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Pandora. La prima donna secondo la tradizione greco-classica

di Monia Andreani (2 ottobre 2012)

Il testo si propone di analizzare la figura della prima donna della tradizione greco-classica, Pandora moglie di Epimeteo (fratello di Prometeo), conosciuta universalmente come colei che inavvertitamente, compiendo il gesto di aprire un vaso ricolmo di vizi e di mali, li porta in seno all'umanità, fino ad allora pacificamente vissuta senza l'elemento femminile e in una mancata distinzione dalle divinità. Il vaso è diventato elemento della narrazione indistinguibile e indistinto rispetto a Pandora, e ha spesso sostituito la stessa figura femminile, rimasta nel tempo priva di contorni definiti. Che cosa c'è nella presentazione di Pandora che ci proviene dal testo originario di Esiodo? Quale funzione simbolica ha avuto nel costruire una storia dell'origine della distinzione tra esseri umani e esseri divini? Perché la tradizione che la lega al vaso dei mali è diventata così importante nel corso della storia dell'Occidente? Attorno a queste domande si cerca di sviluppare un discorso atto a problematizzare i diversi e contraddittori racconti del mito con strumenti che provengono dalla filosofia decostruzionista contemporanea e dal pensiero delle donne.

1. Introduzione

Nel luglio 1983 durante il Convegno Le donne e i segni, Christine V. McDonald1 rispetto alla complessità delle pratiche semiotiche concernenti le donne metteva in evidenza la questione della «generazione» nella sua articolazione cruciale di auto-generazione nella creazione, in un quadro di riflessione sulla scrittura. Ho voluto riprendere quell'accenno perché la figura alla quale mi sono accompagnata ha essenzialmente a che fare con la generazione della «razza» delle donne nella cultura greca, in una sorta di auto-generazione, ed è Pandora ovvero la prima donna dei poemi esiodei Teogonia e Opere e Giorni.2 La filologa Jane Harrison scriveva a proposito di Pandora:

Non c'è mito più noto di quello di Pandora, ma forse nemmeno più equivocato. Pandora è la prima donna, la meravigliosa origine del male. Apre una scatola proibita e ne fuoriescono tutti i mali dell'umanità; resta solo la speranza. Scatola diventata proverbiale: cosa tanto più degna di nota visto che non era affatto una scatola.3

Queste parole -- riportate dai Panofsky all'inizio del loro volume sulla fortuna del mito di Pandora -- ci mettono in guardia su un'equivocità del racconto che ha tuttavia il punto focale di origine nella duplice narrazione iniziale. Sarebbe davvero difficile cercare una presunta essenza e staticità, unidirezionalità della figura, e non avvicinarsi al mito di Pandora con l'intento del genealogista nietzscheano4 che ci conduce tra le parti più oscure dei testi, tralasciando ad esempio gli approfondimenti delle intenzioni giuridico -- normative che riguardano il ruolo della donna nella composizione degli Erga.5 Seguendo le orme del genealogista -- personaggio concettuale6 foucaultiano -- è possibile intraprendere una lettura genealogica, un approccio all'emergenza di Pandora che tenga bene a fuoco il momento dell'apparizione di questa figura come momento singolare della sua nascita da indagare nella sua assoluta singolarità. Si tratta di una singolarità senza precedenti all'interno della stesura dei due poemi, l'unica apparizione che viene narrata come nascita mentre permane l'indistinzione tra esseri umani e divinità.7 Origine che non è una nascita e che si pone come problema. Michel Foucault rispetto alla ricerca dell'origine così si esprime:

è tentare di ritrovare 'quel che era già', lo 'stesso' di un'immagine esattamente adeguata a sé; è considerare avventizie tutte le peripezie che hanno potuto aver luogo, tutte le astuzie e simulazioni; è cominciare a togliere tutte le maschere, per svelare infine un'identità originaria.8

Analizzare l'entrata in scena della figura di Pandora è prestare attenzione alle peripezie, alle simulazioni e alle sedimentazioni che fanno pezzo a pezzo una figura, «a partire da figure che le erano estranee»9 nel momento della sua presenza, della sua attualità senza un passato a cui iscrivere un'unica origine.

Con Esiodo ha inizio la tradizione scritta attorno alla questione dell'origine, tuttavia considerare la Teogonia come la nascita del problema ionico dell'origine risulta azzardato. Intanto perché la questione delle origini non è considerata problematica dalla mitografia esiodea. Le figure aurorali e successivamente divine non sono fulcro di un'indagine delle condizioni di possibilità della loro stessa apparizione e delle loro azioni. Inoltre lo spazio narrativo e lo spessore riservato al momento dell'origine e alle forze che lo animano non è centrale nel racconto. La Teogonia è un poema delle origini in cui la nascita cosmogonica come traccia delle sedimentazioni mitiche più antiche e tramandate nella tradizione aedica,10 si mescola e si perde quasi completamente trasformandosi in una teogonia. Buona parte del poema si consuma nella lotta per la dominazione e la supremazia, mettendo in disparte l'intento genealogico che viene poi circoscritto alla figura di Zeus e alla sua celebrazione.11 Se il problema delle origini non assume il carattere mitologico che sarebbe e sarà successivamente proprio di una riflessione filosofica sulla produzione mitografica, comunque in Teogonia e nelle Opere e i Giorni non si tratta di ciò che scriveva Foucault, con intento polemico nei confronti della metafisica:

L'origine è sempre prima della caduta, prima del corpo, del mondo e del tempo; è dal lato degli dei, e a raccontarla si canta sempre una teogonia.12

Il riferimento all'origine ha a che fare in Teogonia con una rappresentazione molto umana del «pòlemos» divino perché da un lato nel poema si mette in scena una successione violenta di rovesciamenti di potere e di sostituzione di sovrani, in particolare nell'articolarsi della storia di Crono, e da un altro lato invece, con la figura di Zeus, si descrive il consolidarsi della gerarchia.13

