Ascesi del potere. Tecnica e uomo in Romano Guardini

L’uomo è l’essere a cui Dio ha dato il potere sul mondo e su se stesso e da cui ha imposto la corrispondente responsabilità? […] Quando il potere diventa demoniaco? Lo è forse già oggi, se si considera la sua sfrenata crescita nella scienza, nella tecnica, nella possibilità di influsso sociale ecc., nonché la minacciosa spensieratezza [Sorglosigkeit] che predomina in questa situazione? […] C’è un’ascesi del potere?1

1. Premesse

Tra i molteplici spunti della poliedrica opera di Romano Guardini emerge con particolari cenni di attualità l’analisi critica della tecnica, inserita in un più ampio sguardo sul potere. Rispetto ad analoghe riflessioni novecentesche, da Heidegger a Severino, la prospettiva del pensatore nato a Verona nel 1885 appare caratterizzata da una propositività non pessimistica, superando peraltro una visione nostalgica e romantica presente nella prima parte delle Lettere dal Lago di Como.2

C’è però una ragione più profonda dell’interesse nei confronti della diagnosi guardiniana: essa infatti si apre ad una prognosi sulla tecnica e sul potere non estrinseca ma intrinseca al fenomeno. In altre parole non saranno principi deduttivi – e/o moralistici – calati dal contesto a salvare l’uomo nella sua relazione al potere, ma la consapevolezza che tanto il potere è destino dell’uomo quanto la tecnica stessa ha il suo compimento nel servizio all’umano e non nel dispotico e violento asservimento di sé, dell’altro e del mondo.

A partire da questa radice profonda, non senza segnalare i caratteri e gli esempi profetici portati da Guardini, è possibile rintracciare un ultimo fattore di interesse che è dato dall’allargamento attuale – e sempre più accelerato – delle questioni segnalate dal pensatore italo-tedesco. Come nelle domande che, quasi al termine della sua vita, Guardini dedicava a Karl Rahner nel volume celebrativo per il sessantesimo compleanno del teologo friburghese, questo contributo intende aprire il tempo di confronto per fruttuose intuizioni più che chiudere le risposte in spazi definiti.

2. Pienezza di povertà. Orizzonti per il potere e la tecnica

Per approcciare le radici del pensiero guardiniano e l’attualità di una possibile ascesi del potere, non è fuori luogo concentrarsi su alcuni orizzonti di pensiero ma anche epocali che caratterizzano il fenomeno in questione. Tali orizzonti sono fondamentali per comprendere il tecnico-tecnologico all’interno di possibili cornici che il pensiero guardiniano delinea, in modo non definitorio ma a partire da differenti angoli visuali.

Anzitutto il tramonto dell’epoca moderna con i conseguenti incipienti pericoli.3 fa risaltare la necessità di una nuova educazione e l’intuizione di immergersi nel passaggio d’epoca per farsi trovare pronti. Si sbaglierebbe a relegare la prospettiva pedagogica guardiniana nel campo di una filosofia dell’educazione a sé stante, senza considerarne invece gli elementi contestuali. L’uomo contemporaneo, immerso nella tecnologia, necessita di un’educazione sempre rinnovata in grado di immergerlo nella propria Weltanschauung. Ancor prima che percorso verso una visione cristiana del mondo e della storia, qui è in gioco la libertà dell’uomo di autoformarsi essendo attore del proprio futuro, correlando ogni momento dell’esistenza e della comprensione con l’integralità del contesto a partire esattamente dall’angolo visuale proprio, che non marginalizza il soggetto ma lo colloca in connessione con il tutto4 Mentre finisce l’epoca moderna5 l’uomo è in grado, in forma personale e comunitaria, di sperimentare una pienezza di povertà6 in cui non è il potere illimitato ad essere garanzia di felicità e di compimento ma una responsabilità che sa divenire anche impotenza. L’espressione pienezza di povertà può indicare quindi non solo la specifica esperienza di formazione dei giovani nel contesto della Jugendbewegung, ma ogni esperienza educativamente riuscita di ascesi personale e comunitaria rispetto al contesto, compreso quello tecnologico.

Un secondo orizzonte tangente la dimensione tecnica è quello del potere nella sua configurazione propriamente politica. Di fronte ai pericoli di un’immanentizzazione del potere che lo rende ultimamente idolatrico, la risposta guardiniana, nel suo intreccio con l’analisi di Carl Schmitt.7, invoca l’altezza dell’autorità ed insieme l’interiorità dello Stato nelle esistenze dei singoli8. Per certi versi il drammatico appello politico-educativo lanciato da Guardini negli anni Venti del Novecento, quasi a prefigurare e scongiurare il totalitarismo imminente, trova un parallelo nei rischi apparentemente meno incombenti ma più pervasivamente subdoli che il contesto tecnologico sembra prospettare. L’assolutizzazione di un finitismo tragico9 che esalta i demoni del potere definisce una traiettoria che confuta gli stessi presupposti del potere come evidenziati dall’epoca moderna. Gli esiti contemporanei appaiono così per un verso solidali con la prospettiva precedente ma tradiscono le aspettative di libertà e autonomia che avevano accompagnato il “sogno” moderno. Nell’analisi politologica di Guardini emergono inoltre altri elementi che risultano decisivi anche per la prospettiva della tecnica: se per un verso il potere che è elemento umano rischia costantemente di divenire in-umano [un-menschlich]10, con evidenti elementi di attualità anche per i nostri giorni, per altro verso gli orizzonti politici ci indicano la strada di una comprensione radicale del fenomeno del potere come onere ontologico11 e come apertura verso un annullamento del politico nella tecnica come pura presenza oggettivante12 Il principio di rappresentazione che aveva retto il “dialogo” tra Guardini e Schmitt su Chiesa e Stato, tra altezza del divino e autorità del politico nella storia, è come esautorato dalla potenza omologante della tecnica che supera ogni stagione politica.

