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Max Josef Metzger.
Un teologo nell'esperienza della croce

di Nico de Mico (21 marzo 2012)

In un penitenziario di estrema durezza, reclusorio di un'umanità disprezzata, disconosciuta e inascoltata, plaga dolorosa di isolamento e segregazione in cui è assai facile che la lucidità sconfini nella follia e nella disperazione, tra un numero rimasto sconosciuto di detenuti, tanti, anonimi, Max Josef Metzger1 sperimenta e sopporta gli apici dell'inflessibilità e della spietatezza umane, spoglie di ogni brivido di pietà. Perché, in certi contesti, la pietà è una forma di cedimento e il cedimento può risultare rischioso; perché la sensibilità è disposizione a risentire di emozioni, sentimenti e affetti e la raggiungibilità può scalfire l'indifferenza e il distacco; perché la clemenza è inclinazione all'indulgenza e al perdono e la compartecipazione può diventare pericolosa debolezza.

Più volte imprigionato nelle carceri naziste, e più volte confinato, dunque, in un'atmosfera di sospensione surreale dove la morte resta di continuo prorogata per un po' e dove il quotidiano è una straziante testimonianza del dramma di un'esistenza in cui vivono e convivono, tra mille squilibri, spossanti sensi di incompiutezza e impotenza e ardenti aneliti di spazio e di infinito, il sacerdote cattolico conosce e patisce i travagli di un'epoca storica in cui, mentre il potere umano dà prova della sua vigorosità e della sua forza, ma anche della sua stoltezza e della sua follia, si disperde e si consuma la vita martoriata di tanti uomini. Sullo sfondo, infatti, non inerti comparse, ma attori vivi e doloranti, troppi prigionieri si muovono rassegnati, sottomessi e privi di energia, schiacciati dal peso dell'ingiustizia che li fa martiri innocenti: individui orfani e soli, i quali, vittime del loro tempo, paradossalmente sembrano non appartenere al tempo; e sono comunque lì, a dare, nell'attesa di impossibili ritorni e improbabili svolte, il senso del tempo e di ciò che succede in esso;2 emblematicamente sospesi, a farsi portavoce e codificazione di ideologie e comportamenti umani ben identificabili e contestualizzabili, ma anche di principi teorici per tutti e ovunque valevoli.

È il 29 giugno del 1943 quando, con presumibile fraudolento concorso della svedese Dagmar Imgart, che considera fedele membro della Fraternità Una Sancta da lui fondata3 e suo collaborativo corriere, ma che è, in realtà, un'agente in incognito della Gestapo, Metzger viene per la terza e ultima volta arrestato dalla polizia segreta tedesca, con l'accusa di tradimento e di sovversione.

Ha appena consegnato nelle mani della donna, perché lo faccia pervenire clandestinamente in Svezia, un proprio compromettente Memorandum, nel quale, sostenendo l'imminenza della disfatta dei Tedeschi, auspica la presenza di una Germania democratica e libera dal nazional-socialismo all'interno di una Federazione degli Stati d'Europa, concepita come forza capace di pacificare e unificare i popoli, sulla base di un impegno di tutti per il bene comune.4 È quanto basta per farlo giudicare un traditore e un sobillatore meritevole di morte5: inizia da qui il calvario che lo condurrà alla morte per decapitazione mediante la macchina della ghigliottina, che il potere ha pensato, e con zelo utilizza, come strumento di repressione e di dissuasione.

Condannato a morte a Berlino il 14 ottobre 1943, nel corso di un processo fittizio in cui vede miseramente crollare tutte le speranze, che in esso aveva riposto, di poter provare la sua distanza da fini politici, la purezza dei suoi intendimenti cristiani, l'amore autentico per la sua terra e la sincera, fraterna preoccupazione per un eventuale destino di dolore del popolo tedesco sopraffatto,6 passerà sei lunghi mesi, venticinque interminabili settimane, nel braccio della morte di Braandenburg-Görden, in attesa dell'esecuzione della quale ignorerà, fino all'ultimo, il giorno e l'ora.7

Così il potere ufficiale, colpendone il leader, pensa di arginare l'espandersi e l'articolarsi di quella Fraternità Una Sancta, dallo stesso istituita, che da tempo guarda con preoccupazione e che giudica irriducibilmente avversa al partito nazionalsocialista e alla sua ideologia unificatrice.8

Metzger aderisce senza riserve alle spaccature dell'umana esistenza9: cosciente di essere ormai tagliato fuori dal mondo e di non poter più prendere il largo, costretto ad ammainare le vele e a prendere atto dell'invalicabilità delle mura carcerarie, drammaticamente consapevole della sconfitta fatale, non retrocede, né si chiude in se stesso, né perde il contatto con la realtà: un saldo, lucido razionalismo che non gli consente di filosofeggiare sulla fortuna o sfortuna, o di moraleggiare per distribuire arrogantemente biasimi e sentenze, gli conserva, intatta, la capacità di guardare in prospettiva e di pensare in comunione.10 Uomo di parola e della parola, non si erge superbo e sprezzante e non punta l'indice contro le devianze del potere, riconfermandosi, invece, sacerdote di amore, di compassione e di comprensione.11 Intride così la sua sofferenza di significati reconditi e la fa tribolazione sostitutiva, sofferta in sequela di Cristo; la fa sorgente redentiva di speranza e di fidente attesa; la rende, riscoprendola compagna della vita e della storia degli uomini, mistero di consolazione e liberazione.12 Nel dolore in cui vive imprigionato e mortificato, che è uguale in chiunque lo viva e ha un'unica natura, che serba, inconfondibile e immutabile, la sua pungente intonazione, riconosce l'eco antica di tutti i dolori, che si accaniscono, caparbi, a offendere i corpi e a lacerare gli animi. E il suo sconforto si sublima in ardente e accorata preghiera, per sé e per gli altri.13

Da fervido ministro di Dio, Metzger sa che le persecuzioni appartengono alla storia del cristianesimo;14 che, come Gesù, anche i suoi discepoli, e quindi la Chiesa e i suoi membri, saranno continuamente soggetti a vessazioni e angherie;15 che i cristiani devono aspettarsi di essere calunniati,16 di patire tribolazioni,17 di ispirare odio e disprezzo.18 Ma sa anche che la durezza delle prove serve alla salvezza;19 che i perseguitati, gli oppressi, i piccoli, sperimentano da sempre, in modo speciale, l'aiuto divino;20 che non mancherà il sostegno di Dio a chi versa in condizione di bisogno,21 purché abbia in Lui incondizionata fiducia. E sa, ancora, che Dio ama ogni singolo uomo22 e lo incoraggia con le sue parole,23 facendosi, per tutti, fonte di consolazione.24

Soprattutto, Metzger sa che, per aspirare al Regno celeste e sperare di ricongiungersi finalmente al Padre dopo il faticoso peregrinare dell'esistenza terrena, bisogna non salire in alto, ma scendere in basso: come ha fatto Gesù che, incarnandosi, si è calato nell'uomo, facendone propri i limiti e le colpe;25 che, avvicinandosi ai poveri, ai malati, agli emarginati, agli oppressi e ai peccatori, è sceso tra i più miseri, a comprenderne i bisogni e le speranze; che, offrendosi al sacrificio estremo in spirito di abnegazione e di offerta, è sprofondato nella morte infamante e disonorata della croce,26 a riscattare e riconciliare gli uomini.27 Egli legge nella discesa progressiva del Cristo, discesa che si è fatta scala verso l'alto, tutta la grandezza del Suo mistero; e nella croce vede la scaturigine della gloria del Figlio di Dio fatto uomo, che a essa assurge non attraverso la forza, il prestigio, l'autorità o la ricchezza, ma attraverso l'amore come dono incondizionato di sé, l'esperienza dell'abbandono e della spoliazione e la kenosi come svuotamento della propria divinità, esproprio, cioè, di se stesso, in una prossimità totale agli uomini, perché agli ultimi degli uomini.28

Così, con quello spirito di autentica umiltà che richiede disponibilità al servizio29 e che non si risolve nel disprezzo o nella disistima di se stessi, ma nell'assunzione della propria realtà di fronte a Dio e agli uomini, in concreta sequela del Maestro, accetta docile la prova del carcere che la vita gli riserva e risponde a Dio in sincerità e libertà, facendo della sua adesione una forma di responsabilità, corresponsabilità e partecipazione in e con Cristo, con il sostegno dello Spirito divino;30 e sollecita innanzitutto se stesso a ritrovare le sorgenti, a discernere gli argini e a individuare i confini, a distinguere gli approdi e gli abissi, a bloccare gli esodi e a definire precisi punti di riferimento: a conoscersi, cioè, nel profondo e crescere nello spirito, ricercando quelle verità germinanti sentimenti di giustizia e di libertà, che il Padre ha stampato nel cuore degli uomini.31 Alla ricerca di tali verità richiama, dunque, e coinvolge, il suo pensiero, la sua volontà e le sue aspirazioni, in un percorso di amore e di fiducia, di preghiera e di libertà, di superamento del piccolo e del mediocre, di rifiuto del compromesso e delle mezze misure e anche di comprensione dei limiti, dell'imperfezione, dei condizionamenti e delle ombre della natura umana debole e peccatrice: contro ogni falsa sicurezza terrena costruita sulla 'sabbia', ormeggia le sue certezze all'ancora della Parola divina, che non si lega con le catene 32 ed è inamovibile roccia.33

Vittima che si rifiuta di essere vittima, che non si autocommisera, che combatte strenuamente per la sopravvivenza, che crede fermamente nella possibilità di incontrare Dio come amico e Cristo come fratello, Metzger fa del suo cuore un luogo d'incontro e tenta di dare un senso al tempo che scorre inesorabile, di tingere l'incolore dei muri grigi, di animare il silenzio, di scaldare in qualche modo le albe desolate e fredde e di medicare la piaga, che si prospetta cancerosa, inferto alla sua dignità di uomo.34

In carcere, da prigioniero e con le mani incatenate, sempre e comunque, tanto e di tutto, in sintonia con il Vangelo e nella certezza che Dio, in ogni circostanza della vita, assiste e protegge, egli scrive. E ci lascia pagine straordinarie che danno vita ai sentimenti più profondi, alle emozioni più coinvolgenti, a parole sussurrate per avvicinare e condividere. Sono pagine vibranti, calde nei toni, modulate negli accenti, aderenti al sentire e al parlare semplici e concreti, incise con limpida chiarezza, infuse di preziose intuizioni35 e di accezioni profetiche.36 In una realtà in cui l'isolamento è desolante abbandono e il silenzio è rifiuto del dialogo, dissenso ideologico e chiaro allontanamento da chi, detenuto, non appare degno di risposta, riscoprendone il valore, il recluso fa della solitudine e del vuoto di rumore di vita occasioni speciali per ritrovarsi e ritrovare37: stupiscono, dei suoi scritti, non tanto -- o non solo -- la profondità e il fascino dei contenuti, quanto la virtù di restituirne l'autore nella sua immagine più vera e la forza con cui costringono a pensare e meditare.

Innanzitutto rinveniamo in essi l'uomo che, se prima, come incredulo di fronte agli eventi che lo travolgono, sotto la piena delle emozioni, dei ricordi, dei sentimenti, delle aspettative e dell'esigenza inutilmente urlata di vita e di operatività, chiede ragione a Dio del dolore innocente, vano, ingiusto e ingiustificabile, poi si arrende al mistero, all'insondabilità e all'insita giustizia della volontà divina.38 E riflettendo, forse, che non sono gli anni di vita che contano, ma la vita dei propri anni, dissipa le tenebre del suo presente, stempera derive e contraddizioni, dosa i pieni e i vuoti, dilata gli spazi e le prospettive, rinviene possibilità e simmetrie, canta l'amore come forza vincente: e, ancora, a mantenere vecchi contatti e a crearne di nuovi, scrive, dimostrando che una vita rivolta solo a se stessi si restringe e si limita, dedicata agli altri, si dilata e si espande.

Scrive lettere, poesie, memorie, messe cantate, saggi; scrive riconfermando, in tutta la loro rilevanza e dirompenza, quelle idee personali che, riflettendo un rovesciamento radicale dell'ideologia al tempo propagandata, lo hanno reso fortemente sospetto e ne hanno fatto un sorvegliato speciale.

