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Mircea Eliade e il suo itinerario verso l'Ortodossia

di Iuvenalie Ionascu (20 dicembre 2015)

1. Mircea Eliade e la religione

È cosa assai difficile parlare dell'uomo Mircea Eliade (1909-1986), anche perché egli è una delle rarissime personalità in cui la vita e l'opera si trovano in una meravigliosa e perfetta sovrapposizione.1 L'uomo e l'opera sono ben conosciuti in Occidente, forse più di quanto non lo siano nel suo paese. Si conosce invece pochissimo o niente dei suoi scritti usciti in romeno negli anni '20-'30 del secolo scorso, prima che Eliade, in seguito all'instaurazione del regime comunista a Bucarest, si stabilisse in Portogallo, poi a Parigi e quindi a Chicago.

Delle sue convinzioni religiose Eliade, negli anni della maturità, non parlava quasi mai, nemmeno con gli amici. Era conosciuto per la sua modestia e riservatezza. E a parte l'esuberanza giovanile, i suoi stessi colleghi di liceo a Bucarest lo ricordavano e lo apprezzavano per la modestia e l'onestà e per lo spirito di amicizia che lo legava a tutti.2 Nella sua pubblicistica dell'epoca, egli declama e teorizza la sua religiosità, l'appartenenza all'Ortodossia la cui mistica la propone a tutti gli intellettuali della sua stessa generazione. Consumatasi la seconda guerra mondiale, la Romania sarà occupata dal comunismo (nel '45), perciò tutti i piani e gli ideali della cosiddetta «giovane generazione», di cui Eliade era il portavoce e profeta indiscusso, vanno in fumo: «tutto ammutolisce»,3 incluso Eliade stesso. Dopo quella data, lo scienziato non parlerà mai più della sua religiosità, delle sue esperienze spirituali, del suo rapporto con la divinità.

La sua eccessiva discrezione non era dovuta all'indifferenza nei confronti dell'esperienza religiosa, bensì al troppo rispetto per una realtà che occupava un posto centrale nella sua vita, come avrà a confessare cinquant'anni più tardi a un suo amico, il giornalista francese Claude-Henri Roquet: «Alcune domande sono veramente così importanti per la mia stessa esistenza, come anche per quella del lettore ad essa interessato, che non potrei elucidarle convenientemente durante una conversazione. Sul problema del divino, che è centrale, vorrei evitare di parlare con facilità. Invece mi prometto che un giorno lo tratterò in modo del tutto personale e coerente, per iscritto».4 Si vede che questo mistero l'ha portato via con sé nell'aldilà.

Della sua generazione, Eliade parlava con grande entusiasmo e dedicava le sue energie al costituirsi di un programma ben articolato, intitolato in modo suggestivo Itinerariu spiritual [Itinerario spirituale] (1927), seguito da Scrisori catre un provincial [Lettere a un provinciale] (pubblicate tra 1927-1928 e 1932-1933), per lo più sulla rivista Cuvântul [La Parola]. In questi articoli, il critico letterario e futuro storico delle religioni cercava di tratteggiare i caratteri definitori della generazione intellettuale romena del dopo la Grande Guerra la quale aveva modificato profondamente il panorama storico sociale, culturale ed ecclesiale del paese, nonché la stessa coscienza intellettuale dei giovani che cercavano di affermarsi culturalmente nella Grande Romania (nel 1918, al Regato della Romania si erano unite la Transilvania, la Bassarabia e la Bucovina) e di raccordarsi creativamente alla cultura europea dell'epoca. Non vanno ignorati gli entusiasmi che definivano una sincera ricerca d'identità, nonché gli inevitabili pericoli che già serpeggiavano nell'Europa di quelli anni che a volte slittava pericolosamente verso orientamenti di estrema destra.5 A tutto questo travaglio dell'intellettualità europea, Eliade e i suoi amici romeni partecipano attivamente, assumendosi delle responsabilità per un progetto culturale di ampio respiro europeo, segnato però dalla specificità culturale e confessionale alla quale appartenevano. Eliade riscopriva non solo la propria identità culturale nell'Ortodossia, ma vi partecipava attivamente e ne faceva l'esperienza direttamente, cercando quindi di proporla come «credo» a tutta la sua generazione. È evidente che non tutti i membri della sua generazione condividevano tutti i valori che la Chiesa Ortodossa proponeva, né si ritrovavano culturalmente o confessionalmente al suo interno. Perciò non tardavano a muovere delle osservazioni al giovane Mircea Eliade: pur contestando alcune sue idee, nessuno però discuteva il suo ruolo di leader generazionale e le sue capacità intellettuali. Dopo la pubblicazione della serie di articoli dell'Itinerariu spiritual, il critico e futuro storico della letteratura romena Serban Cioculescu lo presentava così: «Armato fino ai denti con un'erudizione impressionante marcatamente dominata dalla storia delle religioni, delle culture e dei misteri [...]; dotato di memoria, capacità di assimilazione, snellezza, abilità, coraggio, espressività stilistica, [Mircea Eliade] coglie ottimamente le tendenze e [gli si addice il ruolo] di capogruppo della gioventù [di orientamento] spirituale mistico e ortodosso».6 Veramente, il ruolo di leader di generazione gliel'hanno riconosciuto incontestabilmente tutti, inclusi coloro che ne hanno respinto le idee.

Ci soffermeremo brevemente su ciò che Eliade intendeva per «nuova (o giovane) generazione», quale era il suo credo o «itinerario spirituale», quale era il ruolo dell'Ortodossia e come i contemporanei, soprattutto giovani intellettuali, si ritrovavano di fronte a un tale programma culturale spirituale.

