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I molti volti del disincanto. Per un'ermeneutica filosofico-teologica di L'Età secolare di Charles Taylor

di Paolo Trianni (2 ottobre 2012)

Tra le molte espressioni che caratterizzano il nostro tempo, il secolarismo è forse il fenomeno che meglio ne descrive l'essenza ultima. L'attuale contesto storico, cioè, è caratterizzato da un disincanto religioso che, considerando le sue molteplici e sovvertitrici ripercussioni socio-culturali, merita approfondite e ripetute attenzioni accademiche. In quest'ottica, sebbene siano indubbiamente molte le pubblicazioni che negli ultimi anni si sono concentrate sulla tematica in questione, sono certamente da segnalare i volumi di Charles Taylor, ed in particolare L'età secolare, che del suddetto fenomeno indaga e ricostruisce la complessità a più livelli: storico, teologico, filosofico, sociologico e culturale in genere.1 Dal punto di vista della rilevanza del tema, quindi, anche a prescindere dal successo del saggio -- che ha ricevuto svariati riconoscimenti internazionali ed è stato tradotto nelle principali lingue europee --, appare quanto mai opportuno svolgere una ricostruzione analitica intorno alle tesi in esso sviluppate.

1. La struttura del saggio

L'opera di Taylor, in ragione della sua voluminosità e del sovrapporsi spesso confuso ed intrecciato delle argomentazioni che si accavallano, non risulta di facile lettura. Le tesi avanzate intorno all'origine del secolarismo, per esempio, sarebbero state più facilmente recepibili con una presentazione maggiormente organica e con una suddivisione interna più sistematica, in grado, cioè, di far emergere la loro consequenzialità temporale ed il loro legame logico. Sotto questo aspetto, una presentazione critica del volume dovrebbe in primo luogo asciugare le considerazioni fin troppo abbondanti che egli sovrappone alle sue intuizioni di base e poi mettere in evidenza la continuità e la congruenza che unisce le varie sezioni del libro.

Un saggio così poderoso, in ogni caso, a prescindere dal fatto che il numero di pagine e la ricchezza di informazioni anziché chiarire adombra la chiarezza delle sue tesi essenziali, non può essere riassunto che a grandi linee. Suo oggetto precipuo, come vedremo meglio, non è tanto la descrizione dell'«età» secolare, quanto piuttosto l'indagine sulle sue cause remote. Del secolarismo, ad ogni modo, il docente emerito della McGill University di Montreal, riporta tre significati specifici: la rimozione della religione dalla sfera politica; la diminuzione della pratica religiosa; la scelta della fede come opzione fra altre.2

