cfr. ibid., 102. Testo

  71. Ibid., 99. Testo

  72. Per un sintetico e netto giudizio su questa opera è sufficiente consultare il parere di O.H. Pesch, Martin Lutero. Introduzione storica e teologica, tr. di C. Danna, Queriniana, Brescia 2007, 39-40, 344-346. Testo

  73. Cfr. Iammarrone, Il dialogo sulla giustificazione, 27-67. Testo

  74. WA 56, 273-274; Lutero, La lettera ai Romani, 366-367. Per il concetto di peccato originale, presente in Diui Pauli apostoli ad Romanos epistola, si vedano le riflessioni di Lutero attorno ai versetti di Rm 5,2-6-19. Testo

  75. «In puero post baptismum negare remanens esse peccatum, est Paulum et Christum simul conculcare» (WA 7, 103, 17-18). Testo

  76. «Ecce est et remanet peccatum, sed non imputatur, quare perseverandum est in usu scripturae et antiquorum, et non defectum, sed vere peccatum appellandum, libidinem, et alias passiones reliquas baptismo. Et aliud esse omnia peccata remitti aliud omnia tolli, Baptismus omnia remittit, sed nullum penitus tollit, sed incipit tollere, id quod illos fefellit, qui remissionem intellexerunt omnimodam expurgationem, ac sic defectum pro peccato accipere seipsos coegerunt, ex malo intellectu in peiorem lapsi» (WA 7, 110, 25-31). Testo

  77. WA 56, 327. Testo

  78. WA 56, 328. Testo

  79. WA 37, 267. Testo

  80. «Omitto hic dicere, quod originale peccatum, ut omnia peccata, ita et incredulitas est. At nemo unquam satis diligit, credit, expectat, quam diu est in carne» (WA 7, 111, 30-31). Testo

  81. Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1121. Testo

  82. Cfr. WA 56, 278-280; 327. Si vedano gli approfondimenti di questo tema in D. Bonhoeffer, Sequela, tr. it. di M.C. Laurenzi, Queriniana, Brescia 1997, 209-228. Testo

  83. Cfr. WA 26, 156. Testo

  84. Per un'interpretazione evangelico-luterana del tema del character indelebilis segnala H. Lieberg, Character indelebilis, in Una Sancta. Zeitschrift für ökumenische Bewegung 18 (1963) 263-273. Testo

  85. Cfr. M. Lutero, Sulla libertà del cristiano, tr. it. e cura di G. Bof, Messaggero, Padova 2004, 108-110. Testo

  86. Un'opinione simile -- iscritta, però, nel quadro di un'entusiastica accettazione del metodo del consenso differenziato -- si trova espressa in H. Legrand, I progressi dell'ecumenismo a quarant'anni dalla promulgazione di Unitatis Redintegratio, in Archivio Teologico Torinese 11/2 (2005) 253-255. Testo

  87. Iammarrone, Il dialogo sulla giustificazione, 64; cfr. anche 41-42, 65. Testo

  88. Ibid., 64. Testo

  89. Ibid., 157-158; cfr. inoltre 148-154. Testo