Le Lettere dal lago di Como di Romano Guardini. Contenuto, evoluzione e aperture di un’opera dedicata al rapporto uomo-tecnica

1. La cum-venientia di una filosofia in forma epistolare

L’opera è composta da nove lettere pubblicate nella rivista Die Schildgenossen,1 tra la Pentecoste del 1923 e l’autunno del 1925, successivamente raccolte in un unico volumetto nel 1926, quindi pubblicate a Magonza.2 È lo stesso autore ad informare che tali composizioni non hanno subìto alcuna modifica sostanziale, nonostante egli stesso sia consapevole del fatto che tra la prima e l’ultima corra «una lunga strada».3 La strada cui Guardini allude più che al tempo cronologico trascorso, si riferisce alla maturazione in itinere dell’argomento in esame. Tale maturazione non costituisce, nella coscienza dell’autore,4 una deviazione rispetto alle intuizioni anteriori come, del resto, le ultime lettere non possono essere valutate come una sorta di retractationes rispetto a quanto affermato nelle prime. Guardini allude ad una linea di pensiero coerente che via via si precisa, eventualmente si corregge, senza tuttavia perdere l’orizzonte assegnato dalle intuizioni primordiali.5

La precisazione sulla natura della raccolta in esame può aiutare a comprendere la motivazione per cui Guardini ha deciso di lasciare il testo nella originaria forma epistolare, rinunciando alla possibilità di riprendere la totalità degli argomenti trattati alla luce di quanto acquisito con l’ultima lettera. L’autore è consapevole infatti di non aver prodotto soltanto un’opera di cultura filosofica, almeno non nel senso sistematico del termine. Le lettere pubblicate sono infatti

testimonianze di un cammino, con tutto ciò che esso comporta di percezioni incomplete, o persino fallaci. Così come si presentano, queste lettere saranno forse bene accolte da coloro che – anch’essi – s’inoltrano «tra i tempi».6

La lettera è il vivido strumento attraverso cui l’autore non solo esprime la propria riflessione, ma anche il percorso dinamico che ha portato ad essa. L’esposizione in forma epistolare attesta quindi il dinamismo di un pensiero nel suo farsi. La ragione di una tale scelta è strettamente congiunta con l’argomento in esame. Ciò che la tecnica è e ciò che essa comporta nelle intime strutture della persona umana costituisce un fenomeno imponente che si dà in fieri. Si può supporre che Guardini, da un lato, abbia consapevolezza di non poter produrre uno studio del tutto lucido e consapevole su un fenomeno dinamico, contemporaneo, imponente per portata e così vicino al suo sguardo interpellante, dall’altro però non voglia esimersi dalla fatica di interrogarsi su una questione che intuisce essere di portata vitale.7 Guardini sembra così suggerire che un fenomeno nel suo accadimento possa essere meglio colto da un pensiero che si costruisce in itinere.8

La scelta epistolare è, inoltre, strettamente connessa ai destinatari con cui l’autore intende idealmente dialogare: l’aspetto itinerante del pensiero, rappresentato da un percorso tracciato in forma epistolare, può maggiormente intercettare l’interesse di chi ha il coraggio di pensare in situazione («tra i tempi»,9 appunto), pur sapendo di andare incontro a notevoli difficoltà.

La duplice cum-venientia del testo epistolare all’argomento e al tipo di destinatario sottolinea il carattere dinamico e sostanzialmente aperto della riflessione guardiniana. Lo dimostra il fatto che la stessa lettera nona, l’ultima della raccolta, lungi dall’avere il carattere definitivo della compiutezza, risulta essere essa stessa aperta a nuove riflessioni e a più ampie sintesi. Se da un lato tale incompiutezza può trasferire al lettore un senso di precarietà del pensiero, dall’altra lo spinge alla consapevolezza che né l’autore di un’opera può dare una visione definitiva di un fenomeno così ampio e dinamico, né lo stesso interlocutore letterario può esimersi dal dovere di raccogliere i dati offerti per elaborare ulteriormente il pensiero.

2. L’intuizione di fondo

La questione del rapporto tra la tecnica e l’uomo viene esposta in termini di gravità giudicata come epocale. Ci sono almeno tre indizi che consentono di comprendere l’urgenza della questione intuita. (1) Anzitutto la natura della risposta che esige: la dimensione totalizzante della problematica richiede una risposta «viva dell’essere».10 e non meramente intellettuale. (2) La portata salvifica: Guardini sente che la questione in esame lo impegna profondamente. Il suo chiarimento addirittura lo spaventa. È così consapevole della portata esistenziale della questione da paragonare se stesso e l’uomo contemporaneo all’Edipo interpellato dalla Sfinge: la vita viene quindi percepita come dipendente dalla qualità della risposta offerta alla questione. (3) Infine, l’ineluttabilità della decisione morale che la questione comporta. Due sono le possibilità che l’autore delinea: o «il fatto in se stesso con la sua inevitabilità e coercizione, oppure l’intelligenza e la nostra capacità di dominare le cose»11

Sono diverse le cause che favoriscono l’intuizione guardiniana in merito alla questione della tecnica. La più evidente è costituita da alcuni viaggi in Italia, compiuti dopo un ventennio di assenza.12 In particolare, durante il secondo di essi, si profila nell’autore il bisogno di sondare con maggiore consapevolezza il sentimento di tristezza che lo aveva colto quando per la prima volta varcò, dopo molti anni, il suolo italiano. Tale sentimento viene descritto per il fatto che l’autore, nonostante la bellezza naturale del territorio italiano e l’indescrivibile armonia con cui l’uomo del passato lo abbia urbanizzato, percepisca intorno a sé l’inizio «di un grande morire».13 Il viaggio in Italia gli permette di meglio chiarire ciò che in Germania avrebbe potuto comprendere con difficoltà. Il rapporto che Guardini coglie tra la Germania e l’Italia del suo tempo è infatti quello che sussiste tra un fenomeno nel suo pieno sviluppo e lo stesso fenomeno ai suoi albori. Queste le parole del nostro:

vidi la macchina penetrare in un paese che finora aveva posseduto una cultura. Vidi piombare la morte su una vita di infinita bellezza e sentii che non si trattava soltanto di una perdita esteriore, tale da potersi sopportare rimanendo quel che si era prima di subirla; sentii esserci una vita, e del più alto valore, che può sussistere solo in un ambiente così.14

