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Ontologia simbolica come ontologia trinitaria. Per una ripresa del tema della Chiesa sacramento nella teologia di Karl Rahner

di Nicola Reali (20 dicembre 2015)

Scopo del presente studio è quello di riflettere sulla questione ecclesiologica della sacramentalità della Chiesa cercando di verificare come la nozione di sacramento applicata a Cristo e alla Chiesa rappresenti uno dei punti qualificanti della visione ontologica di Rahner. Un'analisi puntuale della categoria di Simbolo Reale mostra, infatti, come il gesuita tedesco sia interessato a mostrare l'immediata caratterizzazione teologica dell'ontologia, giungendo a porre le basi per un discorso che formalmente tematizzi un'ontologia trinitaria. Parimenti l'articolo intende valutare se l'iscrizione della rivelazione divina all'interno dell'orizzonte universale dell'essere -- in virtù dell'insuperabile caratterizzazione trascendentale della conoscenza finita del soggetto umano -- non rappresenti il limite entro il quale pre-comprendere l'universale (e, dunque, illimitata) azione auto-manifestativa di Dio: un limite illimitato, ma pur sempre limitante.

1. Chiesa e sacramenti

È noto che uno dei luoghi privilegiati nei quali Rahner accentua il profilo sacramentale della Chiesa sia da rintracciare all'interno della questione dell'istituzione dei sacramenti.1 A fronte delle insuperabili aporie alle quali è andata incontro la teologia moderna nel tentativo di cercare una parola o un gesto di Gesù che potessero valere come criterio vincolante per determinare (in modo generico o specifico ha poca importanza) la volontà istituente di Cristo per ogni singolo sacramento, Rahner afferma la necessità di partire dalla natura sacramentale della Chiesa per poter riformulare in maniera del tutto appropriata questo capitolo della teologia sacramentaria: «L'istituzione di un sacramento può [...] aver luogo anche semplicemente per il fatto che Cristo ha fondato la Chiesa col suo carattere di sacramento primo (Ursakrament). Di qui si vede anche che il trattato De sacramentis in genere rettamente inteso non è una astratta formalizzazione dell'essenza dei singoli sacramenti, ma un capitolo del trattato della Chiesa».2 Partendo da questo presupposto (coincidenza tra l'istituzione della Chiesa sacramento e l'istituzione dei sacramenti), Rahner può pertanto ribadire le difficoltà del modello teologico precedente,3 unitamente alla sottolineatura che neppure l'ipotesi di pensare che Gesù abbia (nel periodo post-pasquale) pronunciato parole istitutive non tramandate sia sostenibile, dal momento che tale postulato rappresenta solamente una variante dello stesso modello teologico.4 In particolare, Rahner smonta questa ipotesi concentrandosi sul matrimonio, inteso come il sacramento nel quale, essendo più evidente l'insufficienza di quel metodo, è possibile ribadire la necessità di cambiare criterio e, dunque, affermare la derivazione dei sacramenti dalla sacramentalità della Chiesa: «precisamente partendo dalla dottrina sulla Chiesa come sacramento primo (Ursakrament) e dal carattere di opus operatum, che si adatta a tutte le attualizzazioni fondamentali della Chiesa come sacramento primo (Ursakrament) che si rivolge al singolo, nei suoi momenti decisivi per la salvezza».5

Il pensiero di Rahner sull'istituzione dei sacramenti è dunque estremamente lineare e trova il suo punto decisivo nel riconoscimento della sacramentalità della Chiesa, che -- secondo Rahner stesso -- può essere adeguatamente illuminata solo quando si mette a tema il rapporto che esiste tra la Chiesa intesa come società organizzata giuridicamente (die Kirche als rechtlich organisierte Gesellschaft) e la Chiesa colta come popolo di Dio (die Kirche als »Volk Gottes») .6 L'espressione 'popolo di Dio' per Rahner designa l'unità del genere umano da comprendersi in senso esistenziale, non astratto, e quindi indica tutti gli uomini in quanto facenti parti dell'unica umanità creata da Dio. Questi -- grazie all'unione ipostatica della natura umana e divina nel Figlio incarnato -- compongono il popolo di Dio: «Dio vede tutti gli uomini come fratelli e sorelle del suo Figlio incarnato 'in mezzo alla Chiesa' (Eb. 2, 12), come popolo di Dio con il quale Egli ha stretto la nuova ed eterna alleanza in quella unione tra Dio e la creatura, che noi chiamiamo ipostatica. L'unica umanità, attraverso la venuta del Logos per dono di grazia [...] una umanità consacrata (eine konsekrierte Menschheit), ossia appunto popolo di Dio».7 La Chiesa 'popolo di Dio' pertanto non coincide con la comunità costituita giuridicamente, ma contrassegna l'umanità di ogni uomo che si trova -- indipendentemente dalla personale accettazione della salvezza cristiana -- ontologicamente unita a Cristo: tutti «sono preceduti ontologicamente e perfino temporalmente (sachlich und sogar zeitlich) da una consacrazione dell'unica umanità, avvenuta nell'Incarnazione e nella morte di Croce della Parola stessa del Padre».8 Tutto ciò, per Rahner, non significa ovviamente relativizzare il ruolo della «Chiesa società giuridica» in quanto non si ha a che fare con «due Chiese», ma con un'unica realtà che vive di questo rapporto tra la comunità costituita gerarchicamente e il popolo di Dio per meglio caratterizzare la sua dipendenza dal mistero di Cristo. Ciò che, infatti, interessa a Rahner è affermare la volontà salvifica universale di Dio la quale si offre all'umanità intera nella visibilità storica dell'incarnazione del Figlio. Tale autocomunicazione (Selbstmitteilung) salvifica di Dio, in quanto escatologica, gode di una definitività ed efficacia insuperabili che non permettono esclusioni, pertanto la Chiesa rende presente la perdurante attualità di questa salvezza rivelando in se stessa la medesima universalità della volontà salvifica di Dio, la quale non è riducibile ai «confini» della Chiesa intesa come società giuridica organizzata. Utilizzando la terminologia sacramentale classica Rahner può allora concludere che Cristo è il sacramento di Dio perché nella visibilità, storicamente percepibile e particolare, della Sua umanità si realizza una riconciliazione universale tra Dio e gli uomini: «Cristo nella sua esistenza storica è al tempo stesso la cosa e il segno, sacramentum et res sacramenti, della grazia redentrice di Dio».9 Allo stesso modo, la Chiesa è il sacramento di Cristo dal momento che attualizza storicamente la medesima opera salvifica di Dio in Cristo: «La Chiesa è ora il proseguimento, il perdurare attuale di questa presenza reale e escatologica della vittoriosa e definitiva volontà divina [...] Come tale permanere di Cristo nel mondo, la Chiesa è effettivamente il sacramento primo (Ursakrament), il punto di origine dei sacramenti (Ursprungspunkt der Sakramente) nel senso proprio della parola».10

Al lettore attento certamente non sarà sfuggito che quanto finora evidenziato rappresenta semplicemente una riproposizione di ciò che in diverse occasioni è già stato in abbondanza messo in evidenza. Tuttavia la presentazione ha raccolto degli elementi importanti che non è sufficiente riassumere per l'ennesima volta, ma chiedono un approfondimento. Tale passo può essere compiuto anzitutto evidenziando il dovere di chiarire il tipo di rapporto che deve esserci tra la Chiesa «popolo di Dio» e la Chiesa intesa come società organizzata giuridicamente: è chiaro che non sono due e che l'estensione operata evocando il popolo di Dio è motivata dal fatto di mantenere inalterata l'apertura universale della volontà salvifica di Dio auto-manifestatasi in Cristo, ma il tipo di rapporto deve essere ancora precisato. Sarebbe far torto a Rahner e alla sua intelligenza teologica se si dicesse che tutti gli uomini appartengono alla Chiesa perché fanno parte del popolo di Dio (giacché in questo caso non si capirebbe più il senso dell'esistenza della Chiesa), ma ugualmente non si renderebbe giustizia a Rahner se si dimenticasse che in virtù dell'unione ipostatica l'umanità è già ontologicamente inserita in Cristo e quindi nella Chiesa. La relazione tra la Chiesa popolo di Dio e la Chiesa società giuridica è quindi da comprendersi sullo sfondo del rapporto che esiste tra l'universalità della volontà salvifica di Dio e la particolarità della forma storica della Sua autocomunicazione, tenendo presente che Rahner pensa di salvaguardare l'universalità a livello ontologico. Detto diversamente significa riconoscere che il piano sul quale Rahner pensa di assicurare l'universalità dell'azione divina è quello ontologico, dato che unicamente da questo punto di vista si può affermare che ogni uomo appartiene alla Chiesa popolo di Dio. L'esigenza di mostrare il profilo universale della volontà di Dio impone in questo modo a Rahner di cercare di garantire sul piano ontologico quell'universalità che ai suoi occhi appare la condizione di possibilità stessa dell'autocomunicazione di Dio: se Dio si rivela, Egli dovrà per forza comunicare la sua salvezza universalmente. Così facendo Rahner pensa di assicurarsi non solo l'illimitatezza dell'azione divina, ma parimenti anche il suo riconoscimento umano. Se, infatti, è a livello ontologico che tutti gli uomini possono dirsi «fratelli e sorelle del Figlio incarnato», va da sé che ogni uomo -- essendo impensabile indipendentemente dalla propria caratterizzazione ontica -- abbia anticipatamente un'aliquale conoscenza previa di questa «parentela» cristologica e, di conseguenza, si possa considerare l'autocomunicazione di Dio a partire da questa «pre-comprensione» antropologica. Questo accade, tuttavia, non a partire dal generico principio che il soggetto umano anticipi in se stesso forme e contenuti della rivelazione di Dio, ma dal presupposto già sottolineato che l'universalità sia la condizione di possibilità stessa della Selbstmitteilung divina, e quindi che l'orizzonte universale dell'essere determini a priori il campo sul quale la volontà salvifica di Dio si estende.

Scopo del presente studio è quindi quello di riflettere sulla questione ecclesiologica della sacramentalità della Chiesa cercando di verificare come la nozione di sacramento applicata a Cristo e alla Chiesa rappresenti uno dei punti qualificanti della visione ontologica di Rahner. Parimenti l'intento andrà di pari passo col tentativo di valutare se l'iscrizione della rivelazione divina all'interno dell'orizzonte universale dell'essere non finisca per rappresentare il limite entro il quale pre-comprendere l'universale (e, dunque, illimitata) azione auto-manifestativa di Dio: un limite illimitato, ma pur sempre limitante.

Se questo obiettivo sarà raggiunto, va da sé che la proposta rahneriana sempre meno potrà essere catalogata in una «linea antropologica», per il fatto che il richiamo all'uomo e alla sua esistenza storicamente determinata appare solamente sul postulato di un interesse a mostrare l'immediata caratterizzazione teologica del momento ontologico. La salvezza divina deve donarsi, ma la condizione perché essa si autocomunichi come «divina» è che si realizzi universalmente, dunque che abbia la stessa estensione dell'essere.