Inoltre il principio di differenziazione cosmogonica in Teogonia è rappresentato da Gaia, la madre primordiale: «de sa naissance initiale dépendent celle des autres dieux [...] l'existence des hommes, issus de Terre au même titre que les dieux, et plus généralement, l'ensemble des êtres, à l'exceptions des descendants de la Nuit».14 Nella sua materialità elementare di terra, Gaia è collegata nelle Opere e i Giorni esplicitamente alla origine degli uomini.15 La catena genealogica ha inoltre un sicuro punto di riferimento nell'inserimento della figura di Pandora e delle sue discendenti. Negli Erga la donna deve prendersi carico delle sue funzioni di procreatrice perché l'uomo possa assicurarsi una discendenza. Addirittura il Catalogo delle Donne16 esiodeo giunto in maniera frammentaria ma di cui si ha menzione in moltissimi autori e testi dell'antichità, era propriamente un lungo discorso genealogico. Genealogia in questo caso assume un carattere 'metafisico'17 ponendo un'origine che si fonda sui corpi -- che siano la terra madre o la materialità dei corpi femminili -- per assicurare un significato solido alla successione. La donna viene stabilizzata (ab-origine) nella sua funzione biologica, in una prospettiva che ne trascende la partecipazione fisica allorché se ne serve in maniera dialettica.

Usare il termine foucaultiano di 'analisi genealogica'18 risulta determinante al fine di scoprire pazientemente la presenza semiotica del femminile nella figura di Pandora e nelle sue articolazioni testuali, ma anche per utilizzare la stessa arma genealogica a ritroso, con una specie di rovesciamento nel profondo verticale del tunnel genealogico, dove una genealogia decostruttiva viene giocata versus una genealogia intesa in senso metafisico. Occorre fermarsi ad ogni tappa di questo percorso e scavare le fitte e superficiali radici orizzontali -- rizomatiche così come le individua il pensiero di Deleuze19 -- perché attorno ai nodi della catena genealogica si riesca ad evidenziare qualcosa di altro, occultato nelle maglie della tradizione, ma altrettanto interessante. La questione delle origini nei poemi esiodei e delle sue implicazioni con un discorso filosofico è assai complessa e non è questa di certo la sede per esaurirla ma occorre che sia accennata per via del coinvolgimento di Pandora come parte anche se secondaria di questo scenario.

Iniziamo dal nome: nella Teogonia la prima donna è anonima mentre nelle Opere è Pandora «perché tutti gli abitanti dell'Olimpo le donarono doni, rovina agli uomini industri».20 Questo passo è controverso e in contrasto con un'interpretazione filologica del nome che, dal punto di vista linguistico è un aggettivo composto avente funzione transitiva.21 Pandora sarebbe allora 'datrice di tutto' appellativo in opposizione apparente con l'elemento funesto che è il tratto funzionale della comparsa della prima donna. Il nome Pandora si adatta male a questa donna, anche se secondo alcune interpretazioni proprio nel nome si stabilisce un puntello semantico per avvalorare la tesi secondo la quale Pandora sarebbe l'umanizzazione avvenuta sul territorio greco attorno ai secoli precedenti l'ottavo -- quello a cui si fa risalire la scrittura dei poemi esiodei -- di una divinità femminile legata alla terra di cui l'epiteto Pandora è presente in altri autori arcaici.22 Secondo questa interpretazione il nome usato da Esiodo sarebbe una traccia fossile del mito che rimanda anch'esso alla narrazione mitica di una dea antica legata alla terra. In questo caso Pandora che è priva di ascendenza genealogica, non è nata ma plasmata con terra, sarebbe termine di una lenta metamorfosi, derivata da un'altra figura femminile.

Il legame metaforico costituito dalla terra è molto chiaro e pregnante nella rappresentazione greca pre-classica del femminile, si tratta di una produzione della donna per analogia -- da una parte e in contesto pre-agricolo -- il mistero della terra che ogni anno a primavera fa rinascere i suoi frutti; dall'altra e in un contesto agricolo -- il ruolo del campo connesso agli organi sessuali femminili.23

Il rapporto segno -- corpo e corpo -- segno, evocato dall'ambito metaforico, richiama ad una circolarità in cui il corpo precedente il segno -- il corpo femminile in questo caso -- ma anche l'ineluttabile elementare materialità della terra che precedono e sono contemporaneamente effetto del segno da cui sono espressi. Il segno linguistico risulta produttivo o per esplicitare il nostro riferimento a Judith Butler, addirittura performativo:

Il corpo, collocato anteriormente rispetto al segno, è sempre presupposto o significato come precedente. Questa significazione produce, come effetto della sua procedura, il corpo stesso che, contemporaneamente, sostiene di scoprire come ciò che precede la sua azione. Se il corpo inteso come anteriore alla significazione è un effetto della significazione, allora lo status mimetico o rappresentativo della lingua, che afferma che i segni seguono i corpi, loro necessari specchi, non è affatto mimetico. Al contrario, è produttivo, costitutivo, si potrebbe dire anche performativo, dal momento che tale atto significante delimita e delinea il corpo che sostiene di trovare prima di ogni significazione.24

Il potere di produrre effetti della performatività è costituito dalla ripetizione per cui è lecito riflettere sulle tracce di Pandora oltre la tradizione ma soprattutto attraverso essa per scandagliare tra gli interstizi e tra i punti interdetti della scenografia e della topografia del discorso esiodeo, e scoprire cosa ci disvela colei che è accreditata come la fondatrice della stirpe femminile.