Proprio nel passaggio dal politico al tecnico assistiamo anche alla possibilità di un ritrovamento della radice antropologica del potere. Nello sguardo delle epoche, nella loro continuità e nelle cesure, possiamo ritrovare in Guardini infatti, accanto al pedagogico e al politico, un terzo orizzonte epocale, che lo stesso pensatore ci indica come luogo di comprensione della tecnica. Nella fine dell’epoca moderna assistiamo tanto ad una chiusura dell’antropologico nell’immanenza, con la crescita di fenomeni anonimi come quello della massa, quanto, nella fedeltà al proprio contesto, alla possibilità di recupero dell’umano, come del religioso, che tuttavia dovrà fare i conti con un’epoca esigente e di trasformazione.13 L’orizzonte di fondo permette di non opporre etica e potere, ma di cogliere la radice di un potere che si fa servizio, di un’autonomia che non si realizza nella propria assenza di limite bensì nella propria capacità di dominarsi e di trascendersi14. L’esito paradossale dell’orizzonte epocale come disegnato da Guardini comporta un tradimento della prospettiva moderna da parte di un potere idolatrico che non ha limiti, così come il politico è ultimamente tradito dalla iper-esaltazione totalitaria. Parimenti ciò che appare “negazione” della tecnica e del progresso da parte di chi opera un’ascesi del potere si dà in realtà come massima forma di fedeltà alle cose e alla radice antropologica del potere15. Complessivamente l’orizzonte epocale della fine della Modernità, pur nei suoi aspetti tragicamente conflittuali16, rappresenta la possibilità di un nuovo inizio come per tutte le epoche di cesura, sia alla scuola agostiniana, così efficace nel disegnare sentieri possibili nella tarda Antichità17, sia alla scuola di Bonaventura che richiama il modo realistico dei medievali proprio nell’incipiente autunno del Medioevo18 realizzando così non solo un nuovo inizio ideale ma un percorso concreto di conoscenza affettiva radicata nell’esperienza dell’opposizione polare.

3. Nulla esiste che non abbia un signore. Le radici della comprensione della tecnica

Dalla definizione di tre possibili orizzonti per comprendere il contesto in cui la tecnica di squaderna, siamo così transitati attraverso l’ultimo orizzonte ad analisi che mettono in luce non solamente il panorama in cui la tecnologia opera ma anche le radici di tale prospettiva.19

Un elemento senz’altro rilevante è la definizione guardiniana dell’opposizione polare in cui emerge anche un dialogo non irrilevante con Nietzsche.20. La misura dell’opposizione e l’oscillazione umile e finita nel concreto vivente21 non è né identificabile con la contraddizione, né con una posizione morale del giusto mezzo. L’uomo che vive la propria finitezza in cammino sperimenta una concretezza aperta, immedesimandosi a livello personale-antropologico con la tensione che definisce la struttura stessa del reale. La coincidentia oppositorum che include la struttura polare dell’esperienza umana consente di evitare le scissioni e le dicotomie così care alla Modernità in questo a fortissimo rischio di ripercorrere i percorsi della gnosi22 In ultima analisi l’opposizione polare raccoglie diversi elementi – biografici, epistemologici, disciplinari, di impegno educativo – rappresentando

un fiume che raccoglie diversi affluenti: l’elaborazione di una biografia segnata dalla malinconia, un modello delle polarità psicologiche, una concezione del cattolicesimo come coincidentia oppositorum, il disegno di una antropologia integrale che unisca affettività e razionalità, la speranza di offrire un contributo dialogico nel mondo post-bellico segnato da dilacerazioni profonde.23

L’uomo come concreto vivente per non essere preda delle forze magico-gnostiche della terra ha la necessità di collocarsi dentro le polarità di un’unità dinamica in integrazione costante.24. E tuttavia questo stare nella polarità non implica l’indeterminatezza di un tutto confusivo, né può essere scambiata con la contraddizione o con una forma di aurea mediocritas, ma la posizione specifica nel processo del divenire, come tensione verso un compimento in pienezza integrale di vita25. Del resto dal punto di vista strutturale il bene si realizza in questa tensione come azione che dall’interiorità del soggetto agente si squaderna nell’esteriorità in modo prospetticamente generativo26. La pretesa guardiniana è quella di gettare sul reale uno sguardo non estensivo ma intensivo e qualitativo: «una modalità d’essere ciò che si è e di fare ciò che si fa. Una esattezza ottica nel vedere ciò che giunge allo sguardo; una prospettiva secondo la quale le cose si ordinano all’occhio che le considera»27

Non può sfuggire quanto radicale sia la visuale dell’opposizione polare per una comprensione della tecnica. Di fronte all’immanentizzazione che riempie di animismo magico la società iper-tecnologica definendola in termini neo-gnostici, la concretezza dell’umana libertà chiama l’uomo a rispondere di sé e dell’alterità in ogni stadio del processo tecnico. Il divenire tecnico può assumere così un altro significato rispetto al fatalismo magico che accompagna i sentieri di una società apparentemente votata alla ragione e alla programmazione chiara e distinta. L’età moderna e i successivi sviluppi si caratterizzano infatti per una forma radicale di hybris28 nella quale l’uomo non supera limiti estrinseci che gli sono stati arbitrariamente dati, ma anche la dimensione propria dell’umanità che lo caratterizza. Similmente l’approccio etico alla tecnica non deriva da una limitazione dell’uomo come estrinsecamente data ma a partire da limiti intrinseci che rispondono alla dimensione propria del potere. L’uomo perde i suoi connotati nella misura in cui si identifica e si appiattisce su termini che vanno considerati come elementi di alterità e non riferimenti assoluti, consegnandosi così alla radicale anomia del potere29 che non si lascia ridurre a categorie e schemi prefissati.