2. L'ontologia del simbolo reale

La possibilità di verificare fino in fondo la bontà (o meno) della tesi che si vuole argomentare in questo testo passa, anzitutto, attraverso il tentativo di cogliere appieno la relazione che esiste tra la teologia sacramentaria e l'ontologia nel pensiero di Rahner. Da questo punto di vista è noto che il gesuita di Friburgo stesso abbia esplicitamente descritto questo legame introducendo prepotentemente nella teologia contemporanea cattolica la plausibilità di ripensare il sacramento alla luce della categoria di «simbolo reale».11

Nel celebre testo (originariamente preparato come commento all'enciclica sulla devozione al S. Cuore di Gesù di Pio XII Haurietis Aquas)12 Sulla teologia del simbolo,13 Rahner intende in primis proporre una visione ontologica che consenta di comprendere il rapporto tra il simbolo e la realtà simboleggiata superando la tradizione culturale che ha sempre concepito il simbolo «come un rapporto posteriore fra due enti diversi, fra i quali venga posta una relazione di mutuo richiamo da un terzo».14 In alternativa, egli propone di mettere in luce il modo autentico del simbolismo sottolineando in primo luogo che si può parlare di simbolo solo quando la relazione tra le realtà tenute insieme è necessaria, vale a dire quando «di per sé (von sich selbst) » una cosa si esprime nell'altra. Si è in presenza di un simbolo, quindi, nel momento in cui una realtà si rende «di per sé» presente attraverso un'altra, dunque laddove si operi una «necessaria auto-espressione» (auto-espressione perché è la realtà stessa che si rende «di per sé» presente attraverso il suo simbolo). Naturalmente, essendo sul piano ontologico, la tesi ha valore solo nel momento in cui si riconosce che «l'ente è di per se stesso necessariamente simbolico, perché necessariamente si 'esprime' per trovare la propria essenza».15 Per Rahner, la proprietà auto-espressiva è pertanto qualcosa che appartiene all'ente in quanto tale, il quale gode di questa prerogativa in virtù del fatto che l'unità dell'ente è sempre plurale. Essendo, infatti, l'unità dell'ente attraversata dalla distinzione essenza/esistenza, è chiaro che l'esistenza di una molteplicità di enti uguali non contraddice l'unità della loro essenza. Di conseguenza, il darsi di una pluralità di esistenze è il modo con cui l'essenza manifesta la propria unità, anzi è il modo supremo e originario con cui ogni ente si dà, rendendo evidente la sua originaria simbolicità: la necessaria auto-espressione fuori di sé per manifestare sé.

Volendo portare subito un esempio che aiuti a verificare le implicazioni sacramentali di questa tesi, si può far riferimento al sacramento del matrimonio che Rahner non esita a caratterizzare come simbolo dell'amore tra Cristo e la Chiesa. Affermazione immediatamente chiarita mediante la puntualizzazione che tale simbolicità non deve essere intesa in senso vago -- quasi che il matrimonio sia solo una metafora o un'allegoria dell'unione tra Cristo e la sua Sposa -- ma «piuttosto essi sono oggettivamente in un rapporto reciproco tale che il matrimonio rappresenta oggettivamente (objektiv repräsentiert) questo amore che Dio ha in Cristo per la sua Chiesa, la relazione e il comportamento di Cristo con la Chiesa prefigura la relazione e il comportamento che vige nel matrimonio, e in questo trova il suo completamento, cosicché comprende il matrimonio come un momento di sé (von sich selbst) ».16 È evidente come in questa affermazione giochi un ruolo significativo l'idea di auto-espressione simbolica: il matrimonio è simbolo del vincolo esistente tra Cristo e la Chiesa perché «di per sé» (ovvero senza alcun medio rappresentativo) una realtà si esprime attraverso l'altra. Per questo Rahner prosegue stabilendo che il matrimonio è simbolo dell'amore tra Cristo e la Chiesa, non in virtù di una nominalistica volontà di Dio -- come se ci fossero due realtà in sé separate che, ad un certo punto, la volontà di Dio unifica17 -- bensì grazie al fatto che Dio da sempre ha donato al matrimonio «una determinata proprietà (eine bestimmte Eigentümlichkeit) che lo rende atto a questa funzione»18 simbolica.

Il secondo punto qualificante del ragionamento di Rahner sul simbolo è l'idea di auto-realizzazione, sintetizzata nella proposizione: «Il vero e proprio simbolo (simbolo reale) è l'auto-realizzazione, facente parte della sua costituzione sostanziale, di un ente nell'altro».19 Si è in presenza quindi di un vero e proprio simbolo quando il rendersi presente di una realtà attraverso l'altra non ha unicamente il carattere dell'auto-espressione, bensì anche quello dell'auto-realizzazione. In altri termini, il rapporto tra due realtà è simbolico, non solo quando si riconosce che l'ente necessariamente si esprime fuori di sé, ma pure quando si ammette che l'ente -- esprimendosi fuori di sé -- realizza se stesso. In gioco appare così una radicalizzazione del dato ontologico dell'unità plurale dell'ente, considerato che la molteplicità di esistenze appare come momento necessario sia alla manifestazione sia alla realizzazione della sua unità. In pratica è come se ogni ente fosse chiamato a ritrovare la propria essenza simbolicamente dato che la sua molteplice auto-espressione è il modo con cui l'unità ritrova se stessa, quindi si realizza: «l'ente si esprime (drückt sich aus), perché deve realizzare se stesso (sich vollziehen muß) in unità mediante una pluralità».20

In questo ontologico «perdersi per ritrovarsi» è da sottolineare come, per Rahner, l'unità dell'ente sia garantita esclusivamente nella sua ek-posizione in una molteplicità di esistenze, per cui queste ultime, non contestando l'unità, si affacciano nel ragionamento come il modo originario e supremo con cui l'unità è veramente se stessa, visto che la pluralità, non solo manifesta l'unità, ma la realizza. Così si può comprendere come il porsi fuori di sé nell'altro da sé caratterizzi il dinamismo simbolico di ogni ente, il quale in questo modo giunge al risultato di ottenere -- unitamente alla sua manifestazione ad extra -- la piena conoscenza di sé a se stesso:

L'ente è piuttosto in se stesso 'simbolico' anche perché l'espressione sintonizzata che esso, pur conservandola nella sua unità, pone come altro, è il modo nel quale esso giunge a possedere se stesso nella conoscenza e nell'amore. Mediante la 'espressione' l'ente giunge a se stesso, in quanto in generale tende in tale direzione. L'espressione, quindi il simbolo (inteso nel senso che risulta dalle precedenti riflessioni), è il modo dell'auto-conoscenza (Selbsterkenntnis) e del ritrovamento in genere di sé (Selbstfindung).21

L'ontologia simbolica così descritta diventa per Rahner immediatamente l'occasione per superare quella deprecata visione del simbolo nella quale il simbolo e la cosa simbolizzata sono coordinati l'uno all'altro solo per via esteriore e, nello stesso tempo, è la circostanza ideale per porre le basi di una nuova visione ontologica che esplora il legame «interiore» del rapporto simbolico: quella «suprema e più originaria rappresentanza (Repräsentanz), nella quale una realtà rende attuale un'altra (innanzitutto 'per sé' e in secondo luogo per altri) e la fa 'essere-qui (da-sein) '».22

Sulle implicazioni sacramentali di tale ulteriore approfondimento ontologico di Rahner, si può ancora una volta fare riferimento al sacramento del matrimonio. Dopo aver, infatti, indicato che il matrimonio è «di per sé» simbolo del rapporto di amore tra Cristo e la Chiesa (quindi senza alcun medio rappresentativo), Rahner, di conseguenza, afferma che il problema caratteristico della teologia matrimoniale è quello di indicare la proprietà specifica che il matrimonio possiede per poter essere simbolo dell'amore tra Cristo e la Chiesa. Per Rahner, in altri termini, se si può (e, da un certo punto di vista, si deve) pensare in termini simbolici l'amore coniugale sacramentalmente caratterizzato, occorre individuare la qualità propria del vincolo matrimoniale che lo rende atto ad essere una reale auto-espressione dell'amore tra Cristo e la Chiesa. Visto che l'ontologia detta le leggi della simbolicità, è indubbio che Rahner prosegua il suo ragionamento, tentando di mostrare come l'amore coniugale possieda, oltre al carattere di autoespressione, anche quello di autorealizzazione (che è l'altro polo necessario all'affermazione di una piena simbolicità): «le diverse forme di amore umano, creatore di una comunità veramente personale [...] hanno un rapporto reale reciproco di condizionamento e di motivazione [...] e in questo rapporto l'amore coniugale occupa un posto del tutto particolare».23 In tutte le forme di amore umano (che storicamente possono prendere aspetti differenti), occorre dunque riconoscere due dati: in primo luogo che esiste un elemento comune che conferisce loro unità, secondariamente che, tra queste forme di amore, quello coniugale ha un posto privilegiato. Pertanto, le differenti modalità di amore ritrovano la loro unità quando le si coglie come espressione e realizzazione dell'unica realtà dell'amore: «Quando, infatti, un uomo ama [...] allora, tale avvenimento, che visto dal di fuori per il suo frequente ripetersi può apparire banale, è proprio come appare agli amanti: il miracolo sempre dell'unico amore».24

Ritorna in questo contesto il carattere ontologico dell'autorealizzazione fondato sull'assioma dell'unità plurale dell'ente, dal momento che la pluralità dei vari tipi di amore è il modo con cui si manifesta e si realizza l'unico amore. È sempre il medesimo amore, infatti, che si autoesprime, si autorealizza e, quindi, si ritrova nelle differenti forme di amore. In questo dinamismo, l'amore coniugale occupa un posto particolare, dal momento che in esso si rende più evidente che altrove il fatto che gli amori umani siano espressione e realizzazione dell'unica realtà dell'agape. Quest'ultima si pone fuori di sé in una pluralità di forme per manifestarsi e per realizzarsi, ma ha «bisogno» di un luogo nel quale le molteplici sue espressioni riacquistino la loro identità, recuperando l'unità che li origina. Tenuto sullo sfondo che «Dio è amore» (1 Gv. 4, 16) e che questo amore si è rivelato definitivamente nell'amore di Cristo per la Chiesa, si capisce come il sacramento matrimonio possa godere della caratteristica di essere simbolo reale. In esso, e solo in esso, ogni amore umano ha la possibilità di rientrare in possesso dell'unica sua (divina) origine: questa è la qualità specifica che il matrimonio cristiano possiede.25

3. L'ontologia simbolico-trinitaria

La sommaria e (per certi versi grossolana) presentazione dei due capisaldi dell'ontologia del simbolo, dei quali si è cercato di mettere subito in evidenza le conseguenze sacramentali, sarebbe del tutto inappropriata se dimenticasse di lasciare spazio a ciò che Rahner stesso presenta come decisivo al fine della comprensione del suo ragionamento: il fondamento trinitario dell'originaria simbolicità di ogni ente. In altri termini, il percorso che tenta di far derivare i principali assiomi di una rinnovata lettura delle realtà sacramentali cristiane da una precisa visione ontologica, mancherebbe di rigore teologico, agli occhi di Rahner, se non si accompagnasse all'indicazione del mistero del Dio Unitrino come fondamento primo (e ultimo) della prospettiva ontologica avanzata. Per il gesuita tedesco sottolineare questa dimensione trinitaria dell'ontologia è inderogabile per non correre il rischio di perseverare nel presentare un pensiero teologico inerte e (alla fine) deduttivo, che destituisce i misteri della vita cristiana a semplici esemplificazioni o derivazioni di una metafisica autoreferenziale, poiché estranea al cristianesimo. La prospettiva di una mutata comprensione dell'essere alla luce della rivelazione cristiana è, allora, un'esigenza che accompagna lo sforzo di presentazione della novità che la tesi della sacramentalità della Chiesa porta con sé e che ispira «l'ontologia teologica (theologische Ontologie) »26 formalmente proposta da Rahner.