Metzger percepisce fin dall'inizio la presenza di Hitler sulla scena politica come foriera di sventure e di afflizione, se, trascorsi appena pochi giorni dalla sua nomina a cancelliere del Reich (30 gennaio 1933), può affermare con decisione: «Ieri sera abbiamo ascoltato Hitler alla radio. Sono state superate le mie peggiori previsioni. Si tratta di un vero e proprio isterico, malato di mente, o di un bruto del peggior genere. [...] Guardo al futuro della Germania con molto pessimismo. Anche quando nelle elezioni non raggiungerà la maggioranza, Hitler è palesemente deciso a non lasciarsi più strappare dalle mani il potere e a fare un colpo di stato».39 E, allertando chiunque voglia intendere, quando già voci contrarie vengono assolutamente respinte e combattute e ogni opposizione al regime è stroncata con il sostegno di un solido consenso di massa e di un capillare controllo poliziesco, con inquietudine e fermezza ammonisce il popolo tedesco a non illudersi di un'illusoria, fallace potenza della propria patria. Sperimenta come l'esaltazione ideologica del nazismo, l'odio razziale e la vendetta politica esercitata con disumana crudeltà, alimentando un inimmaginabile potenziale di aggressività e di furia distruttiva, abbiano sprofondato la Germania nella spaventosa spirale dei rastrellamenti, delle carcerazioni e degli assassini collettivi;40 e preannuncia la deriva di una politica che, sicuramente perdente per le sconsiderate decisioni di un pugno di uomini rosi dalla sete di potenza e di dominio, condurrà allo sterminio di tante, troppe incolpevoli e sconosciute vittime destinate a rimanere per sempre anonime, quasi la loro esistenza sia di nessun conto.41

Sullo sfondo sciagurato del II conflitto mondiale, che tanto impietosamente insanguina lo scacchiere europeo e in cui appaiono scardinati e ribaltati tutti gli equilibri tra le potenze del vecchio continente, Metzger grida il rifiuto della guerra come il male più assurdo, più lacerante e disgregante, quello che intossica gli animi e avviluppa fino all'annientamento totale.42 E ad evitare il versamento di tanto sangue innocente, insistentemente esorta a nuovi itinerari e a diverse risoluzioni, proponendo il più fecondo sogno di una Germania unita.43

Avendo compreso i segni del tempo e temendone i prevedibili, funesti sviluppi, denuncia i rischi di un agire temerario e pericoloso e suggerisce rimedi atti a evitare assurde sofferenze dei probabili vinti, facendo balenare la possibilità di tempi migliori. Ma il contesto è sordo e non ci sono cuori o orecchi che lo vogliano ascoltare.44

Il sacerdote tedesco non è un preveggente, ma un uomo che ama i suoi simili, che interpreta e teme la follia degli uomini, che legge dal di dentro gli animi adagiati nella consuetudine, nell'indifferenza e nella superficialità, che percepisce la drammaticità e la tragicità del suo terribile presente.45

E non è neppure un debole, o un perdente, o uno che, di fronte al pericolo, alza bandiera bianca, rinnovando, invece, il messaggio cristiano della sconfitta che rende liberi e forti, del sacrificio che dona la salvezza e del dolore che genera la rinascita.46

Egli è un patriota che subordina l'amore della sua terra al dovere di rispettare i diritti dell'umanità. Pensa che il patriottismo non possa soffocare o compromettere la fratellanza e l'unità dei popoli e che il suo Paese dovrebbe comprendere che si ha da guadagnare più con la collaborazione che con lo scontro bellico.47 Ha sperimentato la guerra e la sua disumanità nel corso del I conflitto mondiale, quando, arruolatosi volontariamente come cappellano militare per istintivo orgoglio patriottico, si è ritrovato a sorreggere i soldati tedeschi sul fronte francese; ha visto scorrere sangue innocente; ha verificato come possano indurirsi gli animi di fronte alla furia degli uomini e ne ha tratto la necessità di proclamare ideali di pace, di libertà, di uguaglianza e di giustizia.48

Resta in ogni frangente della sua esistenza un pastore preoccupato del suo gregge, che, nel dovere morale di non restringere la sua azione alla sola sfera spirituale, interviene con forza sul sociale, a confortare i cuori nella fede operosa e costruttiva, a illuminare gli intelletti per un'esistenza autenticamente cristiana di fraternità e di amore, a impegnare le coscienze nella difesa dei grandi valori dell'unità e della concordia.49

Come protagonista di un momento terribile della storia, di una storia che continua indifferentemente e assurdamente a ripetersi, ci lascia l'attenzione partecipe a un'umanità piagata che ancora percorre sanguinante le strade del mondo; a tanti cuori doloranti in attesa del sollievo di confortanti iniziative; alle incalcolabili vittime non rumorose di uomini assetati di potere e di comando.50

Quando Metzer, vicino lo sconfortante panorama dell'angusto contesto circostante e bruciante l'anelito a un mondo lontano e affascinante, rammaricato non del soffio gelido della morte che si respira in carcere, ma dell'inutilità di una vita che, grigia, alita in quei giorni di solitudine e desolazione, vive nel braccio della morte le settimane che precedono la sua esecuzione, si è quasi all'epilogo della cruentissima guerra che da anni insanguina le terre dell'Europa. I segni della fine imminente, se solo si voglia vederli, sono ormai inequivocabili.51

Se ancora nell'inverno 1941/1942, infatti, quasi tutta l'Europa soggiace al dominio di Hitler e, occupata dai Tedeschi, ne subisce la furia distruttiva attraversando il periodo più buio della sua storia, già nella primavera del 1942 si intravedono gli esiti del potente sforzo riorganizzativo che i Paesi dell'alleanza antinazista compiono a livello militare e industriale; si è agli inizi dell'anno quando, a seguito di due durissimi scontri navali, combattuti uno nel mar dei Caraibi, l'altro nei pressi dell'arcipelago delle Midway, gli Americani ridiventano padroni del mare, respingendo i Giapponesi e dando il via a una serrata battaglia che si concluderà con la riconquista dell'importante base di Guadalcanal. Vittoriosi sull'Atlantico e sulle rotte artiche, essi controllano i rifornimenti e le vie marittime, così creandosi le basi per la riuscita del successivo assalto alle potenze dell'Asse. Nel giugno-luglio del 1942, in Africa, attaccate dall'esercito inglese guidato dal maresciallo Montgomery, le truppe nazifasciste subiscono a El Alamein un importante rovescio e gli Americani preparano una grande operazione di sbarco in Marocco e Algeria, che ha luogo nel novembre dello stesso anno; in questo stesso mese, a Stalingrado, i Tedeschi, incapaci di spezzare la resistenza dei Sovietici e di far fronte, poi, alla loro controffensiva, subiscono da parte dei Russi la loro prima sconfitta strategica. Nel maggio 1943 la presenza dell'Asse in Africa può dirsi conclusa e le forze alleate, conquistata ormai piena libertà di movimento nel Mediterraneo nel luglio del 1943 sbarcano in Sicilia, occupandola rapidamente. Quando, proprio nel luglio del 1943, dopo una violenta discussione in seno al Gran Consiglio del Fascismo, la maggioranza, unitamente alla corte, destituisce e fa arrestare Mussolini, i rapporti interni all'Asse si sono già fortemente incrinati: l'incontro di Hitler e Mussolini a Feltre, il 19 luglio 1943, ha scoperto faglie insanabili e ha mostrato quanto deboli e vigliacche siano la forza della cattiveria e la giungla degli egoismi.52 Lungo l'Appennino le difese tedesche resistono per tutto l'inverno 1943/44 e rallentano l'avanzata alleata, ma il declino del regime, nel sempre più intenso martellamento aereo delle città tedesche da parte di bombardieri americani, si percepisce ormai irreversibile.53

Tuttavia, nella prigione di Brandenburg-Görden, nei pressi di Berlino, trasfondendosi nei rimbombi cupi della ghigliottina, che, continuando implacabile a ruggire, ancora, ogni lunedì di quella maledetta primavera del 1944, esige il tributo di 30 teste, a sostanziare l'illusione di onnipotenza di un regime che ha smarrito il senso del reale, il tempo pare essersi fermato.54 L'atmosfera cupa e caliginosa sembra chiuderla ed estraniarla da quanto avviene al suo esterno e, girando il coltello su ferite aperte, assiste indifferente a una realtà di tormenti che si fondono, poi si diluiscono, poi si aggrovigliano, in un lento mulinello che trascina via con sé, piano, ma inesorabilmente, sogni, illusioni e speranze di difesa.55

Nel braccio della morte Metzger intuisce che la sua epoca malata si è irrimediabilmente aggravata e sbigottisce di fronte agli eventi che precipitano.56 Avverte una tremenda situazione di progressiva erosione, destinata a un'inevitabile implosione.57 Forse ha pietà della freddezza implacabile e sorda degli uomini al comando, così abili nel decostruire difese e giustificazioni, nel rompere volontà e resistenze, nell'infierire su lacerazioni sanguinanti. Sicuramente ha pena per tanti compagni di sventura disperatamente soli, sperduti e immiseriti nel deserto dell'odio e della brutalità, defraudati del diritto alla vita. Lo flagella il pensiero di tante dolorose storie anonime e invisibili, di tanti sfiniti viandanti, di indistinti volti interroganti, di strazianti, inascoltati aneliti alla dignità, alla comprensione e alla giustizia. Così, mentre tende una mano, cerca altre mani.58 Anche nei suoi pensieri ultimi, mai in primo piano il suo io di perseguitato e sempre, invece, la compresenza palpitante degli altri; nel dire a se stesso, ogni volta un esprimere anche le voci dei compagni di strada; nel pensare e nel pregare individuali, una generosa proiezione di sé in un esodo che, dalla singola realtà monodica, conduce alla visione totale dell'uomo come essere relazionale, naturalmente proteso verso i suoi simili: e lo restituisce come essere sociale, sebbene individuo unico e autonomo, come essere morale, sebbene libero in coscienza, e come essere spirituale, sebbene chiuso nella materia del corpo. Soprattutto, ricorda che solo al plurale la persona è veramente se stessa e si realizza compiutamente. Perciò incita alle virtù accomunanti dell'amore e del perdono, mai confinati nel soggettivismo o isolati nella discrezionalità personale e sempre approdo di speranza, sorgente di forza, fonte di concreta e feconda comunità;59 e suggerisce misericordia anche, e forse più, nei confronti degli aggressori, dei fratelli induriti e inflessibili, degli animi estranei a ogni elevazione morale e religiosa. Nel momento del dolore, della difficoltà, degli stenti, dell'ingiustizia e del mancato rispetto, Metzger ricerca la fratellanza e l'unità, esortando sia a dar prova e coscienza di coesione, oltre ogni ingiusta sofferenza inferta a tanti fratelli, sia ad abbandonare motivi di divisione e frattura, parlando con un'unica voce e senza paura. E richiama alla necessità di colmare le distanze, superare preclusioni, testimoniare l'inviolabilità dei principi di libertà e di equità. Ma non è facile, neppure per lui.60

Da sacerdote e da fedele, Metzer sa che, quando la sofferenza è inevitabile, l'affrontarla codardamente e senza benedire il Signore è segno di infelice degradazione e debolezza, ma è un uomo. E l'uomo continua a essere uomo anche quando è illuminato dalla grazia divina. Sperimenta, perciò, come non sempre sia spontaneo il coraggio di perdonare chi offende e strazia; come allontani dai prevaricatori il toccare con mano le profondità ferine del loro animo; come la ragione automaticamente condanni i persecutori e gli oppressori dei diversi e dei più deboli; come la coscienza si ribelli a illeciti abusi di potere e a indegne azioni punitive e discriminatorie a danno dei propri simili; come il cuore confini nel biasimo e nel rifiuto i responsabili dell'odio ingiustificato, della crudeltà gratuita e del disprezzo offensivo, che fanno da collante a spaventosi, raccapriccianti crimini di massa.61

Perché nessuno è esente da quegli egoistici, e anche cattivi, impulsi istintivi di autodifesa e di conservazione che s'insinuano, serpeggiano e si diramano, non di rado restringendoli e sminuendoli, tra i grandi valori della clemenza, dell'amore, dell'umiltà e dell'altruismo.

Può capitare, dunque, che sotto il peso di una sorte di uomo inesorabilmente segnata, il detenuto si ritrovi, alle opache luci del giorno, come nelle oscurità e nei freddi silenzi della notte, in compagnia di tormentosi, duri pensieri che scaturiscono impietosi dal subconscio, a dilaniargli il cuore e la mente in impeti di disgregante ribellione. Ma poi tornano luci di speranza e di fiducia.62 Allora si comprende come, per esempio, a un mese di distanza da quella rapida e impersonale udienza che sperava chiarificatrice e che decretò, invece, la sua condanna a morte, Metzger possa scrivere, rivelandosi puro seguace di Cristo63: «Quella notte soffrii nel mio cuore con anticipazione tutto quanto avrei dovuto soffrire nell'ora del mio Getsemani. Dissi al Padre: «Se è possibile... ». Con cuore tremante, però, e comunque in modo chiaro e fermo potei aggiungere senza esitazione: «Non la mia, ma la Tua volontà sia fatta! » Sì, avevo offerto la mia vita al Signore per la pace nel mondo e l'unità della Chiesa di Cristo. Non volevo più revocare l'offerta».64 Sono tanti i momenti di umana tribolazione in cui il prigioniero, piegato dalla solitudine, dagli stenti, dal supplizio delle catene che gli stringono i polsi e dal contorno di funzionari e aguzzini freddi e insensibili, vive con maggiore difficoltà la prova cui il Padre lo ha chiamato. E tuttavia ogni volta si rimette alla volontà divina con un'adesione totale dell'animo; mai dimenticando di essere un curatore di anime, ricorda la forza salvifica dell'indulgenza: i cristiani, ammonisce sé e gli altri, non insorgono in armi, non rispondono alla violenza, non si ribellano all'oppressione, non tentano di imporre prepotentemente le proprie convinzioni, non fomentano conflitti, non si lasciano andare a forme eversive, non hanno colore politico: i veri cristiani muoiono amando il Cristo e perdonando i loro carnefici.65

Quand'anche percosso, quindi, dalla sferza della violenza umana, il sacerdote cattolico si risolleva con forza straordinaria e stupefacente. E così, pur nella consapevolezza che si sta attentando alla sua vita e che ogni sua difesa resterà inascoltata, egli non è mai il prigioniero smarrito, l'oppresso inerme o la vittima inerte: dando voce al soffio di eternità che alita nell'uomo e spazio alla luce che attraversa il suo animo, egli rischiara la sua esistenza, trasfondendovi un annuncio di rinascita e il senso di una vita rigenerata. La nebbia si dirada mentre avanza la luce confortante dell'incontro con il Padre e della possibilità di abbandonarsi e 'galleggiare' nel mare grande del suo abbraccio66: la segregazione e la solitudine sono rese strumento trasformante di purificazione e ascesi.67