2. Genealogia e Topologia: «ikélon» e «pithòs»

Che cos'è questa prima donna? Un oggetto plasmato, un manichino, scrive Esiodo in entrambe le versioni: un 'ikélon', un somigliante, non esplicitamente femminile e come osserva Nicole Loraux25 destinato a femminilizzarsi più avanti nella descrizione. Il termine 'ikélos' non stabilisce una rassomiglianza tra due oggetti, non è medio in una mimesi ma anzi è relato ad un contesto di metamorfosi così come avviene anche in Omero citato da Platone in Ione.26 Infatti propriamente la creazione di Pandora come manufatto di Efesto su ordine chiaro di Zeus non rientra in quella complessa successione di riferimenti e rimandi che è la questione dell'immagine a partire da una prospettiva platonica. La prima donna non ha modello quindi non vi è un 'eìdos' Pandora a cui far riferimento nella creazione e questo punto è testualmente espresso con chiarezza in entrambe le versioni del racconto esiodeo tanto da provocare paradossalmente interpretazioni controverse. La controversia si è sviluppata peraltro a proposito del verso in cui si dice, in maniera simile nelle due versioni del mito, che Pandora è un' «immagine di vergine (parthénos) venerabile, o casta».27 C'è infatti chi, come Loraux e Pucci28 propende per una lettura del passo intesa come se Pandora somigliasse ad una casta vergine nel divenire tale, ma poiché non c'era il prototipo di casta vergine, quasi come di fronte ad un'autofondazione nell'autoespressione della 'parthénos' che da quel momento diviene significante, perché il significante primo è Pandora. Poi c'è chi tende a considerare Pandora l'inauguratrice di una nuova forma di femminile in seno ad un'umanità diversa.29 In entrambe le versioni è evidente il carattere e la potenzialità di significante della prima donna, di auto-significante per via della sua somiglianza a qualcosa che lei stessa nel suo divenire produce nel testo. Secondo l'analisi di Casanova e Leclerc, in mezzo a quelli che Nietzsche forse chiamerebbe «animali non ancora stabilizzati»30 interviene la mediazione del femminile. In Teogonia è una vera e propria differenziazione dalla quale diventa chiaro il destino di chi è mortale rispetto a quello di chi non lo è.31 Nel quadro narrativo determinato dalla lotta tra Zeus e Prometeo proprio la discesa di Pandora segna la cesura tra le due serie: umana e divina di cui, nel racconto della Teogonia né Prometeo né Pandora fanno parte completamente. Il primo perché è un Titano e non è mortale anche se si schiera dalla parte degli uomini, la seconda perché è una produzione divina ed è stata fatta per portare sventura agli umani. Nelle Opere invece, secondo Nicole Loraux, Pandora da termine di cesura, viene rielaborata come elemento di mediazione divenendo utile per gli uomini pur restando sempre un male, 'kakòn'.32 Ma oltre Pandora come personaggio aurorale del femminile è precisamente la stirpe che da lei proviene ad essere introdotta come mediazione per la riproduzione sessuata. Di certo nell'umanità preesistente -- di fronte alla quale Pandora rappresenta la nuova donna -- la riproduzione doveva essere in qualche modo garantita dalla figura femminile:

è impensabile che per Esiodo l'umanità anteriore o non si riproducesse o si riproducesse in qualche modo strano. Niente di più estraneo al pensiero mitico di Esiodo e degli antichi Greci in generale. Bisogna allora concludere che Esiodo è in contraddizione con se stesso oppure si sbaglia? Non è il caso. Evidentemente bisogna intendere che Pandora è la prima donna vera e propria, la prima donna dell'umanità attuale, mentre le donne precedenti erano diverse.33

In cosa è nuova questa donna? È dotata di una bellezza straordinaria ed è agghindata da Atena, la dea artificiale per eccellenza, la vergine guerriera, che le cinge i fianchi con la cintura, simbolo di castità femminile. Afrodite dovrebbe entrare in scena, rispondendo agli ordini di Zeus, mentre non partecipa al gioco,34 eppure Pandora deve essere attraente -- è nei programmi -- e lo sarà al punto che Epimeteo dimenticherà di rifiutare il dono di Zeus, secondo il cauto consiglio di Prometeo suo fratello o alter-ego.

Non vi è l'amore sensuale che unisce Pandora ed Epimeteo, anzi se la fanciulla in entrambe le espressioni del mito fa la sua apparizione sembrando molto simile ad una casta vergine, successivamente come fondatrice della genia delle donne «génos gynaikôn» verrà trasposta in un contesto matrimoniale e di generazione.35 Pirra che è, secondo un frammento del Catalogo delle Donne, figlia di Pandora,36 assieme a Deucalione figlio di Prometeo, entrambi una sorta di prototipi umani, dopo il diluvio, genereranno uomini e donne dalle pietre, senza amore, senza l'intromissione di Afrodite,37 nel pieno del loro dovere di genitori dell'umanità rinnovata.

Per ora tra le pieghe del racconto abbiamo portato alla luce ramificazioni secondarie estremamente interessanti: Pandora è nuova in quanto ingenerata e sicuramente fondatrice di una stirpe femminile piegata alla logica dell'assicurazione della successione genealogica senza la mediazione del desiderio. Si può obiettare e con buone ragioni che non era certamente in gioco per i Greci il desiderio o il piacere femminile, tuttavia quello che non torna nel discorso esiodeo attorno a Pandora è comunque costituito dall'atmosfera languida in cui la fanciulla si muove, dotata di un'indole ingannatrice e di discorsi astuti che catturano il malcapitato e lasciano nell'aria come una presenza in sordina di Afrodite.38 Questa prima donna è un manichino, un' automa che risulta dotato di una sua autonomia per via dei doni che riceve ed usa, non è certamente la pallida figura giunta fino a noi che apre passivamente la scatola dei mali.39 Resta il problema che da un punto di vista topologico con il suo statuto testuale di 'ikélon' Pandora è un'immagine esteriore, una forma tridimensionale creata con la terra. Per plasmarla Efesto si serve di argilla, di una terra speciale propria della produzione artigianale e non di terra autoctona come quella presa e impastata dagli artefici del corpo umano nel Timeo di Platone.40 Oltre alla mancanza di modello ideale la differenza tra le due creazioni sta nella tipologia della materia da lavorare e in quella del metodo usato che confermano la specificità e alterità della prima donna rispetto alle creature forgiate dagli artefici. Inoltre la terra con cui viene formato il rivestimento esterno del corpo umano nel racconto platonico viene cotta,41 mentre Pandora non potrebbe subire questa procedura costituendo lei stessa un fuoco metaforico destinato da Zeus contro gli uomini a riscatto del fuoco sottratto da Prometeo.42