Il richiamo esplicito alla Trinità, come garanzia della possibilità di contrassegnare in chiave autoespressiva e autorealizzativa l'ente in quanto tale, è operato da Rahner anzitutto sul presupposto che la suprema semplicità di Dio conosca una reale (anche se solo relativa) distinzione di persone. Il dato dogmatico della tradizione è evocato per mettere in evidenza come l'uni-pluralità dell'ente non appartiene solamente ad un'ontologia del finito e, dunque, «la pluralità in un ente non può venir considerata sempre e dovunque come un indice della finitezza e dell'imperfezione [...] ogni ente porta in sé un'intima pluralità nonostante la sua (eventualmente superata) unità e perfezione, proprio come perfezione della sua unità».27

Alla base delle affermazioni rahneriane si può dunque cogliere anzitutto il ripensamento del tema dell'unità di Dio che la teologia del Novecento ha radicalmente rivisitato rispetto all'antecedente della manualistica pre-conciliare.28 Per esprimersi con le parole di Ladaria si può convenire che «l'unità non è unicamente un dato previo alla rivelazione cristiana, ma con questa riceve un senso nuovo e molto più profondo. Non c'è unità senza Trinità, e viceversa. L'unità divina che il cristianesimo afferma è l'unitas in trinitate, mentre non si può comprendere la Trinità senza tener conto dell'unità divina, trinitas in unitate».29 Ciò rappresenta sicuramente quanto il dettato rahneriano vuole pertinentemente suggerire nel momento in cui accentua il dato secondo cui l'unità della Trinità è la pluralità delle Persone divine. Dio è Dio, nella sua suprema semplicità, solo trinitariamente, dato che la distinzione delle Ipostasi non si affianca all'unità di Dio, ma appartiene intrinsecamente all'identità di Dio, dunque, alla Sua essenza. All'origine della differenza in Dio sta la duplice autocomunicazione, mediante cui il Padre esprime e accoglie se stesso. Il fondamento dell'unità dei distinti è l'unica e identica divinità: l'essenza divina che è comunicata. E, poiché l'essenza è una, il rapporto tra i distinti deve essere compreso come «relazionale». La relazionalità non è solo «il mezzo per risolvere apparenti contraddizioni logiche»,30 essa è piuttosto la qualità ontologica originaria della natura divina: le relazioni viventi tra il Padre, il Figlio e lo Spirito sono l'unica divinità di Dio.31 Per questo Rahner può affermare che parlare dell'unità di Dio come una realtà «di per sé» plurale corrisponde alla visione cristiana di Dio e, di conseguenza, il dato ontologico dell'auto-espressività e dell'auto-realizzazione dell'ente trova in Dio il suo fondamento, dal momento che la Sua identità trinitaria è il modo in cui Egli è Dio e, dunque, realizza se stesso come unico Dio: «La Trinità divina dimostra che questo 'uno' così concepito di unità e pluralità è un dato ontologico primigenio (ein letztes ontologisches Datum), che non può essere ridotto ad una unità e semplicità 'superiori', e non può essere ricondotta a una vuota e morta identità. Sarebbe una eresia teologica, e deve essere perciò anche un non senso ontologico, il credere che Dio sarebbe ancora più 'semplice' e perciò più perfetto, se in lui non esistesse neppure la distinzione reale tra le persone».32

La reciprocità implicazione tra il teologico e l'ontologico è, dunque, chiara e detta le linee «di una interpretazione teologica dell'essere (eines theologischen Seinsverständnisses) »33 che Rahner non esita a proporre nel momento in cui afferma che l'unità dell'ente è necessariamente plurale poiché in Dio la pluralità delle persone è l'unico modo con cui Dio esprime e realizza se stesso (come unico Dio). Pertanto la riflessione rahneriana sul simbolo, che è stata per lo più esaminata e discussa dal punto di vista della teologia sacramentaria, rivela, al tempo stesso, una marcata propensione a mettere a tema il nesso ontologia-teologia. Muovendo, infatti, dalla doppia contrapposizione (alla visione tradizionale sia del simbolo sia del rapporto unità/trinità di Dio), Rahner prospetta una reintegrazione della necessità del simbolo, rispetto alla realtà simboleggiata, che si fonda sul carattere auto-espressivo e auto-realizzativo dell'ente in quanto tale. Ora, il fatto che egli abbia immediatamente chiamato in causa il mistero di Dio per rendere evidente il «modo autentico del simbolismo» manifesta che la suprema ontologia del simbolo è la Trinità, dunque che l'ontologia è direttamente caratterizzata in chiave teologica.

Si potrebbe parlare quasi di una «ontologia trinitaria», riconoscendo a Rahner il merito di aver portato avanti il tentativo di riformulare i contenuti della teologia non separatamente dalla rivisitazione dei suoi presupposti ontologici. L'attribuzione della simbolicità ad ogni ente trova infatti la sua prima originarietà nelle proposizioni fondamentali sul mistero di Dio, con la conseguenza di affermare che la realtà è in se stessa intrinsecamente simbolica, poiché Dio è «di per sé» simbolico, dal momento che la pluralità delle Persone è il modo perfetto con cui l'unico Dio si esprime e si realizza. Il Padre, infatti, nel porre il Figlio come altro da sé, manifesta e realizza perfettamente se stesso, permettendo pertanto di affermare che in Dio esiste una originaria simbolicità realizzata dalla perfetta espressione e presenza di sé in ciò che (in Dio) è posto come altro da sé. Di conseguenza, se Dio è il reale per eccellenza, occorre asserire altrettanto delle relazioni che lo costituiscono: la Trinità «è ciò che c'è di più reale».34 Tuttavia, se la Trinità stabilisce anche l'identità simbolica di Dio, allora la simbolicità appartiene a quanto «di più reale esiste», e, pertanto, se ogni ente è necessariamente simbolico perché necessariamente si esprime per realizzarsi, va da sé che questo accada perché Dio stesso è simbolico: «L'ente in quanto tale e pertanto in quanto uno (l'ens in quanto 'unum') per il compimento del suo essere e della sua unità si dischiude in una pluralità (il cui modo supremo è l'Unitrinità) ».35

La suprema ontologia simbolica è, dunque, la Trinità, poiché Dio è Dio nell'originario sussistere relazionale delle tre divine persone, in quanto Egli è l'atto sia dell'autocomunicazione come verità, nella quale il Padre dona il suo essere al Figlio come proprio, sia dell'autocomunicazione come amore, dove il Figlio accoglie il suo essere dal Padre, dal momento che lo Spirito Santo è la dinamicità e la reciprocità di questa relazione nella quale essi sono uno pur nella distinzione:

Questa reale distinzione è costituita da una doppia auto-comunicazione (Selbstmitteilung), attraverso la quale il Padre, da una parte partecipa se stesso e, dall'altra (attraverso appunto questa auto-comunicazione), precisamente in quanto esprimente e ricevente, pone la sua reale distinzione rispetto a colui che è espresso e accolto. Ciò che è comunicato, in quanto, da un lato, rende la comunicazione un'autentica auto-comunicazione e, dall'altro, non toglie la distinzione reale tra Dio, come colui che dà la partecipazione e come ciò che è comunicato, può a ragione essere indicato come la divinità, quindi come la 'natura' di Dio.36

4. L'ontologia simbolico-cristologica

Lo schizzo di una ontologia trinitaria, esposto col fine di approfondire la teologia del simbolo di Rahner, ha come immediata conseguenza quella di rendere ancor più perspicuo il rapporto che precedentemente si notava a proposito delle immediate implicazioni sacramentali del dettato di Rahner. A nessuno sfugge, infatti, che il carattere auto-espressivo ed auto-realizzativo del simbolo nella sua funzione interpretativa del dinamismo dell'amore umano, adesso viene ulteriormente rafforzato: così come in Dio la pluralità delle persone è l'unico modo con cui Dio esprime e realizza se stesso (come unico Dio), allo stesso modo la pluralità degli amori è il modo con cui l'amore si manifesta e si realizza nella sua unità.37

A parte questo, comunque, ciò che risulta degno di nota è il fatto che Rahner, mettendo l'accento sul nesso tra ontologia e teologia, non abbia voluto esclusivamente suggerire una concezione dell'essere di Dio genericamente esemplare, ma abbia posto le basi per considerare la vita trinitaria di Dio -- per usare le parole di Rahner stesso -- come «un dato ontologico primigenio (ein letztes ontologisches Datum) ». Detto diversamente: la possibilità di mostrare il fondamento rivelato della simbolicità del reale non si realizza nella semplicistica sovrapposizione del dato rivelato a quello ontico, ma deve spingersi a mostrare il nesso costitutivo (e, perciò ontologico) che tra i due momenti sussiste. Ciò è realizzabile quando il pensiero non rinuncia ad indagare la modalità con la quale è possibile stabilire che i fattori costitutivi dell'identità essenziale dell'ente (la relazione unità/pluralità e il rapporto tra sé e l'altro da sé) trovano il loro fondamento ontologico nell'essere Unitrino di Dio. Un compito che Rahner, senza tentennamenti, ha tentato di realizzare, orientando l'ontologia della realtà simbolo (Ontologie der Symbolwirklichkeit) fin qui esposta in direzione di un'esplicita teologia della realtà del simbolo (Theologie der Symbolwirklichkeit) .38

Questa sezione si apre con l'affermazione che la prima implicazione del percorso finora compiuto sia quella di ritenere impossibile negare che tutta la teologia abbia un carattere simbolico: «Se quanto detto finora è giusto, c'è da aspettarsi a priori di non poter attuare una teologia che non divenga una teologia del simbolo, dell'apparizione (der Erscheinung), dell'espressione (des Ausdrucks) e della presenza a sé (Selbstgegebenheit) in ciò che è posto come altro. Difatti tutta la teologia non può essere capita, se non fosse anche essenzialmente una teologia del simbolo».39 A questo segue coerentemente l'asserzione secondo cui il piano che giustifica la simbolicità della teologia in quanto tale è il nesso che si stabilisce tra l'ontologia del simbolo e l'identità trinitaria di Dio: «Al lettore attento ed esperto in teologia non sarà sfuggito che sullo sfondo delle riflessioni ontologiche c'era sempre il mistero della Trinità [...] ci siamo richiamati esplicitamente a questo mistero, nella misura in cui l'abbiamo addotto quale prova del fatto che una pluralità di un ente non può venir considerata sempre e dovunque come un indice della finitezza e dell'imperfezione ... ».40