Le tribolazioni del sacerdote tedesco, che, attestando lo strettissimo legame esistente tra il dolore e la salvezza, passano attraverso un'esperienza segnata dalla durezza ostinata dell'uomo,68 dalla chiusura della mente e del cuore69 e dalla miseria spirituale dell'animo,70 scuotono il torpore dalle coscienze e mostrano la luce grigia dei regimi totalitari, in apparenza più affascinanti di forme di potere deboli e traballanti, ma in realtà modelli di ferinità, di disumanità, di oltraggio all'uomo; tristi esempi di abilità nel frammentarlo e frantumarlo; esecrate manifestazioni di spietatezza non solo contro gli individui, ma contro i valori universali, i principi di moralità e di civiltà e le organizzazioni istituzionali fondate su criteri di collaborazione e di pluralità. Mostrano segnati dall'odio e da un oscuro senso di superiorità, offuscati dal velo opaco dell'indifferenza il volto del comando e il desiderio di dominio. Il penoso viaggio di Metzger nel tunnel della sofferenza fisica e morale offre la possibilità, facendosene capitolo emblematico, di ripensare una pagina tragica della storia, che continua a dipanare la sua inesauribile matassa.71

All'interno della prigione di Braandenburg-Görden, dunque, dove solo il silenzio parla, facendosi suono riflesso ed eco di rimando, e dove l'esistere, che si trascina estenuante, sembra, invece, scorrere anche troppo velocemente, Metzger, cosciente di essere sul punto di perderla, grida la sua fame di vita ed è stretto dal bisogno di fare ancora qualcosa.72

E intensifica le sue riflessioni e la comunicazione del suo pensiero, nel timore e, presumibilmente, nel rammarico di non poterlo esprimere più compiutamente, sebbene lo presenti come contributo e base per ulteriori e più approfonditi impegni.73

Acutizzando dunque la sua sensibilità, attingendo energia dalla sua ricchezza spirituale, trovando forza nel suo bagaglio intellettuale, egli, pur in catene, nella capacità mirabile di fare di ogni realtà incontrata una realtà ritrovata, ripensa e ripropone le parole divine in tutta la loro forza dirompente: non per ripeterle, ma per meglio comprenderle e oltrepassarle. E in esse, mentre le emozioni s'intersecano in spazi di chiaro-scuro, a individuare la luce dell'uomo e della sua interiorità in una introspettiva ricerca di rasserenamento propagata anche agli altri, rinviene caldi cantucci ancora non visti o trascurati e incoraggianti angoli di zone rimaste come fuori campo: la sua rilettura, piena di ardore, si fa generatrice di nuova umanità e di storia.74

Facendo dell'evento Cristo, morto a redenzione dell'umanità e risorto a gloria del Padre, il fulcro delle sue riflessioni sul destino finale dell'uomo e sul senso ultimo del divenire del mondo, Metzer ripensa la passione del Verbo fatto carne per comprendere pienamente, e giustificare, la sua e infinite altre vicende umane fiaccate da sconfitte e abbandoni. Riconferma che l'esecranda crocifissione di Gesù e i patimenti del Calvario toccano il fondo della scelleratezza umana, ma rammenta anche che, nello scandalo della croce, che segna l'infimo, ma anche il sublime, si svilisce la forza della malvagità e si fa più sicura l'ascesa verso Dio; riconosce così nella sofferenza il suggello della comunione con il Cristo, che, risorto nella gloria, resta comunque colui che è stato inchiodato ai due miseri legni della croce. E sente che attraversarla con lui, e con lui abbracciarla perfezionandola e continuandone il mistero, riaccende la speranza in una felicità futura, rinvigorisce le virtù personali, risveglia le profondità dell'anima e rende vincitori su tutti i mali.75

Chiuso in cella, il sacerdote tedesco ripensa anche la Chiesa, che dalla croce è inscindibile, nonostante i peccati degli uomini che la compongono. E la rivive non come semplice struttura umana, ma come mistero di comunione che coinvolge tutto il popolo di Dio e si realizza passo per passo, con il concorso di tutti i cristiani: La Chiesa di Cristo -- scrive -- «è nell'intenzione così universale ('cattolica') come lo è l'umanità, poiché Dio vuole che tutti siano beati: gli uomini di tutti i tempi e di tutte le parti del mondo. Dunque, nell'intenzione la 'Chiesa dal principio' esisteva già nel paradiso, per abbracciare tutti gli uomini».76

Perciò, anche nella sua qualità di ministro di Dio, egli lancia un forte appello alla conversione dei cuori, per avverare la missione di Gesù di fare dell'umanità dispersa un'unica comunità;77 esorta a non rassegnarsi, né consegnarsi, né lasciarsi travolgere dal vento pericoloso e nichilista che spira distruttivo contro la consistenza di qualsiasi valore e l'esistenza di qualsiasi verità; sollecita a illuminare la propria coscienza, a irrobustire la propria resistenza, a rinvigorire e corroborare l'animo, a dare esempio di forza morale e autentica fede, a non perdersi di coraggio quando la sofferenza bussa alla porta.78

Cosciente della durezza dei tempi e della disperazione di tanti fratelli, chiama dunque all'unità, all'abbandono di quanto divide, all'unificazione delle voci e alla riconciliazione, per un impegno comune a creare condizioni durevoli di pace e di giustizia in cui vivere senza paura, nella distensione dello spirito.79 E nell'ambito di un richiamo all'unità, esprime la struggente mancanza dell'Eucaristia data e ricevuta, sacramento per il quale i cristiani, mangiando il pane e bevendo il vino divenuti il corpo e il sangue di Cristo, dividono un pasto di comunione e manifestano concretamente l'unità del popolo di Dio: la partecipazione all'atto rituale dell'Ostia consacrata corrisponde allo sforzo costante dei credenti per mantenere e conservare la propria vita, ma anche per fondare una comunità sulla base di un'unione mistica col corpo di Cristo, del quale si fanno, ciascuno per la sua parte, membra.80

L'esperienza di vita e le parole di Metzger suscitano, in chi le incontra, ammirazione e rispetto.81 Colpiscono di lui la figura e la condotta, mai scontate e ripetutamente sorprendenti; la condizione drammatica e angosciante, ma sempre controllata e composta; il rumore della vita esterna quasi assente, ma ritrovato e rinverdito nell'animo; il contesto umano, esclusi tanti sventurati reclusi, arido e distante, ma mai biasimato o condannato, nella speranza che prima o poi il raggio divino, infuso in ogni uomo senza distinzione, possa finalmente disperdere la caligine dell'indifferenza. Seduce la sua forte personalità, che assapora quotidianamente i tormenti del corpo e l'estasi dell'anima; che riconosce il dolore come visita del Padre, ma anche come medicina che risana; che pensa e prega arditamente, avanzando in solitudine verso orizzonti aperti all'offerta generosa di sé; che continua a imparare che chi accetta di soffrire nel nome di Cristo, che non nega, ma dona la vita,82 è solo apparentemente e fisicamente sottoposto a forze di potere umano, perché lo spirito trascende se stesso, oltrepassando ogni limite terreno. Nel deserto, esteriore e interiore, che avanza e si fa sempre più opprimente, cresce in lui la sete del Risorto, acqua viva, che orienta nella traversata burrascosa delle tempeste della vita.83

Metzger sa che il Padre, l'Abbà, non chiede che di poter salvare; che, in un mondo percorso dal fragore della guerra e contrassegnato dall'odio per il nemico e per i vinti, Egli è offerta gratuita di sé, amore e perdono; che è presente, con spiragli di luce, anche nell'oscurità delle tribolazioni più fitte; che, se esige molto, dona tutto.

Si affida perciò a Lui con la fiducia dei puri di cuore, incondizionatamente, senza ricercarlo, perché lo sente già vicino, ma senza la presunzione di averlo trovato; e si tranquillizza. Il pensiero di avere Dio dalla sua parte lo rende lieto e gli dà la forza della rassegnazione. Per una grazia speciale il suo cuore si rasserena attraverso un agganciarsi fiducioso al trascendente, in un'esperienza vincente di amore per il Padre e per i fratelli, che rivendica la dignità e l'inviolabilità di un esistere a livello umano; constata che, quando è con Dio, l'uomo medica le sue ferite e placa le sue inquietudini.84

Si conduce quindi in alto, per quella forza di fede autentica che si configura come rinuncia all'arroganza e cammino verso l'umiltà, come ricerca di verità spirituali con il supporto di un pensiero razionale che non la deprezza né la svilisce, come significativa interpretazione del senso e del valore della vita.

Contro quel credere cieco, dunque, che deteriora l'immagine di Dio producendo intolleranza e insofferenza, inciviltà e arbitrio, soperchieria quotidiana del potere e uso opportunistico e parziale di regole e principi, medita sulle giuste ragioni dell'uomo, sulla tragicità dell'esistenza, sulla libertà e sul caso, sull'autenticità ritrovata in se stessi contro la disumanizzazione e l'alienazione. Riafferma tutti i valori, li ribadisce, li monda, li innalza e li fa esperienza nuova di un esserci intriso della promessa salvifica del Padre e proiettato al cielo contro ogni illusoria lusinga del potere terreno.85

E scrive: interpretazioni e approfondimenti teologici ed ecclesiologici si fondono con la denuncia delle condizioni degradanti in cui versano e sono costretti i detenuti, e quindi delle violazioni alla dignità della persona.

Il suo sogno di libertà e di pace, pagato con la vita, mentre grida che i diritti dei deboli non sono diritti deboli, condanna senza appello l'orrore della malvagità e della violenza e ripropone, come forza vincitrice, quel comandamento nuovo dell'amore86 che, sostanziandosi dei sentimenti del perdono e della carità, dell'umiltà e della dedizione, dell'indulgenza e della condivisione libera,87 rende capaci di accostarsi alla croce di Cristo e di percepire come fonte di grazia salvifica il carico delle proprie tribolazioni.88

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Note

  1. M. J. Metzger (1887-1944), sacerdote cattolico tedesco, già trattenuto nelle prigioni naziste per la prima volta dal 23 al 26 gennaio 1934 e per la seconda dal 9 novembre al 4 dicembre 1939, viene arrestato dalla Gestapo per la terza volta, e in tale circostanza con esito fatale, il 29 giugno 1943. A ricordarne la valenza di teologo e il martirio per fede, si è cercato di ricostruirne la dolorosa, ultima esperienza carceraria, sulla base esclusiva delle lettere da lui scritte durante tale tragica prigionia, che si protrasse fino al 17 aprile 1944, giorno della sua morte per decapitazione. Le Lettere cui nel presente lavoro si fa riferimento, sono pubblicate, in traduzione italiana, in Max Josef Metzger, La mia vita per la pace, a cura di L. Zak, Cinisello Balsamo, 2008. Testo

  2. «Eravamo sette uomini che in una cella del Tribunale (di Giustizia del Popolo) attendevamo il processo. [...] Seguendo l'ordine, ognuno tornava dal processo con le mani incatenate, segno questo della condanna a morte. [...] È sempre un nuovo colpo al cuore quando si vedono portare alla ghigliottina i compagni venuti qui insieme a noi, senza sapere per quanto tempo ancora si potrà sfuggire alla loro sorte»: Lettera del 14 novembre 1943. Testo

  3. Già fondatore, con W. Impekoven, detto fratel Gottwills, della Società missionaria della Croce Bianca (1919), successivamente denominata Societas Christi Regis, Metzger costituisce, tra la fine del 1938 e l'inizio del 1939, la Fraternità interconfessionale Una Sancta, nella prospettiva di creare terreno fertile per un autentico, reciproco e costruttivo ritrovarsi, in Cristo, dei fratelli divisi e irrigiditi nelle proprie posizioni. Consapevole del disorientamento e delle inquietudini di tanti credenti, sia cattolici sia protestanti, egli propone una Chiesa sentita come comunità di fede, di speranza e di carità, mistero di comunione che coinvolge, radunandolo, tutto il popolo di Dio e che si costituisce passo passo, con il concorso di tutti. Egli sa che realizza l'umiltà nel proprio vissuto chi, lasciandosi pervadere dalla grazia di Dio (Rm 12,3), s'impegna fino in fondo perché ci sia l'unità nella comunità (Fil 2,1-4), rifiutando di porsi al di sopra degli altri (Rm 12,16). Ma il richiamo all'unificazione e alla compattezza oltre ogni differenza viene percepito dal potere come implicito appello all'opposizione e alla congiura e pertanto l'Una Sancta, come pure altre istituzioni ecumeniche, vengono da esso qualificate come forze nemiche e perciò perseguibili. Va tenuto ben presente che l'armonia di diverse fedi contrasta con la visione di Hitler, già in nuce nel Mein Kampf, di una Chiesa nazionale tedesca, espressione e strumento dello Stato e della razza superiore. Testo

  4. Il sacerdote cattolico profonde da sempre un impegno indefesso nell'aprire le menti e i cuori all'idea di un'unione pacifica dei popoli, quale condizione imprescindibile per liberare dall'infelicità e dal male. Si è appena usciti dal I conflitto mondiale, quando scrive: «Deve rinascere una nuova Europa che, diversamente da quella vecchia, non avrà più ambizione di espandere il potere, ingrandire il territorio e cose simili. Un'Europa, che metterà insieme i popoli racchiudendo in una grande unione pacifica gli interessi comuni e l'impegno di tutti nella soluzione dei comuni problemi... Quest'unione degli Stati d'Europa verrà, dovrà venire, perché se non la forgeranno insieme la comprensione e gli ideali, essa sarà saldata dall'egoismo e dalla paura»: M.J. Metzger, Das neue Europa, in Die neue Zeit I (1918), n. 10, p. 69. Testo