Il tema, proprio perché trasversale, cioè ad un tempo filosofico, teologico, storico, sociologico e persino politico, rappresenta senza dubbio una sfida ardua per il pensatore che si interroghi sulle ragioni che, nel giro di pochi secoli, hanno trasformato la credenza religiosa delle società nord atlantiche. È questa, infatti, l'area geografica specifica sulla quale, in via esclusiva, la riflessione di Taylor si concentra. Al fine di indagare le cause che hanno innescato il secolarismo occidentale, pertanto, il filosofo canadese imbandisce un'amplissima riflessione indicizzata in cinque ampie parti. La prima di esse, dal titolo: «L'opera riformatrice», comprende diversi capitoli nei quali, in fondo, vengono annunciate le tesi centrali del libro poi riprese nelle pagine successive. Dal punto di vista dei contenuti, quindi, questa sezione è forse la più importante, in quanto, sotto il richiamo generico ed implicito alla «riforma», presenta le ragioni principali che, a suo avviso, hanno avviato il processo secolaristico. La seconda parte contiene invece due soli capitoli: «Il deismo provvidenzialista» e «L'ordine impersonale», illustrando, sostanzialmente, gli effetti culturali, sociali e teologici di questo aspetto dell'illuminismo che sostituisce la religione naturale a quella storica. La terza, dal titolo suggestivo di «effetto nova», tratta la proliferazione di posizioni -- sia religiose che non-religiose --, emerse con il declino della centralità del cristianesimo. Rientrano appunto in essa varie suddivisioni, di diverso contenuto, che approfondiscono le conseguenze ed il contesto di questi nuovi scenari, segnati appunto dal fatto che l'unico ed indiscusso credo precedente, quello cristiano, è ora divenuto una fede tra le altre. I tre capitoli della quarta sezione, intitolata «Narrazioni della secolarizzazione», trattano invece vari aspetti della religiosità moderna, non escluse le forzature verso nuove forme di società e di chiese -- fenomeno che Taylor chiama «mobilitazione» -- ma anche le stesse reazione all'umanesimo esclusivo, quello, cioè, escludente il trascendente. La quinta parte, dal titolo «condizioni della credenza», analizza essenzialmente quella che il canadese, con un suggestivo neologismo di suo conio, denomina «cornice immanente». Questo quindicesimo capitolo, che tra gli altri punti toccati prende in esame il nuovo ordine morale moderno e le strutture del mondo chiuso, ovverosia gli scenari sociali e politici oramai resisi indipendenti dal sacro, è complementare al successivo, che ha come titolazione: «pressioni incrociate». In esso Taylor prende in esame un aspetto contraddittorio della società secolarizzata: la costatazione, cioè, che nell'attuale contesto sociale siano contemporaneamente presenti l'attrazione verso una narrazione immanentista, e, dall'altro, il senso della loro inadeguatezza, ovverosia quella confusa e spesso contraddittoria ed insoddisfacente proliferazione del sacro a cui Taylor, come si accennava, dà il nome di «effetto nova» ed associa al «disagio dell'immanenza». I due successivi capitoli, che si denominano entrambi «Dilemmi», si soffermano invece su alcune problematicità particolari della modernità secolarizzata. Chiude questa quinta parte una sezione sulle «Conversioni», attraverso le quali, come diremo meglio, l'autore sembra quasi alludere ad alcune possibili vie d'uscita dal secolarismo. Le pagine conclusive del tomo sono infine occupate da un utilissimo «indice dei nomi e degli argomenti», e da una conclusione a cui Taylor dà il nome di «Epilogo. Le molte storie», nella quale, in fondo, fa una sintesi estremamente concisa delle argomentazioni fondamentali proposte nel saggio.

2. La geografia concettuale dell'Età secolare

In vista di un approfondimento sui contenuti del volume di Taylor, e soprattutto di un'esposizione chiara e coincisa delle sue ben 1072 pagine, risulta fondamentale proporre delle sintetiche chiavi di lettura che mettano comprensibilmente in evidenza la sostanza delle tesi tayloriane.

Cercando, pertanto, di fare una rilettura tematico-argomentativa sulla riflessione tayloriana intorno alle cause del secolarismo, è possibile riscontrare nel saggio un'indagine su di esse a più livelli. Le considerazioni dello studioso canadese, cioè, come spiegheremo meglio, si possono leggere in chiave filosofica: dalla teleologia aristotelica alla prospettiva ontica; in chiave teologica: dalla ricezione passiva della provvidenza alla partecipazione attiva al disegno divino; in chiave spirituale: dall'escatologismo all'incarnazionismo; in chiave scientifica: dal mondo incantato al meccanicismo; in chiave sociologica: dal radicamento all'individualismo; e in chiave politica: dall'ordine gerarchico alla democratizzazione. In generale, comunque, cercando di mettere sinteticamente in risalto la consequenzialità logica delle argomentazioni da lui sviluppate, sono tre, secondo Taylor, le cause innescanti il secolarismo -- tra loro complementari -- da lui individuate. La prima consiste nel superamento del realismo scolastico ad opera del nominalismo, e contestualmente, quindi, del superamento del modello cosmologico platonico. La seconda coinvolge i corollari della Riforma protestante, che Taylor non disgiunge da quella tridentina e dall'affermazione socio-politica del neostoicismo. La terza, infine, si riassume nel sopravvenuto dualismo ontico uomo-natura: da cui la comprensione meccanicistica della natura stessa, l'implicito sviluppo della scienza ed il contestuale emergere di una cornice immanente, ovverosia di un mondo che si spiega (fenomenicamente) e si ordina (moralmente) da sé a prescindere dalla trascendenza.