Il nesso che Rahner ha decretato in sede ontologica tra la simbolicità dell'ente e la Trinità di Dio è pertanto ribadito in forma esplicita e, sebbene Rahner stesso moderi l'ontologia trinitaria costruita, affermando che non è sua intenzione tematizzarla,41 il fatto che abbia richiamato il carattere simbolico di tutta la teologia, rafforza l'impressione che la caratterizzazione trinitaria dell'ontologia sia, al contrario, necessaria per comprendere l'interpretazione simbolica dell'essere da lui avanzata: non si capirebbe, infatti, la non settorialità della teologia del simbolo se questa non avesse a che fare con l'identità di Dio in quanto tale. Prova ne è, che l'affermazione di fondo della Theologie der Symbolwirklichkeit di Rahner è la dichiarazione circa l'insuperabilità simbolicità del Logos:

il Padre è se stesso, in quanto pone di fronte a sé l'immagine a lui consustanziale come il distinto da sé, e in tal guisa si possiede. E questo vuol dire: il Logos è il 'simbolo' del Padre, e precisamente proprio nel senso che abbiamo dato alla parola: il simbolo immanente e tuttavia distinto dalla realtà simbolizzata e da questo posto, nel quale la realtà simbolizzata esprime se stessa e in tal modo possiede se stessa (der Symbolisierten sich selbst ausdrückt und sich so selbst hat).42

L'intima simbolicità di Dio è dunque ribadita con chiarezza e, in modo esplicito, è confermato che si tratta della medesima simbolicità che appartiene all'ente in quanto tale, per cui non ci sono più dubbi che Rahner intenda in questo modo stabilire l'impraticabilità di presupporre all'evento dell'autocomunicazione divina (che svela il volto trinitario di Dio) un discorso ontologico formalmente compiuto in se stesso. Parimenti è evidente che Rahner costruendo la sua teologia della realtà del simbolo cerchi in tutti i modi di mostrare anche l'impossibilità di portare avanti un discorso ontologico distinto da quello trinitario. Il fondamento del dato ontologico dell'unità plurale dell'ente e, conseguentemente, di quello del rapporto tra sé e l'altro da sé è il mistero stesso della vita intima di Dio, dal momento che la pluralità e la differenza delle Persone è il modo originario col quale Dio si manifesta e si realizza. Per questo, riprendendo la terminologia dell'ontologia del simbolo si può affermare che, per Rahner, in Dio c'è una perfetta autoespressione e presenza di sé nell'atto col quale il Padre genera il Figlio: «il Logos [...] è 'generato (gezeugt) ' dal Padre come sua immagine (Abbild) e sua espressione (Aussage), e questo processo è un processo dato necessariamente con la divina conoscenza di sé, senza il quale l'atto assoluto del divino autopossesso conoscitivo non può essere».43

La simbolicità, per una ragione intrinseca a Dio, si gioca dunque nell'unità che si stabilisce tra sé e l'altro da sé e questo abbraccia non solo tutta l'estensione dell'essere (di modo che quest'ultima deve essere qualificata in chiave simbolica), ma anche tutta la vita divina. Essa è questa continua 'attività' del Padre che incessantemente pone nel Figlio l'altro da sé come la Sua perfetta espressione e realizzazione e questo vale per tutto ciò che Dio è e compie sia ad intra sia ad extra: «Poiché Dio 'deve' esprimersi (sich ausdrücken 'muß') in maniera divina immanente, egli può dire se stesso (kann er sich aussagen) anche ad extra; la manifestazione (Aussage) finita creaturale verso l'esterno è una continuazione [...] della generazione divina immanente [...] e avviene realmente [...] 'attraverso' il Logos».44 Pertanto «il Logos incarnato è l'assoluto simbolo di Dio nel mondo, insuperabilmente ripieno della realtà simbolizzata, quindi non solo la presenza e la rivelazione di quello che Dio è in se stesso, ma anche la presenza espressiva (ausdrückende Da-sein) di ciò (o meglio: di colui) che Dio nella libertà della grazia volle essere nei confronti del mondo».45

In questo contesto Rahner richiama quindi l'attenzione sul fatto che la simbolicità definisca la qualità, possiamo dire, essenziale della vita di Dio, avendo valore sia intratrinitariamente sia ad extra. Di conseguenza è evidente che la determinazione dell'evento della creazione e dell'incarnazione deve potersi leggere in una modalità che rimanda direttamente alla relazioni intratrinitarie, non solamente nel senso classico per cui, ad extra, esiste la massima unità del Dio trino (secondo l'adagio opera trinitatis ad extra indivisa sunt), ma piuttosto nel senso che è la stessa relazione simbolica intratrinitaria a porsi come condizione di possibilità di ogni operazione ad extra:

L'autoespressione immanente di Dio nella sua pienezza eterna è la condizione della sua autoespressione al di fuori di sé, ad extra, e questa rivela identicamente proprio quella. Per quanto la pura posizione dell'altro diverso da Dio sia in maniera pura e semplice l'opera del Dio creatore senza distinzione di persone, la possibilità della creazione può avere il suo prius ontologico e il suo fondamento ultimo nel fatto che Dio, il non-originato, dice o può dire se stesso in sé e per sé e così pone la distinzione divina, originaria in se stesso. Se Dio dice se stesso in quanto Dio nel vuoto del non divino, allora tale dizione è l'espressione (ist diese Aussage di Aus-sage) della sua Parola immanente e non una qualsiasi cosa che potrebbe convenire a un'altra persona divina. Solo partendo di qui comprendiamo meglio cosa significhi: il Logos diventa uomo.46

La prospettiva aperta in questo modo da Rahner prende sempre più la forma dell'indicazione di un nesso costitutivo tra la creazione, l'incarnazione e il mistero trinitario, motivato proprio sul carattere autoespressivo (e quindi simbolico) della vitalità essenziale di Dio. Una connessione che, come è risaputo, seppur mai esplicitamente negata, non sempre ha ricevuto nella storia della teologia l'attenzione che avrebbe meritato.47 Sorvolando sulle motivazioni di tale sottovalutazione, è da segnalare comunque che la dimenticanza di legare incarnazione e creazione fu originata dalla progressiva riduzione della cristologia ad una elaborazione delle categorie metafisiche necessarie per illustrare l'unità in Cristo delle due nature nell'unica persona.48 Questa opzione ha avuto come effetto quello di indagare la ragione formale della distinzione del Verbo in Dio prescindendo dal mistero dell'incarnazione e privilegiando lo studio dell'analogia delle azioni immanenti dell'intelletto e della volontà, riconosciute come decisive per illustrare le processioni del Figlio e dello Spirito, parimenti dichiarate fattori determinanti per la comprensione dell'agire creante di Dio. La mediazione creatrice di Gesù Cristo fu pertanto quasi dimenticata e ciò -- conviene ripeterlo -- in virtù dell'opzione metodologica di mantenere la cristologia a livello della metafisica dell'essere per comprendere il dogma di Calcedonia.49

Ora, se Rahner, come è noto, ha inteso strappare la teologia trinitaria dallo «splendido isolamento (splendid isolation) »50 nella quale era stata precedentemente confinata, è evidente che abbia voluto ricucire il rapporto che esiste tra l'incarnazione, la creazione e il mistero del Dio Unitrino, ritrovando in quest'ultimo il principio rivelato di un'adeguata teologia dell'agire creante e della cristologia. Tuttavia, la cosa degna di nota è soprattutto il fatto che il gesuita di Friburgo abbia dovuto in questo modo riaprire la questione ontologica, superando quell'impostazione che leggeva l'identità ontologica di Gesù di Nazareth a partire da una metafisica dell'essere estranea alla rivelazione cristiana. Ciò ha fatto sì che, per Rahner, Dio sia pensato come colui che esprime e realizza la propria identità nella relazione all'altro da sé, dal momento che ad intra Dio pone l'alterità mentre pone e perché pone se stesso. Per questo la verità dell'unione ipostatica non è pensabile se non nel quadro della verità trinitaria di Dio, secondo cui la possibilità che Dio in Gesù si comunichi all'uomo -- che è infinitamente altro da Dio -- si fonda sul fatto che la relazione di alterità è costitutiva dell'essere di Dio.

La distinzione della natura divina da quella umana nell'unità della persona è dunque interpretata secondo una logica trinitaria, che è lo sviluppo coerente dell'ontologia simbolico-trinitaria fin qui messa in evidenza, proponendosi come capitolo centrale della Theologie der Symbolwirklichkeit di Rahner. Quando è in gioco l'unione ipostatica «l'ontologia si deve lasciare orientare dalla fede e non ammaestrarla»,51 per cui l'umanità concreta di Gesù di Nazareth è differente dalla divinità Verbo perché è a Lui unita, dal momento che solo l'unione col Verbo la costituisce nella sua differenza. Di conseguenza l'unità che si realizza nella persona deve essere letta in chiave simbolica: non come se la natura umana fosse una realtà già costituita in se stessa, che, ad un certo punto, il Logos assume per parlare gli uomini nella loro lingua, piuttosto nel senso che essa è la sua reale autoespressione e autorealizzazione perché «di per sé» rivela il Verbo: «l'umanità di Cristo è realmente 'l'apparizione' del Logos stesso, il suo simbolo reale e radicale ('die Erscheinung' des Logos selbst, sein Realsymbol, im eminentesten Sinn), e non soltanto qualcosa di sostanzialmente estraneo a lui e alla sua realtà, accettato dall'esterno solo come uno strumento per notificarsi, senza manifestare nulla di colui che l'adopera».52

La natura umana assunta è quindi il luogo dell'apparizione del Logos grazie alla qualità simbolica della vita trinitaria. Solo quando il porsi fuori di sé ad extra e l'esprimersi per realizzarsi ad intra è visto in unità può allora essere comprensibile affermare che «il Logos come Figlio del Padre è nella sua umanità in quanto tale, in assoluta verità, il simbolo rivelatore, che rende presente la stessa realtà rivelata e nel quale il Padre, in questo suo Figlio, dice se stesso al mondo».53 Diversamente l'umanità di Cristo non potrebbe ontologicamente notificare nulla della divinità del Logos: si limiterebbe ad essere uno strumento adoperato da Dio per insegnare agli uomini, ma che -- presa in sé -- direbbe soltanto qualcosa su se stessa, non su Dio. Pertanto, è evidente che si ritrova in questo contesto la stessa determinazione del «modo autentico del simbolismo» messa in evidenza nell'ontologia della realtà del simbolo: per Rahner, si può parlare di simbolo solo quando il rapporto simbolico tra due enti diversi è necessario, vale a dire quando «di per sé (von sich selbst) » una cosa si esprime nell'altra. Di conseguenza, si conferma come il progetto teologico di Rahner si sviluppi nella linea di un'ontologia simbolico-trinitaria che trova nell'incarnazione il proprio tema centrale. La simbolicità dell'ente in quanto tale è fondata trinitariamente poiché la vita intima di Dio è la continua auto-espressione del Padre che comunica il suo essere al Figlio per realizzare con Lui, nello Spirito e grazie allo Spirito, l'unità nella distinzione con l'Altro-da-sé. Tuttavia, da un certo punto di vista, ciò sarebbe estremamente formale se dimenticasse di mettere in evidenza che la caratterizzazione simbolica del reale è identificabile non semplicemente in virtù del rimando che l'unità plurale dell'ente opera alla vita trinitaria, bensì per il fatto che l'incarnazione del Verbo ne ha mostrato la piega simbolica. Allora, realmente, per Rahner, l'unione ipostatica è la Ur-gestalt di ogni simbolicità:

una teologia del simbolo elaborata dalla dottrina dell'incarnazione sarebbe appena all'inizio, non alla fine. Partendo da qui, infatti, bisognerebbe considerare che la profondità naturale della realtà simbolica [...] di tutte le cose, è stata infinitamente dilatata in senso ontologico-reale (realontologisch), per il fatto che è divenuta determinazione del Logos stesso o del suo ambiente. Ogni realtà scaturita da Dio [...] non dice solo se stessa, ma riecheggia sempre [...] l'insieme della realtà. Ma se questa singola realtà, nel rendere presente il tutto, parla anche di Dio [...] queste realtà ora in Cristo non ci indirizzano più a Dio solo come a una causa, ma a quel Dio al quale esse appartengono come sua determinazione sostanziale o come suo ambiente. Il Verbo incarnato tutto fa sussistere in sé (Col 1, 17) e perciò tutto, anche nella sua simbolicità, ha una profondità imperscrutabile, che soltanto la fede può scandagliare.54