Come collante tra la radice dell’opposizione polare e la comprensione del personalismo dialogico guardiniano appare importante sottolineare il ruolo centrale della libertà, non intesa come autonomia arbitraria ma come radicarsi dell’uomo nella sua più autentica dimensione. La libertà, come già nella prospettiva agostiniana, è l’autentico antidoto di fronte alla rinascente gnosi, esplicita in alcune forme pseudo-religiose settarie ma ritornante anche nell’appiattimento massificante della tecnica. Di fronte alle sfide epocali la libertà deve strutturarsi ad un livello non solo individuale ma personale-comunitario.30 per evitare di ricadere nei pericoli di un potere pervasivo. In questo quadro si colloca anche la libertà nella sua comprensione propriamente teologica come autodeterminazione non rivendicativa da parte dell’uomo ma specificazione della propria autentica personalità31. Non si può tacere in questo snodo un paradosso generativo rappresentato dalla consapevolezza dialogica di un piano naturale non estrinseco all’irruzione della Rivelazione ma che in se stesso opera “autonomamente” nella direzione di un incontro con la libertà dell’A/altro. Al massimo livello la Rivelazione si dà come punto archimedeo in grado scardinare un’immanenza chiusa in se stessa suscitando una prospettiva di libertà32. Quest’ultima si dà quindi come rimedio nei confronti delle derive tecnocratiche e politico-totalitarie33 ma insieme come luogo antropologico privilegiato in cui l’uomo ritrova se stesso, più specificamente il proprio essere persona, attraverso conoscenza, libera volontà e attività creativa34, nella convergenza biografico-intellettuale di autoformazione pedagogica, libertà religiosa, disseminazione di rinnovamento pre-conciliare, analisi lucida e controcorrente dei limiti della società contemporanea del benessere nel periodo del secondo dopoguerra. La libertà è luogo della liberazione della tecnica ma insieme, in ultima analisi, condizione di possibilità del dominio umano, non negativamente inteso, sul mondo35

Nel quadro delle radici della comprensione guardiniana della tecnica trovano senza dubbio un posto precipuo le indicazioni relative alla matrice dialogica dell’essere umano.36. Questa non va intesa come struttura che collide con la dimensione del potere e della tecnica, se non nelle loro dimensioni degenerate di umanità, ma come codice che nella sua specificità indica la strada di un’umanità che non può darsi in forma anonima. In particolare la forma verbale della prospettiva dialogica rappresenta un solido rimedio per rimanere in relazione con l’a/Altro e non cadere nella prospettiva totalizzante dell’immanenza chiusa in se stessa37. Inoltre la prospettiva dell’alterità insieme cosmologica, antropologica e teologica consente di collocare il potere e la tecnica in un contesto di relazioni originarie per cui non è possibile farne elementi solo mondani, umani o divini. Questo plesso di relazioni non impedisce solamente una lettura immanentista della tecnica, ma anche una posizione estrinsecista del mandato divino relativo al potere come una posizione di estraneità dell’umano rispetto al tecnico. Tanto l’immanenza che schiaccia l’uomo nella mondanità lo priva dei suoi caratteri autentici quanto la pura trascendenza dell’adesione misticizzante con la Persona assoluta estrania l’uomo dalla sua prospettiva propriamente e autenticamente umana38 L’uomo è originariamente tecnico e in quanto tale non può evadere dal mondo ma insieme nel suo essere tecnico si pone di fronte a Dio e porta al Creatore gli elementi della propria opera.

4. Ascesi del potere. Luoghi etico-antropologici della tecnica e soggetti comunitari

Intravisti gli orizzonti in cui è collocabile la riflessione guardiniana sulla tecnica e approfondite le radici più significative per l’emersione del tema etico, il nostro percorso conduce alla proposta dell’ascesi come sguardo propositivo al futuro nel compito di responsabilità.39

5. Tracce di ascesi

Preliminarmente sono interessanti alcuni paralleli nell’opera di Guardini, che trasfigurano la situazione personale nel quadro epocale. Anzitutto come per il singolo l’incontro si compie nel fare spazio all’altro e in una perdita di sé [Selbst-losigkeit] in parallelo con le parole evangeliche di Matteo 16, 25.40, così c’è una perdita di sé nell’ascesi che mostra un chiarissimo elemento kenotico di svuotamento41. Di fronte al richiamo alla massima potenza delle proprie funzioni nel superamento di ogni limite, l’ascesi rappresenta un “no” salutare che fa spazio all’altro e in ultima analisi salva dal coinvolgimento massificante nella procedura tecnocratica. Secondariamente un’altra traccia che conduce all’ascesi sul piano personale è data dall’accettazione di se stessi nelle diverse età della vita42, come integrazione della nuova fase di vita nell’arco complessivo dell’esistenza. Così le epoche richiedono uno sforzo di integrazione profetica e non passiva, paradossalmente emergente da un’accettazione che in prima battuta potrebbe apparire proprio un atto di passività. Infine in relazione all’ascesi un’altra traccia è l’attenersi a se stessi che conduce ad una forma di inattualità rispetto al contesto, non come semplice “andare contro corrente”, ma come radicale fedeltà al proprio compito che diviene ritrovamento di se stessi nella propria identità profonda43. Dal punto di vita epocale e gnoseologico significa tornare costantemente all’angolo visuale dal quale il singolo si colloca nel contesto integrale del reale44