Se la vergine del mito è un fuori, e un'immagine, l'elemento con cui è stata tramandata nella tradizione è un dentro, un orcio e non una scatola, e un orcio presumibilmente di terracotta come quelli usati dai greci per tenere riposte le provvigioni.43 In sottofondo sono sempre presenti i riferimenti alla terra a cui si accompagnano assi metaforici dedicati alla creazione artigianale44 che risultano efficacemente sintetizzati dall'apparizione del 'pìthos', che è essenzialmente un prodotto artigianale della quotidianità.45 Da un punto di vista strettamente topologico nelle metafore che riguardano il corpo umano nell'antica Grecia è esplicito il legame con un recipiente cavo come contenitore46 ed è noto il passo del Gorgia platonico in cui del legame metaforico con l'orcio viene addirittura investita una parte dell'anima:

Un uomo ingegnoso, forse siculo, forse italico, usando il linguaggio immaginifico dei miti, rappresentò, giocando sulle parole, questa parte dell'anima come un otre (pìthos) riferendosi alla sua docilità nel lasciarsi persuadere e ingannare e rappresentò i dissennati come dei non iniziati; e nei dissennati (anòetoi), quella parte dell'anima in cui risiedono le passioni, per la sua sfrenatezza e la sua incontinenza, la raffigurò come un otre forato, intendendo rappresentarne in questo modo l'insaziabilità.47

L'anima passionale è paragonata ad un orcio forato perché sia chiara la sua insaziabilità. Nel racconto delle Opere e giorni diversamente da quello che avviene in Teogonia entra in scena il 'pìthos' il cui coperchio viene aperto da Pandora.48 In Teogonia al posto di questa narrazione Esiodo inserisce una similitudine secondo cui le donne -- paragonate ai fuchi -- raccolgono smaniose dentro il loro 'gastèr' il frutto del lavoro delle api industriose a loro volta paragonate agli uomini.49 Inoltre nelle metafore arcaiche la morfologia non fallica del corpo delle donne veniva rappresentata con una sorta di spazio stabile e accogliente di ricezione, e identificata con l'utero, vero punto focale di interesse. Tra Pandora e l'orcio c'è un rapporto circolare di identificazione,50 nel momento in cui la donna si riempie lo stomaco vorace, la pancia dell'orcio si svuota, e allo stesso tempo il contenuto si disperde alzando il suo coperchio.51 Dentro l'orcio chiuso che è custodito nella casa di Epimeteo stanno i beni della vita del contadino e una moglie, che non condivida le regole di risparmio a cui il 'bìos'52 si è conformato, è pericolosa. La fortuna del racconto mitico secondo cui nell'orcio sarebbero stati rinchiusi i mali è una trasposizione. Non ci soffermiamo su questo punto e neppure sulla questione della Speranza che come unico bene nominato tra i mali anonimi sarebbe rimasta dentro la pancia del 'pìthos'. Il verbo usato da Esiodo per indicare la fuoriuscita del contenuto dell'orcio -- secondo un'interpretazione filologica -- mantiene fino all'età ellenistica il significato di disperdere e la dispersione si riferisce a beni e non a mali.53 Pandora è un male e un pericolo, perché apre la bocca dell'orcio e la richiude solo quando le viene consigliato da Zeus. Il gesto di aprire è assolutamente autonomo così come quello di usare della propria indole e di pronunciare 'lògoi' ingannatori.54 Pandora gioca a disvelare il velato e il misterioso che concerne l'orcio come contenitore e come metafora del suo stesso corpo, del mistero della potenzialità riproduttrice femminile. Apre la bocca del 'pìthos' come se fosse la fonte della sua stessa sessualità, da cui possiamo interpretare le volgarizzazioni del 'gastèr' insaziabile nella Teogonia, dove l'affare dell'orcio è taciuto secondo molti autori per la fama di cui godeva.55 Pandora è «un pìthos bellissimo ed eloquente, che tutti persuade -- ma incolmabile e insaziabile come le passioni del dissennato, del non-iniziato»,56 al suo molle fianco di seduttrice si può quasi sentire la presenza discreta di Afrodite che fa pensare alla bellissima pagina dell'Iliade in cui la dea, divenendo invisibile, dopo aver mostrato la sua nudità ad Elena, conduce quest'ultima da Paride per l'incontro amoroso.57

Atena visibilmente e Afrodite invisibilmente sostengono Pandora che sembra servirsi della sua acconciatura e della sua maschera -- per dirla con Nietzsche58 -- così come si conviene all'Eterno femminino, per giocare un gioco di seduzione e di scompiglio in un consorzio sociale pre-umano in cui è l'estranea.

3. Tra organico e inorganico

Solo dopo l'introduzione della prima donna nel racconto degli Erga,59 Esiodo usa il sostantivo 'zoè' e il verbo 'zoèin' per indicare la vita dei mortali ora del tutto scissi dagli dei.

Se si stabilisce un confronto metaforico tra il ventre come utero -- altra interpretazione di 'gastèr' -- e l'orcio come contenitore, si trova un punto di connessione tra le due serie presenti nel testo platonico dove il sesso della donna e il suo utero sono chiamati animali insaziabili e il termine utilizzato è 'zoè'.60 Anche il sesso maschile è un animale insaziabile, e certamente in quella zona del corpo risiede l'anima passionale di entrambi, la peculiarità della donna tuttavia consiste nella voracità di una passionalità che la spinge a cercare di riprodursi senza freno, come un orcio che non riesce a contenere e disperde senza tregua il suo contenuto. La donna si trova tra una vita dirompente e vorace senza limitazioni, una 'zoè'61 comune a tutti i viventi che si oppone al 'bios' inteso -- per specificazione -- come forma di vita regolata all'interno di un gruppo; per via di questa differenza di statuto e rappresentazione la donna è estranea alla vita sociale.