2. La nuova generazione

Alla pubblicazione dei suoi articoli, Eliade è stato capace di sollevare un ampio dibattito, provocare una marea di contestazioni e prese di posizione intorno all'idea di coscienza di sé della nuova generazione, alla quale profeticamente il ventenne intellettuale si appellava, per far fronte alle nuove sfide nazionali ed europee. In seguito, ci si accorgerà che Eliade non aveva torto. Comunque, pur contestandolo, i suoi contemporanei hanno dato seguito alle linee direttrici del suo programma culturale. Tra loro ricordiamo qui almeno alcuni: Camil Patrescu, George Calinescu, Petru Comarnescu, Serban Cioculescu, Alexandru Cioranescu, Mihail Sebastian, Alexandru Elian, Mircea Vulcanescu, Petre Tutea, Constantin Noica, Emil Cioran, tutti intellettuali di spicco della cultura romena interbellica, affermatisi dopo la Grande Guerra, e che porteranno un contributo importantissimo alla spiritualità romena; molti di loro -- salvo chi era riuscito ad emigrare -- finiranno nelle prigioni politiche del regime comunista, e al tempo stesso resteranno come dei luminari della «resistenza tramite la cultura» negli anni bui del totalitarismo.

Come egli stesso affermerà più tardi, ricordandosi del suo Itinerario spirituale, Eliade considerava quale dovere assoluto della sua generazione del dopoguerra il delinearsi del proprio ideale, un ideale prettamente culturale, che sia diverso da quello della generazione precedente, ovverosia della Grande Unità, la quale era già stata raggiunta.7 Eliade scorgeva la crisi che serpeggiava nella coscienza europea negli anni del dopoguerra, una crisi profonda che stendeva le sue radici nel secolo precedente. «Il mito del progresso infinito -- scriveva lui -- la fede nel ruolo decisivo della scienza e dell'industria, che dovevano instaurare la pace universale e la giustizia sociale, il primato del razionalismo e il prestigio dell'agnosticismo: tutte queste erano già finite in fumo sui campi di battaglia (della Grande Guerra)».8

L'irrazionalismo che aveva trovato la sua massima espressione nella stessa guerra era penetrato fin nella stessa vita spirituale e culturale occidentale tramite la rinascita delle esperienze religiose, come anche il crescente interesse per le pseudo-spiritualità e addirittura per le gnosi orientali.9

Probabilmente non aveva avuto delle esperienze religiose particolari, non era un mistico, nemmeno un praticante.10 Per via culturale però Mircea Eliade aveva intuito che il «destino della cultura romena» (come osava esprimersi) stava nell'accordarsi con la spiritualità che la esprimeva. Si sentiva attratto da questa forma di spiritualità, come avrà a confessare più tardi: «L'Ortodossia mi sembrava preziosa per i romeni perché si trovava lì, ed era lì da molto tempo, faceva parte della storia e della cultura romena. Personalmente, pur sentendomi attratto da questa tradizione, non la vivevo».11 E certamente una tale mancanza si era sentita e rappresentava il fondamento delle critiche degli altri. Eliade era un principiante nell'esperienza dell'ortodossia, ma ci credeva sinceramente.

3. «Ortodosso non si nasce ma si diventa»

Nel suo articolo programmatico, Ortodoxie,12 posto a conclusione del suo Itinerario spirituale, Mircea Eliade espone la sua tesi principale: cioè, ortodossi non si nasce ma si diventa. Secondo lui, nell'occidente «si nasce al cattolicesimo», invece «gli orientali arrivano all'ortodossia».13 Evidentemente Eliade generalizzava la propria esperienza di conversione. Egli stesso aveva fatto un percorso «iniziatico», di riscoperta dell'ortodossia, alla quale era arrivato in seguito a certe esperienze spirituali, di cui faceva cenno, ma non raccontava mai.

Com'era da aspettarsi, alcuni dei suoi contemporanei non condividevano tale visione sull'esperienza religiosa ortodossa. Nae Ionescu (il più carismatico dei suoi professori e maestro della generazione di intellettuali a cui apparteneva Eliade stesso), come anche Mircea Vulcanescu e Paul Sterian non capivano come puoi convertirti all'ortodossia dato che sei romeno, ovvero come puoi aderire a qualcosa che già sei per nascita.

Interpellato dallo stesso Mircea Eliade su come la pensava del finale del suo Itinerario spirituale, Nae Ionascu rispondeva chiaro e tondo che si sbagliava: «Io credo proprio il contrario: che cioè puoi diventare cattolico o protestante, ma, in quanto romeno, sei nato ortodosso. L'ortodossia [per un romeno] è un modo naturale di essere nel Mondo, [un modo] che ce l'hai o non ce l'hai, e che difficilmente te lo puoi costruire».14

Mircea Eliade generalizzava quindi l'appartenenza e la stessa esperienza spirituale dell'ortodossia a tutta la sua generazione, il che evidentemente non trovava riscontro nella realtà. Egli considerava che «tutta la nuova generazione si trova sotto il segno della stessa posizione spirituale»,15 che «il misticismo è la caratteristica della nuova generazione».16 Non tutti si consideravano «mistici», anche perché il termine era alquanto vago; qualcuno non si ritrovava a condividere la religiosità ortodossa perché appartenente ad altra denominazione oppure allo stesso agnosticismo.17 Con tutto ciò, la corrente mistica era in agguato e tutti ne scorgevano la presenza. Mircea Eliade era soltanto la voce profetica che leggeva i segni dei tempi.