L’ascesi e la fine dell’epoca moderna

Non è possibile ricostruire nel dettaglio la crescita dell’elemento tecno-scientifico all’interno delle epoche, superando l’unità medievale per arrivare nell’età moderna al darsi di un’esistenza come natura, soggetto-personalità, cultura.45. Tuttavia si può notare che, diversamente da una prospettiva epidermica che legge un’opposizione netta tra cristianesimo e Modernità, Guardini non solo coglie la sfida per la fede cristiana, con elementi propositivi, ma supera una visione monolitica del moderno, sottolineando la fine della stessa Modernità che dischiude i caratteri di un contemporaneo insieme fascinoso e pauroso. Tale crisi comporta la consapevolezza, certamente legata a molti sviluppi del moderno, del compito prometeico di dominio e senza limiti che l’uomo è chiamato a realizzare46. I tre cardini del moderno vengono spodestati: come la natura non è più “rispettata” ma utilizzata e manipolata, così l’uomo-soggetto della Modernità che edifica la propria opera lascia il posto alla massa47 e la cultura diviene tecnica. La “riconquista” della personalità umana transita esattamente da questo punto: l’uomo può essere assorbito definitivamente dalla struttura meccanica del sistema tecno-economico-scientifico o può permanere in se stesso, nella propria intimità esistenziale, nel proprio centro di senso48. Se in prima battuta tale permanenza – accettazione di sé e attenersi a se stessi – può sembrare una forma di fuga stoico-scettica dalle evenienze della storia, tuttavia appare come momento indispensabile per arrivare ad una risposta che si fa compito condiviso. Nel frangente del dominio tecnico l’uomo, che si considera molto più “pratico” ed “esperto” del mondo rispetto alle epoche precedenti, vive in modo sempre più artificiale ed astratto il proprio rapporto con il mondo49, perdendo propriamente il significato di natura50 Nel possedere il mondo e nel manipolarlo l’uomo lo “perde”, mentre nel permanere in una configurazione personale nei confronti del mondo e “perdendo” se stesso l’uomo incontra autenticamente il reale.

Il risultato culturale e fatale, che introduce alla necessità di una risposta, è l’accrescimento di una minacciosa potenza della tecnica non governata da qualsivoglia uso retto della stessa. Più essa si sviluppa, meno appare necessaria la prospettiva etica in un fatalismo tecnocratico senza radici né orizzonti.51. L’uomo iper-razionale ed iper-tecnico si riscopre in preda ai demoni, dentro una credenza magica e fatalistica nel contesto in cui opera52. Non c’è ancora un potere sul proprio potere in grado di evitare le conseguenze più nefaste che derivano dall’unione di un sistema iper-potente con i demoni delle pulsioni primitive che sembravano dominati e riappaiono in realtà proprio all’interno del meccanismo delle società “avanzate”, in cui la potenza nella connessione dei sistemi complessi si manifesta nella sua forma acuta53, con la conseguente perdita di un vincolo etico sostituito dal criterio dell’efficacia e del risultato54. La prospettiva di risposta deriva in realtà non solo dalle necessità del presente ma anche dall’analisi della natura stessa del potere, che si dà non come energia illimitata ma sempre anche in connessione con una ispirazione cosciente55, pena l’essere contraddittorio con se stesso. Questa comprensione “cosciente” del potere, che si nutre dell’analisi del racconto biblico56 di creazione, definisce la ragione per cui l’uomo non può non potere; il potere è essenzialmente fattore umano e proprio in quanto non viene riconosciuto come tale esso diviene preda dei demoni. Persino il termine dominio assume una valenza non necessariamente negativa57, se compreso come obbedienza e servizio alla creazione. L’uomo giunge al termine della creazione divina non come despota assoluto e senza limiti ma come custode di quanto gli è affidato, sul quale può (e deve) esercitare governo e potere. L’apertura di una risposta propositiva, colta nella prospettiva dell’ascesi, non può essere dunque considerata come una risposta moralistica o di necessità ma come un percorso intrinseco alla natura dell’umano ed insieme non può essere tacciata di utopismo, ma riconosciuta come apertura di processi generativi58

La proposta dell’ascesi e gli elementi correlati

Veniamo dunque in forma conclusiva ad alcuni caratteri fondamentali che riassumono il percorso compiuto e fanno emergere ulteriori correlazioni. L’ascesi non si dà come estrinseca al potere e all’uomo che è per Guardini homo potens; essa è quindi implicata nell’autoformazione del singolo e nella capacità di riconoscere fino nelle minime azioni un’autorità.59 Quindi si può parlare di ascesi del potere e non dal potere. Ciò manifesta, nella tipica forma dell’opposizione non contraddittoria, il paradosso di un’obbedienza alla natura delle cose – il potere chiede di esercitare potere su se stesso – ed insieme l’indicazione di un’educazione delle cose stesse che non possono essere lasciate ad un fatalismo di destini.

Se l’ascesi si dà come dimensione epocale di superamento di una potenza senza limiti, Guardini nelle forme concrete della sua descrizione mette l’accento in modo significativo sulla dimensione interiore, personale e per così dire intima. Di fronte al bombardamento e all’omologazione della società contemporanea che conduce alle forme dell’automatismo.60 è necessario «il superamento della paura dell’essere-con-se-stessi [Bei-sich-Sein61. Proprio l’elemento del permanere in se stessi che è alla base dell’ascesi è invece messo in crisi dalla dittatura del “tasto”, nel riferimento che Guardini fa alla radio, così come dello schermo televisivo o, si potrebbe dire oggi, della connessione. Non si tratta di negare il valore della tecnica e le conseguenti possibilità, ma di condurla a maturità liberando l’uomo dalla schiavitù del mezzo che lo imprigiona62 La concretezza dell’esemplificazione guardiniana indica il luogo dell’ascesi non come prospettiva lasciata a scelte estreme e per certi versi elitarie. L’ascesi nei confronti del tecnico va esercitata nel quotidiano, nelle piccole azioni che rivelano però elementi strutturalmente rilevanti: il rifiuto del meccanismo tecnocratico ma insieme la mancanza di condanna nei confronti del mezzo tecnologico chiariscono l’equilibrio guardiniano, tra una possibile deriva in un’etica radicale che rifiuta il progresso e un’assenza di etica che si nutre di cieca fiducia nei confronti della tecnica.