L’affermazione può essere sintetizzata attraverso cinque tesi fondamentali:

  1. Il mondo della macchina sembrerebbe sostituire quello della cultura. La tecnica non viene percepita come il naturale compiersi della evoluzione culturale dell’uomo, ma come un superamento o, più precisamente, come un soppiantamento.
  2. Tale sostituzione appare vividamente all’intuizione guardiniana attraverso l’immagine della morte di cui la tecnica è la causa. Ciò che muore è, per così dire, la sintesi tutta originale, persino indescrivibile, che l’uomo italiano, attraverso la sua opera culturale, ha compiuto con il mondo naturale.
  3. La morte in atto costituisce un processo di non ritorno, inevitabile e irreversibile.
  4. La morte di cui Guardini si considera testimone ha a che fare con il valore alto della cultura di cui l’uomo stesso è stato portatore e in cui egli stesso si identifica.
  5. Ciò che è in gioco è qualcosa della cultura strettamente legato alla dimensione profonda dell’uomo. La perdita irreversibile è talmente elevata che Guardini non esiterà a paventare la comparsa dell’inumano. Più avanti cercheremo di identificare la densità semantica del termine.

3. L’incrocio di due assi portanti della riflessione guardiniana

Per comprendere quanto Guardini vuole esprimere in merito all’avvento della tecnica e alle conseguenze che ha determinato nei confronti dell’humanum è necessario soffermarsi su due assi portanti del suo pensiero filosofico, quello della opposizione polare e quello della filosofia della storia, assi che proprio nell’opera in esame – come avremo modo di dimostrare – si vanno strutturando.15

3.1. L’opposizione tra natura e cultura

Lungo il corso della storia della civiltà, l’uomo è stato al centro del rapporto tra due poli in tensione, la natura e la cultura. Nella visione guardiniana la realtà – o, per meglio dire, il concreto vivente – è il frutto della tensione di polarità opposte che, in forma pura, non esistono. Tali polarità, prese in coppia, sono presenti de facto con una molteplicità di gradi non definibili in campo teoretico giacché quest’ultimo deve pur rispettare il dato della non circoscrivibile ricchezza del reale. Esistono solo dei limiti alle possibili gradazioni tensionali. Quella dell’equilibrio tra le due polarità, destinato a durare poco nel tempo, pena la morte del fenomeno in esame, e quella degli eccessi: più il concreto vivente si accosta ad uno dei due poli e più si avvicina alla sua distruzione. Il binomio natura-cultura non coincide con nessuna delle coppie di opposti categoriali o trascendentali, così come sono descritte nella Gegensatz-Theorie, ma obbediscono alla medesima logica.

In questo contesto sarà importante verificare se nelle Lettere la lettura del rapporto tra natura e cultura corrisponda coerentemente con il dettato di quanto contemporaneamente andava fissando ne L’opposizione polare.

Partiamo dagli eccessi. In riferimento alla non esistenza concreta delle polarità assolute, Guardini ha da riferire qualcosa sulla impossibilità della natura ‘pura’. La natura, in quanto realtà incontaminata, non può essere propriamente abitata dall’uomo. Ha ragione Carl Schmitt ad affermare che la nostalgia di una natura allo stato puro è essa stessa una produzione della cultura, quando sia viziata da un eccesso di artificio.16 La natura può riguardare l’uomo solo nella misura in cui esista come abitata: tale processo è ciò che chiamiamo «cultura». Mediante essa l’uomo vive e agisce nella natura, plasmandola secondo il suo pensiero e facendo in modo che essa obbedisca a fini nobili (dettati dallo spirito) e non imponga soltanto fini naturali. Del limite opposto, quello della cultura ‘pura’ e del suo problematico avvicinamento da parte della tecnica diremo successivamente, giacché tale tematica coincide precisamente con il contenuto del presente studio.

Nella prima lettera, Guardini viene colpito dalla bellezza del paesaggio italiano. In esso scorge una sintesi del rapporto tra natura e cultura che nella sua Germania da diverso tempo è andato perduto. La suddetta sintesi è data dal fatto che l’uomo, senza inficiare la naturalità della natura né la soggettività dell’humanum, ha arricchito entrambe le istanze della peculiarità di ciascuna. La cultura, da un lato, ha tutte le caratteristiche dell’intervento dell’humanum («modellata nelle forme, pervasa di spiritualità».17) e nello stesso tempo riesce a manifestarsi come naturale, quindi non contrapposta al mondo della natura stessa. La naturalità della cultura è giudicata tale in quanto eredità di una formazione millenaria che si manifesta con il carattere della semplicità degli uomini. È così radicata da potersi definire quasi come una seconda natura. L’urbanitas, del resto, non disumanizza l’humanitas dell’uomo né priva la natura di qualcosa che le è proprio. Anzi: l’humanitas, in quanto esistenza piena di nobiltà e ricca di forme, nell’urbanitas può prosperare, mentre la natura stessa è tale da sembrare persino arricchita dall’elemento culturale18 In sintesi: la reciproca influenza, in un tale contesto, non solo non inficia, ma addirittura esalta ciò che è proprio sia della natura che della cultura.

Nella seconda lettera il rapporto viene ripreso e precisato nel suo dinamismo passato. Il dinamismo che lega il rapporto tra mondo della natura e quello della cultura è duplice. In prima battuta esso consiste in un allontanamento:

l’esistenza umana è permeata di spirito, ma lo spirito non può operare se non dopo aver portato via alla natura un po’ della sua realtà; vorrei dire, la sfera della realtà naturale – per mezzo di quella della coscienza , quindi dell’ideale-irreale – viene in certo qual modo allontanata, messa in dubbio, sminuita.19

Il secondo movimento è costituito da una sorta di avvicinamento: per quanto il processo culturale si allontani dal dato naturale e per quanto si avvicini al limite di saturazione dello spirito, tanto che possa sembrare addirittura ostile alla natura stessa, tale processo resta comunque legato alla natura, per cui può dirsi ancora in qualche modo naturale. Almeno fino a quando il limite non venga superato. E il limite superato, che adombra già una sorta di allontanamento ulteriore dell’uomo rispetto alla natura, viene identificato, come più volte accennato, proprio con l’avvento della macchina.