I giovani pensatori, a Eliade contemporanei, appartenevano allo stesso «momento culturale», al di là delle differenze di età, di credo religioso o di formazione intellettuale: la problematica, che era abbastanza unitaria, slittava da un piano psicologico ad uno culturale, facendo sì che questi giovani così diversi parlassero in effetti «la stessa lingua», facessero leva sulle stesse esperienze, temessero gli stessi pericoli che la storia stava loro preparando, si situassero sullo stesso «asse» spirituale ed esistenziale.18 A scapito delle innegabili differenze di attitudine che li separavano, nessuno infatti negava loro l'appartenenza alla «generazione comune», la «nuova generazione» di cui il primo teorico e profeta incontestabile è stato Mircea Eliade.

La sua dottrina è stata completata criticamente sia dal suo maestro Nae Ionescu, che dal suo amico, compagno e ammiratore, il filosofo Mircea Vulcanescu. Il professore Nae Ionescu distingue l'idea di «generazione» da quella di «posizione spirituale».19 Mircea Vulcanescu invece distingue tre piani dottrinali20 facendo sì che la concezione della «generazione» non solo diventi abbastanza «larga» da non escludere chi non si ritrovava in tutti i suoi aspetti (di età, confessionali, etnici ecc.), ma anche da evitare di scivolare verso tendenze estremiste o lasciarsi incantare dal miraggio elitista ed esclusivista senza dubbio favorito dalle tendenze storico-culturali e politiche che imperversavano nell'Europa Centrale di quegli anni.

4. Una visione elitista

Eliade era quindi un «convertito» all'ortodossia, che aveva una visione alquanto «elitista» su di essa. Con tutto ciò, egli ci credeva con tutto il suo essere, riscopriva il cristianesimo autentico alla fine di una lunga catena di esperienze: il confronto con il proprio dramma esistenziale ti obbliga ad incamminarti su una via iniziatica che ti porta a Cristo, oppure corri il rischio «di scivolare nel vuoto, di finire di consumarti dalla disperazione, di lasciarti tormentare da una problematica filosofica mal impostata, o addirittura fermarti su posizioni scettiche».21 Il suo cristianesimo era più o meno teoretico, fondato sicuramente su esperienze personali, ma poco ancorato nella realtà ecclesiale e comunitaria. Mancavano infatti i presupposti liturgico-sacramentali come anche un rapporto accertato con l'istituzione dell'Ecclesia storica (era infatti abbastanza critico con la gerarchia della Chiesa dell'epoca).

Egli considerava che il cristianesimo serva a chi è abituato a riflettere su ciò che succede intorno, ossia a «quelle poche coscienze elitarie» che «vivono effettivamente una vita spirituale», che «comprendono di dover valorizzare la (propria) vita e di viverla secondo un significato metafisico. A quelle coscienze che soffrivano il tragico isolamento dinanzi ad un destino cieco -- (s'intende:) prima di Cristo».22

Era da aspettarsi che alcuni suoi contemporanei, praticanti o scettici (rispettivamente Nae Ionescu e Serban Cioculescu), avrebbero rimproverato a Eliade il suo elitismo, la sua visione distaccata dalla realtà storica sul cristianesimo. Invece egli continuava a ripetere che la «sofferenza metafisica» della mancanza di senso in un mondo irrazionale (o almeno in cerca di senso al di fuori dei suoi confini, dato che al suo interno «Dio è morto» o non è mai esistito) poteva essere colmata soltanto dalla salvezza che Cristo ha portato al mondo. «Cristo ha fatto scendere la salvezza sul mondo. La Sua apparizione significa per noi l'asse centrale, il nucleo di vita, di zelo, di amore, di creatività. Cristo ci mostra la realtà del trascendente e la possibilità di raggiungerlo tramite l'esperienza religiosa».23

5. Il tragismo dell'esistenza cristiana

Per Eliade, l'autentica conoscenza di Dio è quella mistica, che salva l'uomo dal confronto solitario con la propria sorte. Tale conoscenza «trasfigura la coscienza, la arricchisce con frutti dolci, succosi. Chi conosce (e ama) Cristo è un uomo con la spina dorsale intera. Il cristiano comprende la vita: questo fatto è di considerabile importanza, che supera di molto i tesori della scienza e della filosofia».24 Soltanto nel cristianesimo si domina «il senso della vita -- il quale non è un senso tragico. O, comunque, di un tragismo umano».25

Certamente non abbiamo qui a che fare col tragismo esistenziale greco precristiano, in cui l'uomo si confronta con un mondo assurdo per colpa di un destino irrazionale, estraniante, dominato da leggi inflessibili, e Mircea Eliade si tiene alla larga da facili sovrapposizioni. Egli fa una scelta libera e responsabile nei confronti del tragismo che sgorga dalla fatica della ricerca del senso della vita. «Il tragico della vita cristiana è fecondo»:26 plasma le personalità vere, autentiche, mature. È qui implicato il combattimento spirituale, la lotta senza sosta tra due leggi ugualmente strutturali dell'uomo interiore, un confronto che definisce il «dualismo carne-spirito» e che è ineluttabile per via delle nostre umane debolezze. Da questo atteggiamento bipolare che segna il dramma quotidiano del cristiano, attratto costantemente a volte dal miraggio dell'effimera sensualità, a volte verso le alture dello Spirito, nasce «il bene sublime dell'umanità: la personalità».27