Come si può raggiungere un ethos all’altezza della situazione? Un ordine di valore che collochi il potere disponibile nel posto che gli spetti? Una specifica lucidità [Wachheit] della responsabilità che sia all’altezza della situazione data?63

La concretezza del compito e della responsabilità insieme chiarisce ed è la conseguenza di una chiarificazione di ordine conoscitivo e gnoseologico che permetta di fruire del potere nella giusta dimensione, di contro ad un dogma del progresso fine a se stesso che si manifesta nelle forme più quotidiane della vita contemporanea.64

L’ascesi non può che principiare dal singolo e tuttavia essa è chiamata a modificare radicalmente anche le totalità.65. Entriamo così in una serie di elementi che, seppur non delineati in modo analitico, possono essere considerati come un tentativo di costruire percorsi e criteri possibili in relazione alla tecnica e al potere. Sebbene lo Stato e le organizzazioni sfuggano ad una lettura puramente naturale come per i gruppi più piccoli, nondimeno anche tali “apparati” sono chiamati ad essere morali, in un modo peculiare che solo l’esperienza concreta può approssimare e integrare. Nel corso delle lezioni di Etica troviamo anche un breve schizzo delle relazioni di amicizia e nei gruppi di lavoro66 Pur non essendo presente un riferimento esplicito all’ascesi, è possibile cogliere l’attenzione esistenziale ai fenomeni della vita moderna, nei loro guadagni e nelle loro minacce. Per esempio un team realizza elementi di integrazione difficilmente pensabili in altri contesti, ma insieme vive per il risultato e l’efficienza, con il rischio di dimenticare altri valori in gioco.

Probabilmente la strada di piccoli gruppi e comunità che si fanno portatori di un messaggio di “resistenza” alla potenza senza limiti del potere è un implicito messaggio socio-politico, ma anche ecclesiologico, lanciato da Guardini, similmente al suo impegno pastorale-educativo nell’esperienza del Quickborn. Non c’è dubbio tuttavia che il soggetto per eccellenza in grado di “salvare” l’uomo dalle derive tecnocratiche abbia per il pensatore italo-tedesco un nome e un’identità precisa. Europa,67, nella sua adesione non formale ma sostanziale alle proprie radici di libertà fondata nella Rivelazione, può indicare una strada possibile di dominio sul potere, rivestendo nella sua unità per il mondo un ruolo non solo geo-politico ma simbolico68, segno di opposizione, non di contraddizione, come inveramento (pratico) della verità germinata nella tradizione greco-ebraico-cristiana e nell’incontro con la matrice nordica-germanica, simbiosi poi indebolitesi nei secoli dell’Occidente moderno. Di contro alla rivendicazione nei confronti delle istituzioni, che divengono non luoghi di cui si è parte ma distanti e lontani – Europa su tutti – c’è una strada che spetta al singolo come compito individuale, «ciò che di volta in volta è giusto, qui ora»69, in una conoscenza affettiva che si apre dal puro sapere verso la vita [Ins Leben] per «riemergere dal buio di un mondo totalmente amministrato»70 e riappropriarsi così, negli incontri, del proprio tempo e del destino personale e comunitario.


  1. Romano Guardini, Domande sul problema del potere (1964), in Id., Opera omnia, 1a ed., Morcelliana, Brescia 2005, vol. VI. Scritti politici, pp. 509; 601-602. Colpisce il parallelo chiasmatico della “minacciosa spensieratezza” con l’espressione “allegra superficialità” presente in Francesco, Laudato si’, n. 229. ↩︎

  2. Romano Guardini, Lettere dal Lago di Como: la tecnica e l’uomo, 2a ed., Morcelliana, Brescia 1993. ↩︎

  3. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna – Il potere, 10a ed., Morcelliana, Brescia 2004, p. 90: «da ora in avanti e per sempre l’uomo vivrà ai margini di un pericolo che minaccia tutta la sua esistenza e continuamente cresce». ↩︎

  4. Ibid., p. 208 in cui emerge il riferimento ad un’educazione all’ascesi nei confronti della potenza tecnica. ↩︎

  5. Carlo Fedeli, Guardini educatore, 1a ed., Pensa Multimedia, Lecce - Rovato (BS) 2018, p. 62 mette in luce la capacità di Guardini di assorbire fino in fondo pedagogicamente la realtà in evoluzione delineando così anche l’analisi del tempo di crisi emergente. ↩︎

  6. Ibid., p. 101. Tale immagine, riferita all’essenzialità del restauro del Castello di Rothenfels in Franconia, è del celebre architetto Rudolf Schwarz che, in comunione d’intenti e visione con Guardini, fu protagonista della stagione del Quickborn↩︎