Resterebbe da riferire del secondo dei limiti, ovvero dell’equilibrio delle due istanze. Per comprendere bene il dettato guardiniano in merito occorre però accennare alla sua visione della storia della cultura.

3.2. La filosofia della storia

La peculiare filosofia della storia guardiniana, nelle Lettere solo adombrata, legge l’intera vicenda della civiltà umana nei termini del rapporto natura-cultura e ne disvela un procedimento triadico che si svolge attraverso il già citato movimento di allontanamento/riconciliazione/allontanamento. Quanto già evidenziabile nelle righe precedenti, che illustravano il contenuto della seconda lettera, può essere maggiormente compreso attraverso il contenuto della nona lettera:

Una volta l’uomo aveva come primo obiettivo quello di affermarsi di fronte alla natura che lo minacciava da ogni parte, perché egli non l’aveva ancora dominata, ed era quindi per lui soltanto caos […]. Il caos - «caos» dal punto di vista dell’uomo – prese forma e divenne il mondo dell’uomo. Via via che ciò andava attuandosi, […] egli liberava proprio con la sua stessa azione forze nuove, non ancora soggiogate dalla sua attitudine personale e dalla forma del mondo novellamente creato. Queste forze andarono crescendo e oggi, scatenate, hanno provocato un nuovo caos. Nella parabola della storia siamo ritornati esattamente al punto in cui si trovò l’uomo primitivo quando ebbe da affrontare il suo primo compito, quello di creare un «mondo». Siamo di nuovo minacciati da tutte le parti da un caos che, questa volta, noi stessi abbiamo provocato.20

L’andamento triadico della civiltà umana viene in questo passaggio ulteriormente specificato, poiché il dato caotico connota e specifica il diverso significato della divisione che sussiste tra il mondo umano-culturale e quello naturale. Se infatti nell’uomo dell’antichità il caos costituiva l’inevitabile limite che provocava l’opposizione, ora nell’era della tecnica rappresenta una dimensione creata dall’uomo stesso per saturazione del dato ‘culturale’.

Il limite superato viene identificato storicamente con la meta del secolo XIX.21 giacché a partire da quel periodo si sgretola l’età moderna coi suoi prodotti specifici di soggetto, natura e cultura. Quanto la tecnica destrutturerà tali principi e quali saranno gli esiti di tale operazione non è dato saperlo nelle Lettere, ma sarà oggetto di continuo interesse speculativo da parte di Guardini. In tal senso La fine dell’epoca moderna costituisce un naturale complemento dell’opera22

Se però il rischio del superamento del limite è già in atto ad opera dell’avvento della macchina, resta però vero che l’armonia sottesa al rapporto tra natura e cultura non poteva strutturarsi in modo permanente nella storia. Si potrebbe pensare che quando il nostro riferisce della inevitabilità dell’avvento della tecnologia, intenda proprio questo: uno spezzarsi dell’armonia che non avrebbe potuto permanere nel tempo. E tuttavia l’armonia, con le sue molteplici sfumature che hanno connotato la ricchezza peculiare di ogni periodo culturale della storia degli ultimi millenni, non va confusa con l’equilibrio di cui Guardini riferisce nella teoria degli opposti. Quest’ultimo concetto evoca una sorta di precarietà che non potrebbe essere identificata con secoli di produzione culturale, neanche da un uomo quale il nostro che pure si affaccia a contemplare il passato, nelle prime otto lettere, con romantica nostalgia.

L’inevitabilità del processo che porta alla messa in atto della tecnica non deve prestare il fianco ad una visione acriticamente positiva e progressiva, che Guardini più lucidamente condannerà ne Il potere, testo scritto in seguito al secondo conflitto mondiale.23 Ma non deve nemmeno far pensare all’idea che la mens cristiana si sia opposta ad essa. Più avanti vedremo infatti quali aspetti del dogma abbiano addirittura favorito una certa apertura alla prospettiva dello sviluppo tecnologico.

4. La tecnica, ovvero il limite superato

La macchina, simbolo dell’avvento della tecnica, rappresenta il superamento di un limite che le precedenti civiltà non hanno mai conosciuto. Essa determina un decisivo perturbamento nel rapporto tra natura e cultura, praticando uno sforamento del culturale nell’artificiale. Per rendere più comprensibile il suo pensiero, Guardini offre alcuni esempi. Ne citiamo uno, quello della barca a vela.

Frutto dell’ingegno umano, la barca a vela appare all’osservatore come una forma perfetta, risalente probabilmente a tempi antichissimi. Attraverso tale strumento, «in virtù di un legno ricurvo e debitamente connesso e di una tela tesa»,24 l’uomo può dominare la natura. La barca a vela rappresenta paradossalmente un distacco dalla natura e una imprescindibile armonia con essa. Il distacco, per cui l’uomo non è più inserito come un pesce o un uccello nel mare o nel vento, è una necessità. Si tratta di una rinuncia o di un sacrificio che opera una vittoria sulla natura. Eppure tale distacco non impedisce, anzi, favorisce la possibilità della naturalità del dato culturale. Questo fatto è registrato da Guardini per almeno due ragioni: la prima riguarda l’armonizzazione dell’artificio col contesto naturale (il legno pesante e la vela in armonia con la forza del vento danno una risultanza di leggerezza); la seconda invece si riferisce alla naturalità non perduta dell’uomo: egli resta infatti una realtà vivente, un corpo permeato di spirito. Il pensiero di Guardini sembra suggerire che il primo dato evocato (armonia di strumento culturale e natura) risulti essere la conditio sine qua non per la preservazione e l’esaltazione dell’humanitas di chi utilizza lo strumento culturale: lo strumento infatti è in grado di offrire lo «spazio vitale» che permette all’uomo di esaltare il proprio agire nella natura e quindi di conservare con essa il proprio legame che è insindacabilmente necessario perché l’uomo possa dirsi ancora tale. Cosa fa superare il limite di avvicinamento al polo culturale e il punto di non ritorno al naturale? Nell’esempio: il motore a scoppio di alcune imbarcazioni, il veliero a vapore e il transatlantico. Non è in atto tanto un progresso graduale nella linea della grandezza o del perfezionamento, ma una evoluzione che comporta un salto oltre il limite, dove lo strumento non consente più di vivere in armonia con la natura. La dimensione della vittoria della cultura sulla natura compromette il contatto vitale dell’uomo con essa.25 Il risultato del processo non comporta soltanto una rinuncia, ma una morte:

il navigante, nel primo e proprio significato della parola, che esprimeva una forma fondamentale dell’esistenza umana, caratterizzata da particolari atti, ha cessato di essere.26