Quando parla di personalità, Eliade si lancia in affermazioni discutibili, che anche oggi provocherebbero le stesse reazioni, e che potrebbero essere scusabili soltanto se si tiene conto dell'entusiasmo giovanile che contrassegnava il radicalismo della sua religiosità. «Io credo -- afferma -- che soltanto un cristiano può avere una personalità, che, per me, significa: (il ritrovato) equilibrio in una sintesi originale delle due tendenze opposte».28 Alcuni suoi contemporanei non hanno tardato di emendare tale dualismo «pagano-cristico», come ironicamente lo chiamava Serban Cioculescu, il quale però lo faceva da una posizione materialista monistica esplicita, e per cui lo spirito, ovverossia l'intelletto o la ragione, a suo dire, non avrebbe «alcuna finalità utilitaristica, nemmeno quella della salvezza personale. Lo spirito è una finalità in sé stessa. Non è lui a servire noi, bensì il contrario [...]».29

Invece per Eliade lo spirito orienta verso la trascendenza, il cristianesimo dà senso alla nostra esistenza, più della semplice umanità. Lo spirito solleva le coscienze che riflettono sul senso della propria esistenza, ovvero le «coscienze autentiche», liberandole dal sentimento dell'ineluttabile tragismo esistenziale. È proprio per questo -- dice Eliade -- che «la vita cristiana significa la sicurezza del valore spirituale e della permanenza di tale valore. Quindi, ottimismo, fiducia, vita retta, prodigalità».30

Nella sua polemica contro l'Itinerario spirituale di Eliade, ma soprattutto contro la spiritualità della sua proposta, Serban Cioculescu, sulla linea del razionalismo e del positivismo classico che definiva alcuni suoi contemporanei, ovvero della stessa generazione a cui si rivolgeva Eliade stesso, contesta -- con una certa incoerenza, per la verità -- la trascendenza dello spirito, ridotto prima al pari dell'intelletto o (indistintamente) della ragione, e quindi a «una realtà materiale che trascende la materia semplicemente e che a volte concepisce il divino, perché possa poi ricercarlo».31 A questo attacco, Eliade risponde prontamente,32 e alcuni suoi amici lo difendono.33 Egli rimprovera il rifiuto a priori da parte del suo interlocutore di comprendere la problematica della «nuova generazione» intorno alla quale si consuma l'intero dibattito. E continua segnalando al letterato l'inconsistenza logica della sua visione sullo spirito considerato di natura materiale e al contempo trascendente la materia. Eliade afferma: «Non ho mai capito come può fare lo spirito ad avere la coscienza che sgorga dalla materia. Un po' di logica: se lo spirito trascende la materia, esso non rimane più una realtà materiale. [...] Trascendere la materia significa essere al di là delle sue leggi, dei suoi criteri, dei suoi valori».34

In ciò che riguarda l'accesso all'ortodossia, ovvero la tesi che ortodosso si nasce, non si diventa, Eliade aveva dei dubbi che, nella nostra epoca, la strada verso l'ortodossia sia aperta a chiunque, come era successo nei primi secoli del cristianesimo. Egli considera che può diventare ortodosso solo chi è gravido di «inquietudini ed esperienze interiori», ossia «chi ha assaggiato il senso metafisico della vita».35

6. La strada verso sé stessi

Ci sarebbe quindi bisogno di un certo «dualismo» esistenziale, sarebbe necessaria una precedente esperienza mondana, «pagana», un certo «giro del mondo», perché possa avvenire il vero «ritorno in sé», la conversione, il ritrovamento delle origini, ossia del vero tesoro che infatti si trova nascosto dentro di sé. Si tratta quindi di un vero pellegrinaggio verso sé stesso, come una «strada verso il centro»36 del proprio essere: è questa la strada della nuova generazione, la via che porta all'Ortodossia e che presuppone una «bella ricerca».

Certamente, il suo approccio non era condiviso da tutti gli intellettuali della sua generazione, nemmeno da tutti i suoi amici, tanto meno dai teologi e professori di teologia a lui contemporanei. Era comunque un modo originale di rapportarsi all'ortodossia, che non era per niente superficiale, bensì profondo, faticato, dolorosamente sudato e ricercato. Eliade però non porta in ballo la Chiesa quale istituzione. La sue fede non era «ricevuta» dai preti, bensì ritrovata in seguito ad un'assidua ricerca. Con tutto ciò, Eliade non aveva posizioni contestatarie o conflittuali con la gerarchia ecclesiastica, come era successo al suo professore Nae Ionescu; è risaputa la sua amicizia con i padri Dumitru Staniloae e Constantin Galeriu -- ambedue professori di teologia a Bucarest --, nonché, più tardi, con i sacerdoti della comunità ortodossa romena della diaspora parigina. Egli sottolineava piuttosto il senso profondo della convinzione personale della fede professata e il valore assoluto delle proprie esperienze di vita e spirituali. «Noi desideriamo -- scriveva Eliade -- un cristianesimo effettivo, ovvero [che sia] il risultato di un'esperienza, [che sia] fresco, gravido di sensi, riscaldato dalla vita, risplendente di doni. Che riesca a trasformarci, a farci diventare uomini -- uomini di Dio, cioè anime nei corpi, anime che cercano di assimilare e difendere i valori divini nel mondo dei valori bestiali o, raramente, dei valori umani».37

Una simile posizione sembrava agli occhi dei suoi contemporanei talmente insolita da essere considerata veramente innovativa e in disaccordo con tutta la tradizione. In questo senso, Serban Cioculescu affermava che, nella sua teoria, «Mircea Eliade parte dalla premessa di una frattura tra la generazione di oggi e quella di ieri».38