  5. Vi si legge: «La «Nordlandia» («Stati Uniti del Nord») è un'unione di Stati liberi a governo democratico (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Islanda). Ogni Stato libero è autonomo, nel quadro della costituzione della «Nordlandia», quanto alle questioni di politica interna, agli affari culturali e sociali e all'amministrazione. La politica estera viene condotta congiuntamente ed è riservata alla guida dell'unione di Stati. La politica sia interna che estera della «Nordlandia» è definita costituzionalmente come autentica politica di pace fondata sul rispetto del diritto morale eterno, sul riconoscimento e la tutela dello stesso diritto fondamentale per tutti i cittadini, su una politica sociale progressista ( certezza del lavoro, del guadagno e delle possibilità di vita per tutti; nazionalizzazione di tutte le miniere, di tutte le centrali elettriche, delle ferrovie, come pure delle grandi proprietà di campi, boschi e laghi; una politica fiscale sociale con la tutela dei più deboli) e su una politica equa delle nazionalità e delle razze (autogestione dei consigli nazionali, per esempio per quanto riguarda i fondi pubblici per la scuola. La politica di pace estera riconosce e rispetta nella maniera più ampia il diritto alla vita dei popoli stranieri e appoggia, ovvero compie volontariamente il disarmo (fatta eccezione per un corpo di polizia destinato al mantenimento dell'ordine interno) a favore di un esercito transnazionale, posto al servizio di un organo degli «Stati Uniti d'Europa» al di sopra delle parti, il quale si fa carico di tutelare una pace giusta tra gli Stati. A ogni cittadino della Nordlandia vengono garantite costituzionalmente l'inviolabilità della dignità personale e della certezza del diritto, la libertà di coscienza, di lingua e di cultura, come pure di religione, la libertà di opinione e infine la libertà alla proprietà personale e all'uso della proprietà nell'ambito dei limiti stabiliti dal bene comune e definiti giuridicamente in modo chiaro. Tutti i cittadini della Nordlandia che, in modo provato, sono corresponsabili della rovina nazionale e della violenza sul loro popolo, come pure tutti coloro che sono condannati per crimini comuni, sono esclusi per vent'anni da tutti i diritti di cittadino (diritto di voto, diritto di ricoprire cariche pubbliche). Fino all'accertamento, ossia alla prova della loro affidabilità caratteriale e costituzionale, questa correità viene presupposta per tutti i funzionari dei partiti antinazionali e antisociali e delle loro organizzazioni militari di autodifesa. L'elenco popolare tenuto a tale riguardo è pubblico. Fino alla ratifica della costituzione definitiva mediante votazione popolare libera, il potere legislativo della Nordlandia viene esercitato dal parlamento del popolo. Questo è costituito da rappresentanti prominenti di tutti i ceti, come pure da personaggi eminenti degli enti intellettuali, culturali, religiosi, scelti la prima volta dall'ordine della pace della Nordlandia. Detto ordine comprende personaggi di tutti i gruppi statali e degli ex partiti, che si sono distinti nel sostenere i principi morali, sociali e politici della nuova politica di pace davanti al loro popolo e al mondo, soprattutto se a causa delle loro convinzioni e della loro posizione hanno dovuto subire svantaggi personali dal sistema precedente. Questo programma politico viene redatto per il caso in cui a conclusione della guerra scoppi una rivoluzione che non consenta più di mantenere la continuità del diritto»: cf. Max Josef Metzger, op. cit., pp. 260-262. Testo

  6. «Sarei dovuto comparire in giudizio alle 11. Di fatto, però, erano già la tre e mezzo del pomeriggio quando fui condotto davanti ai magistrati. Il tempo di attesa fu un'autentica prova di nervi. Tuttavia ero abbastanza calmo e concentrato. Quando [alcuni giorni prima] ricevetti il verbale d'imputazione, che era redatto in modo pacato e pertinente, avevo ancora speranza in un processo che avesse un po' a che fare con il vero significato del termine. Ma poi, quando venne l'avvocato e mi disse che l'udienza avrebbe avuto luogo tra un paio di giorni, compresi che il dado era ormai tratto. [...] Già il momento introduttivo dell'udienza, però, mi tolse ogni dubbio: colà si amministrava la «giustizia» non per far valere il «diritto», ma per impressionare il popolo con un processo spettacolare. Allora compresi chiaramente che ogni umana speranza era vana. Nondimeno mi sentii in dovere di fare tutto quello che era nelle mie forze, al fine di mettere in luce -- di fronte, per così dire, alla storia -- la verità vera, anche se in quel consesso essa non veniva riconosciuta»: Lettera del 14 novembre 1943. Testo

  7. Il processo che condanna a morte Metzger come «infame traditore del popolo» si svolge a Berlino il 14 ottobre 1943. Ne è giudice spietato Roland Freisler, sotto la cui presidenza (1942-1944) la storia registra più di 5000 pronunce di sentenza di morte. «Esattamente un mese fa mi trovavo dinanzi al Tribunale di Giustizia del Popolo. [...] Quando udii il verdetto di condanna a morte fui colto da un senso di fiero disprezzo. Sentivo che il fatto di essere giudicato «disonorevole» da un simile tribunale non rappresentava una vergogna, ma un onore. Dovetti dominarmi per non dare maggior risalto all'espressione del volto, come comunque feci. In nessuna maniera mi sentivo colpito dal giudizio. [...] Quando alla sera entrai nella mia cella mi inginocchiai, ringraziando Dio di avermi inserito in questo modo nella sequela di Cristo, e Lo pregai affinché conservasse il mio coraggio fino alla fine»: Lettera del 14 novembre 1943 Testo

  8. La pubblicazione, nel 1925, del Mein Kampf di Hitler, rende più intensa e radicale, in Metzger, l'esigenza di richiamare alla difesa di ideali comunitari di unità e pace, contro l'idea di un nuovo mondo unificato, come prodotto di gruppi di individui ben circoscritti e selezionati. Demarcando con l'ideologia nazista una differenziazione inconciliabile, il sacerdote cattolico, fin dall'inizio e sempre più incisivamente con l'Una Sancta, ribadisce l'uguaglianza delle razze e dei popoli contro il principio della superiorità della razza ariana, il valore della fratellanza e della solidarietà contro ogni forma di intolleranza e di intransigenza, l'efficacia salvifica della fede e delle virtù cristiane contro ogni ideale di freddezza e di forza; soprattutto logora il mito della personalità e del Führer onnipotente e invincibile, esortando a riconoscere nel Risorto il vero unico salvatore. Testo

  9. «Quanto a me, visto come stanno le cose, dovreste fare i conti con il fatto che sarò assente più a lungo. Ma anche questo avrà un senso nei piani di Dio»: Lettera dell'8 luglio 1943. «Quanto a me posso dire che, date le circostanze, sto bene. Sapermi adattare facilmente a tutto è stata sempre la mia grazia speciale ... e così, anche se non sono al settimo cielo, sono comunque silenziosamente pronto e contento»: Lettera del 21agosto 1943. «Sono fiducioso che Dio volgerà tutto al bene per me, per voi e anche per il nostro popolo»: Lettera del 14 gennaio 1944. Testo

  10. «Anche se esternamente sono tagliato fuori del mondo e non sono in grado di compiere alcunché di efficace, partecipo con tutto il cuore alle pene e alle sofferenze di ciascuno di voi»: Lettera del 19 agosto 1943. «Anche se nella cella si è proprio tagliati fuori da tutto il mondo, è sufficiente vedere come gli aerei [nemici] si dirigono sempre sopra Brandenburg per farsi un'idea di ciò che sta succedendo a Berlino! Naturalmente sono molto preoccupato, ma cosa posso fare se non raccomandarvi tutti sempre di nuovo alla protezione dell'Altissimo? Con Lui mi sento anch'io tranquillo, nella pace»: Lettera del 19 agosto 1943. «Pur essendo segregato dal mondo partecipo con cuore febbrile a tutto ciò che succede, non ultimo al destino del nostro popolo» Lettera del 13 gennaio 1944. Testo

  11. «Se potete, mandate al parroco [della prigione] un po' di immaginette, sul cui retro sia possibile scrivere un pensiero. In fondo io rimango un curatore d'anime e non posso dimenticare i poveri compagni di sventura, che attraverso la diffusione di pensieri ricevono aiuto»: Lettera del 14 febbraio 1944. Testo

  12. Anche quando la sua angoscia di prigioniero, espandendosi e incontrandosi con quella di tanti altri reclusi, stringe la gola con un morso più stretto, Metzger conforta: «Chi è preso dall'angoscia della morte più di noi, a cui la vita è già negata? Davvero non c'è nessuna 'speranza' per noi? È vero che non ci è ancora stata tolta ogni umana speranza nella 'grazia'. La speranza della nostra fede, è di gran lunga più salda e sicura: abbiamo una vita che non può esserci tolta se rimaniamo in Cristo. Questa 'vita eterna' della quale il Signore parla continuamente, non è solo una promessa per l''aldilà', ma ci è già data come qualcosa di attuale (Gv 6,47.54; Ef 2,6; Col 3,1ss.), solo che non può essere toccata con mano, poiché è una vita nascosta dello spirito. Non per questo, però, è meno vera: è una partecipazione misteriosa alla vita di Cristo iniziata con la 'rinascita' per mezzo del santo battesimo: Riflessione, senza data. Testo

  13. «... a tutti noi non rimane altro che metterci nelle mani di Dio. Egli libererà i prigionieri alla Sua ora. Prego incessantemente per tutti voi e so che anche voi pregate per me»: Berlino, 8 Luglio 1943. «Pregando Dio ci incontriamo tutti i giorni, sperimentando, nonostante la separazione esterna, una comunione più profonda. Preghiamo tutti per comprendere a fondo la santa volontà di Dio e per essere perfettamente disponibili alla sua attuazione. Tale sentimento ci unisce a Colui che possiamo chiamare 'Abbà' e che ci rende partecipi del Suo Spirito, tanto che la nostra preghiera viene sempre realmente esaudita»: Lettera ai fratelli, 18 agosto 1943. Testo

  14. Cf. Lc 21,12; 2 Tm 3,11 Testo

  15. Cf. Mt 10,23; At 8,1 Testo

  16. Cf. At 19,9; 1 Pt 2,12 Testo

  17. Cf. 1 Pt 4,12 Testo

  18. Cf. Gv 15,19; Mt 10,22 Testo

  19. Cf. Mt 5,4.11 Testo

  20. Cf. Gdt 9,11; Gdc 7,1 ss.; Dt 8,17s. Testo

  21. Cf. Gb 5,11; Is 66,2 Testo

  22. Cf. Gv 3,16; 10,11; 13, 1.34, 15,9; 16,27 Testo

  23. Cf. Gs 1,5-9; Ger 15,16.20 Testo

  24. Cf. Is 51,12; 2 Cor 1,3 Metzger sperimenta, in carcere, la possibilità umana di trovare rigenerante consolazione attraverso la parola di Dio diventata conoscibile per mezzo di Gesù (Gv 1,14.18) e presente nelle Sacre Scritture che, di per se stesse consolazione (Rm 15,4), sono altresì causa della fede che è, a sua volta, consolazione (Rm 1,12; 1 Ts 3,7; Eb 6,8). Testo

  25. «E l'esser salito che vuol dire, se non che era disceso nelle parti inferiori della terra? Quegli che è disceso è lo stesso che è salito al di sopra dei cieli tutti, per portare a compimento ogni cosa»: Ef 4, 9-10. Profondo conoscitore della Bibbia, il sacerdote cattolico si rifugia nella sapienza del Figlio di Dio, che, incarnandosi, ha ricondotto l'umanità al Padre annientando in essa ogni inimicizia (Ef 2,16) e che, nella gloria della risurrezione, l'ha rischiarata della luce pura e immacolata dello Spirito. Testo

  26. Fil 2,8: «Umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce». Il cristiano sa che la crocifissione di Gesù ha significato non solo il patimento fisico, ma anche l'umiliazione morale di un fallimento totale, essendo allora esecranda punizione riservata agli schiavi e ai non romani. Testo

  27. L'evento di Cristo non viene presentato nel NT come una delle azioni salvifiche di Dio, ma come il loro apice. Cf. Eb 2,16: «Giacché non certo ad angeli Egli viene in aiuto, ma viene in aiuto al seme d'Abramo»; Gv 12,32: «Io, quando sarò sollevato da terra, attirerò tutti a me». Testo