Nel pensiero scientifico dei greci lo studio dei sessi era incluso in quello delle specie: «il y a les hommes et les femmes comme il y a les oiseaux et les poissons, dans la cosmologie d'Empédocle comme dans la zoologie d'Aristote».62 Se ne deduce che il 'génos' umano è articolato in due genealogie. Il punto controverso è costituito dalla indifferenziazione nella considerazione di specie e sessi dato che mentre tra sessi diversi si stabilisce il legame riproduttivo questo non accade tra specie diverse. Il problema rimane implicito e foriero di contraddizioni anche in Esiodo in quanto nel racconto di Teogonia si utilizzano i due termini di 'génos' e di 'phýla' per indicare stirpe e razza delle donne;63 mentre in Opere e i giorni si parla di 'phýla' come della stirpe degli uomini intesi in senso universale in quanto mortali.64 Vi è quindi un'unica individuazione totalizzante e universale degli umani e allo stesso tempo una duplice caratterizzazione dell'umanità in maschile e femminile. C'è la dissimmetria femminile di una 'génos gynaikôn', genealogia che non è prevista declinata al maschile se non come universale neutro, ma c'è anche la duplicità dell'articolazione di 'phýla' alla quale si appella Simonide d'Amorgos, uno dei primi lettori di Esiodo, per far esplodere la pluralità della 'phýla' delle donne65:

l'espèce feminine est faite d'hétéreogenité. Et Sémonide d'énumerér dix types des femmes, dont huit son issus d'animaux (le porc, le renard, le chien, l'âne, la belette, la jument, le singe, l'abeille) et deux d'un élément (la terre, la mer).66

Il femminile tracciato da quest'ultima interpretazione classica nella sua specificità rispetto al maschile torna a mostrare i tratti di una 'zoè', di una vita al confine con la bestialità, con l'esistenza inconsapevole e piena della vita animale. Pandora in questo frangente è la iniziatrice genealogica di una «race des femmes: unité contradictoire du disparate, où s'abolit l'opposition de l'aritfice et de la bestialité»,67 ed è una figura anomala che non rispetta completamente, nel racconto dei poemi esiodei, né le caratteristiche dell'individualità né quelle della specie. Pandora senza un dentro che non sia l'orcio e con un fuori coincidente con la sua acconciatura è un «fenomeno dei bordi»,68 un elemento transfigurale anomalo69 che si centra come linea di fuga di un femminile differente e plurale nel bordo che rappresenta e di cui è rappresentata. Anomalia ed eccentricità della figura Pandora sono intese da una parte come una pluralità di centri focali di espressione -- costituiti dalla molteplicità di spunti del ricchissimo per quanto breve passaggio nei due poemi -- e non di un medesimo centro; dall'altra come allontanamento dal centro, alienazione di una presunta, quanto meno medesima centralità.

L'unica tra le figure femminili del poema di Simonide che non è collegata a qualche negativo elemento dell'esistenza è l'ape e risulta particolarmente interessante in virtù del paragone che viene istituito nel testo esiodeo tra Pandora e l'ape, anzi il fuco.70 Ho già brevemente accennato a questa similitudine di Teogonia, il cui dato eccezionale è proprio costituito dall'inversione sessuale dei contendenti. Nella vita dell'alveare, un consorzio sociale molto ammirato nella Grecia classica, i ruoli vissuti dalle tre figure che vi agiscono hanno provocato tra gli osservatori un problema di identificazione sessuale. Anche Aristotele71 se ne è occupato ed è stato costretto ad ammette che alcuni considerano le api maschi e altri femmine e così i fuchi e le regine. L'intento aristotelico è quello di comprendere la riproduzione di questa specie anche se il suo sguardo rimane in qualche modo inquinato da questioni di rappresentazione sociale in quanto occorre appurare se possa essere maschio o femmina l'ape che possiede il pungiglione e lavora tutto il giorno ma accudisce allo stesso tempo la prole. La conclusione assai singolare riconduce api e regine ad una condizione ermafrodita e i fuchi alla sterilità.

Per utilizzare la categoria interpretativa deleuziana del 'divenire animale' come un movimento di divenire dove: «Divenire non è certamente imitare né identificarsi, non è neanche regredire-progredire; è nemmeno corrispondere, stabilire rapporti corrispondenti; infine non è produrre, produrre una filiazione, produrre per filiazione. Divenire è un verbo che ha tutta la sua consistenza; non si riduce e non si conduce ad "apparire" né a "essere" né a "equivalere" né a "produrre"»72 si evince che il 'divenire animale' ha a che fare con il molteplice costituito dall'assoluta alterità dell'animalità a cui si diviene. Tra Pandora e il suo divenire fuco nella rappresentazione, sciame o muta -- così come connotano l'animale73 Deleuze e Guattari, c'è una sorta di fascinazione per il molteplice e il fuori che è in rapporto con la molteplicità che 'abita'74 nel personaggio esiodeo, c'è una partecipazione 'contro natura'75 attraverso la naturalità della identificazione di 'zoè'. Questo coinvolgimento tra serie distinte non avviene per filiazione così come per metamorfosi dall'antica divinità della terra, avviene per una specie di alleanza76 tra animale da un lato e tecno-vivente dall'altro, tanto più che si compie nel frattempo una transfigurazione sessuale. A dispetto di ogni saturazione genealogica, il femminile nella sua aurorale intromissione nella cultura occidentale si unisce ad altri viventi in un consorzio anomalo.