Non è soltanto la spiegazione della macchina a determinare il senso del superamento del limite rappresentato dalla tecnica. Guardini va più a fondo nella questione e cerca di cogliere al cuore della rivoluzione industriale la logica insita che modifica strutturalmente il rapporto che l’uomo da sempre aveva intrattenuto con la natura:

l’uomo si impadronisce […] di un frammento di natura e lo trasporta con sé fuori dell’immediato, in una sfera differente in cui le cose non vengono più direttamente sentite, viste, toccate, formate, gustate, ma vengono afferrate attraverso la mediazione dei segni, attraverso sostituzioni.27

Ciò che la rivoluzione industriale produce determinando il passaggio in una epoca nuova, non più moderna, dove è compromesso il dato umano sino ad allora conosciuto, è duplice: da un lato essa genera una forzatura sul mondo della natura e, dall’altro, persegue delle finalità meramente utilitaristiche, dettate dall’arbitrio umano. È l’ottava lettera che riporta tali considerazioni, sintetizzando e concettualizzando le considerazioni svolte nelle prime. Ecco in sintesi il ragionamento: lo forzo umano di conoscenza ha portato l’uomo alla scoperta delle leggi della natura. In tal modo l’uomo è riuscito a smembrare la compattezza della natura stessa e a svincolare alcune energie naturali (vapore, elettricità, energia chimica). Da queste scoperte si è liberata nell’uomo una attitudine corrispondente che ha permesso a tali forze di dispiegare tutta la loro efficacia: si tratta di una volontà che Guardini non esita a definire «meccanica».28 L’attitudine nuova è meccanica non nel senso di non-spirituale, ma di non orientata a ciò che è organico: la sua spiritualità creatrice non ha vincoli di relazione col naturale né fa del naturale il milieu nel quale agire. Il punto di partenza di tale volontà è «la forza naturale isolata, concepita razionalmente e divenuta efficace in virtù della macchina».29

Il passaggio dall’immediatezza della realtà alla mediatezza dei segni e delle forme avviene per trapasso dall’unicum della situazione singolare al permanente dato dall’astrazione. La ragione di questo passaggio è presto detta: l’uomo, da un lato, desidera uscire dallo stato di pericolo o di necessità in cui si trova, dovendo fronteggiare continuamente il dato naturale e, dall’altro, per praticità, vuole sganciarsi dalla contingenza della realtà singolare che lo sollecita ad interventi continuativi. Elabora quindi strumenti (nel campo della tecnica) o concetti riassuntivi (in campo gnoseologico) che, se costituiscono una perdita di comunanza dell’Io con le cose (dove l’Io è ad un tempo soggetto ed oggetto di relazione), tuttavia ne migliorano più in generale il tenore di vita. Ne consegue una sorta di dominio sulla realtà che produce un ordine non più immediato e vitale, ma derivato e, in ultima analisi, irreale.30

Due precisazioni.

Sia detto per inciso, anzitutto, che la tematica del dominio resta circoscritta prevalentemente nella dimensione dell’impoverimento culturale dell’avvento tecnologico. Bisognerà aspettare la fine del conflitto mondiale perché Guardini rifletta filosoficamente e teologicamente sulla dimensione pericolosa che sussiste tra tecnica e potere, tematica tuttavia non del tutto sconosciuta alle Lettere. La premessa fondamentale di tale rapporto è già posta, del resto, quando il nostro autore ravvisa nella mens della tecnica un potenziale dominio distruttivo. Nelle opere successive la tecnica non rappresenterà semplicemente l’anello di congiunzione tra la scienza e il potere, ma costituirà essa stessa una mentalità ed un potere, anonimo e sganciato dal controllo umano.31

Vale la pena sottolineare inoltre l’interessante analogia evocata che Guardini rileva tra la produzione della macchina e l’elaborazione del concetto. Entrambi obbediscono alla stessa logica di allontanamento dalla natura, entrambi producono una utilità (pratica o conoscitiva che sia), entrambi però portano l’uomo verso un problematico allontanamento dalla ricchezza della realtà. L’analogia è talmente forte che Guardini non esita a definire la macchina come «una formula rivestita di ferro».32 o «un concetto fatto di acciaio»33 o «una ragione tradotta in apparecchio»34

5. L’inumano in agguato: le conseguenze della tecnica

Se da un lato, con l’avvento della macchina il dato creativo, personalizzato e dal forte potenziale relazionale dello strumento viene soppiantato da un processo che ha i tratti della omologazione spersonalizzante dell’oggetto industriale, dell’artificialità, dell’impersonalità, dell’inevitabilità e della estraneità – caratteristiche queste meglio evidenziate nella terza lettera – dall’altro è proprio qualcosa dell’humanum che viene ad essere fortemente compromesso. La minaccia per l’uomo contemporaneo è l’inumano. Tra la seconda e la terza lettera Guardini ripensa il valore semantico di tale termine. Mentre nella seconda esso coincide con una sorta di perdita di immediatezza, nella terza verrà identificato con la minaccia della perdita della stessa realtà.

Dalla quarta alla settima lettera Guardini, con apprezzabile lucidità, propone alcune delle conseguenze che possono scaturire dall’avvento della tecnica che minacciano l’uomo così come il mondo lo ha sempre conosciuto. Ne riferiamo solo uno, ovvero la massa.