Da alcuni punti di vista, Eliade aveva pure ragione, con l'accento non tanto sulla «frattura» intergenerazionale, quanto sulla disponibilità di apertura «verso nuovi universi spirituali, di meditazione, di conoscenza e di comunicazione culturale tanto necessarie alla nuova generazione alla quale apparteneva Eliade stesso».39 È chiaro che la «generazione» di Eliade, quella che si è affermata tra le due guerre mondiali, godeva di una condizione speciale, di un contesto culturale spirituale del tutto particolare. Anche se non abbastanza e onestamente studiato e apprezzato, il nesso tra il monachesimo e l'intellettualità ha portato dei frutti fino ad allora inimmaginabili. Il monachesimo ortodosso dei paesi romeni aveva conosciuto un sensibile regresso, in seguito alle riforme secolariste del principe Alexandru Ioan Cuza, nella seconda metà del XIX secolo, vedendosi così drasticamente arginata la grandiosa opera filocalica, culturale e spirituale, iniziata da Paisij Velicicovsky. L'inizio de secolo XX segna una sorprendente ripresa, dovuta a grandi figure di padri spirituali (tra cui la più nota è quella di P. Ioanichie Moroi), e proseguirà, dopo la guerra, con una cospicua migrazione di monaci dalla Russia sovietica verso i monasteri romeni. Tra essi risplenderà la figura di P. Ioan Culâghin, figlio spirituale del Monastero di Optina, ma anche del grande metropolita San Demetrio di Rostov. Questo soffio nuovo porterà al meraviglioso momento culturale spirituale che ha coinvolto ugualmente monaci e intellettuali, monasteri e università, il movimento del «Roveto ardente», nato intorno al Monastero di Antim a Bucarest, nei primi anni '40. È questo il fermento culturale e spirituale dell'epoca di cui Mircea Eliade è stato promotore e teorico, per certi versi, dato che si rivolgeva quasi esclusivamente ai giovani talenti della sua generazione. A noi sembra evidente che la sua ricerca spirituale si innesta in tale contesto e in nessun modo è il risultato delle ideologie europee di estrema destra. Certamente, alcuni membri della sua generazione, negli anni seguenti, si sono visti scivolare verso tali ideologie; la ricerca di Eliade e dei suoi amici è stata invece un'autentica via iniziatica, una «bella ricerca» che rispondeva alle esigenze dei giovani acculturati, aperti ai grandi valori della grande Europa e che, al contempo, sanno filtrare tutto attraverso la sensibilità della propria identità culturale e spirituale che è di stampo orientale. Nell'ortodossia «abbiamo cristallizzato la nostra religiosità. [Così] sappiamo di averne una».40

L'ortodossia veniva quindi riscoperta e proposta come via regia contro un materialismo minaccioso che aveva già contaminato tanti intellettuali e che, viste le atrocità che si consumavano oltre le frontiere orientali del paese, non poteva che infondere preoccupazione nelle coscienze più deste.

Sembra che Eliade fosse il primo ad immaginare una cosiddetta «resistenza attraverso la cultura», programma assunto più tardi da alcuni pensatori, tra cui il filosofo Constantin Noica,41 rimasto in Romania durante il «grande inverno», ossia la dittatura comunista. È anche per questo che il programma di Eliade è stato bollato come «elitista», il che non è del tutto falso. Egli è convinto che non tutti hanno accesso alla fede, che «esistono tra noi anche delle coscienze che organicamente non possono accettare l'ortodossia. E questo è dovuto sia ad una certa cultura storico filosofica, sia alle insufficienze dell'esperienza religiosa, sia alla struttura protestante innata».42 Per Eliade, «il ritorno alla Chiesa è salutare e necessario. Ma esso non si può compiere in pochi giorni e, soprattutto, non si può compiere da tutti».43 Ci saranno alcuni che resteranno fuori, che abbracceranno gli «incoerenti teosofismi»,44 ma purtroppo alcuni resteranno vittime della «barbarie materialista», «volgarizzante» e «sfigurante».45

7. Una ricerca fiduciosa

Mircea Eliade è convinto che la sua generazione ritroverà la fede. «La nostra generazione -- oppure l'élite della nostra generazione -- non può vivere, progredire, creare, senza un senso spirituale dell'uomo e dell'esistenza».46 È chiaro che l'ortodossia quale via di fede va ricercata personalmente attraverso una sofferta esperienza ascetica. Egli stesso ha percorso tale tragitto ed è fiducioso che ognuno, nella sincerità della propria ricerca, troverà il senso spirituale «più reale e fecondo»47 del cristianesimo. «Sono certo che arriveremo. Non ho paura di sbagliarci, di smarrire la strada. Perché sappiamo che esiste una strada dritta, e che essa ci è stata destinata».48

Quindi è nell'ortodossia che Eliade ripone tutte le sue aspettative e quelle della sua generazione di cui è stato il vero -- e forse l'unico -- mentore. La sua generazione è vista o prospettata come «l'unica creatrice di personalità, per il fatto di aver risolto la più grande crisi», quella instaurata dopo la guerra. Invece «l'ortodossia -- per lui -- [è] quel senso sublime dell'uomo e della vita al quale si arriva sia per via mistica (come esperienza normativa da parte dell'individuo), sia per [diretto] contatto con Dio, sia per contatto con l'umanità».49