Questa anomalia porta con sé una molteplicità e una multivocalità alla quale aggrapparsi perché attraverso le sue vorticose linee di fuga è possibile seguire passo a passo lo spurio di illecite alleanze che si sono mosse già a partire dal testo esiodeo contro la purezza e la purificazione della figura di Pandora e con lei di una femminilità univoca e neutralizzata magari originariamente intesa. Se introduciamo la figura del cyborg,77 trattata dalla filosofa ed epistemologa statunitense Donna Haraway, in cui vivente e tecnologico, organico e cibernetico si uniscono in alleanze non genealogiche e non identitarie, Pandora stessa è un cyborg antelitteram che «salta il gradino dell'unità originaria»78 all'interno di un racconto delle origini che dovrebbe garantirne invece l'univocità. Esiodo o Zeus brevettano il cyborg femmina79 ma nessuno dei due riesce a far agire una sicura padronanza su questo personaggio che travalica le identificazioni rigide anche rispetto al genere, come ogni vero cyborg. Boccaccio scambiò Pandora per una figura maschile o ermafrodita80 andando a comporre un altro tassello dell'insieme «della stirpe delle donne» ,81 paradossale in quanto non una ma molteplice a partire dalla stessa Pandora. Appartiene alla cultura classica il senso originario del femminile come inconciliabile in unità definita e in univocità, sempre fluido e non sistematizzabile, da questo lontano momento aurorale è giunto fino a noi, nell'alveo della cultura patriarcale dell'Occidente. Il femminile, come l' «eterno femminino» di cui ci parla Simone de Beauvoir, fatto di archetipi e di stereotipi, continua ad oscillare tra figure contraddittorie senza entrare dentro alcuna identificazione sicura e rigida. Una Pandora ancora oggi incompiuta e incompresa, perché incomprensibile dal senso della filosofia, è un segno su cui applicare non solo e non tanto l'analisi genealogica, ma anche la nostra capacità immaginativa per riflettere, oggi, sul senso degli stereotipi e sugli spazi di libertà di senso e di simbolico lasciati aperti dalla tradizione e presenti dentro la tradizione, in una prospettiva interculturale e anche interreligiosa.

4. Bibliografia

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Note

  1. Cfr. Patrizia Magli (a cura di) (1985) Le donne e i segni, Ancona, Il lavoro editoriale, p. 95. Testo

  2. Teogonia, intr. trad. e note di Graziano Arrighetti, Milano, BUR, 1984. Le Opere e i Giorni, intr. di Werner Jaeger, trad. di Lodovico Magugliani, Milano, BUR, 1991. Testo

  3. Dora, Erwin Panofsky (1965) Pandora's Box: The Changing Aspects of a Mythical Symbol, New York, Harper Torchbooks; (trad. it. di P. Arlorio, Il vaso di Pandora: i mutamenti di un simbolo, Torino, Einaudi, 1992, p.3). Testo

  4. Cfr. Michel Foucault (1968) «Theatrum Philosophicum», in Gilles Deleuze, (1968) Différence e répétition, Paris, PUF; (trad. it. di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. VII-XXIV). Testo

  5. Cfr. Peter Walcot (1961) «The composition of the Works and Days», in Revue des études grecques, LXXIV; (trad. it di P. Rotella, «La composizione delle "Opere e Giorni"», in Graziano Arrighetti (a cura di) (1975) Esiodo. Letture critiche, Milano, Mursia, pp. 101-116; cfr. inoltre Pierre Lévêque (1988) «Pandora ou la terrifiante féminité», in Kernos, n. 1, pp. 43-54. Testo

  6. Secondo Gilles Deleuze e Félix Guattari il personaggio concettuale è -- diversamente dalla figura estetica -- un elemento creativo del pensiero, un personaggio che ha spesso un nome proprio e che racchiude una potenzialità di concetti attraverso i quali orienta il pensiero di un filosofo, ne è parte integrante tanto che il filosofo stesso può essere considerato come l'involucro dei suoi personaggi concettuali principali. Il riferimento al personaggio del genealogista riconduce direttamente al pensiero di Nietzsche e «pochi filosofi hanno operato in egual misura con personaggi concettuali». (1991) Qu'est-ce que la philosophie?, Paris, Les Editions du Minuit; (trad. it. di A. De Lorenzis, Che cos'è la filosofia?, Torino, Einaudi, 1996, pp. 51-76). Testo

  7. Cfr. Marie-Christine Leclerc (1993) La parole chez Hésiode. À la recherche de l'harmonie perdue, Paris, Les Belles Lettres, pp. 133. Testo

  8. Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere (1977) trad. it. di G. Procacci e P. Pasquino, Torino, Einaudi, pp. 31-32. Testo

  9. Ivi, p. 32. Testo

  10. Cfr. Uvo Hölscher (1968) da Anfängliches Fragen. Studien zur frühen griechischen Philosophie, Gottinga, Vandenhoeck & Ruprecht; (trad. it. di E. Berti, Eredità di concezioni cosmogoniche in Esiodo, in G. Arrighetti, op. cit., pp. 127-145). Testo

  11. Cfr. Ivi, p. 127. Testo

  12. Op. cit., p. 32. Testo

  13. Cfr. U. Hölscher, op. cit., p. 143. Testo

  14. M. C. Leclerc, op. cit., p. 132. Testo

  15. Cfr. ivi, pp. 132-133. Testo

  16. Cfr. Martin L. West (1985) The Hesiodic catalogue of women, New York, Oxford University Press. Testo

  17. «Ponendo il presente all'origine, la metafisica fa credere al lavoro oscuro d'una destinazione che cercherebbe di farsi strada sin dal primo momento». M. Foucault, op. cit., p. 38. Testo

  18. «La genealogia, come un'analisi della provenienza, è dunque all'articolazione del corpo e della storia: deve mostrare il corpo tutto impresso di storia , e la storia che devasta il corpo». Ivi, p. 37. Testo

  19. Il rizoma è una radice che si estende in orizzontale e si contrappone all'immagine dell'albero che mantiene ancora caratteristiche della genealogia intrinsecamente legate alla questione dell'origine e del concatenamento anche nell'accezione maggiormente positiva di creazione. L'albero si estende verticalmente solitario e le sue fronde sono speculari all'estensione delle radici nascoste, mentre le radicelle delle piante rizomatiche si allargano in uno spazio orizzontale e senza limiti definiti, in una spazialità che è regno del molteplice. Uscendo dalla metafora botanica si può considerare che in un rizoma «ogni tratto non rinvia necessariamente ad un tratto linguistico: anelli semiotici di ogni natura vi sono connessi a modi di codificazione molto diversi, anelli biologici, politici, economici, ecc., mettendo in gioco non soltanto regimi di segni differenti, ma anche statuti di stati di cose». G. Deleuze, F. Guattari (1980) Capitalisme e schizophrénie. Tome II. Mille Plateaux, 2 voll., Paris, Les Editions de Minuit,; (trad. it. di G. Passerone, Rizoma Millepiani, I, Roma, Castelvecchi, 1997, p. 20). Testo