  7. A questo proposito Giovanni Magrì, Dal volto alla maschera. Rappresentazione politica e immagini dell’uomo nel dialogo tra Guardini e Schmitt, 1a ed., Franco Angeli, Milano 2013, che segnala un’originale inversione di stile tra i due autori, un laico che si interessa dell’essenza giuridico-politica del religioso e un pensatore di matrice religiosa che riflette laicamente sullo Stato (p. 14); sulla prospettiva guardiniana del potere si veda anche Enrico Scarpello Lucania, Romano Guardini. I fondamenti teologici del potere, 1a ed., Edizioni Studium, Roma 2014. ↩︎

  8. Romano Guardini, Lo Stato in noi (1924), in Id., Opera omnia, cit. alla nt. 1, vol. VI, pp. 161-167. ↩︎

  9. Si veda per esempio l’analisi di Massimo Borghesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, 2a ed., Edizioni Studium, Roma 2004, pp. 161-195. La tragicità del moderno non va letta solo nei risultati catastrofici della stessa, ma nel meccanismo specifico della Modernità che vuole ottenere ciò che non può raggiungere. ↩︎

  10. Enrico Scarpello Lucania, Romano Guardini, cit. alla nt. 7, p. 70. L’inumanità qui ricordata non va considerata come giudizio morale (o moralistico) rispetto ad azioni specifiche, ma come condizione nuova dell’uomo che, per effetto della macchina, non vive più un’unità tra il mondo dell’azione e quello dell’esperienza. Tale accenno è presente anche in Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 70. ↩︎

  11. Enrico Scarpello Lucania, Romano Guardini, cit. alla nt. 7, pp.47-50. Differentemente da un certo pudore ecologista per cui si sfuma il comando divino di Genesi 1, 28, Guardini colloca proprio nella responsabilità di servizio che Dio dà all’uomo al termine della creazione il cuore del potere umano, onere da portare e onore quale custode della creazione stessa. Peraltro Guardini si ispira proprio a questo versetto per le già citate domande a Rahner del 1964, nelle quali trova spazio non solo il riferimento protologico ma anche quello escatologico così come, in relazione all’ascesi, in Romano Guardini, Abbozzo per l’ultima parte dell’Etica, in Id., Etica. Lezioni all’Università di Monaco (1950-1962), 3aed., Morcelliana, Brescia 2003, p. 1160, con riferimento alla «tutela dell’éschaton dall’idea del progresso e dalla felicità autonoma del mondo». ↩︎

  12. Giovanni Magrì, Dal volto alla maschera, cit. alla nt. 7, pp. 275-331. ↩︎

  13. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 97-109. In questa direzione si vedano anche le lettere più mature in Id., Lettere dal Lago di Como, cit. alla nt. 2, pp. 99; 111 in cui si esprime un “sì”al proprio tempo nell’assunzione di un rinnovato compito di speranza. ↩︎

  14. Id., La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 90; 212-217. Sull’analisi della parabola della tecnica come tradimento della libertà moderna si veda Mario Tronti, Guardini e il potere, in Michele Nicoletti – Silvano Zucal (a cura di), Tra coscienza e storia. Il problema dell’etica in Romano Guardini, 1a ed., Morcelliana, Brescia 1999, pp. 187-194. ↩︎

  15. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 200-202. ↩︎

  16. Id., La fondazione dell’esserci, in Id., Opera omnia, 1a ed., Morcelliana, Brescia 2009, vol. III/2. L’uomo. Fondamento di una antropologia cristiana, pp. 194-195 mette in evidenza la crescita non solo quantitativa ma di carattere qualitativo nella tecnica e nella scienza moderne. ↩︎

  17. Massimo Borghesi, Il pensiero esistenziale di Romano Guardini e l’incontro con il moderno, in Juan Gabriel Ascencio (ed.), Romano Guardini e il pensiero esistenziale, 1a ed., Cantagalli, Siena 2017, pp. 90-94. ↩︎

  18. Italo Sciuto, L’etica di Guardini tra Bonaventura e Agostino, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini. Una sfida per il post-moderno, 1a ed., Morcelliana, Brescia 2005, pp. 27-40. Su Bonaventura e Agostino si veda anche Massimo Borghesi, Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva, 1a ed., Jaca Book, Milano 2018, pp. 129-158; 159-181. ↩︎

  19. La proposta etica come tutto il pensiero di Guardini può essere definita nel quadro di una sistematicità aperta che non vuole però dare vita ad un sistema nel senso classico del temine: cfr. Romano Guardini, L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, 1a ed., Morcelliana, Brescia 1997, pp. 206-207; Daniele Vinci, Introduzione, in Romano Guardini, Opera omnia, 1a ed., Morcelliana, Brescia 2015, vol. IV/1. Scritti sull’etica, p. 88. ↩︎

  20. Hanna-Barbara Gerl Falkowitz, La storia dell’Etica nel pensiero di Guardini ovvero la tensione tra natura e soprannatura, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, pp. 15-21; Massimo Borghesi, Opposizione polare e contraddizione etica. Guardini critico della gnosi, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, pp. 101-118. Guardini non segue Nietzsche fino alle estreme conseguenze del suo pensiero ma accetta una qualità autentica della domanda rivolta al cristianesimo assieme alla domanda astiosa e colma di risentimento che anticipa l’esito solo distruttivo della risposta. In questa direzione Massimo Borghesi, Romano Guardini, cit. alla nt. 9, pp. 176-177. ↩︎

  21. Id., Opposizione polare e contraddizione etica, Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, cit., p. 104. ↩︎

  22. Ibid., pp. 113-118. ↩︎

  23. Id., Romano Guardini, cit. alla nt. 18, p. 53. ↩︎

  24. Per i legami dell’opposizione polare con le polarità di Francesco, Evangelii gaudium, nn. 222-237 si veda Massimo Borghesi, Romano Guardini, cit. alla nt. 18, pp. 209-211. ↩︎