Come prospettava e sperava questo «profeta» della generazione interbellica, sono stati in molti a «fermarsi» sulle sponde dell'ortodossia, e quasi tutti in seguito ad un'autentica ricerca e per convinzione e non in seguito ad un «naufragio», come dichiarava il prof. Nae Ionescu in riferimento all'approdo alla fede. Infatti, Nae Ionescu ha cercato di correggere il suo discepolo Eliade -- come quest'ultimo ricorderà dopo più di tre decenni -- avvertendolo che «ogni esperienza equivale ad un naufragio, cosicché il desiderio di tornare alla riva è quasi una fatalità [...] E alla riva non torni di propria volontà, bensì per salvarti da un naufragio, o per evitare un naufragio».50 Scorgiamo qui due modi di accostarsi all'ortodossia. Il primo è quello classico, nel quale la fede agisce come un dato, come un condizionamento culturale, inevitabile e per certi versi coercitivo. Il secondo è quello di Eliade, nel quale alla fede si arriva (o meno) in seguito ad una scelta libera, ad una decisione personale fondamentale, sofferta ed unica, e corrisponde alle capacità che uno ha di riflettere e comprendere il rapporto tra trascendente e mondo materiale. Per la verità, questo modo di vedere ed esperire la fede non manca di influenze neo-protestanti e forse anche della mistica orientale.51

Eliade rivendica il valore dell'ortodossia, la cui spiritualità non può «essere confiscata dalla Chiesa». Per la verità, sono da apprezzare «le costruzioni spirituali su cui poggia la teologia», perciò la giovane generazione, a sua volta, non vuole confiscare alla Chiesa il suo primato nell'«educare» le coscienze, nel difendere dalle «confusioni ibride» e nel disciplinare la cultura laica. Infatti l'ortodossia è l'unica a poterci difendere dal «materialismo volgare e sfigurante». Nell'ortodossia si costruisce la personalità autentica -- specifica all'élite della giovane generazione --, personalità capace di risolvere tutte le crisi e i conflitti sorti dall'irrequieto «antagonismo tra la carne e lo spirito».52

Egli era veramente fiducioso nella sua generazione, in quei giovani capaci di dare un nuovo senso, profondo e autentico, cristiano ortodosso e universale, alla cultura romena che rifioriva fiduciosamente negli anni 30 del secolo XX. E riponeva le sue speranze nella capacità dell'ortodossia di «creare le personalità»: perciò «considerava l'ortodossia quel senso sublime dell'uomo e della vita», quel «senso spirituale» in quanto «reale» e «fecondo».53

8. E che cosa ne è rimasto...

Dopo alcuni decenni, Eliade dovrà constatare con amarezza che infatti la sua generazione «ha potuto usufruire di soli 10-12 anni di "libertà creatrice"». Sono poi subentrate varie dittature -- quella regale e quindi «l'occupazione sovietica» --, per cui il progetto da lui tracciato non è stato compiuto. Ma ha avuto la gratificazione di non essersi sbagliato!54

Difficile dire, almeno per adesso, se Mircea Eliade sia rimasto fedele all'«itinerario spirituale». C'è chi afferma che l'esperienza monastica nel Tibet l'ha fatto allontanare dal suo progetto negli anni della maturità. Per lui e per i suoi amici, l'«itinerario spirituale» è rimasto «una confessione pubblica di un credo», come affermava Alexandru Elian.55 E l'ortodossia è stata l'impronta fondamentale del suo pensiero, con risvolti sul suo orientamento non solo culturale, ma anche politico.

Non si è mai sentito un «profeta» per la sua generazione: «non mi sento [di essere] nemmeno una guida, bensì solo un compagno di viaggio, un accompagnatore un po' più progredito».56 Si sentiva «responsabile per la "generazione giovane"»,57 e così è stato accolto dai destinatari58 del suo «itinerario» o programma spirituale culturale. E tale resterà fino alla fine. Quando Mircea Eliade morì, il suo amico Emil Cioran scriveva a Constantin Noica queste parole: «Dal momento in cui ho capito che a Mircea restavano poche ore di vita, hanno cominciato ad invadermi i ricordi della nostra giovinezza. Il ruolo che allora ha avuto lo ha conservato tutti questi anni, a buona ragione [...]».59

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Note

  1. Cf. Nicolae Steinhardt, Ispita lecturii. Inedite (La tentazione della lettura. Inediti), Dacia, Cluj Napoca 2000, p. 58-61; qui, p. 58. Testo

  2. È così che se lo ricorda il suo compagno di liceo Nicolae Steinhardt (1912-1989), ebreo convertito all'ortodossia. Cf. ibidem, p. 59. Testo

  3. In questi termini esprimerà Mircea Eliade la sua grande delusione, quando accettava di fare una retrospettiva sulla sua pubblicistica interbellica (Itinerariu spiritual: «Tânara generatie» [Itinerario spirituale: «La giovane generazione»], in Cuvântul în exil [La parola in esilio], nn. 40-41, sett.-ott. 1965, pp. 1 e 4). L'articolo è stato ristampato quale introduzione alla raccolta di saggi e articoli eliadeschi, pubblicata a cura di Dan Zamfirescu, sotto il titolo Profetism românesc [Profetismo romeno], vol. I: Itinerariu spiritual. Scrisori catre un provincial. Destinul culturii românesti [Itinerario spirituale. Lettere a un provinciale. Il destino della cultura romena], Roza Vânturilor, Bucuresti 1990, 162 pg. (A questa edizione faremo riferimento nel presente studio e su questi testi è incentrato il nostro articolo.) Il testo, alle pp. 9-16; la citazione, p. 16. Testo