  20. Versi 81-82. Testo

  21. Cfr. Angelo Casanova (1979) La famiglia di Pandora. Analisi filologica di miti di Pandora e Prometeo nella tradizione esiodea, Firenze, CLUSF Cooperativa Editrice Universitaria, p 44 e pp. 65-66. Testo

  22. La connessione semantica tra Pandora e la terra «Ghé» si rintraccia in Ipponatte, Aristofane, Filone, Filostrato, Diodoro, Fozio. Cfr. ivi, pp. 66-67. Testo

  23. Cfr. Page Du Bois (1988) Sowing the Body. Psychoanalysis and Ancient Representations of Women, London, University of Chicago Press; (trad. it. di M. Tartara, Il corpo come metafora. Rappresentazioni della donna nella Grecia antica, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 44-114). Testo

  24. (1993) Bodies that Matter. On the Discursive Limits of «Sex», New York and London, Routledge; (trad. it. di S. Capelli, Corpi che contano. I limiti discorsivi del «sesso», Milano, Feltrinelli, 1996, p. 26). Testo

  25. «Non seulement dans la Théogonie, elle ne reçoit pas le nom de Pandora mais, à parler rigoureusement, la première femme ne reçoit pas son nom de gynè». (1978) «Sur la race des femmes et quelques-unes de ses tribus», in Arethusa, vol. n. 11, n. 1-2, p. 47. Testo

  26. 538 d 1-3, in Platone, Opere Complete, vol. II, trad. di Francesco Adorno, Roma-Bari, Laterza, 1966. Testo

  27. Teogonia, 573; Opere, 63. Testo

  28. Cfr. N. Loraux, op. cit., p. 49; cfr. inoltre Piero Pucci (1976) Hesiod and the Language of Poetry, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, p. 99. Testo

  29. Cfr. A. Casanova, op. cit., pp. 65-66; cfr. M. C. Leclerc, op. cit., p. 121. Testo

  30. Friedrich Nietzsche Jenseits von Gut und Böse; (Al di là del bene e del male, versione di Ferruccio Masini, Milano, Adelphi, 1992, par. 62, p. 68). Testo

  31. Cfr. M. C. Leclerc, op. cit., pp. 125-126. «Instrument de la rupture la femme, sépare les hommes des dieux; mieux elle sépare d'eux-mêmes, en introduisant la sexualité, cette asymétrie du même et de l'autre. Sans doute est-elle aussi porteuse d'humanité mais cela, Hésiode ne le dit pas ouvertement dans la Théogonie. Ce que, par contre on peut lire dans le texte, c'est l'effet redoutable de la femme et du mot gynè: la femme n'a pas plus tôt été nommée que les anthrôpoi se transforment en andres. Ils le resterons...». N. Loraux, op. cit., pp. 46-47. Testo

  32. Cfr. ivi, pp. 46-51. Testo

  33. A. Casanova, op. cit., pp. 62-63. Testo

  34. Cfr. Teogonia, 573-584, alcuni dei versi in questione sono stati considerati spuri; cfr. a questo proposito A. Casanova, op. cit., p. 70. Cfr. inoltre Opere 70-79. Testo

  35. Teogonia, 591-612. Testo

  36. A proposito della problematicità genealogica legata al mito di Pandora nel Catalogo delle Donne vedi A. Casanova, op. cit., pp. 135-187. Testo

  37. Cfr. N. Loraux, op. cit., p. 50. Testo

  38. «Comandò all'inclito Efesto che subito impastasse terra con acqua e vi infondesse voce umana e vigore, e che il tutto fosse d'aspetto simile alle dee immortali, e di bella, virginea, amabile presenza; e quindi che Atena le insegnasse le arti: il saper tessere trame ben conteste; ordinò all'aurea Afrodite di spargerle sulla testa grazia, tormentosi desideri e le pene che struggono le membra; e a Ermes, messaggero di Argifonte, di darvi un'anima da cagna e indole ingannatrice». Opere 60-68. Cfr. Jean-Pierre Vernant (1999) LUnivers, les Dieux, les Hommes. Récits grecs des origines, Paris, Editions du Seuil; (trad. it. di I. Babboni, L'Universo, gli dei, gli uomini. Il racconto del mito, Torino, Einaudi, 2000, pp. 61-64). Testo

  39. «Il pìthos non è mai un recipiente da trasporto: neanche una dea, possiamo concludere, può portarselo sotto braccio». A. Casanova, op. cit., p. 75. Testo

  40. Platone, Opere Complete, vol. VI, trad. it. Cesare Giarratano, Roma-Bari, Laterza, 1993. Per la versione greca si fa riferimento al testo curato da Giuseppe Lozza, Mondadori, Milano, 1994, 73e1. Testo

  41. Ivi, 73 e 1-3. Testo

  42. Il riferimento ad Euripide proviene da un'annotazione di Nicole Loraux, op. cit., nota n. 7 p. 70. Testo

  43. Efesto del resto è un dio artigiano e forma Pandora così come formerebbe un vaso, fatto salvo il procedimento di cottura, anche se proprio l'atto finale della creazione artigianale della terracotta viene comunque ipotizzato da Pucci per il racconto esiodeo. Si veda a questo proposito P. Du Bois, op. cit., pp. 60-62. Testo

  44. «This manufacted object called woman». Froma I. Zeitlin (1995) «Signifyng difference: the myth of Pandora», in Richard Hawley, Barbara Levick, (eds.) (1995) Women in antiquity, London and New York, Routledge, p. 60. Testo