A prescindere dalle summenzionate chiavi di lettura, comunque, che rispondono appunto ad una nostra ulteriore ermeneutica sulle varie tesi del volume, Taylor, molto opportunamente, inizia il suo tomo prendendo in esame la credenza monolitica che caratterizzava le epoche antiche. Sono varie, al riguardo, le denominazioni da lui usate per descrivere l'età antecedente a quella secolare. Egli, infatti, con dei neologismi che oltretutto costituiscono una delle caratteristiche costanti del suo incedere filosofico, parla dell'età non-secolare usando termini come «radicamento», «incanto» o «bastioni della credenza». Solo dopo aver fatto una descrizione accurata di tale contesto, cioè, passa ad illustrare l'avanzata secolaristica, leggendola appunto come uno «sradicamento» di tali «bastioni».

Il primo aspetto che Taylor procede ad analizzare, dunque, è il «mondo incantato» (p. 47). L'età antica, in altre parole, sarebbe stata caratterizzata da un dipendenza naturale dal sacro inteso come magico e mitico, ma soprattutto da un radicamento a più livelli nella religione. Preso atto di ciò, il filosofo canadese sviluppa quindi delle ipotesi intorno a quelle che, a suo avviso, sono state le forze agenti di tale sradicamento. La prima di esse, richiamando addirittura il linguaggio di Karl Jaspers, viene da lui individuata nella «rivoluzione assiale» -- poi prolungata ed anzi esaltata nella riforma stoico-cristiana -- che avrebbe appunto introdotto nel religioso il «faccia a faccia», e quindi, in buona sostanza, l'acosmicità e la trascendenza. Tra i suoi effetti peculiari, per esempio, ci sarebbe esattamente quello di aver rimosso l'antica complementarietà tra spirituale e temporale, tra vita dedicata a Dio e vita nel «mondo» (p. 203). Una delle conclusioni tayloriane, a questo riguardo, è che la rivoluzione assiale ha reso possibile «una religione non radicata» (p. 202). Un secondo agente secolarizzante menzionato dal canadese, è poi quello che lui chiama «individualismo», intendendo con ciò una sorta di protagonismo della soggettività che precedentemente si considerava invece parte di un ordine gerarchico sociale con il quale si identificava. Quelle elencate, in definitiva, sarebbero due delle principali forze attivanti il disgregamento dell'epoca antica radicata nel religioso, che il pensatore canadese, oltretutto, descrive anche con dei neologismi particolarmente indovinati e significativi. Per esprimere, per esempio, lo spirito che contraddistingue l'età radicata rispetto a quella religiosa, si richiama alla tensione tra due categorie peculiari che egli denomina «ricettività» e «autosufficienza» (p. 22). Il mondo secolarizzato, cioè, per usare due ulteriori termini del tipico lessico tayloriano, sarebbe caratterizzato dal superamento della «porosità» antica e dall'individuazione della «pienezza» non più nella sola ed esclusiva sfera trascendente, bensì nell'immanenza del qui ed ora. Egli, infatti, propone due opposti modelli antropologici: quello del «sé poroso» e quello del «sé schermato» (p. 57). Vocaboli, quelli appena menzionati, che vorrebbero appunto esprimere i due diversi comportamenti mentali dell'uomo antico e dell'uomo moderno rispetto al mondo naturale e alla vita cosmica e sociale. Questo diverso atteggiamento umano, in altre parole, metterebbe in evidenza una raggiunta presa di distanza da quell'epoca incantata nella quale i fenomeni naturali erano visti come atti divini, la vita della polis era radicata sul rito, ed il cosmo era ritenuto abitato da spiriti e demoni.

Alla radice stessa di questo nuovo atteggiamento «schermato», comunque -- e Taylor lo sottolinea con forza --, ci sarebbe la scoperta, grazie allo sviluppo della scienza, che i fenomeni della natura si potevano spiegare razionalmente senza fare ricorso alla trascendenza. È questa, a suo avviso, una sorta di premessa generale al secolarismo. Come sottolinea esplicitamente: «La grande invenzione dell'Occidente è stata la scoperta di un ordine immanente nella natura, il cui funzionamento poteva essere compreso sistematicamente e spiegato nei suoi stessi termini» (p. 30). Approfondendo questa sua convinzione, egli precisa anche che

Questa idea dell'«immanente» implicava la negazione -- o quantomeno l'isolamento e la problematizzazione -- di qualsiasi forma di interpretazione tra cose naturali, da un lato, e il «sovrannaturale» dall'altro, quale che fosse la sua interpretazione: in termini dell'unico Dio trascendente, o degli dèi o spiriti, o delle forze magiche, o che dir si voglia (p. 30).