  28. Si evince, dalle lettere, che la croce di Cristo è presenza costante nel pensiero del recluso: «Rivolgo il mio sguardo alla tua santa Croce, mio Redentore e Salvatore! Tu hai patito la morte, ma essa non ti ha sconfitto. Il terzo giorno sei risuscitato vittorioso dai morti, come 'primizia di quelli che dormono' (1 Cor 15,20). Sì, tu stesso lo avevi detto: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno...» (Gv 11,25). Perciò ne sono sicuro: la morte non sarà nemmeno per me la fine; essa è piuttosto una porta verso la vita che Dio ha preparato per quelli che lo amano (Lettera del 26 novembre 1943). «Attualmente sto attraversando un periodo un po' difficile, del quale non posso dire molto. In fondo la croce è propria del discepolo del Crocefisso» (Brandenburg-Görden 16 dicembre 1943). «Ci ha redenti sulla croce, riscattando per noi la salvezza ed aprendoci la porta del cielo. È risorto come «primizia di coloro che si sono addormentati». Trasfigurato nel suo corpo glorioso, coperto di ferite, è salito al Cielo, assumendo alla destra del Padre il trono che gli appartiene. È sempre davanti al Padre come nostro avvocato e intercessore (Eb 7,25; 1Gv 2,1) e gli mostra le Sue ferite gloriose, che sono per noi garanzia di vita» (Riflessione, senza data). Testo

  29. Cf. Mc 9,35; Lc 9, 48. Ministro di Dio e servitore della Sua parola per vocazione, in autentico spirito di servizio rivolto al Padre e ai fratelli, e in tutte le circostanze della vita, quelle semplici e ordinarie, ma anche in quelle assolutamente rischiose, Metzger ha impegnato il suo pensiero e le sue opere nella ricerca della pace e della giustizia, dando prova di un amore dimentico di sé e disposto a far sacrificio anche della propria vita. «Ho cercato piuttosto di comprendere sempre le particolari esigenze di ogni singolo partito politico, giustificandole nella prospettiva di una maggiore sintesi. Con ciò mi sono fatto ogni volta sia amici che nemici appartenenti trasversalmente a tutte le ideologie e a tutti gli schieramenti politici. Dato che la verità e la giustizia -- da cristiano e sacerdote, essendo tale con anima e corpo, potrei parlare anche del 'Regno di Dio' -- sono per me di primario interesse, ho cercato di crearmi, per quanto lo permettevano la mia esperienza e conoscenza, sempre una mia opinione, difendendola da tutte le parti con coscienza, senza guardare se ciò mi procurava dei vantaggi o meno. Non ho mai aspirato a fare carriera, né sono andato a caccia di alte cariche. Ho rinunciato radicalmente ai soldi e ai piaceri -- non ho nessuna entrata fissa, mi astengo dalla carne, dall'alcool e dal fumo -- per servire, libero da tutto, con migliori forze, il popolo al quale mi sono sentito e mi sento completamente unito» (Lettera 30 luglio 1943). Testo

  30. «Comunque si evolverà la mia vita, nella morte della carne 'per essere con Cristo' -- anzi, una parte di me desidera proprio essere 'dissolta e stare con Cristo' -- oppure nel continuare a vivere, destinato per il futuro a nuovi compiti o ad adempiere meglio quelli antichi, tutto sarà stabilito da Dio e quindi per me sarà il bene. quante volte, pregando, ho ripetuto le parole che prima di me ha pronunciato il Signore: padre, se è possibile fa' che questo calice passi da me, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta». Adorando e attuando questa santa volontà del Signore, io voglio vivere e morire. Amen»: Brandenburg, prima domenica di Avvento 1943. Testo

  31. Eb 10,16: «Questa è infatti l'alleanza che io stipulerò con loro dopo quei giorni, dice il Signore: io porrò le mie leggi nei loro cuori e le imprimerò nella loro mente, e non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità». Testo

  32. Cf. 2 Tm 2,9 Testo

  33. In una lettera indirizzata alla sorella Gertrudis, Metzger scrive: «Per il Nuovo Anno, nella notte di san Silvestro, ho pensato questo per me e per voi: «Così comincio nel nome di Dio / l'anno che porterà la sentenza./ Già in anticipo dico il mio Amen / a ciò che scaturirà dal Tuo consiglio./ Ciò che è bene, ciò che è male per me -- per tutti! / -- Tu l'hai nascosto alla nostra stoltezza. / In ogni caso, però, è una benedizione / ciò che la Tua sapienza ha concepito per noi. / Così scrivi Tu il calendario / per noi che siamo sotto la Tua protezione! / Soltanto lasciaci rimanere nella Tua grazia! / ciò che Tu, Padre, ci mandi, è buono». Nel nome di Dio! In Lui, grazie al cielo, continuo a essere di buon umore. Sono fiducioso che Dio volgerà tutto al bene per me, per voi e anche per il nostro popolo. Sento quanto è buono con me il Signore, che mi dona ogni sorta di consolazione e incoraggiamento»: Lettera del 13 gennaio 1944. Testo

  34. «Come vi avevo già detto, ora sono in una cella comune. Nonostante la grande varietà degli abitanti, siamo una comunità molto ordinata. Si ha almeno la possibilità di uno svago. Certo, tutto ciò diventa assai pesante per uno che per la prima volta si trova in una tale situazione di vita in comune. Eppure anch'essa avrà un senso. In questi giorni ho riflettuto molto sullo Spirito Santo [...]. La Scrittura lo chiama pneuma, che significa soffio, alito o vento. Esso è il caldo alito di vita che promana dall'interiorità di Dio, perciò si può identificare anche con un amore che scorre. Secondo il salmista, questo alito vitale di Dio riempie tutto. In Lui, nel Suo amore, viviamo e ci muoviamo. Per mezzo di Lui siamo uniti tra di noi. Sì, anche il nostro respiro di vita proviene da Lui. In Lui noi ci incontriamo»: Berlino, 8 luglio 1943. Testo

  35. «Cristo, il Signore, ci ha posto davanti agli occhi questa verità confortante e al tempo stesso angosciosa: la morte non colpisce ciò che abbiamo di più profondo, ciò che ci appartiene. Infatti, il nostro 'Io' continua ad esistere al di là della morte fisica». [...] 'La vita non è il più alto dei beni...', ecco una parola profondamente umana del poeta! Forse è proprio questo che costituisce l'uomo: il poter pensare in questo modo. L'animale resta attaccato al suo naturale istintodi sopravvivenza. All'infuori di questo, non conosce 'valori' per cui valga la pena di sacrificare la vita, valori nei quali in talune circostanze si fonda proprio la più grande dignità. In sostanza, le parole del poeta sono vere, ma lo sono unicamente sulla base della fede cristiana. Per il cristiano l'anima' e la 'coscienza' sono i valori più alti, superiori perfino ai valori più grandi del mondo fuggevole»: Riflessione, senza data. Testo

  36. «Il fatto è che, in una guerra condotta con una ferocia come la nostra, il raggiungimento della consapevolezza dell'inutilità del proseguimento dei combattimenti viene impedito da forti resistenze di natura psicologica: il fanatico desiderio di vincere, che disprezza qualsiasi voce di opposizione; la paura di subire, in caso di sconfitta, le umiliazioni della propria persona, ossia la paura di una sanguinosa e personale vendetta che ora, più che mai, minaccia quelli che fanno parte della struttura portante dello Stato sconfitto, fanno diminuire l'autocritica e la possibilità di un'oggettiva valutazione della situazione; e ciò si verifica in particolare in quelle persone che, per via della loro forza fisica e della loro fanatica risoluzione, vedono nell'attuazione di un attacco e nell'imporsi sugli altri il loro compito, anche se esso verrebbe considerato, da chi sta fuori, un impegno non risolutivo. [...] La sorte del popolo tedesco è completamente nelle mani del Führer. È lui ad esserne responsabile»: Lettera del 23 luglio 1943. «Le mie perplessità di fronte alla politica del Terzo Reich erano inizialmente di natura etica, a causa del mio radicale rifiuto del primato della forza sul diritto. Tuttavia, esse avevano alla base anche una realistica percezione politica, e cioè che, nel caso di un nuovo conflitto mondiale, la Germania si sarebbe fatto nemico il mondo intero e avrebbe causato la mobilitazione contro di sé delle immense risorse militari del resto del mondo. Temevo che dopo alcuni possibili successi dell'iniziale attacco, tale concentrazione delle forze avrebbe dato inizio ad uno sviluppo simile a quello del 1917/18»: Lettera del 30 luglio 1943. Testo

  37. «Nonostante la solitudine, che naturalmente sento, non conosco la noia. Studio, leggo e scrivo, compongo musica e poesie, anche se non posso mettere tutto su carta. [...] Le mie sensazioni spesso trovano espressione in qualche poesia. Naturalmente sono per lo più pensieri religiosi ad ispirarmi. Così ora ho terminato di scrivere la terza Messa tedesca per il popolo»: Lettera del 13 gennaio 1943. «Con l'anima vivo davvero in un altro mondo dal quale, proprio nella solitudine, molte forze e pensieri mi vengono incontro. Anche le poesie, di cui vi posso rendere un po' partecipi, provengono di là. So che siete contenti, quando vi lascio guardare un po' dentro il mio cuore»: Lettera del 13 gennaio 1943. Testo

  38. «È vero che ho vissuto alcune settimane difficili. Conoscete la mia vivacità, il mio dinamismo e il mio amore per la libertà. È naturale che la costrizione di dover permanere in un ambiente diametralmente opposto crei in me, malgrado tutta la buona volontà, delle tensioni. Tuttavia ho superato ogni cosa e cerco di esercitare l'obbedienza del Signore (Fil 2,8)»: Lettera del 27 gennaio 1944 (riscritta il 14 febbraio 1944). «Nella notte di Natale sarò con voi vicino al presepe, purtroppo lo sarò solo nello spirito, in quanto non ho nessuna speranza, neppure per quel giorno, di poter assistere alla santa messa. Ma può essere che alla fine questa gioia natalizia ci verrà concessa? Altrimenti mi dovrò proprio arrendere alla santa volontà del Signore, che mi colpisce duramente, ma che comunque adoro rendendo grazie». (Brandenburg-Görden 16 dicembre 1943). Testo

  39. Lettera privata dell'11 febbraio 1933, conservata nell'Archivio di Meitingen. I timori di Metzger sono fondati. Il 27 febbraio 1933, a meno di un mese dalla nomina di Hitler a cancelliere (30 gennaio 1933) e ad appena una settimana di distanza dalle elezioni fissate per il 5 marzo, l'incendio che distrugge la sede del Reichstag e del quale vengono accusati i comunisti, offre ai nazisti il pretesto per inauditi atti di violenza, che creano un disarmante clima di terrore. Migliaia di oppositori, reali o presunti, vengono eliminati. Il 30 giugno 1934, nella famosa «notte dei lunghi coltelli», mentre Hitler, succeduto a Hindenburg, è, da poco, anche presidente della Repubblica, le SA, formazioni paramilitari del partito nazista, fondate nel 1921 e guidate, dal 1930, da E. Röhm, mal tollerate per il loro spirito di autonomia, vengono massacrate con il loro comandante e sostituite con le più temibili SS, costituite nel 1925 e comandate dal 1929 da H. Himmler. Rese responsabili anche dei campi di concentramento, esse saranno il braccio armato del regime e lo strumento primo della sua realizzazione. A partire dal 1937, quando il progetto espansionistico, motivato dalla necessità di concretizzare il diritto della razza germanica a uno spazio più vitale rispetto a quello degli altri popoli, diventa ormai la priorità del programma hitleriano, le iniziative del Führer, sulla base di un unilaterale disconoscimento dei trattati di pace e di un loro progressivo smantellamento, si rivolgono tutte a provocare e suscitare sentimenti di risentimento e di guerra. Testo

  40. Mentre cataste di libri bruciano, opere d'arte si sfregiano e un'aperta campagna anticulturale preannuncia rischi gravissimi anche per gli intellettuali, molti illustri esponenti della cultura del tempo, tra questi Albert Einstein, Thomas Mann, Walter Gropius, Bertolt Brecht vanno in esilio; gli Ebrei, prima privati della cittadinanza, successivamente esclusi da ogni pubblica attività, infine fatti oggetto di una violenza crescente, vengono in ultimo destinati alla soppressione; le forze armate si ristrutturano, preparandosi alla guerra; la radio, la pubblicità, il cinema, parate militari e manifestazioni di folla, esaltano il sentimento nazionalistico, eccitando gli animi. Testo

  41. Nel disegno nazista di dare un 'nuovo ordine' al mondo rientrano lo sfruttamento dei deboli; l'assoggettamento dei vinti; l'appropriazione forzata di materie prime e strumenti utili ai bisogni economici e bellici della Germania; l'asservimento culturale; il conformismo ideologico e il tragico stermino di Ebrei, di comunisti e di gruppi etnici considerati inferiori. Sono anni dolorosi di rovine e di stragi che vedono vittime inermi e straziate le popolazioni civili. Testo

  42. «L'esperienza del conflitto mondiale ha suscitato in me la convinzione che ciò che veramente serve al mio popolo, e anche all'intera umanità, è soltanto una tollerante e lungimirante politica della pace. L'irritante esperienza del crollo finale della Germania aveva confermato il mio profondo convincimento secondo il quale si può dire che qualcosa è giusto politicamente solo quando lo è anche eticamente. Subito nella primavera del 1917, risiedendo allora in Austria, avevo pubblicato un Programma internazionale della pace, che godeva di un'ampia accoglienza; un Programma elogiato espressamente, nel giugno del 1917 e successivamente durante un'udienza privata, dal papa Benedetto XV, e che venne accolto con entusiasmo anche dall'attuale papa, allora nunzio a Monaco, quando gliene parlai personalmente nel 1917. (...) Il mio atteggiamento, sempre più critico nei confronti del partito nazional-socialista tedesco dei lavoratori, poggiava sulla convinzione che la sua politica estera, che per principio non considerava il diritto proprio degli altri Stati, non poteva che provocare un nuovo conflitto mondiale. Dal 1936 ne sono rimasto certo. Avevo considerato una disgrazia il fatto che la repressione di ogni tipo di libera espressione e di ogni legittima opposizione non lasciava, a questo riguardo, nessuno spazio all'esercizio di una responsabilità critica di cui, a mio avviso, necessita anche un regime autoritario affinché non si lasci sfuggire quei basilari punti di vista dalla cui presenza o assenza dipendono o la prosperità o i travagli del popolo»: Lettera del 30 luglio 1943. Testo

