Recensione a Domenico Burzo, Appello e decisione. Arte linguaggio e poesia tra Martin Heidegger, Romano Guardini e Walter F. Otto

Domenico Burzo, Appello e decisione. Arte linguaggio e poesia tra Martin Heidegger, Romano Guardini e Walter F. Otto, Aracne, Roma 2018.

Appello e decisione non è soltanto un titolo riuscito per la monografia di Domenico Burzo che, come tale, sintetizza il tema di fondo della trattazione e la visione del reale che ne emerge. Esso, infatti, viene a configurarsi anche come una adeguata descrizione del rapporto che si instaura tra il libro ed il lettore. Questo accade – come sempre quando la filosofia è vera domanda – perché si ha subito l’impressione di essere davanti ad un lavoro di ricerca pieno di implicazioni di particolare importanza non soltanto per gli addetti ai lavori, dunque filosofi, storici e critici, ma per l’uomo in quanto uomo. Si potrebbe dunque dire, sin dall’inizio, che il particolare pregio di questo libro è quello di avere un messaggio valido e carico di proposta per tutti, nonostante quelle specificità – perlopiù linguistiche –, proprie della materia trattata, che potrebbero creare qualche difficoltà in più al lettore inesperto di filosofia in generale o che avesse poca familiarità con gli idioletti, anch’essi molto specifici, dei tre protagonisti di questo studio, ovvero Martin Heidegger, Romano Guardini e Walter F. Otto. E d’altronde, una ricerca che si proponesse di interrogare e studiare il fenomeno del linguaggio non potrebbe essere altro che estremamente precisa nel proprio uso della parola, attitudine dimostrata, ad esempio, attraverso la scelta di rinunciare alla traduzione dal tedesco (la lingua dei tre Autori trattati) all’italiano di vocaboli talmente pieni di senso e significato che se tradotti perderebbero la propria potenza evocativa. Infatti, l’atteggiamento che Burzo assume nelle scelte adoperate in fase di redazione del testo sembra essere confacente, in qualche modo, con la risposta che con crescente chiarezza emerge dal suo continuo interrogare i tre filosofi tedeschi: non si può che essere attenti, discreti e controllati quando si ha a che fare con qualcosa che si scopre essere non mero strumento tecnico e comunicativo appannaggio dell’uomo, ma fenomeno che affonda le proprie radici nell’evento della manifestazione del sacro.

Suddiviso in sette, densi capitoli – introdotti da una acuta presentazione di Annalisa Caputo –, il libro affronta in maniera sistematica e allo stesso tempo appassionata alcuni degli aspetti fondamentali del rapporto mondo-linguaggio-uomo, evidenziando con sempre maggiore decisione la sostanziale “passività” di quest’ultimo nei confronti di ciò-che-è e si manifesta nel linguaggio, al quale, dunque, viene richiesta come prima e fondamentale risposta quella di una umile disposizione all’ascolto ricettivo. Ovviamente, come già il sottotitolo (Arte, linguaggio e poesia, tra Martin Heidegger, Romano Guardini e Walter F. Otto) ci aveva suggerito, per poter osservare il fenomeno del linguaggio nel suo significato più profondo, bisognava rivolgere l’attenzione all’ambito in cui esso si manifesta al massimo della sua forza e potenzialità, laddove, cioè, esso non è semplice “chiacchiera” e scambio di informazioni, e neanche semplice espressione di stati d’animo, ma si dà come arte, come poesia. Ecco che, dunque, indagare l’esperienza artistica diviene centrale, tanto per Heidegger, Guardini e Otto quanto per Burzo, che, seguendo le riflessioni di questi tre grandi pensatori, tenta di proporre una sintesi di quanto da loro affermato, senza tuttavia la pretesa di esaurire tutto ciò che potrebbe essere detto sull’argomento. Si arriva a riconoscere quella artistica come la vera esperienza fondativa del linguaggio: diversamente da quanto potremmo essere abituati a pensare, infatti, la creazione artistica appare, tra le pagine di questo volume, come non subordinata ad alcuna tecnica o padronanza di forme già possedute dall’artista; tale esperienza viene riscoperta piuttosto come il fenomeno grazie al quale le immagini e la parola entrano nella provincia degli uomini e si danno come manifestazione dell’Essere che si svela, che liberamente e gratuitamente si comunica. Stando a quanto si sta qui delineando, e sebbene il libro in questione non si presenti come un trattato di estetica, saremo obbligati a riconoscere che in qualche modo esso ci costringe a ripensarla, dal momento che inverte totalmente la prospettiva solita e pone come fondamento dell’esperienza estetica autentica qualcosa di totalmente altro rispetto a colui che la esperisce. Infatti, con una fermezza che potrebbe stridere con le diffuse convinzioni proprie della mentalità moderna, e sostanzialmente in accordo con i tre filosofi, l’autore afferma ripetutamente come l’atto creativo, in fondo, dipenda ben poco dall’artista, cioè dalla sua “bravura”, e come l’efficacia delle immagini che si manifestano attraverso l’opera d’arte non sia in realtà sottomessa alla genialità di chi produce tale opera. Nel caso della poesia, come viene sottolineato dall’autore, compito del poeta non sarà quello di inventare ex nihilo immagini e parole, ma lasciare che siano esattamente immagini e parole a manifestarsi attraverso la sua penna. In questo modo, viene posta una base per la comprensione di quello che è generalmente considerato come il più umano degli attributi – il poter parlare, con immagini e con parole –, una base che presuppone l’incontro tra il divino e l’umano. In altri termini, e proprio per usare anche in questa sede la parola più opportuna, diremo che il linguaggio nasce nell’ambito di una esperienza profondamente religiosa, e religiosa nel senso originario del termine, che fa cioè riferimento ad un tipo di rapporto e legame particolari tra l’uomo ed il mondo e che prescinde, in prima analisi, da qualsiasi specifica confessione e credenza.