  4. M. Eliade, Încercarea labirintului [La prova del labirinto], Dacia, Cluj Napoca 1990, p. 159. Testo

  5. Si conoscono oggi le prese di posizione, alcune più passionali (come quelle di Alexandra Laignel-Lavastine, Il fascismo rimosso: Cioran, Eliade, Ionasco, UTET, Torino 2008; ed. romena, Cioran, Eliade, Ionesco: Uitarea fascismului, EST, Bucuresti 2004; la stessa autrice aveva già pubblicato uno studio alquanto simile su un altro figlio della stessa generazione di Eliade, il filosofo Constantin Noica: Filozofie si nationalism. Paradoxul Noica / Filosofia e nazionalismo. Il paradosso Noica) altre più ponderate (come quelle di Claudio Mutti, Le penne dell'Arcangelo, Società Editrice Barbarossa, Milano 1994; in rom., Anastasia, Bucuresti 1997; l'edizione francese è del 1993; id., Mircea Eliade si Garda de Fier [Mircea Eliade e la Guardia di Ferro], Puncte Cardinale, Sibiu 1995), che vedono Mircea Eliade ed Emil Cioran, nel periodo interbellico, nelle file dei militanti di estrema destra, filo-nazisti e antisemiti. Su tali affermazioni ci si dovrebbe essere un po' più cauti. Comunque tale problematica eccede le preoccupazioni e le competenze del presente studio. Testo

  6. Serban Cioculescu, Un «Itinerariu spiritual» [Un «Itinerario spirituale»], in Addenda, in M. Eliade, Profetism..., I, op. cit., pp. 65-66. Testo

  7. M. Eliade, Itinerariu spiritual: «Tânara generatie», in Profetism..., I, op. cit., p. 16. Testo

  8. Ibidem, pp. 10-11. Testo

  9. Tra le gnosi orientali, Eliade ricorda il neo-budhismo, il neo-confucianesimo, il zoroastrismo ecc. Invece sul pericolo delle pseudo-spiritualità (ovvero teosofia e antroposofia), egli aveva scritto un articolo all'interno del suo Itinerario spirituale dal titolo: Teosofie? (Itineraiu..., in Profetism..., I, op. cit., pp. 47-51). Testo

  10. Aura Al. Constantinescu-Cazacu, Reflectiile tânarului Mircea Eliade despre semnificatia ortodoxiei / Le riflessioni del giovane Mircea Eliade sul significato dell'ortodossia, in Lumina Lina. Revista de spiritualitate si cultura româneasca [Gracious Light. Review of Romanian Spirituality and Culture], Romanian Institute of Orthodox Theology and Spirituality, Capela Sf. Apostoli Petru si Pavel, New York, n. 1/2008, pp. 37-46; qui, p. 38. Abbiamo utilizzato con profitto questo articolo per il presente studio, pur non condividendo tutte le posizioni dell'autrice. Ringraziamo P. Theodor Damian per averci messo a disposizione questo numero della sua pubblicazione Lumina Lina. Testo

  11. M. Eliade, Itinerariu spiritual: «Tânara generatie», in Profetism..., op. cit., p. 12. Testo

  12. M. Eliade, Ortodoxie, in Profetism..., I, op. cit., pp. 58-60. Testo

  13. Ibidem, p. 58. Testo

  14. Citato dallo stesso Mircea Eliade, Itinerar spiritual: «Noua generatie», in Profetism..., op. cit., p. 12. Testo

  15. Citato da Mircea Vulcanescu, Posibilitatile filosofiei crestine [Le possibilità della filosofia cristiana], Anastasia, Bucuresti s.a., p. 214. Testo

  16. L'espressione appartiene a Petru Comarnescu, citato da M. Vulcanescu, Posibilitatile..., op. cit., p. 214. Testo

  17. Qualcuno considerava l'»ortodossismo» di Eliade come un vero «snobismo» (es., il filosofo Ion Petrovici o il giornalista Mihai Ralea) o addirittura una «nevrosi» (secondo il filosofo Constantin Radulescu-Motru). Altri si ritrovavano nella Chiesa Ortodossa, ma non condividevano la teoresi ortodossista, alquanto extra-ecclesiale, che Eliade proponeva; alcuni di loro erano dei praticanti seriamente impegnati nella vita della Chiesa (M. Vulcanescu, Daniil Sandu Tudor, Paul Sterian). Cf. M. Vulcanescu, Posibilitatile..., op. cit., p. 214. Testo

  18. Sull'»asse <della spiritualità> del popolo» oppure sull'»asse esistenziale» ne parlava M. Eliade in A nu mai fi român!, Ceasul tinerilor / Non essere più romeno!, L'ora dei giovani, ripreso nel volume Oceanografie, Humanitas, Bucuresti 1991. Testo

  19. In una conferenza dal titolo Noua generatie [La nuova generazione], del 16 marzo 1929. Cf. M. Vulcanescu, Posibilitatile..., op. cit., p. 227, n. 8. Testo