  43. «Dopo aver capito che non avevo più nessuna possibilità di far qualcosa per fermare la guerra -- tanto più se una mia partecipazione alle eventuali azioni contro il legittimo governo non veniva presa in considerazione a causa dei motivi religiosi -- ero convinto, così credevo, di dovermi rassegnare, attendendo passivamente lo scatenarsi, prima o poi, di una ineluttabile catastrofe. (...). Questi pensieri si consolidavano in me, concretizzandosi nella stesura di uno schizzo» -- è il Memorandum che gli vale l'arresto -- «in cui proponevo l'idea di una Costituzione tedesca, concepita come unica via d'uscita nel tentativo di salvaguardare il libero governo del popolo nel caso di un collasso provocato dalla sconfitta.. per mantenere velato il senso dello schizzo, ero ricorso all'idea -- proposta, in termini simili, già precedentemente -- di una Federazione degli Stati nordici. In quanto parte della 'Nordlandia', la 'Germania' sarebbe dovuta essere costituita dai grandi distretti tedeschi i quali, continuando ad essere amministrati autonomamente, sarebbero dovuti appartenere a un unico Stato federale. Il sistema federalista mi pareva non soltanto quello più rispondente alla lunga storia tedesca, ma anche la migliore possibilità di come prevenire e, eventualmente, contrastare la logica della spartizione adottata dalle forze nemiche»: Lettera del 30 luglio 1943. Testo

  44. «Avevo tentato, nell'autunno del 1941, di scrivere al Führer, per fargli presente e spiegare che la guerra sarebbe divenuta una vicenda ormai senza speranza e che, a causa di ciò, l'ultimo atto di responsabilità nei confronti del popolo avrebbe richiesto da lui il sacrificio della rinuncia al potere per liberare la via verso la pace in quanto il suo governo, data la situazione, non sarebbe stato in grado di giungere ad una pacifica soluzione. Volevo fargli capire la grandezza di un simile gesto di altruismo fatto nell'interesse del popolo, gesto che sarebbe entrato nella storia, tanto più se si fosse pubblicamente ammesso che la politica del potere e del sacro egoismo era divenuta fatalmente una falsa via da abbandonare a favore di una nuova politica di pace. Sì, in fin dei conti è nella prontezza a sacrificare il proprio «io» per amore del popolo che si rivela la genuinità di ogni sentimento nazionale. Intanto la lettera, così come l'avevo concepita, rappresentava solo un tentativo di esternare i pensieri che provocavano in me una forte agitazione. Non sono un illuso privo di senso della realtà e perciò, in quel periodo -- era l'autunno del 1941 --, sapevo bene che non era venuto ancora il momento per sperare che una simile lettera avrebbe portato a qualche risultato, senza considerare, poi, il fatto di non aver intravisto nessuna possibilità di come farla arrivare nelle mani del Führer»: Lettera del 22 luglio 1943. Testo

  45. «Per noi è oggi ormai impossibile, guardando le nostre risorse sia umane che tecniche, disporre di una forza d'attacco in grado di sconfiggere completamente -- ossia di occupare la grande Russia con le sue inesauribili riserve militari.. vista la superiorità aerea degli avversari, che appare sempre più evidente a causa dei terribili e ormai ineluttabili attacchi nella parte occidentale del Reich, risulta ancora più impossibile che si possa solo pensare, avendo allo stesso tempo una totale inferiorità dei mezzi navali, di mettere in ginocchio -- cioè occupare -- l'Inghilterra senza una reazione da parte dell'America. Secondo ogni probabilità, l'Inghilterra e l'America aumenteranno sempre di più la loro potenza materiale e ciò in tale misura e in così breve tempo che noi, nonostante gli enormi sforzi, a lungo andare non potremo stare al passo con loro. Infatti i terribili attacchi aerei colpiscono in modo sempre più frequente i nostri luoghi di produzione, mentre dall'altra parte si può oggi sviluppare quasi senza nessun disturbo la forza produttiva. Verrà il momento in cui le forze nemiche saranno in grado di neutralizzarci con la loro superiorità materiale, inaugurando da qualche parte l'inizio di uno sfacelo militare. La nostra esperienza ci insegna, infatti, che quelli che ora sono all'attacco -- che da soli scelgono tempo e luogo degli attacchi e che, raggiunto uno specifico luogo, possono dimostrare la loro massiccia superiorità -- sono ormai in grado di travolgere quasi ogni tipo di difesa, anche se esso fosse così forte come lo sono le linee di difesa costruite a Maginot, a Pantelleria o in Sicilia»: Lettera del 22 luglio 1943. Testo

  46. Tra le priorità del suo apostolato, Metzger pone l'impegno a tener viva la coscienza dei cristiani, perché non dimentichino la missione che Gesù ha affidato a tutti i suoi discepoli e operino per la pace e l'unità. Denunciandone la pigrizia, il disinteresse e il disimpegno come forme di deleteria irresponsabilità, li richiama costantemente, anche nella convinzione che la loro forza è indistruttibile, perché sorretta dalla grazia divina, al dovere di ricercare sempre e concretamente, con mezzi pacifici e spirito di accoglienza, la verità e la giustizia in cui professano di credere. In particolare, durante la prima guerra mondiale, ne condanna gli atteggiamenti di superficialità e convenienza come corresponsabili del suo protrarsi: cf. Der Weltkrieg -- Bankerott oder Triumph des Christentums? (1917), in ID, Friede auf Erden. Ein Aufruf zur Völkerversöhnung, Verlag Volksheil, Graz 1918, pp. 11-13, 15-16). Testo

  47. In una lettera rivolta «Al signor giudice istruttore, risp. al Procuratore capo presso il Tribunale di giustizia del Popolo in Berlino-Moabit» e mai recapitata al destinatario, Metzger scrive: «Nelle questioni riguardanti l'identità nazionale e la politica, mi sentivo unito dal profondo del cuore alle gioie e ai travagli del popolo tedesco. Tuttavia, non ero un 'urrà patriota'. Potevo intravedere un vero sentimento nazionale solo in un servizio a tutto il popolo, mettendo in disparte il proprio 'io'. Posso dire con coscienza che il lavoro di tutta la mia vita consisteva nel servire il popolo per mezzo sia del mio lavoro pastorale in senso stretto (che non mi veniva retribuito), sia della mia attività caritativa e sociale»: Berlino Plötzensee, 28 settembre 1943. Testo

  48. «L'esperienza della guerra mondiale, fatta sul e dietro il fronte, aveva rafforzato in me l'idea che un vero interesse nazionale poteva essere soddisfatto soltanto per mezzo di una vera organizzazione mondiale per la pace. Nel febbraio del 1917 avevo pubblicato un programma cattolico per la pace (ristampato, ad esempio, nel mio saggio L'unione cattolica e l'Internazionale cattolica; il volume è disponibile nella biblioteca statale); pensato su scala internazionale. L'ho sottoposto al giudizio del papa Benedetto XV il quale l'ha elogiato in una lettera inviatami nel giugno 1917; allo stesso tempo tale mio appello è stato salutato con entusiasmo anche dall'attuale papa, allora nunzio a Monaco. In base al programma per la pace avevo fondato l'Unione mondiale per la pace della Croce Bianca. Come suo portavoce appoggiavo l'impegno di Benedetto XV per un accordo di pace, il cui fallimento ebbe come conseguenza la pace forzata di Versailles. Avevo anche partecipato con l'approvazione del governo alla conferenza per la pace di Berna (ottobre 1917), prendendo parte ai lavori della commissione per l'educazione»: Plötzensee, 14 settembre 1943. Testo

  49. «Sono un sacerdote cattolico, e lo sono con anima e corpo. Tuttavia la mia forma mentis non corrisponde all'idea che di solito uno si crea quando si immagina un prete. L'essere un funzionario di culto, il rivolgere le spalle al mondo, il distanziarsi dalla vita, la ristrettezza dello spirito, il legalismo e il tradizionalismo -- tutto questo mi è completamente estraneo. Sono un uomo di giudizio indipendente, che ha un attivo interesse per ciò che avviene nel mondo. Il mio atteggiamento religioso è dominato del tutto dall'idea del Regno di Dio, dall'ethos del Vangelo, che avevo cercato di mettere in pratica nella mia vita personale e che, per un periodo della vita, avevo difeso di fronte ai singoli individui e alla società. Sin dall'inizio mi sono occupato di tutti i problemi sociali ed etici, in particolare anche delle questioni riguardanti la corrispondenza di un ordine economico, statale e nazionale all'ethos cristiano. Impegnandomi in tale direzione non mi sono mai lasciato influenzare politicamente. Proprio e soltanto nella personale indipendenza da tutti i legami e i riguardi mi sembrava di soddisfare alla vocazione sacerdotale. Malgrado mi consideri un sacerdote senz'altro fedele alla Chiesa e come tale venga visto anche dagli altri, avevo assunto anche all'interno della Chiesa un orientamento spirituale indipendente, opponendomi ad ogni zelotismo, fariseismo e ad ogni tipo di aspirazione al potere politico, sforzandomi di raggiungere un comportamento essenzialmente religioso, corrispondente agli ideali del Cristianesimo primitivo»: Plötzensee, 14 settembre 1943. Testo

  50. Il fungo atomico sprigionatosi sopra Hiroshima e Nagasaki dopo il lancio della bomba atomica, il rogo nucleare, cioè, che in pochi minuti ha spazzato via tutte le antiche certezze, non ha, purtroppo, ridotto in fumo le oscure tendenze alla violenza, alla disumanità, e anche all'autodistruzione, che ancora sottilmente minacciano l'intero nostro pianeta. Siamo nel 1965, quando papa Paolo VI rivolge all'Assemblea delle Nazioni Unite il seguente appello: «Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili specialmente, che la scienza moderna vi ha dato, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano il modo di pensare e di sentire dei popoli». Testo

  51. Per la ferma intenzione delle forze alleate di portare alle estreme conseguenze la 'guerra totale', colpendo e logorando materialmente e moralmente le truppe combattenti e, con esse, anche i centri produttivi e le popolazioni civili, il 1943 inizia sotto il segno della sconfitta degli eserciti dell'Asse, costretti alla ritirata su tutti i fronti. Testo

  52. «I militari tedeschi durante la ritirata hanno tenuto il più deplorevole contegno verso l'alleato italiano. Dalle isbe, a mano armata, venivano cacciati i nostri soldati per far posto a quelli tedeschi; dai nostri autocarri venivano fatti discendere nostri soldati, anche feriti, per far posto a quelli tedeschi; dai treni carichi di nostri feriti venivano sganciate le locomotive per essere agganciate a convogli tedeschi.... Dopo il ripiegamento i Tedeschi su autocarri o su treni schernivano, deridevano e dispregiavano i nostri soldati che si trascinavano a piedi nelle misere condizioni che abbiamo descritto; quando qualcuno tentava di salire sugli autocarri o sui treni, spesso semivuoti, veniva inesorabilmente colpito dal calcio del fucile e costretto a rimanere a terra» da un rapporto dello Stato Maggiore Italiano sull'alleato germanico: cf. A. Brancati, Fare storia, Firenze 1985, p.468 Testo

  53. In una lettera alla sorella Judith Maria, riferendosi a un distruttivo bombardamento effettuato dagli alleati sulla città, Metzger scrive: «Dio ci salvi, anche se a noi dovesse toccare la stessa sorte di Amburgo» Lettera del 31 luglio 1943. E ancora: «Pare che la chiesa sia stata distrutta dall'incursione aerea, così la mia speranza di poter assistere alla santa messa è scarsa. Vedremo.»: Plötzensee 14 settembre 1943. Testo

  54. Nella primavera del 1944, il lunedì è riservato alla decapitazione di 30 detenuti. Alcuni apprendono solo qualche giorno prima che è giunta la loro ora, altri vengono a saperlo all'ultimo momento, tutti vivono la settimana nell'angosciosa incertezza che stia per arrivare il loro turno, consapevoli che le vittime si trovano fra di loro. Metzger conosce nel dettaglio il rituale di morte che si ripete implacabile; ha negli orecchi il rimbombo della ghigliottina che, come a prepararsi, nel giorno 'della morte' rulla ogni tre minuti; e ha negli occhi la desolante visione degli sventurati che avanzano in fila, lenti e come smarriti, verso il patibolo. Poi, quando torna il silenzio, più fragoroso si fa il battito, nel cuore dei reclusi. E l'attesa ricomincia. Testo

  55. Valga a dare un'idea, seppur piccola e lontana, del clima di abbandono e di offesa che i condannati respirano nel braccio della morte, un convincimento, spesso apertamente dichiarato, del capo delle SS, Heinrich Himmler, zelante organizzatore dei campi di concentramento: «Che le nazioni vivano in prosperità o muoiano di fame come bestie, a me importa solo nella misura in cui avremo bisogno degli appartenenti ad esse come schiavi per la nostra civiltà; altrimenti, per me sono prive di ogni interesse»: cf. A. Brancati, Fare storia, cit. p.465 Testo