Sin dal capitolo introduttivo l’autore ci anticipa come le vite e le visioni del mondo dei tre pensatori si intersechino continuamente, incontrandosi o scontrandosi a seconda dell’affermazione rispetto alla quale bisogna, di volta in volta, prendere una decisione, la quale non esaurisce i suoi effetti e le sue implicazioni nella sfera della filosofia: si tratta, infatti, di una decisione esistenziale tout court. Non a caso, abbiamo detto, essa viene menzionata sin dal titolo di questo volume. Ininterrottamente si segue, con dovizia di particolari e abbondanza di citazioni, il flusso di una ricerca che si snoda tra le intense riflessioni dei tre filosofi tedeschi, e davanti a quello che agli occhi di tutti e tre si mostra sempre più come un appello proveniente da una misteriosa e sacra profondità non si può non prendere una posizione, tanto filosofica quanto esistenziale, esattamente come anticipato poc’anzi. Probabilmente è proprio in questo tipo di impostazione che risiede la forza comunicativa della presente monografia: indagare le soluzioni cui Heidegger, Guardini e Otto approdano, senza mai tralasciare di evidenziare come esse siano strettamente connesse con le posizioni esistenziali rispettivamente assunte da ciascuno è la scelta metodologica che consente a Burzo di entrare in un autentico dialogo con i tre Maestri e che, di riflesso, mostra al lettore la via per accedere a tale dialogo. È qui che la filosofia può essere riconosciuta come strada, porta di accesso ad una più umana esperienza di conoscenza: attraverso lo studio e – per quanto possibile – la comprensione delle decisioni esistenziali di altri uomini, questo libro ci mostra un autore impegnato con la propria personale decisione, diventando, per null’altro se non questo, nuovo appello per il lettore, a prescindere dalla sua familiarità con la materia filosofica. In modo particolare la citazione scelta per chiudere il libro ci illumina circa la preferenza accordata da Burzo alla scelta esistenziale di Romano Guardini, ma ciò che va necessariamente sottolineato, in quanto ulteriore elemento che serve a testimoniare il rigore filosofico con cui l’intera ricerca è stata condotta, è che nonostante la propria presa di posizione – e paradossalmente proprio in grazia di questo, forse? – l’autore non si rivolge mai ai suoi tre interlocutori con sospetto o pregiudizio, ma sempre, con rispetto e spiccato acume, indaga le loro rispettive riflessioni accogliendo ciò che si mostra come maggiormente esplicativo ed esauriente da qualsiasi prospettiva esso provenga.

Ma, più nello specifico, rispetto a cosa viene chiesto di prendere una decisione? Abbiamo detto, semplificando, che per Burzo immagine e parola vengono a configurarsi come manifestazione del sacro, e che quindi l’esperienza artistica, in quanto sublime espressione del linguaggio, invece di essere l’apoteosi del dominio dell’uomo sul linguaggio stesso per mezzo della tecnica, capovolge la nostra usuale visione delle cose nel mostrarci come, in verità, sia l’uomo a dipendere dal linguaggio che, proprio attraverso l’evento artistico, liberamente si manifesta. Tali affermazioni, ovviamente, non sono mai accettate come postulati, a priori, ma, al contrario, sono dall’autore continuamente interrogate nel confronto con Heidegger, Guardini e Otto, ed è all’interno di questo sincero, continuo domandare che esse emergono nella loro intrinseca validità: sarà proprio dinnanzi all’emergere di questa dinamica nuova che, contemporaneamente al sorgere di ulteriori domande, urge prendere una posizione: cosa o chi è questo sacro che si manifesta? Ciò che leggiamo nelle grandi poesie, le immagini che ci raggiungono attraverso le più belle opere delle arti figurative sono legate ad un qualcosa che si è irrimediabilmente perduto nello scorrere del tempo o possono essere fonte di una speranza, perché portatrici di una esperienza del divino ancora oggi possibile? Sono annuncio del Dio vivente o sono solo ciò che resta di un qualche dio che se n’è andato? Burzo sembra discretamente suggerire la propria personale risposta, ma, al di là di questo, la sua monografia, di indubbio pregio filosofico e con tutto ciò che ha cercato di portare alla luce, si impone come un tacito ma eloquente appello al lettore affinché, pur se non propriamente “filosofo”, abbia tuttavia a cuore le domande proprie della sua natura d’uomo.