  25. Calogero Caltagirone, «L’etica come tensione verso la “pienezza di vita” in Romano Guardini», Itinerarium, anno 14, n. 32 (gennaio-aprile 2006), pp. 159-188. ↩︎

  26. Romano Guardini, La realizzazione del bene (1953)in Id., Opera omnia, cit. alla nt. 19, pp. 189-192. Una figura professionale che risalta tale processo è proprio quella del medico che, tuttavia, rappresenta all’estremo tutte le altre professioni dell’agire umano esplicitando una dimensione etica interiore [ethische Innendimension, p. 192]. Sulla figura del medico è necessario ricordare anche Id., Il medico e l’arte di guarire, in Id., Etica, cit. alla nt. 11, pp. 911-929. ↩︎

  27. Id., L’opposizione polare, cit. alla nt. 19, p. 198. ↩︎

  28. Questa prospettiva venne già riconosciuta nell’imminenza della morte di Guardini da Albino Babolin, Romano Guardini filosofo dell’alterità, 1a ed., Zanichelli, Bologna 1968, vol. 1 Realtà e persona, p. 308. Una realtà che nega il proprio rapporto con la verticalità sperimenta la speranza cieca prometeica sospesa tra compito per l’umanità e tentazione di possesso del mondo. Prevalendo quest’ultima spinta scienza e tecnica sono in grado di intaccare la struttura fondamentale del mondo. Per la traiettoria prometeica di veda anche Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 135. Una definizione di hybris, con la conseguente crescita di angoscia per la mancanza di fini riconoscibili, è presente in Id., La situazione attuale, in Id., Etica, cit. alla nt. 11, p. 993: «che si osi mettere mano a un’impresa gigantesca, che sia rivendicata una signoria senza che l’agente possa dire a quale scopo agisce, senza che egli sappia se ne è in grado». ↩︎

  29. Enrico Scarpello Lucania, Romano Guardini, cit. alla nt. 7, p. 50 ss. ↩︎

  30. Marcello Acquaviva, Il concreto vivente. L’antropologia filosofica e religiosa di Romano Guardini, 1a ed., Città Nuova, Roma 2007, pp. 139-141. ↩︎

  31. Enrico Santini, Ermeneutica della libertà e compito etico in Romano Guardini, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, pp. 119-136. Per una prospettiva non eteronoma del teologico si veda anche Silvano Zucal, L’etica di Guardini nella prospettiva personalistica e dialogica, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, p. 90. ↩︎

  32. Massimo Borghesi, Romano Guardini, cit. alla nt. 9, pp. 222-223. Tale punto archimedeo teologico è lo stesso cui ricorre il filosofo Franz Rosenzweig nella costruzione del suo Der Stern der Erlösung. ↩︎

  33. Si veda per esempio il ruolo della pianificazione universale in Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 164-165. ↩︎

  34. Silvano Zucal, L’etica di Guardini nella prospettiva personalistica e dialogica, cit. alla nt. 31, pp. 82-86. ↩︎

  35. Massimo Borghesi, Romano Guardini, cit. alla nt. 9, p. 226. ↩︎

  36. Silvano Zucal, L’esistenzialismo di Guardini: i nessi con il personalismo e con la filosofia dialogica, in Juan Gabriel Ascencio (ed.), Romano Guardini e il pensiero esistenziale, cit. alla nt. 17, pp. 57-78. Le consonanze con il personalismo dialogico vanno riscontrate soprattutto nella peculiarità della persona come spiritualità “auto-coscienziale, conoscente, libero-volitiva e creativa”. L’auto-appartenenza della persona che non è solo una funzione ma un elemento trascendentale non è surrogabile sia sul piano quantitativo che qualitativo, implicando quindi una serrata critica al paradigma omologante e reduplicante della società tecnocratica. L’incontro in cui sorge la persona è garanzia, anche verbale, rispetto all’appiattimento della civiltà tecnologica. ↩︎

  37. Albino Babolin, Romano Guardini filosofo dell’alterità, cit. alla nt. 28, pp. 299-300. Il carattere verbale del mondo lo rende semantizzabile, di contro alla mitologia magica di un mondo chiuso in se stesso. In termini relativi alla tecnica potremmo affermare che lo stesso mondo mitico dell’Antichità rischia di “non essere detto” perché la prospettiva tecnica non viene adeguatamente verbalizzata. ↩︎

  38. Ibid., pp. 317-318. Le alterità di Dio, mondo e uomo si intrecciano: «l’identificazione con il mondo o con la Persona assoluta importa l’annullamento dell’uomo nel suo significato autentico; l’alterità invece con il mondo e con la Persona assoluta costituisce l’alternativa autentica dell’esistenza dell’uomo». La prospettiva guardiniana in particolare di Welt und Person non può non richiamare alla memoria i tre Urphänomene nelle loro reciproche relazioni in Der Stern der Erlösung, sebbene il dialogo visibile con gli autori ebraici sia stato per Guardini soprattutto con la figura di Martin Buber. ↩︎

  39. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 214 è cosciente che «c’è stato un tempo in cui i filosofi, gli storici, i poeti, consideravano la parola “ascesi” come espressione dell’odio medievale verso la vita, e difendevano l’etica dell’immediatezza e della vita esaurita nel godimento. […] Ma facciamo bene a convincerci che mai nulla è diventato grande senza “ascesi” e ciò di cui ora si tratta è qualche cosa di molto grande, anzi di decisivo». ↩︎

  40. Id., Le condizioni di possibilità del fenomeno etico, in Id., Etica, cit. alla nt. 11, pp. 254-256. La resa di selbst-los con il trattino pone una possibilità interpretativa nella traduzione come abbandono di se stessi o disinteresse non egoistico. Su questo cfr. Silvano Zucal, L’etica di Guardini nella prospettiva personalistica e dialogica, cit. alla nt. 31, pp. 98-100. ↩︎