La settima lettera è dedicata al concetto di massa, ma si dovrebbe intendere come una sorta di studio della relazione tra la massa e la cultura. Guardini non può fare a meno di evocare un principio secondo cui l’arte scomparirebbe nel momento in cui avanzasse la massa.35 Tale affermazione è lumeggiata da tre corollari. Il primo evidenzia l’inversa proporzionalità tra la sovrabbondanza valoriale delle opere culturali e l’effettiva quantità numerica. Il secondo sostiene l’infondatezza della proporzionalità diretta tra la forza creatrice di un popolo e la quantità numerica dei suoi appartenenti. L’ultimo constata che la limitata produzione artistica favorisce concentrazione di energia e purezza delle forme.

La produzione artistica greca rappresenta un evidente esempio di quanto sostenuto. La lentezza della produzione, modellata dall’agire della natura, modella, a sua volta una appropriatezza delle forme culturali, come compimento del dato naturale. Ne consegue una umanità che raggiunge la sua forma mediante l’elaborazione culturale della natura e, d’altro canto, un’opera autentica grazie all’umanità che in essa lentamente si imprime e si esprime.

L’avvento della tecnica si associa al fenomeno della massa. È probabile che Guardini pensi ad un rapporto di co-implicazione dei due fenomeni che stravolgono il mondo a lui contemporaneo, dando vita ad una attività produttiva ben diversa da quella passata.

La prima caratteristica è data dalla velocità produttiva. Essa implica altrettanta velocità nei ritmi di consumo giacché la produzione industriale utilizzerà ogni mezzo di astuzia e di forza per accelerare i processi di consumo (è inevitabile il fatto che in tale procedimento consumistico nulla abbia più il tempo sufficiente per poter maturare). La velocità dei ritmi implica, a sua volta, una contrazione dei processi produttivi, per una produzione in grande scala e un abbattimento dei costi. Ma ciò che più importa e preoccupa è che tali processi provochino un impoverimento delle forme, banalmente semplificate e standardizzate, insieme ad un tragico impersonalismo della produzione, del prodotto e di chi lo utilizza senza più fruirne realmente.

I processi di velocizzazione, standardizzando il prodotto frutto della tecnica, provocano, per un effetto a catena, una reale confusione delle forme (ad esempio, il tempo feriale vissuto come fosse festivo, e le banche costruite sul modello delle cattedrali). Tale confusione genera, a sua volta, una scarsa sottomissione al valore delle cose, una fraintesa forma di libertà (laddove manca il riconoscimento della dignità delle cose, tutto è afferrabile o raggiungibile) ed infine la sfrontatezza del pubblico, giacché tutto è messo a disposizione di una massa divenuta pubblico.

Il rischio più grave che Guardini paventa è la compromissione dell’aspetto culturale come identificativo dell’essere propriamente umano. La questione di fondo è quindi una: l’uomo tecnologico, l’uomo-massa, causa ed effetto della produzione tecnico-consumistica, sarà capace di cultura? Che per Guardini equivale a dire: l’uomo tecnologico resterà uomo?

6. La lettera nona: fu vera svolta?

Le prime otto lettere sono pervase dalla paura che la tecnica produca l’inumano. Si è già detto della portata semantica di questo termine. Inumano è paragonato persino al barbaro, con tutto il carico di estraneità e pericolosità che il termine comporta.

Un cambiamento evidente di passo avviene nella nona lettera dove Guardini precisa, e per certi aspetti corregge, cosa intende dire quando evoca l’inumano che la tecnica starebbe per provocare.36 Sulla base del principio secondo cui la grandezza dell’opera dell’uomo deve poter essere accompagnata da un supporto di responsabilità consapevole, il nostro specifica che il nuovo fatto può dirsi inumano ed innaturale37 nella misura in cui la situazione caotica, costituita dalla dispersione delle forme, non è ancora assunta ed elaborata dall’ethos dell’uomo. È lo spazio del ‘non ancora’, di cui lo studioso vede già i prodromi, che permetterà agli uomini di creare nuove forme e un nuovo tipo di umanità capace di sorreggere e dominare l’avvento inesorabile della tecnica, senza che il patrimonio culturale venga compromesso.

Borghesi ha voluto parlare di vera e propria svolta avvenuta nel 1925, durante la stesura dell’ultima lettera, scritta in Germania, non più in Italia, e dopo un lasso di tempo relativamente più lungo rispetto al ritmo con cui Guardini aveva pubblicato le precedenti lettere. E tuttavia si è già anticipato che nella consapevolezza del nostro autore le lettere, per quanto testimonino una lunga strada, non riporterebbero un cambiamento sostanziale nella impostazione offerta. Esiste realmente un cambiamento di fondo oppure Borghesi esagera nella valutazione della lettera nona? Vediamo le cose nel dettaglio.

Che il cambiamento di luogo e una stabilizzazione di quanto emotivamente e teoreticamente provato in Italia abbiano contribuito ad una posizione differente nella riflessione dello studioso è indubbio. È da ritenere, tuttavia, che tale cambiamento non sia ascrivibile tanto alla esigenza del dominio responsabile della tecnica da parte dell’uomo, esigenza questa, del resto, già preconizzata nella prima lettera.38 e ribadita sino all’ottava39

La natura del cambiamento suddetto non coincide neanche con una ritrattazione circa la gravità del rischio legato all’avvento della tecnica. Tutt’altro. Il costo alto provocato dalla tecnicizzazione non viene mai negato e non sarà mai ritrattato, specie nelle ricadute culturali e politiche che esso comporta.

La precisazione del termine inumano, come cifra di un avvenuto progresso di pensiero nell’approccio alla tecnica, è sostenuta da una più profonda evoluzione riguardante sia il posizionamento teoretico che l’atteggiamento emotivo del nostro, evoluzione che si pone al cuore di quella precedentemente evocata. Non si può negare che il tenore delle prime lettere sia caratterizzato da una fortissima nostalgia per l’ormai compromesso mondo passato, in quanto nobile e raffinata sintesi armonica di natura e cultura. Tale atteggiamento sarà ammesso da Guardini come legittimo,40 anche se non sufficiente per una coraggiosa e umanizzante realizzazione dell’uomo nel nuovo evo. In questa sede non è tanto importante evidenziare la trasformazione emotiva, di cui pure si possono evidenziare i tratti.41 Ciò che importa invece è cogliere il nucleo di quel progresso teoretico. E tale progresso sostanziale è da ravvisare – questo rileva Borghesi – nella decisione dell’uomo Guardini in riferimento alla dimensione del tempo.