Possiamo dire, pertanto, che il volume tayloriano, in virtù di questa copernicana rivoluzione cosmologica di base, descriva sostanzialmente il passaggio dall'antico mondo incantato a quello secolarizzato della modernità. O meglio, per usare il linguaggio di Wittgensetin e di Heidegger, egli ha descritto la mutazione dello «sfondo» (p. 27). La riflessione tayloriana, cioè, illustra, con dovizia di esempi storici, la traslazione da quell'orizzonte mitico-cosmologico nel quale si muovevano le società ingenue ed incantate dell'antichità, a quello opposto contrassegnato invece dall'autosufficienza di una ragione divenuta demitizzante e disincantante.

Come si anticipava, comunque, oltre alla mutazione dello sfondo cosmologico, tra le forze innescanti i processi di secolarizzazione, Taylor ne introduce anche una prettamente ed esclusivamente filosofica: il superamento del realismo scolastico ad opera del nominalismo. L'età secolare, cioè, sarebbe a suo dire anche una conseguenza diretta dell'abbandono della visione platonica del mondo (p. 132).3 Quest'ultima, infatti, nella ricostruzione tayloriana viene presentata come una sorta di scintilla iniziale che ha innescato tutta una serie di conseguenze secolarizzanti. Il filosofo canadese argomenta questa sua intuizione sottolineando, per esempio, che il realismo delle essenze rimandava ad una causalità formale, e quindi ad un mondo delle idee trascendente, mentre il nominalismo avrebbe altresì riportato l'attenzione sul terreno e sulla prassi, rimandando, quindi, ad una causalità efficiente. Tale slittamento, in particolare, sarebbe alla base di vari esiti, quali, ad esempio, il già menzionato dualismo separativo tra natura e soprannatura, che, di conseguenza, sarebbe foriero del nuovo atteggiamento ontico e poietico nei confronti del mondo.

In definitiva, volendone fare un sommario, le mutazioni e le trasformazione menzionate da Taylor si possono riassumere in una sorta di elenco esplicativo: cambiamento della coscienza cosmologica, ovverosia da un'idea esterna ad un'idea interna; cambiamento della coscienza temporale, ovverosia da un'eternità immobile esterna al tempo ad un'eternità che non abolisce il tempo; cambiamento dal sé poroso al sé schermato, ovverosia dalla ricettività mitizzante all'autosufficienza; cambiamento dell'atteggiamento psicologico: da un mondo incantato ad un mondo disincantato; cambiamento politico-sociale, dalla società disordinata ad una società disciplinata; cambiamento della spiritualità, da un comportamento contemplativo ad uno prettamente attivo.