  56. Anche nel chiuso della cella, i rumori come soffocati e i silenzi come amplificati avvertono Metzger che la situazione, dentro e fuori, è diventata tragica e tristissima. Così scrive: «Alla fine non sono giunto al Moabit, ma al Plötzensee. Pare che gli edifici all'interno [della prigione] non siano eccessivamente affollati» Plötzensee 14 settembre 1943. E non si sbaglia. Gli ingenti danni provocati dai bombardamenti anche sulle prigioni, danni materiali e umani, considerato che ne restano vittime anche molti detenuti, anziché bloccare le esecuzioni capitali, le accelerano e le intensificano nei tempi e nella quantità. La settimana precedente il suo arrivo nel carcere di Plötzensee ha registrato l'uccisione di circa 300 persone. Si è di fronte a una strage sistematica messa in atto in ogni prigione nazista se, dalla deposizione del comandante del campo di sterminio di Auschwitz, Rudolf Höss, si rileva quanto segue «alla fine dell'estate del 1942, cominciammo a bruciare i cadaveri, prima su cataste di legna -- 2000 circa -- poi nelle cave, insieme a quelli che erano stati sepolti. Versano su di essi nafta e metano. I cadaveri venivano bruciati incessantemente di giorno e di notte. Alla fine dell'anno furono vuotate tutte le grandi fosse comuni che contenevano 107.000 vittime: cf. A. Brancati, Fare storia, cit. p.472 Testo

  57. «In questi tempi, quando ogni notte potrebbe essere l'ultimo momento di vita su questa terra -- proprio in questi giorni ci sono ogni notte gli attacchi aerei degli inglesi --, la separazione fisica si percepisce in modo particolarmente doloroso. Si vorrebbe condividere la preoccupazione con 'quelli che stanno vicino'. D'altra parte, però, è consolante sapere che su tutti noi c'è la stessa mano del Padre; in Lui vengono superate tutte le distanze»: Lettera del 26 agosto 1943. «Certo non ho potuto e non posso scuotermi di dosso la preoccupazione quando di notte passano sopra di noi gli aerei diretti a Berlino. Posso soltanto pregare, benedire e confidare»: Brandenburg, 30 dicembre 1943 (arrivata a Berlino il 24 febbraio 1944). Testo

  58. «D'altra parte ho la forte e chiara consapevolezza di essere mandato. Molto presto è cresciuta in me, in modo sempre più evidente, sempre più impetuoso, la convinzione di dover svolgere un grande compito nel mondo, un compito per il Regno di Dio, e proprio in relazione al mio concreto modo di vivere. Certo, l'impulso e la consapevolezza di essere stato chiamato a un grande compito sono stati molto più forti di quanto abbia mai manifestato esternamente. Mi vergognavo, infatti, conoscendo i miei limiti intellettuali e pratici, di lasciar trasparire quali grandi idee nutrissi, quali possibilità mi attribuissi nonostante conoscessi chiaramente i miei limiti. La caratteristica sulla quale si fonda la mia vocazione è proprio l'universale, ciò che abbraccia il mondo intero. Tutto ciò che mi viene affidato come compito concreto mi appare troppo limitato nello spazio. (Ricordo ancora come respinsi l'idea di poter un giorno diventare vescovo, poiché sarei stato vincolato ad uno spazio tanto piccolo...). Il limitarmi a un solo compito contrasta con lo slancio verso il grande, verso l'universale, che è proprio la nota distintiva donatami da Dio»: Brandenburg, prima domenica di Avvento 1943. Testo

  59. ««Quelli che stanno vicino» sono, nel senso letterale del termine, coloro che stanno con me intorno all'altare, ma che sono anche in comunione con Cristo e che, in Lui, sono profondamente uniti tra di loro. Dobbiamo sforzarci per diventare ogni giorno sempre di nuovo consapevoli di ciò che significa essere chiamati, per mezzo della purificazione nel sangue di Cristo, alla vita nuova; e coltivare la comunione «per Cristo, in Cristo e con Cristo», comunione di amore sulla terra, che dovrà poi continuare e giungere a perfezione nell'altra vita, perché tutti aneliamo ad essere con Cristo (Fil 1,23)»»: Lettera del 26 agosto 1943. Testo

  60. «Naturalmente non è sempre facile pronunciare questo 'Abbà' -- parola che rappresenta, penso, la quintessenza di tutta la fede cristiana --, in quanto esso costa, giorno dopo giorno e ora dopo ora, le forze dell'anima. Ma con la grazia di Dio spero di farcela»: Lettera del 30 settembre 1943. ««Anch'io ho fede, però qualche volta arrivo perfino a dire: «Signore, vieni in soccorso della mia incredulità». Anche se nelle fede dico il mio , non è facile rimanere per quasi sei mesi in una cella angusta, sempre incatenato e senza il contatto con una parola 'umana' -- l'unico con il quale di tanto in tanto posso scambiare qualche parola è il parroco, e proprio con lui non ho una grande intesa spirituale --; in queste condizioni si ha sete di vedere qualche volta una persona cara e ci si sente oppressi quando il vicino di cella ogni mese riceve due volte la visita della moglie, quindi è stato visitato cinque volte da quando io ho ricevuto l'ultima visita». Brandenburg, (H)-Görden, 23 marzo 1944. Testo

  61. Nella capacità mentale e spirituale di resistere e reagire alle degradanti condizioni in cui versa, Metzer riscopre la forza rigenerante della grazia divina e la risposta profondamente umana e temperata della fede. Così, nella Lettera del 29 agosto 1943, scrive: «Se l'Apostolo si può vantare della grazia, che gli è stata concessa, di sapersi adattare a ogni situazione (Fil 4,2), allora devo ringraziare anch'io di questo dono. Oggi sono due mesi che sono stato privato della libertà. Ed ecco, devo render grazie -- 'semper et ubique' -- che durante tutte queste settimane ho potuto essere sempre lieto nel Signore. Lo devo certo anche alle vostre intercessioni, che spero mi vorrete donare anche per il futuro. Nell'epistola di questa domenica (1Cor 15) l'Apostolo esorta a rimanere saldi nella fede. Si tratta senz'altro di una grazia che tutti noi in modo particolare dobbiamo chiedere; noi tutti che viviamo in un mondo ostile alla fede. Finora nella vita non avevo mai sperimentato ciò che sperimento qui, e cioè come noi cristiani credenti siamo davvero isolati in questo mondo». Dopo aver descritto, quindi, il comportamento di una compagnia di detenuti i cui pensieri e la cui vita, ruotanti intorno ai piaceri tangibili come, per esempio, il fumo, gli appaiono del tutto lontani dall'ethos del Vangelo, conclude: «Sì, io non trovo che la mia fede sia stata minacciata in questo 'mondo', ma che, al contrario, sia stata sperimentata di nuovo come forza e grazia. Quanto più rifletto su tutto, tanto più mi rendo sempre più conto del fatto che, in ultima analisi, la vita senza la fede diventa assurda, mentre grazie alla fede tutto nella vita riceve un senso più profondo. Così gioisco di nuovo della mia fede. Possiate anche voi attingere dalla fede ogni giorno forza e benedizione». Testo

  62. Metzger sa che, anche quando sembra tutto perduto, si può ricominciare; sa che le traversie sono corredo della vita, ma ha esperienza che, dopo le più grandi bufere, torna comunque il sereno: «Leggete l'epistola di oggi: in essa trovo consolazione proprio come il grande Paolo. Ora sono di nuovo dov'ero prima, quasi nella medesima cella dalla quale posso almeno vedere il bosco e l'andirivieni della gente, avendo così un po' di contatto con la vita! Spesso guardo in lontananza... Ma non mi voglio abbandonare a cupi pensieri. Solo che questi affiorano facilmente quando si deve stare e anche scrivere incatenati. La mia preghiera è sempre ancora: «Abbà!» Se è possibile... però non la mia. Ma la Tua volontà sia fatta!» Brandenburg, (H)-Görden, 16 dicembre 1943. Testo

  63. Cf. Mt 26,42: «E di nuovo, allontanandosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà»». Le parole sono di Gesù che, nel Getsemani, subisce la prova più dura della sua vita. Dopo aver cercato inutilmente conforto dai discepoli, inconsapevoli del suo travaglio interiore, in un'ardente preghiera al Padre trova la forza per aderire al suo volere e per offrirsi in sacrificio, a salvezza degli uomini. Testo

  64. Lettera del 14 novembre 1943. Nel riaffiorare del ricordo della logorante attesa del processo e della speranza, tanto faticosamente sostenuta e alla fine disillusa, di essere ascoltato, Metzger svela di essersi ancora una volta affidato al Padre, con tutte le sue fragilità e i suoi desideri. Testo

  65. Metzger lo ha sempre proclamato nel corso del suo magistero e lo ha anche scritto: «Il Cristianesimo autentico è una garanzia di pace e una speranza nella pace. E lo è perché si fonda sulla incondizionata fedeltà al Cristo che, unico, è «Giustizia, Amore e Pace»»: cf. Der Weltkrieg -- Bankerott oder Triumph des Christentums? (1917), in ID, Friede auf Erden. Ein Aufruf zur Völkerversöhnung, Verlag Volksheil, Graz 1918, pp. 15-16). «Il Cristianesimo autentico è garanzia e speranza di pace. Il vero Cristianesimo è consolazione e aiuto nella miseria della guerra. Il vero cristianesimo è anche la luce che rischiara il buio, pieno di disperazione, del conflitto mondiale e le paurose domande: Che senso ha la guerra mondiale? [...] Il Cristianesimo che attende fiduciosamente la provvidenza di Colui senza il volere del quale, secondo quanto dice Cristo, non cade un capello dalla testa del giusto, offre la luce anche nella questione della guerra, permettendo che la sottile sensazione di orrore possa legittimamente assalire il cuore. Dio non vuole la guerra»: (ibid.). Testo

  66. «Ma l'uomo che vive nella fede lo sa: la vita e la morte provengono parimenti dalla mano del Padre e sono quindi unite a noi da vincoli 'fraterni'. E ciò che proviene dall'amorevole mano paterna di Dio è 'buono', anche se il figlio non ancora maturo non è in grado di comprenderlo subito. Dunque chi è consapevole che la morte non è soltanto 'fine', ma anche -- e molto di più -- 'inizio', una porta della vera vita 'eterna', uno così, senza essere stanco della vita, può amare e salutare la morte con le parole: «Salve, sorella morte»»: Riflessione senza data. Testo

  67. «Il tempo di raccoglimento e di conversione del cuore che Egli ci offre -- in primo luogo! -- come grazia nella solitudine feconda della cella, non è forse già un pegno del Suo amore salvifico, che ci vuole chiamare alla Casa? Se accettiamo fiduciosi la guida misteriosa della nostra vita, se ci prepariamo a pronunciare il grande 'sì' alla santa volontà di Dio, allora valgano anche per noi le parole del grande discorso sul giudizio che Egli rivolge ai Suoi discepoli: «Quando incominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina!» (Lc 211,25)»: Riflessione senza data. Testo

  68. Cf. Mc 7,15: «Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono le cose che escono dall'uomo a contaminarlo». Non condizionanti e incontrollabili forze esterne, rendono l'uomo indegno di Dio e nemico ai suoi simili, ma le malvagità e i peccati che procedono responsabilmente dal suo cuore. Testo

  69. Cf. Lc 23,34 : «Gesù diceva: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Le prime parole di Gesù in croce sono di perdono per i suoi crocifissori e per il ladrone pentito. Testo

  70. Cf. Gv 6,63-64: «É lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla ; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». La parola di Dio crea salvezza e vita nuova (Sal 107; 144), è verità (Ef 1,13) e liberazione (Gc 1,21), ma spesso l'uomo non l'ascolta, né se ne fa esecutore come, invece, Giacomo esorta vivamente a fare (Gc1,22). Testo

  71. Sullo scenario contemporaneo, ancora la visione, in troppe parti del mondo, di un'umanità terribile e violenta, potente ed energica, ma oscurata nella ragione, stravolta dall'odio e pervasa da sentimenti di rancore e di vendetta; di un'umanità inquietantemente protesa a tener vivi focolai di conflittualità esplosiva, di annientamento, nell'intenzionalità, non solo degli individui, ma anche dei valori più consolidati e delle forme organizzative più sperimentate. Testo

  72. «Senz'altro tranquillizzerà te e anche tutta la famiglia poter sapere che per grazia di Dio, certamente anche in seguito alle vostre preghiere, non ho ancora passato qui nessun vero momento di torbidezza, sebbene, ovviamente, il cuore -- quanto esso sente la gioia di vivere e quanto è affamato di vita! -- si ribelli contro il volere spirituale. Che il Signore mi possa concedere la grazia della fedeltà fino all'ultimo»: Brandenburg, (H)-Görden, 12 novembre 1943. Testo

  73. «La mia forza e la mia vocazione, però, stanno proprio nella sintesi, nella veduta d'insieme, nel collegare molte cose, pensieri, piani, gruppi, ambienti e via dicendo. E in queste settimane di tranquilla riflessione, più d'una volta ho pensato che forse potrò avere ancora occasione di mettere a profitto questa mia forza in modo diverso rispetto al passato. Magari il superamento della paura della morte, attraverso il dileguarsi dell'umana paura, doveva darmi la capacità di compiere ciò che non sarei stato in grado di fare in passato...? Ah, l'uomo progetta... Nell'ora della morte io devo ancora fare 'progetti', progetti universali, secolari... Per scendere con loro nella tomba? Forse -- magnum voluisse sat est -- o forse no. Ad ogni modo è Dio che dispone. Nel Credo di 'Paolo della Divina Provvidenza' questo è tra i primi articoli di fede. Egli mi ha protetto in queste settimane difficili, conservandomi coraggio, forza e letizia»: Brandenburg, prima domenica di Avvento 1943. Testo