È la convinzione teorica sul tempo che innesca una conversione nel pensiero guardiniano. La concentrazione antropologica della categoria temporale mette in evidenza il fatto che ogni realizzazione umana passa necessariamente dall’accettazione, criticamente elaborata, del tempo in cui si vive. Ogni possibile fuga da questo inderogabile imperativo causerebbe la mancata realizzazione umana della esistenza, la quale, negando il proprio tempo, finirebbe col negare se stessa. Detto diversamente: il fatto che «l’uomo è il suo tempo» comporta necessariamente l’imperativo del «dire di sì al nostro tempo», come pre-condizione essenziale per non esimersi dal dovere di accettare/diventare se stessi.42 È il posizionamento teoretico e pratico in favore del tempo che profila il compito vero dell’umanità: si tratta del compito di «’umanizzare’ l’età della tecnica senza per questo rifiutarne i risultati pratici e le grandi acquisizioni teoriche. Il presente deve essere trasformato, non rinnegato».43

La convinzione razionalmente accolta della necessità di accettazione del proprio tempo genera una conversione – lo si è appena detto – che tuttavia ha un prezzo, ovvero la necessità di «sacrificare con cuore saldo l’indicibile nobiltà del passato».44 La convinzione e la conversione sembrerebbero essere intercettate dalle profonde convinzioni teologiche dell’autore che, se da un lato, non tollererebbe di pensare alla propria vocazione se non nei termini della accettazione del proprio sé di fronte a Dio nel proprio hic et nunc, d’altro canto si preoccupa di precisare che l’instradarsi dell’era della tecnica non obbedisce a criteri anticristiani. La dignità battesimale infatti ha portato l’uomo occidentale alla consapevolezza di essere diverso dal mondo propriamente naturale. La fede in un Assoluto per cui valga la pena di sacrificare tutto lo ha spinto alla ricerca del vero, mentre la fede nella vita ultraterrena e nella sua indistruttibilità lo ha incoraggiato a compiere opere di notevole grandezza, nonostante ogni possibile rischio.45

Per tornare al cambiamento provocato dalla tecnica. La domanda che Guardini si pone (se esso sia un mutamento compiuto sulla base di una solida continuità oppure una reale trasformazione storica) non è retorica. La risposta adeguata ad una siffatta questione comporta atteggiamenti che le siano consoni. Se infatti Guardini sa di poter essere criticato per romanticismo retrogrado,46 vuole tuttavia che si eviti un eccesso opposto, ovvero quello della ingenua accettazione, compiuta sulla base di una banale quanto acritica fiducia nel progresso.47 La risposta è già stata data nelle prime otto lettere, il cui vero pregio sta nell’aver mostrato e motivato la natura rivoluzionaria e persino caotica del cambiamento in atto, ritenuto evidentemente sostanziale. Guardini avverte conseguentemente quanto sia importante e grave, nel contempo, che l’umanità aderisca ad un tale cambiamento. E che lo faccia con salutare discernimento. Perché l’adesione valga il sacrificio da compiere, essa deve accogliere onestamente il nuovo e, nello stesso tempo, restare sensibile, senza assuefazioni, a quanto vi è in esso di distruttivo e inumano. Mentre il rifiuto della tecnica coinciderebbe con il rifiuto del vivere il proprio tempo, il tentativo di una diminuzione del potere della tecnica sarebbe senza dubbio utopico, dal momento che il processo innescato dalla tecnicizzazione del mondo sembra essere inevitabile e irreversibile. Il potere della tecnica non va diminuito, deve piuttosto essere aumentato. Tale aumento non è però da intendersi solo nel crescente sviluppo di conoscenze tecnico-scientifiche e di nuove invenzioni e utilizzazioni della macchina, ma anche e soprattutto nell’incanalamento del potere umano in direzione del controllo responsabile e della macchina e di se stesso.

7. Una sfida etica: diventare umani

Per poter realizzare un compito così impegnativo – il potere responsabile sul proprio potere – , occorre però che ci sia consapevolezza del cambiamento in atto. Qui Guardini si riferisce a coloro i quali, facili ai cambiamenti, hanno già indossato acriticamente i panni del mondo nuovo. Il passaggio rivoluzionario operato dalla tecnica, passaggio avvertito e denunciato sin dalla prima lettera, potrà essere umanizzato solo da una onesta presa di coscienza di esso.

Stabilita la necessità morale della presa di coscienza, Guardini prospetta una strada sulla modalità del compito. L’adesione alla tecnica e al mondo nuovo da essa provocato non può essere un problema risolvibile con la tecnica in quanto tale. Questa affermazione non è data per una sorta di svalutazione della macchina, quanto perché quest’ultima avanza esigenze di compimento umanizzante che solo la responsabilità dell’uomo può effettuare.48

Una tale umanizzazione viene declinata in atteggiamenti fondamentali:

  • dominio della natura e libertà dell’animo. Il dominio umanizzante della natura da parte dell’uomo è possibile solo alla luce di una ripresa libertà interiore di quest’ultimo che, in quanto capace di valutare il sublime e l’abietto, potrà incanalare le forze distruttrici liberate dalla tecnica.
  • Accettazione della massa e nuova gerarchia dei valori: l’accettazione responsabile del proprio tempo porta inevitabilmente alla accettazione positiva dell’effetto massa che, nella settima lettera, era stato colto come dato perturbativo della scala gerarchica di valori/forme del tempo passato. Tale accettazione si configura come diritto di ogni individuo alla vita e ai beni.49 Una tale operazione è possibile a patto che si abbia il coraggio di costruire una nuova gerarchia dei valori, perché il fenomeno stesso della massa non abbia solo una funzione distruttrice.
  • Accettazione dello sconvolgimento che apporta la tecnica e, nel contempo, impegno nella creazione di un ordine nuovo.