  45. «Lungo tutta la tradizione agronimica ellenica e latina, da Esiodo fino al Geoponica e da Catone a Plinio, il pìthos, il dolium è un elemento essenziale dell'attrezzatura necessaria all'impresa familiare. Ma fin dal mondo dell'Odissea e dell'Iliade, troviamo giare nelle quali gli uomini tesaurizzano il cibo e la vita. A Itaca, la cantina del palazzo del re ospita i pìthoi riempiti di vino vecchio e dolcissimo, bevanda squisita che attende il ritorno di Ulisse dietro porte solide e sotto la protezione di una padrona amministratrice che veglia su di esso». Giulia Sissa (1987) Le corps virginal. La virginité feminine en Grèce ancienne, Paris, Librairie philosophique J. Vrin ; (trad. it. di G. Viano Marogna, La verginità in Grecia, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 125). Cfr. inoltre A. Casanova, op. cit., pp. 74-75. Testo

  46. Cfr. Mario Vegetti (1983) Tra Edipo ed Euclide. Forme del sapere antico, Milano, Il Saggiatore, p. 45. Testo

  47. Platone, Gorgia, a cura di Paolo Scaglietti, Milano, Oscar Mondadori, 1993, 493 c 3. Cfr. inoltre su questo punto G. Sissa, op. cit., pp.130-131. Testo

  48. Ci ricorda Vernant che tutte e tre le volte in cui appare un orcio nel racconto degli Erga quest'ultimo è aperto; cfr. «A la table des hommes», in J. P. Vernant e M. Detienne (a cura di) (1978) La cuisine du sacrifice en pays grec, Paris, Gallimard; (trad. it. «Alla tavola degli uomini: mito di fondazione del sacrificio in Esiodo», in La cucina del sacrificio in terra greca, Torino, Boringhieri, 1982, p. 81). Testo

  49. 594-602. Testo

  50. Cfr. Gabriele Hoffmann (1985) «Pandora, la jarre et l'espoir», in Etudes rurales, n. 97-98, pp. 119-132. Testo

  51. Cfr. G. Sissa, op. cit., p. 127. Testo

  52. «il sostentamento dell'uomo». Il 'pìthos' «di cui si parla non è una qualsiasi giara, una delle tante che ci sono nelle case degli uomini, ma è la giara delle provviste, l'unica posseduta dagli uomini in quel tempo mitico, e contiene non beni o provviste qualsiasi, ma i beni, cioè tutti quei beni di cui gli uomini godevano allora e che ora non hanno più». A. Casanova, op. cit., p.78, p. 77. Testo

  53. Cfr. Ivi, 74-77. Testo

  54. Cfr. Opere, 78. Testo

  55. Cfr. A. Casanova, op. cit., pp. 49-58. Testo

  56. Massimo Cacciari (1990) Dell'inizio, Milano, Adelphi, p. 435, riferendosi al passo del Gorgia platonico. Testo

  57. Cfr. P. Pucci (1996) Enigma segreto oracolo, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali pp. 124-125. Testo

  58. Cfr. op. cit., n. 232. Testo

  59. Cfr. M. C. Leclerc, op. cit., p. 145. Testo

  60. Cfr.Timeo 91a--d6. Testo

  61. Cfr. Giorgio Agamben (1995) Homo sacer, Torino, Einaudi, pp. 3-5. Testo

  62. N. Loraux, op. cit., p. 52. Testo

  63. 590-591. Testo

  64. 90. Testo

  65. Cfr. N. Loraux, op. cit., pp. 55-69. Per una riflessione sul poema di Simonide vedi Hugh Lloyd-Jones, (1975) Females of the species. Semonides on Women, London, Gerald Duckworth & Ltd. Testo

  66. Ivi, p. 55. Testo

  67. Ivi, p. 69. Testo

  68. G. Deleuze, F. Guattari (1980) Capitalisme et schizophrenie tome 2: Mille plateaux, Paris, Minuit; (trad. it. di G. Passerone, Millepiani,Roma, Bibliotheca Biographia, 1987, Come farsi un corpo senza organi? Millepiani Sez.II, Roma, Castelvecchi, 1996, p. 159). Testo

  69. «Ogni molteplicità è definita da un bordo che funziona come Anomalo», ivi, p. 166. Testo

  70. «Come quando negli alveari ombrosi le api nutrono i fuchi, partecipi di opere cattive». Teogonia, 594. Testo

  71. Cfr. Riproduzione degli animali, in Opere, vol. V, trad. di Diego Lanza, Bari-Roma, Laterza, 1973, III, 10, 759a--761a11. Testo

  72. G. Deleuze, F. Guattari, op. cit., p. 150. Testo

  73. «Diciamo che ogni animale è innanzitutto una banda, una muta», ivi, p. 151; e inoltre «La muta è a un tempo realtà animale e realtà del divenir-animale dell'uomo», p. 155. Testo

  74. Cfr. Ivi. Testo

  75. Cfr. Ivi, p. 154. Testo

  76. Ivi, p. 149. Testo

  77. Cfr (1991) Simians, Cyborgs and Women: The Reinvention of Nature, New York; Routledge; (trad. it di L. Borghi, Manifesto cyborg, Milano, Feltrinelli, 1995, pp. 40-41). Testo

  78. Ivi, p. 42. Testo

  79. Il riferimento è alla figura del FemaleMan© e a quella dell'OncoTopo™ come in un rovesciamento in cui l'invenzione della prima donna come Pandora passa dal fatto concreto attraverso la parola esiodea in metafora testuale contrariamente a quello che avviene nei brevetti biotecnologici odierni dove elementi genetici di specie differenti passano attraverso manipolazioni a costiuire il patrimonio genetico di esseri viventi, figli delle metafore culturali, che «nelle pratiche di riconfigurazione materiale» sono un'invenzione. Donna Haraway (1997) Modest_Witness@Second_Millennium. FemaleMan©_Meets_OncoMouse™, New York, Routledge; (trad. it. a cura di L. Borghi, Testimone_Modesta@FemaleMan©_incontra_OncoTopo™, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 119). Testo

  80. D. E. Panofsky, op. cit., p. 7. Testo

  81. N. Loraux, op. cit., p. 69 Testo