  20. Secondo M. Vulcanescu, si devono distinguere tre piani d'approccio, per evitare inutili controversie, come anche per preservare da possibili slittamenti. Il primo è quello metafisico o dell'atteggiamento spirituale che definisce il rapporto tra individuo e mondo. È una «realtà trans-subiettiva» atta a conferire una visione sul mondo. Il secondo è quello oggettivo -- spirituale e sociale, una realtà spirituale oggettiva che si ritrova nei suoi significati culturali nella società. E infine il terzo livello, psicologico e storico, condizionato da forme di creatività culturale e che definisce praticamente, in termini assiologici, ciò che è stata chiamata generazione. Quindi, «l'attitudine spirituale, la posizione culturale e il concetto storico-psicologico di generazione» dovrebbe definire il programma o l'»itinerario spirituale» che Mircea Eliade ha cercato di definire, pur confondendo a volte i termini (cf. M. Vulcanescu, Posibilitatile..., op. cit., pp. 216-217). Sembra però che l'osservazione più critica, spesse volte ripetuta da M. Vulcanescu, è quella di «aver lasciato intendere che tutta la generazione si ritrovava sulla stessa posizione spirituale" (c». ibidem, p. 217). Testo

  21. M. Eliade, Ortodoxie, in Profetism..., I, op. cit., p. 58. Testo

  22. Ibidem. Testo

  23. Ibidem, p. 58. Testo

  24. Ibidem. Testo

  25. Ibidem. Testo

  26. Ibidem, p. 59. Testo

  27. Ibidem. Testo

  28. Ibidem. Testo

  29. Serban Cioculescu, Un «Itinerariu..., in Profetism..., op. cit., p. 67. Testo

  30. M. Eliade, Ortodoxie, in Profetism..., I, op. cit., p. 59. Testo

  31. S. Cioculescu, Un «Itinerario..., in Profetism..., I, op. cit., p. 67. L'articolo è apparso sulla rivista Viata literara / La vita letteraria, n. 86 / 26 maggio 1928, pp. 1 e 3. Testo

  32. M. Eliade risponde a Serban Cioculescu con l'articolo Sensul «Itinerariului spiritual» [Il senso dell'»Itinerario spirituale»], nelle pagine della stessa rivista Viata literara [La vita letteraria] (n. 87 / 9 giugno 1928, pp. 1-2). Riprodotto in Profetism..., I, op. cit., pp. 68-72. Testo

  33. A sostengo della coerenza concettuale, come anche della posizione teorica di M. Eliade, si schiera il giovane professore Alexandru Elian, con l'articolo Iarasi noua generatie / Di nuovo la nuova generazione, sulla rivista Vlastarul. Revista Liceului Spiru C. Haret / Il Ramoscello. Rivista del Liceo Spiru C. Haret, nn. 7-8 / maggio-giugno 1928, pp. 5-6. L'articolo è stato ristampato nel volume Profetism..., I, op.cit., pp. 75-78. Testo

  34. M. Eliade, Sensul..., in Profetism..., I, op. cit., p. 70. Testo

  35. M. Eliade, Ortodoxie, in Profetism..., I, op. cit., p. 59. Testo

  36. M. Eliade, Drumul spre centru [La strada verso il centro], antologia realizzata da Gabriel Liiceanu e Andrei Plesu, Univers, Bucuresti 1991. Testo

  37. Ibidem. Testo

  38. S. Cioculescu, Un «Itinerariu..., in Profetism..., I, op. cit., p. 64. Testo

  39. Aura Al. Constantinescu-Cazan, Reflectiile..., op. cit., p. 45. Testo

  40. M. Eliade, Misticismul [Il misticismo], in Profetism..., I, op. cit., p. 55. Testo

  41. Tale atteggiamento viene sottolineato spesse volte da Gabriel Liiceanu, per es., in Jurnalul de la Paltinis [Il diario di Paltinis], Humanitas, Bucuresti 19962, p. 234, ed è analizzato anche da A. Laignel-Lavastine, Filozofie..., op. cit., pp. 33-67. Testo

  42. M. Eliade, Misticismul, in Profetism..., I, op. cit., p. 55. Testo

  43. Ibidem. Testo

  44. Ibidem. Testo

  45. M. Eliade, Sensul «Itinerariului spiritual», in Profetism..., I, op. cit., p. 71. Testo

  46. Ibidem. Testo

  47. Ibidem, p. 72. Testo

  48. M. Eliade, Ortodoxie, in Profetism..., I, op. cit., p. 59. Testo

  49. M. Eliade, Sensul..., in Profetism..., I, op. cit., p. 72. Testo

  50. M. Eliade, În loc de «Cuvând înainte», in Profetism..., I, pp. 12-13. Testo

  51. Cf. Aura Al. Constantinescu-Cazacu, ReflecTiile..., op. cit., p. 42. Testo

  52. M. Eliade, Sensul..., in Profetism..., I, op. cit., p. 71, Testo

  53. Ibidem, p. 72. Testo

  54. M. Eliade, În loc de..., in Profetism..., I op. cit., p. 16. Testo

  55. Al. Elian, Iarasi "Noua generatie" [Ancora «La nuova generazione»], in Profetism..., I, op. cit., p. 78, Testo

  56. M. Eliade, Încercarea labirintului [La prova del labirinto], Dacia, Cluj-Napoca 1990 pp. 159-160. Testo

  57. M. Eliade, În loc de..., in Profetism..., I, op. cit., p. 16, Testo

  58. Per esempio, Al. Elian dichiara il suo «perfetto affetto» per «l'amico più grande» (Iarasi <Noua..., in Profetism..., I, op. cit., p. 78). Testo

  59. Mircea Eliade è morto il 22 aprile 1986; la lettera di Cioran indirizzata a Noica è del 4 maggio 1986. Emil Cioran, Scrisori catre cei de-acasa / Lettere a quelli rimasti acasa, Humanitas, Bucuresti 1995, p. 312. Citata anche da A. Laignel-Lavastine, Filozofie..., op. cit., p. 30. Testo