Resta tuttavia da sviluppare meglio, dopo aver richiamato tutti questi vari vettori innescanti il secolarismo, il fenomeno che, all'avviso di Taylor, è stato determinante per la sua diffusione sociale e politica su vasta scala: la Riforma protestante. Quest'ultima, che però secondo l'autore andrebbe in fondo associata a quella tridentina, in quanto hanno entrambe perseguito lo scopo di organizzare la società secondo parametri morali e religiosi più elevati, avrebbe sortito un esito paradossale: quello, cioè, di allontanare l'uomo e le società occidentali dalla originaria fede cristiana. La congettura messa in campo dal canadese, riflettendo con grande originalità sulla Riforma, è certamente tra i passaggi più articolati del libro. A suo dire, infatti, il credente cristiano, una volta riconosciutosi agente di una ragione strumentale che realizza gli scopi divini (p. 133), si sarebbe sentito chiamato a partecipare ad un disegno superiore. Secondo la ricostruzione tayloriana, tuttavia, tale dinamica partecipativa non avrebbe trovato compimento senza il passaggio intermedio attraverso il deismo. È questo, per l'appunto, un fenomeno storico e filosofico complesso che ruota intorno all'idea di mondo come progetto divino. L'idea di poter «partecipare» a tale disegno, in ogni caso, sarebbe alla base di una sorta di rivoluzione antropocentrica. Come viene lungamente spiegato da Taylor: «L'esito di tale svolta la chiamerò "deismo provvidenzialista". Il secondo aspetto del deismo è la sterzata verso il primato dell'ordine impersonale. Dio si relaziona a noi in primis stabilendo un certo ordine delle cose, la cui forma morale possiamo facilmente comprendere se non siano sviati da idee false e superstiziose» (p. 285). La comprensione deistica del mondo, in altre parole, avrebbe alimentato -- contestualmente al superamento del realismo platonico e all'attivismo del protestantesimo calvinista unito al neostoicismo di Giusto Lipsio -- il prevalere dell'ontico sul teleologico, o, per meglio dire, della poiesis sulla praxis. In tale ottica, l'idea dominante del mondo moderno -- e la sua etica sociale -- non risultano più discendere dalla fede in un ordine cosmico inteso come gerarchia di forme all'opera, bensì dalla fede nell'autosufficienza dell'intesa civica umana. Taylor sottolinea appunto la rilevanza di questa differenza etico-politica sostanziale, spiegando che in passato «Le forme politiche corrette non erano deducibili da un telos operante nella società umana. Il diritto era giustificato o perché frutto di un comando divino (Locke) o perché aveva un senso logico, posta la natura razionale e sociale degli esseri umani (Grozio)» (p. 240). È appunto in questa chiave che il filosofo canadese parla di etica chiusa e di ordine morale immanente. Ciò, nella rilettura tayloriana della genesi complessa del secolarismo, deriva esattamente dal fatto che l'assolvimento di tale piano supponeva, come condizione previa, una società organizzata. Tale esigenza, come si diceva, avrebbe appunto determinato, anche grazie al neostoicismo e al principio della santificazione della vita comune, la «nascita della società disciplinare» e quindi del «sé disciplinare». Proprio questa nuova condizione sociale, politica e morale, pertanto, in quanto funzionale ad un ordine morale che progressivamente si è immanentizzato, avrebbe alla lunga dato origine ad un umanesimo esclusivo (p. 89). Quello riassunto, in sintesi, sarebbe il risultato paradossale della Riforma, che, nata con una progettualità escatologica, ha finito col produrre non un Regno di Dio, non un Regno dell'amore, ma solo un Regno della disciplina fine a stessa. Come annota il professore emerito della McGill University: «l'esito non è stato affatto una rete di agape, bensì una società disciplinata in cui le relazioni categoriali, e quindi le norme, hanno avuto il sopravvento» (p. 207).

3. Annotazioni critiche

L'Età secolare di Taylor, in definitiva, è un'opera ampia e complessa. Per essere compresa a pieno, al di là della scarsa sistematicità di cui si diceva, essa necessita effettivamente di chiavi di lettura, quali, appunto, quelli che abbiamo cercato di proporre. Una tale ermeneutica deve di necessità essere ad un tempo filosofica e teologica, in quanto, nella ricostruzione tayloriana, i fattori scatenanti le concatenazioni causali del secolarismo attengono ad entrambe le due discipline. Certamente, però, Taylor si dimostra più filosofo che teologo, e, da questo punto di vista, proprio perché il secolarismo descrive l'allontanamento dal religioso, la sua ricerca appare un po' lacunosa sul piano dell'argomentazione teologica. Sarebbero stati tanti i teologi da chiamare in causa che avrebbero indubbiamente arricchito e dato sostanza alla sua indagine. Sul piano filosofico, invece, la sua ricerca risulta viziata da un certo idealismo. Taylor, infatti, fa discendere da determinate teorie o causalità filosofiche la mutazione dell'immaginario storico. Se è certamente vero, infatti -- pensando per esempio alle conseguenze storiche che ha avuto un libro come il Capitale di Marx --, che determinate idee possono avere una grande incidenza sul piano della storia, alcune teorie tayloriane sono delle ipotesi che attendono ancora una dimostrazione vera e propria. Sostenere, come fa il canadese, che l'affermazione del nominalismo, o la comprensione meccanicistica del mondo, o la riforma protestante siano fattori innescanti il secolarismo è plausibile; tuttavia la storia, nella sua complessità, sfugge a qualsiasi riduzione concettuale. Spesso, infatti, come dimostra il pensiero idealistico, sia quello tedesco che quello italiano, è la storia che determina la filosofia e non viceversa.