L'agire creante di Dio ha, dunque, il suo paradigma cristologico, per cui è solo a partire dall'unione personale dell'umano e del divino che si chiarisce la simbolicità che ogni realtà creata ontologicamente possiede. Originato dall'auto-espropriazione divina, il mistero dell'unione ipostatica svela la condizione simbolica della realtà, rivelando contemporaneamente l'auto-espressione immanente di Dio come la propria condizione di possibilità. Di conseguenza la relazione di unità/pluralità e il rapporto tra sé e l'altro da sé, che costituiscono i capisaldi di un'ontologia del finito, descrivono il nesso che ogni ente sostanzialmente possiede con Dio. La realtà intera è teologicamente caratterizzata poiché ontologicamente simbolica: non che Dio sia simbolico perché l'ente è simbolico, semmai quest'ultimo è posto nella necessità di esprimersi fuori di sé per realizzarsi perché Dio «di per sé» vive così e in questa forma si comunica.

5. L'ontologia simbolico-sacramentale

L'apertura alla questione ontologica, obiettivamente inclusa nella teologia del simbolo, ha messo in evidenza la centralità della cristologia. Questa non intende affatto raffigurare una sorta di orizzonte di fondo sul quale descrivere la realtà come vestigia trinititatis: l'incarnazione è, più radicalmente, ma anche più semplicemente, il caposaldo metodologico sopra il quale far valere lo specifico teologico dell'ontologia simbolico-trinitaria fin qui costruita, stante l'intenzione rahneriana di sottolineare l'importanza ontologica del mistero del Logos incarnato come unico luogo manifestativo della simbolicità di ogni ente. Pertanto, l'impegno a descrivere il modo autentico del simbolismo non termina con la dichiarazione che il Logos incarnato è la Ur-gestalt di ogni simbolicità del reale, ma chiede un passo ulteriore: la descrizione della qualità specifica che, posseduta intrinsecamente dall'unione ipostatica, permette di accedere all'essenziale dinamica simbolica dell'ente in quanto tale.

Ciò comporta, per Rahner, anzitutto la dichiarazione che, se il Logos incarnato è il simbolo reale di Dio nel mondo, questo significa che Egli è la perfetta espressione di ciò che Dio vuole essere rispetto al mondo. Pertanto non vi può essere nessun iato tra quel che Dio vuole essere nei confronti del mondo e il Figlio di Dio incarnato, dato che in Cristo è realmente presente Dio con la sua volontà salvifica: «Cristo è la presenza reale, fattasi storia, della misericordia di Dio nel mondo, destinata escatologicamente a trionfare».55 Guardando la forma storica dell'esistenza di Gesù, si ha la possibilità di affermare la definitiva riconciliazione di Dio col mondo, dal momento che il carattere di simbolo reale di Dio che il Logos incarnato possiede ne legittima l'insuperabile coincidenza. Ma, se questo è vero, è allora possibile attribuire a Cristo la prerogativa di essere sacramento di Dio, visto che i sacramenti -- secondo la definizione classica -- continent quod significant et significant quod continent: Cristo è il segno efficace della grazia perché Egli «nella sua esistenza storica è al tempo stesso la cosa e il segno, sacramentum e res sacramenti della grazia redentrice di Dio».56

La sacramentalità del Logos incarnato è così definitivamente asserita come punto di arrivo della Theologie der Symbolwirklichkeit apertasi con l'affermazione che il Logos è il simbolo reale di Dio. Di conseguenza, le due prerogative proprie del mistero dell'incarnazione devono leggersi congiuntamente: il Figlio fattosi uomo è sacramento di Dio poiché suo simbolo reale. La sacramentalità è pertanto la qualità che, secondo Rahner, meglio specifica la caratterizzazione «reale» della simbolicità di Gesù Cristo, considerato che, rivelando in Lui la sua misericordia e la sua volontà salvifica, Dio ha simultaneamente palesato la sua identità di Dio misericordioso e salvatore. Il simbolo è, dunque, «reale» non per contrapposizione a possibili simboli «falsi» o «irreali», ma perché manifesta perfettamente l'identità (la realtà) di ciò che in esso si esprime (in questo caso Dio). Ragion per cui, il Logos incarnato è sacramento di Dio perché Egli è il simbolo reale di Dio, dove 'reale' va inteso nel senso di ciò che manifesta la realtà, ciò che rivela l'identità essenziale.

Non si può cogliere la caratterizzazione sacramentale del Figlio di Dio fatto uomo prescindendo dal riferimento all'intrinseca simbolicità della Trinità di Dio e, viceversa, l'identità reale dell'Unitrino la si può raggiungere esclusivamente partendo dalla rivelazione di Dio operata nella storia della salvezza attraverso il mistero dell'incarnazione. Colui che vuole conoscere la realtà di Dio deve guardare all'incarnazione del Figlio, deve continuamente volgere lo sguardo su quella definitiva rivelazione della realtà di Dio che ha il volto di Cristo: solo in Lui si manifesta sacramentalmente l'identità della vita trinitaria di Dio, dal momento che solo in Cristo si ha la reale autoespressione e autorealizzazione di ciò che Dio vuole essere nei confronti del mondo. Il cammino che conduce al riconoscimento della sacramentalità del Logos incarnato non è tuttavia separabile dalla consapevolezza che, manifestando l'essere-Dio di Dio, Gesù Cristo si pone nella storia come luogo manifestativo per eccellenza della simbolicità del reale in quanto tale. Pertanto, se conoscere la realtà di Dio significa individuare il suo simbolo reale, questo -- per la necessaria implicazione tra teologia e ontologia -- vuol dire anche accedere alla conoscenza della realtà. Un percorso che -- vale la pena ripeterlo -- stabilisce un nesso diretto tra la simbolicità dell'ente e la caratterizzazione teologica dell'ontologia, ma, adesso, alla luce dell'introduzione della categoria di sacramento, si arricchisce di un nuovo elemento.

Se, come si è già messo in evidenza, l'unione ipostatica non è solo il «modello originario» o la «verità» della simbolicità dell'ente, ciò significa che essa vale come criterio metodologico di approfondimento ontologico. Il processo di alienazione (Ent-äußerung) di Dio fuori di sé trova infatti nell'incarnazione del Logos una definitività che merita, appunto, la qualifica di sacramento. Questa è motivata sulla perfetta identità tra sacramentum e res sacramenti, ovvero sul fatto che la forma concreta in cui si esprime e si realizza il Logos di Dio è insuperabile: non c'è soluzione di continuità, né alcun medium rappresentativo tra la res e il suo simbolo (tanto è vero che non c'è res et sacramentum). Di conseguenza è come se Rahner intendesse mettere in evidenza che l'autocomunicazione ad extra di Dio nel mistero dell'incarnazione sia singolarmente unica rispetto ad ogni altra autocomunicazione (ad esempio la creazione), in quanto solo essa gode della qualifica di sacramento. Questa considerazione getta, allora, una luce nuova sulla reciproca implicazione tra teologia e ontologia, visto che subordina la conoscenza della simbolicità dell'ente, non solo genericamente alla simbolicità della vita di Dio, ma alla forma «sacramentale» in cui Egli definitivamente ha rivelato il suo essere simbolico. Pertanto se è vero, come si affermava pocanzi, che ogni ente è posto nella necessità di esprimersi fuori di sé per realizzarsi perché Dio «di per sé» vive così e in questa forma si comunica, è altrettanto vero che Rahner, stabilendo la sacramentalità dell'unione ipostatica, definisce con essa il criterio metodologico di conoscenza della simbolicità del reale in quanto tale. Il sacramento è il punto culminante della Theologie der Symbolwirklichkeit di Rahner poiché solo il sacramento è il «simbolo reale»: unicamente quando c'è perfetta auto-espressione e auto-realizzazione si è in presenza di un simbolo reale, dato che soltanto quel tipo di simbolo contiene «realmente» ciò che significa, dunque è sacramento. Pertanto, all'affermazione che dichiara che l'ente è simbolico perché Dio è simbolico, occorre aggiungere che solo nel sacramento del Logos incarnato l'ente conosce e ritrova la simbolicità originaria di Dio, conoscendo e ritrovando se stesso in quanto ente simbolico.

Questo spiega anche il passaggio successivo del ragionamento rahneriano nel momento in cui prolunga la riflessione sulla sacramentalità di Cristo in quella della Chiesa: «La Chiesa è il rimanere presente di quella prima parola sacramentale, annunziante una grazia definitiva; parola che è Cristo nel mondo e che opera ciò che essa esprime, mentre lo esprime attraverso un segno. Come tale permanere di Cristo nel mondo, la Chiesa è effettivamente il sacramento primo (Ursakrament) ... ».57 La Chiesa, dunque, può essere caratterizzata in senso sacramentale (attuando in sé la dimensione peculiare dell'opus operatum) esclusivamente nel riferimento al rendersi costantemente presente del Verbo incarnato nello spazio e nel tempo, non potendo venir meno il principio che assegna all'incarnazione il criterio per cogliere quella simbolicità che, appartenendo a Dio, appartiene ad ogni ente.

6. L'antropologia simbolico-trascendentale

Il cammino fin qui percorso, che ha portato ad identificare nella sacramentalità del Logos incarnato il punto di arrivo della Theologie der Symbolwirklichkeit, ha nello stesso tempo messo in evidenza come Rahner non abbia solamente inteso manifestare come l'incarnazione riveli l'ontologia dell'essere di Dio, ma anche della realtà tout court. In questo modo sembra che la decisività del riferimento al Verbo fatto uomo si legittimi nel ruolo di «fondamento» dell'ontologia del finito che Egli svolge, segnalando che l'auto-manifestazione di Dio in Cristo rappresenta conseguentemente il luogo nel quale all'ente è data la possibilità di ritrovare la propria identità e, con essa, la sua verità. L'insuperabile simbolicità dell'ontologia del finito trova così nella sacramentalità del Logos incarnato l'ambito che, manifestando l'identità del divino rivela nello stesso tempo anche l'essenza di ogni ente, dato che ne svela la radice teologica della necessità di auto-esprimersi e di auto-realizzarsi nell'atro da sé (in cui ogni ente è posto).