  41. In connessione con il tema dell’umiltà (del Figlio) questo termine ritorna in Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 141-142. Inoltre in Id., Il processo della realizzazione, in Etica, cit. alla nt. 11, p. 407 l’ascesi è messa in connessione con il processo, caro alla mistica medievale, del desistere dall’essere, cessar di essere [Ent-werden], de-divenire. ↩︎

  42. Gunda Brüske, Identità nel corso della vita. Le «età della vita» di Guardini e il loro significato attuale, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, pp. 145-146. ↩︎

  43. Giacomo Canobbio, L’etica di Romano Guardini in prospettiva teologica, in Ferdinando Luigi Marcolungo – Silvano Zucal (edd.), L’etica di Romano Guardini, cit. alla nt. 18, p. 169. A queste tre tracce si potrebbe aggiungere l’elemento dell’umiltà come virtù forte e non debole per esempio in Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 138-140. ↩︎

  44. Tale sfumatura indica anche la strada dell’autentico dialogo che non comporta l’abbandono della propria radice ma anzi si compie proprio nella consapevolezza delle appartenenze di cui, nel dialogo, ci si riappropria. ↩︎

  45. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 46. ↩︎

  46. Ibid., p. 58. ↩︎

  47. Ibid., p. 60. ↩︎

  48. Ibid., p. 63. ↩︎

  49. Ibid., p. 69: «si trasformano perciò i suoi rapporti con la natura. Perdono la loro immediatezza, diventano indiretti, passano attraverso l’intermediario del calcolo e degli apparecchi. Perdono la loro evidenza, divenendo astratti e formali. Non sono più oggetto di esperienza, divengono obbiettivi e tecnici». ↩︎

  50. Ibid., p. 96. In questo cambiamento di prospettiva rientra anche una certa visione degli «eventi capitali della vita umana: concepimento, nascita, malattia, morte perdono il loro carattere di mistero. Divengono fenomeni biologici e sociali». Nel momento stesso in cui l’uomo è sempre più padrone della vita in chiave pratico-tecnica fino ad ipotizzare «un’influenza da esercitare sull’essenza umana[…], la questione cioè di sapere che cosa lui stesso è, dove stanno le radici della sua essenza, di sapere su che cosa l’uomo si fonda, riceve delle risposte che si elidono reciprocamente e conducono la coscienza complessiva in uno stato di continua confusione», Id., La situazione attuale, cit. alla nt. 28, p. 1000. D’altro canto nella prospettiva contemporanea l’immagine del corpo si apre alla comprensione di qualcosa di vivo e mobile, Id., La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 187. Sul rispetto della corporeità appare interessante lo sguardo integrale gettato su un tema specifico come quello delle autopsie: Id., La fede cristiana e l’esecuzione delle autopsie (1959), in Id., Opera omnia, cit. alla nt. 19, pp. 357-359. ↩︎

  51. Id., La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, pp. 81-83. ↩︎

  52. Ibid., pp. 122-123. ↩︎

  53. Ibid., p. 151. ↩︎

  54. Ibid., p. 161. ↩︎

  55. Ibid., p. 118. ↩︎

  56. Tale racconto si manifesta come antidoto alle derive gnostico-dualistiche poiché non appare ingenuamente positivo né pessimisticamente rassegnato. Il compito dato all’uomo incide sulla sua stessa natura ed insieme va considerato come strutturale il “turbamento” intervenuto all’inizio della storia umana. ↩︎

  57. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 132. ↩︎

  58. Ibid., p. 196: Guardini individua infatti anche una forma feconda di utopia come «sforzo di portare all’aperto, in immagini e programmi, perché possa essere efficacemente creato, ciò che è ancora nascosto e si apre la strada nel divenire della storia». ↩︎

  59. Ibid., p. 200. ↩︎

  60. Id., L’ascesi come elemento dell’esistenza umana (1956), in Id., Opera omnia, cit. alla nt. 19, pp. 291-292. ↩︎

  61. Ibid., p. 288. ↩︎

  62. Ibid., p. 295. ↩︎

  63. Id., Il problema etico della nostra situazione attuale (1957), in Id., Opera omnia, cit. alla nt. 19, p. 343. ↩︎

  64. Id., Il regno dell’utile, in Id., Etica, cit. alla nt. 11, p. 803. ↩︎

  65. Id., La realizzazione e i suoi gradi, in Id., Etica, cit. alla nt. 11, p. 344. In questa direzione si muove anche il testo dedicato al concetto di Gemeinschaft, Id., La comunità, in Id., Etica, cit. alla nt. 11, pp. 807-842. ↩︎

  66. Id., Amicizia, cameratismo, gruppo di lavoro, in Id., Etica, cit. alla nt. 11 pp. 679-684. ↩︎

  67. Massimo Borghesi, L’essenza del potere nell’era “post-moderna”, in Franco Volpi (a cura di), Ansia per l’uomo. Riflessioni sul pensiero di Romano Guardini, 1a ed., Gualandi, Vicenza 1987, pp. 76-78. ↩︎

  68. Massimo Cacciari, «L’aut-aut sull’Europa di Romano Guardini», Vita e Pensiero, anno 101, n. 2 (marzo-aprile 2018), pp. 87-96; Massimo Borghesi, Romano Guardini, cit. alla nt. 9, pp. 226-228. ↩︎

  69. Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, cit. alla nt. 3, p. 216. ↩︎

  70. Massimo Borghesi, Romano Guardini, cit. alla nt. 18, p. 204. ↩︎