Che la possibilità di una nuova umanità, idonea ad umanizzare il mondo caotico liberato dalle forze della tecnica, sia possibile è attestato da Guardini grazie allo studio della storia europea, la quale offre due avvenimenti epocali in cui qualcosa di realmente nuovo ha fatto irruzione nella storia, per cui l’uomo ha assunto un atteggiamento inedito rispetto al mondo: il cristianesimo e il germanesimo.50

La possibilità dell’avvento di una umanità nuova, teoricamente già giustificata da Guardini, viene corroborata da una ulteriore indicazione. Bisogna evitare, a suo parere, la deriva individualistica ed erudita del significato di cultura così come è stata apportata dall’Aufklärung. Perché si possa parlare di vera cultura, occorre che la forma che l’individuo consegue «sia affine, nel principio, a quella che informa anche tutto ciò che lo circonda».51 La reale cultura infatti non affonda

le sue radici nel sapere, ma nell’essere. Lo dice la stessa parola tedesca: gebildet è colui che ha tratto la sua forma da un principio interiore che è per lui struttura e legge; per il quale l’essere e il fare, il pensare e l’agire, la persona e l’ambiente emanano da una forma interiore che li determina.52

La constatazione poggia sulla consapevolezza che l’uomo esiste strutturalmente come individuo e come membro di una collettività. In quanto tale, non può assumere una forma coerente di cultura individuale se la forma conseguita è estranea/ostile alle forme della società (relazioni, lingua, vita culturale). Una situazione così nuova, come quella apportata dalla conoscenza scientifica e dalla rivoluzione tecnologica, impone che l’uomo cerchi di creare una nuova cultura che abbia le caratteristiche di quanto sopra esposto.

Alla necessità della creazione di una nuova cultura, adeguata al nuovo mondo inaugurato dalla tecnologia, Guardini aggiunge l’elenco di alcuni esempi che, a suo parere, possono rappresentare le premesse di una nuova umanità. Sono esempi che egli coglie nell’architettura, nella progettazione urbanistica, nell’arte, nella produzione letteraria, negli stessi uomini di fede.53

In sintesi: se la passata armonia di natura e cultura viene soppiantata dalla tecnica nella dimensione più profonda dell’humanum che è la stessa produzione culturale, allora il nuovo tempo, per poter essere vissuto appieno e responsabilmente, necessita di una cultura nuova capace di dominare la tecnica, ovvero di umanizzare l’uomo che, non potendo più essere come quello del passato, ha il compito di aderire pienamente e criticamente al proprio tempo per non contraddire se stesso.

8. Conclusioni

Ci sono almeno tre ragioni importanti che motivano lo studio dettagliato delle Lettere dal lago di Como. Anzitutto perché esse rappresentano l’opera in cui, meglio e prima che altrove, Guardini esprime la sua riflessione in merito alla tecnica e alle tematiche che sono ad essa strettamente correlate (dopo la seconda guerra mondiale preciserà il significato di tecnica e la metterà – come abbiamo accennato – più in relazione con il dato del potere). Lo studio delle Lettere dal Lago di Como può aiutare a rinvenire cifre per interpretare passaggi epocali in atto che posizionano nuovamente l’uomo di fronte al baratro possibile dell’inumano. Il mondo virtuale, oggi, rappresenta per certi aspetti, e forse di più, il cambiamento antropologico che la sensibilità intellettuale di Guardini scorgeva già quasi un secolo fa mentre vedeva imperare il regno della macchina. Il lettore attrezzato in tal senso troverà spunti notevoli per una lettura critica del reale.

La seconda ragione sta nel fatto che in tale raccolta epistolare emerge il senso di una conversione teoretica da cui partirà un’impostazione che non sarà più abbandonata dal nostro, semmai solo maggiormente approfondita: si tratta della concentrazione antropologica del tempo che obbliga ad una conversione teoretica e morale nella adesione convinta al proprio tempo.

La terza sta nel fatto che il libro rappresenta lo snodo tematico di riflessioni decisive all’interno dell’intera opera guardiniana. La tecnica diventa il fulcro tematico all’interno del quale si congiungono diverse riflessioni teoriche rimaste centrali nella riflessione di Guardini, ovvero la Gegensatz-Theorie, la visione sulla storia e la riflessione sul potere. Si potrebbe pensare che questo piccolo libretto sia stato certamente lo spunto motivazionale da cui presero il via gli ultimi due filoni, e, nello stesso tempo, il primo banco di prova attualizzante nel quale presentare la neonata teoria degli opposti.


  1. Sulla rivista, i giovani del Quickborn e gli incontri presso il Castello di Rothenfels cf. H.-B. Gerl, «Vita e figura spirituale di Romano Guardini (1885-1968)», 43. Cf. soprattutto Id, Romano Guardini. La vita e l’opera, Opera Omnia [Supplementi I] Morcelliana, Brescia 2018, 191-301. ↩︎

  2. Cf. M. Borghesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, Studium, Roma 1990, 205. ↩︎

  3. R. Guardini, Lettere dal lago di Como. La tecnica e l’uomo, Morcelliana, Brescia 1993, 7 (orig. Briefe vom Comersee. Gedanken über die Tecknik, Grünewald, Mainz 1927). ↩︎

  4. Valuteremo più avanti se si debba parlare di sviluppo di un pensiero o piuttosto di una vera e propria evoluzione. ↩︎

  5. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 8. ↩︎

  6. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 7 (virgolettato dell’autore). ↩︎

  7. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 10. ↩︎

  8. Del resto, sulla possibilità epistemologica di cogliere un fenomeno nel suo esplicarsi e di mantenere al contempo una sufficiente lucidità oggettiva, lo stesso si pronunciava proprio in quegli anni. Durante il semestre invernale del 1923-24 all’università di Berlino maturava nel noto testo L’opposizione polare l’intuizione giovanile che aveva condiviso con l’amico Karl Neuendörfer. Cf. R. Guardini, L’opposizione polare, in Scritti di metodologia filosofica (a cura di H.-B. Gerl), Opera Omnia I, Morcelliana, Brescia 2007, 67-69 (orig. Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebendig-Konkreten, Grünewald, Mainz 1925). Sul significato di tale teoria e sull’influenza che esercita nei confronti del tema in esame, si dirà più avanti. ↩︎