Da questo punto di vista è allora lecito fare spazio alla considerazione che Rahner, volendo in questo modo porre in risalto l'originarietà dell'iniziativa di Dio, stabilisca un legame tra il piano ontologico e l'auto-manifestazione di Dio che, da una parte accentua il dovere di riferirsi all'azione divina per poter introdursi all'essenza della realtà, ma dall'altra indica nell'orizzonte ontologico dell'essere ciò che inesorabilmente rimanda all'alienazione (Ent-äußerung) di Dio fuori di sé, di cui l'incarnazione espone e fissa la condizione definitiva: «L'autocomunicazione entitativa va concepita in partenza come condizione della possibilità della conoscenza e dell'amore diretto e personale nei confronti di Dio».58 Amare e conoscere Dio è dunque una possibilità che chiede una condizione di possibilità: l'autocomunicazione ontologica (identificata con l'incarnazione). Di più, questa autocomunicazione deve legittimarsi e, a sua volta, si legittima tramite l'ente: «Per capire intimamente e per legittimare ontologicamente un concetto dell'autocomunicazione così inteso, dobbiamo rifarci all'esperienza trascendentale dell'orientamento di ogni esistente finito all'essere assoluto e al mistero di Dio».59 La mediazione rappresentata dalla persona del Logos fatto uomo si iscrive, quindi, nell'orizzonte dell'essere secondo la dimensione trascendentale dell'ente; questa lo manifesta nella sua verità, secondo «l'essenza ontologica di tale autocomunicazione».60

È proprio a questo livello che, allora, interviene l'istanza centrale del modello rahneriano di una teologia trascendentale, visto che quest'ultima ritrova nell'atto della conoscenza una co-implicazione (come condizione) di Dio e, pertanto, una Sua anticipazione (Vorgriff). Questo reciproco rimando deriva dalla fondamentale simbolicità dell'uomo la quale ha, come tale, a che fare con Dio poiché l'autocomunicazione di Dio sta a fondamento della sua esistenza garantendone l'interiore qualità della trascendenza nei confronti di tutto quanto lo circonda. Nella necessità in cui anche l'esistente è posto, di doversi esprimersi fuori di sé per entrare in possesso della propria essenza (autorealizzandosi), il simbolo appare categoria centrale del discorso antropologico, rivelando parimenti che l'uomo è l'ente capace di questo continuo autotrascendimento, visto che la sua condizione di possibilità è l'autocomunicazione di Dio realizzatasi nell'incarnazione. Più precisamente, il nesso che si stabilisce tra l'esistente e il Logos fatto uomo non è il puro formalismo di un'anticipazione dell'azione divina nella struttura antropologica (come troppo spesso si è creduto), semmai è da riconoscere come la relazione tra la finitezza dell'uomo ed il suo fondamento, ovvero l'evento indeducibile che, manifestando la simbolicità intrinseca di Dio, svela la caratterizzazione simbolica di ogni ente (uomo incluso) .61 In questo senso -- radicalizzando i termini fin qui esposti -- si potrebbe dire che ogni atto umano è un'apertura e una piena disponibilità verso il sacramento di Dio, dato che quest'ultimo è da sempre presente nella ontologica simbolicità dell'essere umano.

Si realizza di conseguenza il rendersi esplicito di quella «parentela cristologica» di ogni uomo che abbiamo visto essere alla base dell'identità della Chiesa popolo di Dio e che adesso, alla luce del percorso compiuto, risulta evidente che si fondi sull'imprescindibile caratterizzazione simbolica dell'esistenza umana. Quest'ultima, nella necessità in cui è posta, riconosce l'autocomunicazione di Dio quale condizione di possibilità della sua esistenza nel momento in cui riflette su di sé, considerato che la conoscenza della simbolicità della propria esperienza è sempre una comprensione metafisica dell'essere che è conoscenza atematica di Dio. L'intelligenza metafisica dell'essere si esercita, infatti, come condizione di possibilità dell'esperienza e del rapporto storico dell'uomo con l'assoluto. Si ritrova pertanto quella co-implicazione tra Dio e la conoscenza finita poc'anzi richiamata, la quale mette ulteriormente in evidenza come il progetto di Rahner, essendo indirizzato ad una ritrascrizione in termini teologici dell'ontologia, stabilisca l'intrinseco rimando all'autocomunicazione di Dio che ogni ente possiede. Infatti, nel momento in cui l'uomo oggettiva in modo riflesso la sua trascendentalità simbolica, non progetta un contenuto, non vede un oggetto metafisico, ma conosce di conoscere e con questo atto egli intenziona anticipatamente «l'essere in assoluto», inteso quale «principium dell'oggetto proprio dell'unica conoscenza umana, cioè del mondo».62 Ma proprio questa apertura non determina solo l'ambito ontologico, ma pure l'essenza stessa dell'uomo, dal momento che, interrogandosi nel qui e ora del mondo, pone la domanda sull'essere ed esiste come «domanda sull'essere».63 Conoscenza del mondo (dell'ente) e domanda sull'essere vanno di pari passo nel declinare l'identità dell'uomo al quale s'impone la necessità di gettarsi fuori di sé nella conoscenza del mondo ritrovando -- contemporaneamente ad un'anticipazione dello «essere in assoluto» -- se stesso.

L'uomo, dunque, ritrova se stesso nella sua ontologica simbolicità e, non è un caso, che Rahner abbia potuto affermare che, di conseguenza, il vivente possiede una conoscenza implicita o atematica di Dio. La conoscenza del mondo implica infatti la conoscenza di Dio perché è necessario conoscere il mondo per conoscere Dio, visto che -- seguendo Tommaso -- per Rahner non si dà nessuna conoscenza metafisica senza una comparatio con l'intuizione sensibile.64 Pertanto, la necessità ontologica in cui l'uomo è posto (di dover volgersi al mondo per conoscere se stesso) si esercita grazie all'illimitatezza dell'essere, la quale a sua volta rinvia a una trascendentalità, di cui si ha una esperienza appunto trascendentale: gli oggetti del mondo saranno incontrati in forza di questa trascendentalità che esprime l'origine e il fine di ogni operazione, cioè Dio come trascendenza assoluta e infinita.65

Una circolarità antropologia-ontologia, ma ancor di più ontologia-teologia, dal momento che la stessa condizione di pensabilità del Dio che si rivela coincide con la necessità ontologica in cui l'uomo è posto e per la quale egli non può conoscere veramente sé stesso se non sulla presupposizione dell'autocomunicazione di Dio: «L'orizzonte della trascendenza è quindi il mistero santo come l'essere assoluto o l'esistente dalla pienezza e dal possesso assoluto dell'essere».66 L'attività della conoscenza da parte dell'uomo può ritrovare infatti l'apertura a Dio come condizione di possibilità -- e quindi come anticipazione -- solo nel momento in cui appare chiaro che l'orizzonte illimitato dell'essere è alla base di ogni suo atto riflessivo il quale media la simbolicità dell'essere in quanto tale. Questo è l'apriori della conoscenza, che riveste un carattere obiettivo (poiché in se stesso assoluto) e, in quanto tale, rende possibile l'esperienza intellettiva del soggetto che, conoscendo di conoscere, si recupera riflessivamente come ente simbolico.

A questo progetto la teologia del sacramento partecipa in modo costruttivo e non solo applicativo nella misura in cui la natura e l'identità del sacramento -- come specificato dalla Theologie der Symbolwirklichkeit -- rimanda all'autocomunicazione dell'Unitrino nel tempo e nella storia di cui l'incarnazione cristologica espone e fissa la realizzazione definitiva. Per Rahner, infatti, se l'esperienza trascendentale è -- in virtù della mediazione simbolica dell'essere -- conoscenza atematica di Dio, questo è dovuto alla perfetta sacramentalità del Logos incarnato che rivelando la simbolicità di Dio stesso mostra la piega teologica della realtà in quanto tale. Di conseguenza, lo scavo in direzione teologica dell'ontologia del simbolo, che Rahner conduce come approfondimento della sacramentaria, contiene un'indicazione decisiva per la riformulazione del rapporto tra Dio e l'uomo. La conoscenza finita rivela la simbolicità dell'esperienza del soggetto, ma quest'ultimo non può divenire consapevole di sé se non a partire dal sacramento di Dio, ovvero dall'apriori per cui Dio si comunica nella sua identità e l'uomo non esiste se non in virtù di questa autocomunicazione di Dio: l'alienarsi, il farsi altro di Dio fuori di sé nel Logos fatto uomo.67 Da un lato, dunque, l'uomo può riconoscere in una oggettività storica la rivelazione di Dio solo sul fondamento dell'ontologica simbolicità del reale cui egli partecipa, ma, parimenti, l'uomo non può prendere coscienza della sua simbolicità se non attraverso una oggettività storica che la simboleggia realmente -- un sacramento.

In questo senso riecheggia, con maggior persuasività, la tesi iniziale del rapporto tra la Chiesa «società giuridica» e quella «popolo di Dio» stante la specificazione teologica (ma, sarebbe più preciso dire sacramentale) della relazione che si stabilisce tra il dinamismo trascendentale del soggetto -- che descrive il livello essenziale del vivente -- e l'auto-manifestazione divina. La particolarità della forma storica di quest'ultima si presenta come definitiva ed escatologica poiché espressione simbolico-sacramentale della vitalità intratrinitaria di Dio e, dunque, della misericordia e volontà salvifica universale che Dio ha nei confronti della storia umana. Per questo la Chiesa può e deve essere caratterizzata in senso sacramentale, poiché espressione simbolica della modalità con la quale Dio si è auto-comunicato in Cristo. Pertanto, va da sé che nell'identità giuridico-istituzionale della Chiesa si debba continuamente ritrovare quella oggettività che è necessaria all'uomo per ritrovare la propria simbolicità, vale dire ciò che gli consente di scoprirsi ontologicamente «fratello e sorella del Figlio incarnato» e, come tale, facente da sempre parte della Chiesa «popolo di Dio». È evidente -- in virtù di tutto ciò che finora si è cercato di mettere in evidenza -- che tale impostazione sta o cade sul presupposto trascendentale del metodo teologico di Rahner, ovverosia sull'apriori ontologico dell'auto-conoscenza finita dell'uomo che, rivelando la simbolicità dell'ente, manifesta una co-implicazione (come condizione) di Dio e, pertanto, una Sua anticipazione (Vorgriff). Allo stesso modo è altrettanto fuori discussione che Rahner in questo modo cerchi di legittimare l'universalità dell'autocomunicazione divina sul piano ontologico e, di conseguenza, valga la pena (quale conclusione) valutare l'ipotesi interpretativa iniziale, esaminando se l'inclusione della rivelazione di Dio all'interno dell'orizzonte universale dell'essere non finisca per rappresentare il limite entro il quale pre-comprendere l'universale (e, quindi, illimitata) iniziativa divina.