  74. «Ho scritto in parte un ampio trattato teologico sui principi basilari della Societas Christi Regis; dovrebbe essere una piccola sorpresa per voi nel giorno del 25° anniversario [della Società]. Spero di riuscire a completarlo e di ottenere il permesso di spedirlo. Il lavoro mentale che mi è concesso di fare mi è di grande consolazione. Ho anche un altro progetto. Sto traducendo in tedesco la Lettera ai Romani in modo che possa essere veramente leggibile. Purtroppo, però, finora non ho ancora potuto avere il testo originale, ossia il Nuovo Testamento in greco, ma spero di ottenerlo. Credo che allora farò un lavoro fondamentale»: Brandenburg, (H)-Görden, 23 marzo 1944. Metzger si riferisce al suo Trattato teologico, del quale scrive la stesura definitiva il 27 marzo 1944, tre settimane prima della sua morte. Non fa invece in tempo a completare la traduzione della Lettera ai Romani. Testo

  75. «Ecco la meta di questa vita -- si legge in una Riflessione, senza data -- «morti», «crocifissi» e risorti con Cristo, possiamo partecipare alla sua gloria eterna (2Cor 2,10.14.17; 6,14; Col 3,2; 2 Tm 2,11; 1 Pt 5,10; Ap 3,20; 7,9 ss e altrove. Davvero, noi cristiani non siamo come i non credenti, che «non hanno speranza» (1 Ts 4,13): nel mezzo della morte, siamo circondati dalla vita». Testo

  76. Così Metzger scrive in un foglietto stenografato da poco rinvenuto, in cui espone le sue riflessioni sull'importante tema ecclesiologico della visibilità e dell'invisibilità della Chiesa. Vi si legge, tra l'altro: «Coloro che non vengono raggiunti dai messaggeri di Cristo, anche questi, alla luce dell'universalismo della salvezza, sono 'chiamati' e grazie all'universalismo della volontà salvifica di Dio, verranno resi beati a condizione che non siano loro stessi a impedire ciò con le loro colpe. Non sappiamo che cosa chiede loro il Signore, qual è il presupposto del riconoscimento della loro appartenenza al Suo Regno. A ogni modo, essendo Dio santo e giusto, Egli non chiederà nulla di ciò che andrebbe oltre le loro forze. [...] Tutti coloro che nella coscienza personale corrispondono alla chiamata di Dio saranno riconosciuti dal Signore. Sono membri della 'Chiesa' nonostante la loro appartenenza a Dio non potrà essere conosciuta esteriormente, anche se non prenderanno parte al visibile organismo sacro fondato da Cristo come strumento ordinario di mediazione della salvezza; la 'Chiesa invisibile'! [...] Questa Chiesa invisibile non è perciò un'altra Chiesa, diversa da quella visibile fondata da Cristo. [...] Appare, dunque, in modo chiaro che, quanto alla 'Chiesa', l'essenziale non è la sua visibilità, ma che fondamentalmente decisiva diventa piuttosto l'appartenenza (invisibile) per mezzo della fede e della carità. In altre parole: la Chiesa invisibile non è un sogno vago, essa non è qualcosa che sta al margine della Chiesa, ma è invece il centro della sua essenza. Si può appartenere a Cristo e divenire beati (essere, appunto, membri della comunità dei santi, della Chiesa!) come membri della Chiesa invisibile senza arrivare a divenire membri della Chiesa visibile; al contrario, non si può giungere alla beatitudine come membro della Chiesa visibile, senza essere membro della Chiesa invisibile, ossia senza possedere l'amore che crede o la fede che ama, quella fede che costituisce la invisibile, interiore appartenenza a Dio, vale a dire la Chiesa invisibile»: Lettera del 29 novembre 1943. Testo

  77. Cf. Gal 3,28: Non vi è più Giudeo né Greco, non vi è schiavo né libero, non maschio o femmina, ma tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù. Testo

  78. «Insieme al nostro popolo stiamo attraversando tutti una dura prova e non ci rimane che pregare per poterla superare con cuore intrepido e con lieta fiducia in Dio. Possa questo periodo giovare alla salvezza del nostro povero popolo. Così almeno non sarà vano ciò che oggi opprime tutti noi così tanto. Ci saranno ancora giorni brutti da affrontare, ma «tu che abiti al riparo dell'Altissimo...» Sì, questa è la mia consolazione. [...] Nessuno, però, può rinnegare il proprio mandato. Vi prego, cercate di comprendermi e, pregando, continuate a chiedere per me quello che certamente anche per vostra intercessione mi è stato finora concesso di avere: il cuore lieto e la fedeltà interiore. Parimenti voglia il Signore concedere tale dono a tutti voi. [...] Anche qui a Berlino ci aspettano giorni amari. Stando a calcoli puramente umani, la cella in cui mi trovo è abbastanza protetta dall'alto edificio dirimpetto che delimita l'angusto cortile. Tutto ciò, ovviamente, non vuol dire ancora niente. Se per volontà di Dio non ci dovessimo più vedere, mi rimane solo un unico desiderio: che conserviate tutti, fino all'ultimo, la fedeltà al Kyrios e che, con la vostra vita e i sacrifici, rendiate testimonianza della 'Pax Christi in regno Christi', lavorando per la sua attuazione. Egli deve regnare sovrano nel mondo e allora la salvezza raggiungerà tutti gli uomini»: Lettera del 19 agosto 1943. Testo

  79. In una lettera datata Avvento 1939, scritta dunque nel corso della sua seconda prigionia, che si protrae dal 9 novembre al 4 dicembre 1939, Metzger così si esprime: «I travagli del nostro tempo -- ed è per mezzo di essi che Dio ci parla -- impongono urgentemente l'estremo sforzo per superare la lacerazione della Chiesa di Cristo, onde attuare efficacemente, in tutto il mondo, il Suo Regno della pace. Forse proprio per questo ci hanno colpito le sventure dell'ora presente, e ci umilieranno in modo ancora più pesante, affinché tutti noi possiamo finalmente pervenire a una grande metanoia, abbandonando le vie dell'autogiustificazione, dell'accecamento e della superbia, per ritornare pienamente a Cristo, Principe della pace, Re dell'amore». Testo

  80. Cf 1 Cor 12,27. «Potete immaginare -- si duole Metzger nella Lettera del 30 settembre 1943 -- quanto mi manchi la santa messa quotidiana»; e in un'altra lettera di poco posteriore (14 novembre 1943) si rammarica: «Nella festa di Cristo Re ho dovuto fare a meno dei sacramenti, sacrificio per me molto doloroso, pur essendo consapevole che quel giorno il Signore non mi era per questo meno vicino»; successivamente, grato, sospira «Grazie a Dio, ogni otto giorni ricevo la santa Comunione e anche una parola rinfrancante, della quale un uomo come me, così affamato di vita comunitaria, ha proprio bisogno, per quanto si rallegri della benedizione della solitudine»: Lettera del 16 dicembre 1943. Testo

  81. Sicuramente risulta ai presenti oltremodo dignitoso e degno di ammirazione e rispetto il contegno che Metzger assume e conserva durante tutto il processo, nel momento in cui ascolta il verdetto della sua condanna a morte e nel corso dell'incontro subito successivo con due sorelle, se egli stesso può più tardi scrivere: «Con lo sguardo cercavo sempre e soltanto le due care sorelle; non per chiedere aiuto a loro ma perché mi facevano pena, sapendo che soffrivano sicuramente più di me. Fu per me una grande gioia l'aver potuto ancora parlare con loro dopo la condanna. Certo, fu una grazia che durante quell'incontro, al quale era presente pure il Dr. Hirt, canonico di Freiburg e rappresentante dell'arcivescovo, fossi io quello che seppe dare conforto agli altri. La guardia, molto umana, presente alla conversazione, mi confidò di essersi meravigliata di quanto avessi potuto dire agli altri in quel momento. Tutto questo fu una grazia, una grande grazia, che conservai anche nelle settimane successive»: Lettera del 14 novembre 1943. Testo

  82. Cf. Gv 10,27-28: «Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano». Testo

  83. Nel vuoto sterile che lo circonda e nel senso di desolato abbandono che lo invade, Metzger pensa, forse, che sono molte le lande desolate che, impietose, si distendono a desertificare tanta parte dell'esistenza degli uomini: l'egoismo, la malvagità, l'iniquità, l'ingiustizia, l'ingratitudine, la calunnia. Ma poi, cultore della Parola, considera anche che se il deserto è il campo degli emarginati e dei perseguitati (Gn 21,14; 1Mc 2,29) e il domicilio degli spiriti maligni (cf. Mt 12,43), è altresì il luogo del rifugio e della protezione (Os 2,14): non a caso l'annuncio del Regno di Dio comincia con la predicazione del Battista nel deserto (Mt 3,1), dove anche Gesù si ritira per prepararsi, con la riflessione e la preghiera, alla sua missione pubblica (Mc 1,12-13). Testo

  84. Nel suo servizio sacerdotale egli ha predicato tante volte ciò di cui, ora, ha diretta esperienza: Dio, che è Padre buono (Mc 10,18) e provvidente (Lc 12,24), si fa costantemente incontro alle sue creature per aiutarle e sostenerle. Dove c'è Dio imperano la fedeltà e la costanza (Rm 11,29) la perseveranza e la consolazione (Rm 15,5), la speranza (Rom 15, 13), la pace (Rm 15,33), la verità (Gv 3,33), la risposta ai bisogni (Mt 7,11). Testo

  85. Contattato dal regime attraverso l'invio dell'opuscolo Ai cattolici della Germania, e da tate gesto implicitamente sollecitato a rivedere le proprie posizioni, Metzger si rifiuta senza mezzi termini, pur prevedendone le conseguenze, di collaborare al progetto nazista di unificazione delle 'chiese cristiane', che, propagandato come movimento di rinnovamento e di unificazione del popolo tedesco, nelle reali intenzioni di Hitler e dei suoi seguaci, mira a creare un'unica grande Chiesa nazionale tedesca, asservita al sistema di potere. E allarga ancor più i confini, ad accogliere e armonizzare le voci più diverse, al fine di una riconciliazione ecclesiale di tutta l'umanità. Ne è una testimonianza la Lettera di Commemorazione dei Defunti scritta il 2 novembre 1943 in cui, dopo aver ricordato che a spingerlo a istituire la Societas Christi Regis è stata la situazione di emergenza della Chiesa di Cristo e il bisogno di creare uno strumento idoneo al suo rinnovamento, esplicita: «Tale strumento doveva essere la Societas Christi Regis, quale comunità di esempio, di supporto e di servizio all'interno della Chiesa stessa, le cui finalità dovevano essere le seguenti: lavorare metodicamente sull'educazione ad un discepolato autentico di Cristo; promuovere lo spirito di carità e di sacrificio proprio dei primi cristiani; promuovere un apostolato veramente spirituale, facendo tutto questo sulla base di una riscoperta della Parola di Dio e del Sacramento del Signore -- vale a dire: di un movimento biblico liturgico -- e su .questa base collaborare poi alla soluzione dei grandi problemi su scala mondiale, riguardanti la creazione di un giusto ordine sociale sia intra che interstatale e, soprattutto, per mezzo di tutto ciò, realizzare l'Una Sancta così come la vuole il Signore e come ne ha bisogno il mondo». Testo

  86. Cf. Gv 13,34: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Il comandamento dell'amore è la vera essenza del Vangelo in quanto ricapitola e rende palese il significato della missione di Gesù, espressione incarnata dell'infinita bontà di Dio verso l'umanità peccatrice. Testo

  87. Cf. 1 Cor 13, il glorioso inno alla carità cristiana, celebrata come amore di dilezione che ha la sua sorgente in Dio, che ha amato per primo e vuole il bene di tutti. Testo

  88. L'ultima infausta prigionia di Metzger, ricostruita per la massima parte sulla base delle lettere che, faticosamente, stretti i polsi da pesanti catene, scrive in carcere, restituisce una figura di uomo con le sue naturali fragilità e i suoi sospirati desideri, ma anche la luminosa immagine di un individuo che dà amore e chiede comunione, che dona la sua vita anche quando aspira a viverla in tutta la sua completezza e che, mentre anela ardentemente al fare, per sentire di essere, accetta il suo destino e lo giustifica: «Forse è necessario che io debba prima sacrificare la mia vita e venir nascosto nella terra come il granello di senapa, perché solo così potrà maturare quel frutto che non poteva svilupparsi durante la mia esistenza terrena»: da Commemorazione dei Defunti, 2 novembre 1943. Il viaggio lungo e spossante che il sacerdote cattolico è costretto a intraprendere, varca i confini dello spazio e del tempo, infrange steccati e recinti e addita approdi liberi e aperti, possibili a tutti, specialmente a quanti si raccontano una storia di ideali dirottati, di aspettative soffocate, di progetti interrotti. Lo scorrere cadenzato dei suoi giorni di prigionia squarcia gli abissi del dolore a spargere il seme della speranza, a dare significato alle esistenze più infelici, a restituire valore all'agire e al pensare degli uomini, a richiamare a una testimonianza coraggiosa della fede in chi, morendo per noi sulla croce, ha sconfitto per sempre la superbia del potere e della violenza con uno scardinante spirito di carità, di servizio e di sacrificio. Testo