  9. L’espressione è in R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 7. ↩︎

  10. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 9. ↩︎

  11. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 10. ↩︎

  12. Il padre di Guardini morì nel 1919 e la madre si trasferì in Italia a Varenna, presso il lago di Como, dove più volte il giovane pensatore si sarebbe recato. Cf. H.-B. Gerl, Vita e figura spirituale di Romano Guardini (1885-1968), 49. ↩︎

  13. L’espressione è in R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 11. ↩︎

  14. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 11 (sottolineatura mia). ↩︎

  15. In realtà le riflessioni che elaborano una certa filosofia della storia sembrerebbero cominciare proprio dal testo in esame. Dei testi sulla teoria dell’opposizione polare si è invece già detto. Se è vero che tale teoria era già stata elaborata in età giovanile (intuita nel ’14 e scritta nel ’17), essa veniva però sistematizzata durante il semestre invernare dell’anno accademico 1923-24 mentre sarebbe stata pubblicata nel 1925. Si tratta dello stesso periodo in cui vengono scritte le Lettere dal lago di Como. Se ne può dedurre che la tematica della tecnica rappresenta il primo tentativo di spiegazione del reale che Guardini abbia tentato nella sua lunga opera attraverso la visione dell’opposizione polare. ↩︎

  16. Il riferimento, non meglio precisato nella lettera guardiniana, è a C. Schmitt, Römischer Katholizismus und politische Form, Hegner, Hellerau 1923 (trad. it. Cattolicesimo romano e forma politica, Il Mulino, Milano 2010). Per un confronto tra i due autori cf. R. Esposito, Categorie dell’impolitico, Il Mulino, Bologna 1988, 27-72. ↩︎

  17. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 12. ↩︎

  18. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 12-13. ↩︎

  19. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 16-17. ↩︎

  20. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 98-99 (virgolettato dell’autore). ↩︎

  21. Tale limite viene storicamente collocato in un arco di tempo quarantennale che va dal 1830 al 1870. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 88. ↩︎

  22. Cf. R. Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 19999 (orig. Das Ende der Nuezeit, Grünewald, Mainz 1950; Die Macht, Werkbund, Würzburg 1951). ↩︎

  23. Leggi nota precedente. ↩︎

  24. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 18. ↩︎

  25. Guardini si riferisce, ad esempio, al fatto che su di un piroscafo la gente mangia e dorme come se fosse sulla terra ferma. ↩︎

  26. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 20. ↩︎

  27. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 26. ↩︎

  28. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 84. ↩︎

  29. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 85. ↩︎

  30. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 27. ↩︎

  31. Oltre al già citato testo sul potere, saranno diversi i contributi che andranno in una tale direzione. Ad esempio, R. Guardini, La macchina e l’uomo, in Natura – Cultura – Cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1983, 210-222 (orig. Die Machine und der Mensch, in Unterscheidung des Christlichen, Grünewald, Mainz 1963). ↩︎

  32. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 58. ↩︎

  33. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 30. ↩︎

  34. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 85. ↩︎

  35. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 64. ↩︎

  36. Cf. M. Borghesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, 205-217. ↩︎

  37. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 86. ↩︎

  38. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 10. ↩︎

  39. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 86. ↩︎

  40. Nel 1957 Guardini scriverà: «Colui che sente che [nella nuova cultura] naufragano valori ed ordini con i quali egli è cresciuto, ha naturalmente il diritto personale di reagire in questo modo. Ma se ciò che importa è di conquistare un punto fermo da cui sia possibile un giudizio storicamente e filosoficamente valido, questo diritto si deforma in ingiustizia». R. Guardini, La cultura come opera e come minaccia, in Ansia per l’uomo, vol. I, 29, sottolineatura mia (orig. Die Kultur als Werk und Gefährdung, in Sorge um den Menschen, I, Werlbund, Würzburg 1962). ↩︎

  41. Le conclusioni della nona lettera sembrano infatti evidenziare un mutato atteggiamento emotivo che ‘educa’ lo sguardo di Guardini ad una visione di nuove possibilità che l’uomo può creare nel dominio del nuovo. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 107-111. Una testimonianza ulteriore potrebbe essere ravvisata in una lettera che nell’aprile del 1924 scriveva all’amico Joseph Weiger: «Ieri ho sentito fortemente la violenza della grande città. Non solo il romanticismo delle molte luci, e la dinamicità delle macchine. Era più di questo. Nel traffico, nella sua natura, nel modo in cui questi veicoli di forza arrivano e sono controllati, nel modo in cui la luce dà forma allo spazio delle strade la sera, sprigionata da mille fonti, come sono e come vanno queste persone, tutto questo dice qualcosa di nuovo. È una nuova forma d’esserci nel muoversi!». R. Guardini, Lettere a Joseph Weiger. 1908-1962, in Opera omnia XXXVI/1, Morcelliana, Brescia 2010, 307-308 (Lettera dell’11/12 novembre del 1924. Potsdam). ↩︎

  42. Il dire di sì al proprio tempo e l’accettazione di sé, tema trattato in Annahme seiner selbst, Werkbund, Würzburg 1953 (trad it. Accettare se stessi, Morcelliana, Brescia 1992, 7-33), sono riflessioni che compongono un filone tematico di primaria importanza nel pensiero filosofico guardiniano, filone che può essere sintetizzato con l’imperativo categorico del presente. Cf. E. Biser, «Chi era Romano Guardini? Domande rivolte a una risposta», in Id., Romano Guardini e la visione cattolica del mondo, Gregoriana, Padova 1989, 20-21. ↩︎

  43. M. Borghesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, 209 (virgolettato dell’autore). ↩︎

  44. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 96. ↩︎

  45. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 96. ↩︎

  46. La critica, del resto, non sarebbe del tutto infondata dato il tono delle lettere precedenti. Come però si è già segnalato, in questa ultima lettera compare qualcosa di decisamente nuovo. ↩︎

  47. Cf. M. Borghesi, Romano Guardini. Dialettica e antropologia, 208. ↩︎

  48. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 97-98. ↩︎

  49. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 100. ↩︎

  50. Quest’ultima affermazione – nota Guardini – è doverosamente spurgata da ogni fantasia razzista che pure potrebbe favorire. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 102. ↩︎

  51. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 104. ↩︎

  52. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 103. ↩︎

  53. Cf. R. Guardini, Lettere dal lago di Como, 107-109. ↩︎