7. I limiti della conoscenza finita

Posta in questi termini, la questione decisiva consiste nel valutare criticamente il rapporto tra l'auto-manifestazione di Dio e l'orizzonte dell'essere a cui il progetto rahneriano intrinsecamente rimanda. Più precisamente si tratta di riflettere sulle conseguenze di ciò che si è già messo in evidenza a proposito del fatto che l'autocomunicazione ontologica di Dio (identificata con l'incarnazione) si ponga come condizione di possibilità della stessa possibilità di conoscere ed amare Dio. Inoltre tenuto conto che tale possibilità il vivente la esercita nell'atto della sua conoscenza finita, diventa allora decisivo considerare che tipo di statuto Rahner assegni alla finitezza. Questo, in pratica, lo si è già visto nel momento in cui si ricordava che il Logos incarnato è il sacramento di Dio non perché fa scomparire la simbolicità del reale e dell'esistente, ma perché consente la definitiva rivelazione di tale simbolicità. Ragion per cui la necessità antropologica di esporsi fuori di sé per ritrovarsi è effettivamente il luogo della finitezza umana, giacché descrive l'unico modo di essere uomo (e non la sua imperfezione).

Si tratta pertanto della condizione irrinunciabile per la conoscenza e il possesso di sé da parte dell'uomo che, di conseguenza, si comprende come l'ente capace di autotrascendersi continuamente nella varietà delle situazioni che la contingenza storica gli assegna. Il problema si pone però nello statuto che Rahner assegna a tale auto-conoscenza umana, dato che è a questo livello che si rende evidente come la simbolicità della finitezza antropologica perde il suo carattere indefinibile per ridursi ad un momento (seppur privilegiato) della conoscenza del mondo. Più precisamente, la questione si pone nel comprendere come Rahner pensa l'autoconoscenza dell'uomo e, soprattutto, a che titolo la pensa. Detto diversamente: non si tratta solo di sapere se l'uomo può conoscere la sua finitezza, ma di comprendere -- nel caso in cui effettivamente egli si conosce -- quale statuto (e, dunque, quale modo d'essere) appartiene a se stesso in quanto conosciuto. Per Rahner -- lo si è già messo in rilievo -- la conoscenza umana, sempre legata al mondo tramite la sensibilità, rivela la struttura di un ente, qual è appunto l'uomo, che non può conoscere se stesso se non passando attraverso altro da sé, nell'orizzonte formale dell'essere che rende possibile ogni concreto esercizio di conoscenza di sé e di altro da sé. In questo modo il soggetto sicuramente afferma molto, se non tutto, di ciò che si può pensare e conoscere,68 ma non necessariamente distingue la propria conoscenza da quella di tutti gli altri oggetti, visto che è sufficiente conoscere per conoscer-si. Di conseguenza, il fondamento del sé conosciuto è l'esperienza trascendentale dell'essere nel senso che quest'ultima coincide con la ricerca delle condizioni oggettive della conoscenza umana in quanto tale: l'uomo conosce sicuramente se stesso, ma unicamente (e esattamente) come così come egli conosce ogni altro oggetto dell'esperienza. Per questa ragione, per Rahner, la relazione trascendentale è intrinsecamente costitutiva di ogni oggetto dell'esperienza (sé incluso), rendendo evidente che la stessa l'esperienza può essere detta trascendentale solo perché sono esplicitate le sue condizioni di possibilità. L'esperienza trascendentale è, allora, l'inesauribile riproporsi del cammino della conoscenza oggettiva da parte del soggetto spirituale che si rende attiva in ciascuno degli atti grazie ai quali l'uomo si attua esponendosi fuori di sé (simbolicamente).

Va da sé che in questa maniera la riflessione di Rahner, pur non insistendo più su un a priori che stabilisce la forma logica del giudizio (e perciò, seguendo la lezione heideggeriana, cerchi di recuperare alla conoscenza la componente esperienziale), si soffermi sulla ricerca delle condizioni oggettive della conoscenza per fondare l'esperienza trascendentale del soggetto. Il percorso intrapreso, tuttavia, porta ad una tendenziale estenuazione della singolarità dell'esperienza del vivente, considerato che la ricerca delle condizioni trascendentali (oggettive) della conoscenza esperienziale conduce Rahner a non mettere mai in evidenza l'identità dell'Io che, facendo esperienza di sé, si conosce. In altri termini, conoscendosi, l'uomo non si conosce mai in quanto realmente conoscente, ma semplicemente come colui che è da sempre conosciuto: conosciuto così come ogni altro conosciuto, vale a dire così come qualsiasi altro oggetto d'esperienza. Pur tuttavia, il soggetto resta l'unico conoscente, l'Io pensante, che rende possibile tutti i pensieri e tutti i pensati. Come si può pensare colui che pensa i pensati e i pensieri? Rahner non ha dubbi: «Per quanto riguarda l'autoesperienza dell'uomo ribadiamo che intendiamo quell'esperienza atematica (unthematische) che viene anzitutto vissuta in maniera irriflessa (unreflexe Erfahrung), che come tale precede l'antropologia (di natura filosofica e regionale) che su di essa riflette, la sistematizza e l'oggettivizza (reflektierenden, systematisierenden und durch beides objektivierenden Anthropologie ... vorausgeht) ».69 La proprietà più alta e più inalienabile dell'ente umano, quella di esperirsi come un pensiero pensante, si trasforma pertanto in un contenuto interamente vuoto: un'esperienza atematica e irriflessa che resta all'uomo sconosciuta in se stessa, dal momento che il vivente non ne ha nessuna esperienza, se non per la mediazione della rappresentazione che oggettiva ed interpreta questa esperienza, la quale resta -- trascendentalmente -- inconoscibile.70

Il cammino, inesorabilmente storico, dell'esperienza umana perde la prerogativa di essere un continuo e sempre nuovo accadimento, ma si pone come la ripetizione nei differenti atti che compongono la vicenda umana dello stesso ed identico dinamismo trascendentale. Pertanto, l'antropologia (la riflessione sulla contingenza finita dell'esistenza) lascia del tutto indeterminata la questione dell'Io, che Rahner, nonostante questo, investe della funzione esorbitante di concentrare in essa la questione metafisica della conoscenza di Dio e della realtà. L'aporia dell'auto-esperienza e dell'auto-conoscenza ricapitola così un'aporia ontologica e teologica, che rivela tutta la sua portata nell'ontologia del simbolo. L'ontologische Christologie di Rahner si riduce, infatti, ad essere unicamente il luogo che manifesta le condizioni trascendentali (a priori, ontologiche) dell'essere finito. Detto diversamente, la sacramentalità del Logos fatto uomo si pone come l'oggettivazione categoriale che consente all'uomo di prendere coscienza della simbolicità che trascendentalmente lo costituisce, ma in questo modo il livello sul quale Rahner pensa di stabilire un nesso diretto tra l'auto-manifestazione di Dio e l'uomo sfugge continuamente all'auto-conoscenza umana, e, dunque, alla sua coscienza. Tenuto conto poi che la caratterizzazione sacramentale dell'incarnazione ha l'ambizione di svelare anche la «natura» teologica dell'ente in quanto tale, la relazione istituita tra il momento trascendentale e quello categoriale rende ancor più problematico tale «svelamento»: il sacramento rimanda esclusivamente alla struttura trascendentale dell'essere come fondamento di ogni conoscenza finita, non alla specificità teologica della sua identità. Più precisamente: quest'ultima coincide con la condizione di possibilità della conoscenza di ogni oggetto (rivelata definitivamente nella sacramentalità del Logos incarnato), ma -- non essendoci mai da parte dell'uomo un'autoesperienza immediata della propria trascendentalità -- l'origine trinitaria della simbolicità dell'ente resta positivisticamente affermata a fronte dell'esperienza umana.

Non sfugge a nessuno che in questa maniera si corre il rischio di riproporre nell'ontologia del simbolo gli stessi difetti imputati da Rahner alla visione tradizionale del simbolo, dato che anche nel suo modello la cosa simboleggiata resta nascosta in sé. La condizione d'essere dell'ente (in questo caso la sua simbolicità teologica) non si decide più nel e attraverso l'ente stesso, ma nella e attraverso la rappresentazione che oggettivizza e interpreta l'esperienza trascendentale che della cosa l'uomo possiede. Ne deriva che la simbolicità della realtà resta in qualche modo alienata rispetto alla sua oggettivazione simbolico-sacramentale, o meglio: essa si aliena da se stessa, per ritrovarsi (attraverso la sua oggettivazione) nell'esperienza trascendentale che rappresenta la condizione universale a priori della sua conoscenza. Tuttavia, in questo modo, appare palese che l'esperienza trascendentale stessa è la condizione di possibilità di ogni cosa, ragion per cui la simbolicità dell'ente non fa trasparire più direttamente la specificità teologica (e, dunque, indeducibilmente rivelata) della sua origine, ma unicamente le condizioni universali a priori della sua conoscenza, quale che sia la sua provenienza.

In questo modo, si può riprendere l'ipotesi interpretativa della sacramentaria di Rahner proposta fin dall'inizio: la rivisitazione in chiave simbolica della nozione di sacramento, prospettata al fine di garantire l'universalità dell'autocomunicazione divina, ha posto le basi per un rinnovato discorso ontologico che si facesse carico di mostrare la caratterizzazione cristiana (trinitaria) dell'essere. Nonostante ciò, questo progetto non rende ragione a sufficienza dell'intenzione suo stesso impegno riflessivo: la volontà di assicurare l'universalità dell'auto-manifestazione di Dio a livello ontologico, anziché prodursi attraverso una ricostruzione teologica dell'essere, finisce per sottostare ad un concetto di essere ancora caratterizzato in senso metafisico, inteso come l'orizzonte a priori necessario ad ogni conoscenza da parte dello spirito finito. In questo senso il procedimento adottato -- anziché «liberare» Dio dall'ipoteca dell'essere -- iscrive di diritto la rivelazione divina all'interno dell'orizzonte di manifestazione dell'essere. Quest'ultimo finisce realmente per porsi come il limite entro cui pre-comprendere l'iniziativa auto-manifestativa di Dio, considerato che il modello della teologia di Rahner -- nel momento in cui rende possibile trascendentalmente ogni manifestazione simbolica dell'originario -- non lascia spazio a nessuna manifestazione che sia irriducibile a quanto l'orizzonte trascendentale stesso dell'essere a priori rende possibile. Gli ostacoli posti alla singolarità della rivelazione divina coincidono con le condizioni della sua manifestazione, per questo è, allora, plausibile affermare solo il superamento di ogni orizzonte di manifestazione può lasciare impregiudicata la rivelazione della libera carità del Dio Trinità avvenuta nell'evento cristologico. Diversamente, anche il più illimitato degli orizzonti (quello dell'essere) inevitabilmente rappresenterebbe sempre un limite all'azione divina: un limite illimitato, ma pur sempre limitante.