Un'annotazione di diversa natura, invece, nasce dalla constatazione che nel volume tayloriano vi è un'oggettiva sproporzione tra la parte analitica e quella propositiva. Agli acuti approfondimenti sul «disincanto», cioè, non corrispondono altrettante strategie e percorsi di «re-incanto», termine di cui Taylor ha fatto concreto utilizzo soltanto in interventi più recenti.4 All'interno di L'Età secolare, invece, egli non ne parla e solo nelle pagine dedicate alle «Conversioni», come si diceva, lascia intravedere alcune possibili soluzioni. In particolare, commentando le esperienze mistiche mediate dalla natura di Bede Griffiths e Vaclav Havel, l'autore sembra indicare nel ritorno ad un legame più stretto con la natura una possibile via di uscita dal secolarismo.5 Se una delle cause di quest'ultimo è stata la separazione tra natura e soprannatura, la menzione di tali conversioni mistiche, intese come fuoriuscita dalla cornice immanente, allude forse al fatto che ogni prospettiva da re-incanto non può prescindere da un ritrovato legame tra l'umano, il cosmico ed il divino. Da questo punto di vista, per esempio, la pista tayloriana, com'è stato sottolineato in un articolo recente, non sarebbe molto lontana da quella di Raimon Panikkar.6

Forse in questa stessa chiave di «re-incanto», si possono leggere anche i molti richiami di Taylor all'anarchismo cristiano di Ivan Illich. Tali evocazioni, infatti, potrebbero apparire come modelli esemplari di un cristianesimo alternativo a quello della società disciplinare dai molteplici effetti secolarizzanti.7 Sarebbe auspicabile, ad ogni modo, che a questo libro tayloriano, che tanti meriti ha avuto nell'aver messo in evidenza i molti volti del disincanto, facesse seguito un saggio, di uguali proporzioni, esclusivamente dedicato a delle proposte di re-incanto.

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Note

  1. C. Taylor, L'Età secolare, Feltrinelli, Milano 2009. In italiano, sul medesimo tema, si ricordano anche: Le radici dell'io, Feltrinelli, Milano 1993 e Il disagio della modernità, Laterza, Roma 1994. Testo

  2. Può essere utile per una valutazione delle tre distinzioni intorno al secolarismo rimarcate da Taylor, menzionare quelle del filosofo Marramao: «1) secolarizzazione come tramonto della religione; 2) secolarizzazione come conformità al mondo; 3) secolarizzazione come desacralizzazione del mondo; 4) secolarizzazione come «disimpegno» della società dalla religione; 5) secolarizzazione come «trasposizione» di credenze e modelli di comportamento dalla sfera religiosa a quella secolare» (G. Marramao, Cielo e terra. Genealogia della secolarizzazione, Laterza, Roma-Bari 1994, 141). Testo

  3. Taylor ritorna ripetutamente sulla chiave dell'abbandono della cosmologia platonico-aristotelica lasciandone implicitamente intendere la sua rilevanza (cf C. Taylor, L'Età secolare, cit., 235; 987; 239; 240; 250; 254). Testo

  4. Cf C. Taylor--C. Dotolo, Una religione «disincantata». Il cristianesimo oltre la modernità, Messaggero, Padova 2012. La prima parte del libro, quella appunto curata da Taylor, sebbene in molto sintetico affronta la questione ed ha infatti per titolo: «Disincanto e Re-incanto», pp. 19-46. Testo

  5. Cf C. Taylor, L'Età secolare, cit., 913-915. Testo

  6. Cf F. Dallmayr, «A secular age? Reflections on Taylor and Panikkar», Cirpit review 2 (2011) 76-92. Testo

  7. Cf C. Taylor, L'Età secolare, cit., 207, 924-932. Testo