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Note

  1. Per una rigorosa e del tutto pertinente analisi della proposta rahneriana sull'istituzione dei sacramenti rimandiamo all'articolo di S. Ubbiali con la bibliografia lì indicata: S. Ubbiali, Il sacramento e l'istituzione divina. Il dibattito teologico sulla verità del sacramento, in Rivista Liturgica LXXXI (1994), 118-150. Testo

  2. K. Rahner, Chiesa e sacramenti, tr.it., Morcelliana, Brescia 1973, 42 [Kirche und Sakramente, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1960, 38]. D'ora in poi citato KS. Testo

  3. Ibidem: «Di quattro sacramenti non abbiamo quindi alcuna «parola di istituzione» da parte di Gesù stesso [Wir haben also von vier Sakramenten keine »Einsetzungsworte« Jesu selbst]». Testo

  4. Ivi, 42-47 [38-43]. Testo

  5. Ivi, 48 [43]. Testo

  6. Ivi, 13 ss. [11 ss.]. Testo

  7. Ivi, 15 [12-13]. Testo

  8. Ivi, 15 [13]. Testo

  9. Ivi, 17 [15]. Testo

  10. Ivi., 20 [17]. Testo

  11. Cfr. J. J. Buckley, On Being a Symbol: An Appraisal of Karl Rahner, in Theological Studies 40 (1979), 453-473; C. A. Callahan, Karl Rahner's Theology of Symbol. Basis for his Theology of the Church and the Sacraments in Irish Theological Quartely 49 (1982), 195-205; A. Bozzolo, La teologia sacramentaria dopo Rahner. Il dibattito e i problemi, LAS, Roma 1999; J. Splett, »Realsymbol«. Zur Anthropologie des Sakramentalen, in G. Oberhammer - M. Schmücker (Hrsg.), Raumzeitliche Vermittlung der Transzendenz. Zur »sakramentalen« Dimension religiöser Tradition, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, Wien 1999, 325-351; B. Kleinschwärzer-Mesteir, Gnade im Zeichen. Katholische Perspektiven zur allgemeinen Sakramentenlehre in ökumenischer Verständigung auf der Grundlage der Theologie Karl Rahners, Lit, Münster-Hamburg 2001; S. Ubbiali, Il Sacramento cristiano. Sul simbolo rituale, Cittadella, Assisi 2008, 171-177. Testo

  12. Pio xii, Lettera enciclica Haurientis Aquas, in AAS 48 (1956), 309-353. Testo

  13. K. Rahner, Sulla teologia del simbolo, in Saggi sui sacramenti e sulla escatologia, tr. it., Paoline, Roma 19692, 51-107 [Zur Theologie des Symbols, in Schriften zur Theologie, Band IV: Neuere Schriften, Benzinger, Einsiedeln-Zürich-Köln 21961, 275-311]. D'ora in poi citato ZThS. Testo

  14. Ivi, 67 [285] Testo

  15. Ivi, 57 [278: «Das Seiende ist von sich selbst her notwendig symbolisch, weil es sich notwendig »ausdrückt«, um sein eigenes Wesen zu finden»]. Testo

  16. KS, 106 [96]. Testo

  17. È evidente in questo contesto il superamento del linguaggio dell'elevazione tipico della teologia moderna. In proposito cf. N. Reali, Scegliere di essere scelti. Riflessioni sul sacramento del matrimonio, Cantagalli, Siena 2008. Testo

  18. KS, 106 [96]. Testo

  19. ZThS, 74 [290: «Das eigentlich Symbol (Realsymbol) ist der zur Wesenskonstitution gehörende Selbstvollzug eines Seienden im anderen»]. Testo

  20. Ivi, 65 [284]. Testo

  21. Ivi, 67 [285]. Testo

  22. Ivi, 58-59 [279]. Testo

  23. KS, 107 [96-97]. Testo

  24. K. Rahner, Sul matrimonio, tr. it., Queriniana, Brescia 1966, 9. Testo

  25. «Die Ehe [...] ist die leibhaftige Erscheinung, das Zeichen, das Realsymbol und die Leinhaftigkeit dieser ehelichen Liebe, die durch ihre Erscheinung sich selbst setz. Die Ehe, so müssen wir nun sagen, ist das Zeichen der Liebe, die vor Gott gerät, die Ereignis der Gnade und offene Liebe zu allein ist» : Id., Die Ehe als Sakrament, in Schriften zur Theologie, Band VIII, Benzinger, Einsiedeln-Zürich-Köln 1967, 529. Testo

  26. ZThS, 60 [280]. Testo

  27. Ivi, 76-77 [291]. Testo

  28. In proposito, cf. P. Coda, Trinità e monoteismo in Studia Patavina 47(1/2000), 5-28, con la bibliografia lì indicata. Testo

  29. L. Ladaria, Il Dio vivo e vero. Il mistero della Trinità, Piemme, Casale Monferrato 1999, 20. Testo

  30. K. Rahner, Il Dio trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in Aa. Vv., Mysterium Salutis, tr. it., vol. III, Queriniana, Brescia 1972, 485. Testo

  31. Ivi, 485-486. Testo

  32. ZThS, 62 [282]. Testo

  33. Ibidem Testo

  34. K. Rahner, Il Dio trino come fondamento originario, 486. Testo

  35. ZThS, 63 [282]. Testo

  36. K. Rahner, Il Dio trino come fondamento originario, 485. Testo

  37. v. supra, xx. Testo

  38. ZThS, 76-95 [291-303]. Testo

  39. ZThS, 76 [291]. È da notare che le categorie utilizzate appartengono tutte alla tradizione fenomenologica. Testo

  40. ZThS, 76-77 [291]. Testo

  41. ZThS, 77: «... ora non sarà stabilita esplicitamente la convergenza di questa ontologia e della teologia trinitaria ...» [292]. Testo

  42. ZThS, 78 [292]. Testo

  43. Ibidem Testo

  44. ZThS, 79 [293]. Testo

  45. ZThS, 80 [293-294]. È evidente in questo contesto il presupposto del famoso Grundaxion rahneriano «la Trinità 'economica' è la Trinità immanente e viceversa [Die 'ökonomische' Trinität ist die immanente Trinität und umgekehrt]» : K. Rahner, Osservazioni sul trattato dogmatico 'De Trinitate', in Saggi teologici, Paoline, Roma 1965, 606 [Bemerkungen zum dogmatischen Traktat 'De Trinitate', in Schriften zur Theologie, Band IV, 115]. Sul Grundaxiom cfr. M. Gonzales, La relacion entre Trinidad economica e inmanente. El 'Axioma fundamental' de K. Rahner y su recepción. Lineas para continuar la reflexion, Libreria editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma 1996; R. Miggelbrink, Latens Deitas. Das Gottesdenken in der Theologie Karl Rahners, in R. A. Siebenrock (Hrsg.), Karl Rahner in der Diskussion. Erstes und zweites Innsbrucker Karl-Rahner-Symposion: Themen - Referate - Ergebnisse, Tyrolia, Innbruck-Wien 2001, 99-129 con l'abbondate bibliografia in questi testi indicata. Testo

  46. K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, tr. it., Paoline, Cinisello Balsamo 1990, 291. Testo

  47. Per un panorama sintetico cf. L. Scheffczyk, Schöpfung und Vorsehung, (Handbuch der Dogmengeschichte II. Bd. II. Der Trinitarische Gott. Die Schöpfung. Die Sünde. Fasz. 2a /2a), Herder, Freiburg i. B. 1963; A. Scola - G. Marengo - J. Prades Lopez, La persona umana. Antropologia teologica, Jaca Book, Milano 2000, 71-93. Testo

  48. In proposito cf. G. Moioli, Cristologia. Proposta sistematica, Glossa, Milano 1989, 253-287; G. Marengo, Generazione del Figlio e creazione dell'uomo, in G. Marengo - F. Pesce (edd.), Creazione dell'uomo generazione della vita. In dialogo con il pensiero di M. Henry, Cantagalli, Siena 2012, 91-114. Testo

  49. Per un approfondimento della teologia rahneriana sulla cristologia e in particolare sull'interpretazione del dogma di Calcedonia, si può far riferimento al celebre contributo Chalkedon - Ende oder Anfang?, in A. Grillmeier - H. Bacht (Hrsg.), Das Konzil von Chalkedon. Geschichte und Gegenwart, Bd. III, Echter, Würzburg 1954, 3-49. Testo

  50. Id., Osservazioni sul trattato dogmatico 'De Trinitate', 599 [111]. Testo

  51. «Hier hat sich die Ontologie an der Botschaft des Glaubens zu orientieren und ihn nicht zu schulmeistern»: Id., Zur Theologie der Menschwerdung, in Schriften zur Theologie, Band IV, 147, an. 3. Testo

  52. ZThS, 83 [295-296]. In proposito cf. anche K. Rahner, Osservazioni sul trattato dogmatico 'De Trinitate', 617 [123]: «La natura umana, in altre parole, non è la maschera presa dall'esterno (il pro.swpon), la livrea nella quale il Logos nascosto gesticola nel mondo, bensì fin dall'inizio il simbolo reale costitutivo del Logos (das konstitutive Realsymbol des Logos selbst)». Testo

  53. ZThS, 84 [296]. Testo

  54. Ivi, 84-85 [296-297]. Testo

  55. KS, 17 [15]. Testo

  56. Ibid. In proposito cf. anche Id., Ekklesiologische Grundlegung in Handbuch der Pastoraltheologie, Bd. 1, Herder, Freiburg i. Br. 1964, 117-148; Id., Der eine Christus und die Universalität des Heils, in A. Bsteh (Hrsg.), Universales Christentum angesichts einer pluralen Welt, St. Gabriel, Mödling 1976, 57-85. Testo

  57. KS, 20 [17]. Testo

  58. K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, 169. Testo

  59. Ivi, 168. Testo

  60. Ibidem. Testo

  61. Interessanti suggerimenti a questo proposito è possibile ritrovarli in K-H. Neufeld, Metodo trascendentale rahneriano: analisi e prospettive, in I. Sanna (ed.), L'eredità teologica di Karl Rahner, LUP, Città del Vaticano 2005, 91-102. Testo

  62. K. Rahner, Spirito nel mondo, tr. it., Vita e Pensiero, Milano 1989, 375. Testo

  63. Ivi, 59. Testo

  64. Tommaso d'Aquino, STh I, q. 84, a. 7, ad 3. Cf. K. Rahner, Spirito nel mondo, 140. Testo

  65. K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, 71: «L'uomo sa esplicitamente che cosa intende dire quando parla di 'Dio' solo nella misura in cui permette a questa trascendentalità, superante tutto ciò che è oggettivamente dichiarabile, di emergere davanti a se stesso, l'accetta e, riflettendo, oggettiva quel che con tale trascendentalità è già da sempre posto». Testo

  66. Ivi, 100. Testo

  67. K. Rahner, Osservazioni sul trattato dogmatico 'De Trinitate', 617 [123]: «La natura umana [...] è il simbolo reale costitutivo del Logos (das konstitutive Realsymbol des Logos selbst), cosicché dobbiamo e possiamo dire: l'uomo è possibile in quanto è possibile l'automanifestazione del Logos (Ent-äußerung des Logos)». Testo

  68. «L'uomo è quodammodo omnia [...] L'uomo è ogni cosa in excessu: nell'anticipazione»: K. Rahner, Spirito nel mondo, 180. Testo

  69. K. Rahner, Esperienza di se stessi e esperienza di Dio, in Nuovi Saggi, V, tr. it., Paoline, Rome 1975, 177 [Selbsterfahrung und Gotteserfahrung, in Schriften zur Theologie, IX, Benzinger, Einsiedeln 1970, 134.] Testo

  70. «La distinzione da noi posta tra l'esperienza originaria e atematica che l'uomo fa di sé e di Dio e la conoscenza di Dio e dell'uomo che oggettivizza e interpreta tale esperienza»: ivi, 178 [135]. Testo