1. Introduzione
Il tema principale di queste pagine è rappresentato dal tentativo di riuscire, in qualche modo, a rendere più comprensibile il significato della frase di Samuel Taylor Coleridge sul legame fra volontà e amore. Soprattutto appariva indispensabile, per cercare di dare un senso alla frase coleridgeana, in cui viene criticata un’asserzione di Immanuel Kant, un ritorno ai testi di Kant stesso. Infatti, nonostante l’importante contributo del libro di Elio Chinol, dedicato interamente allo studio del pensiero filosofico di Coleridge, questa frase di Coleridge sull’ idea di amore, per la sua condensazione di citazioni relative ad altri temi complessi della filosofia, sembrava richiedere ancora attenzione. Chinol, relativamente al concetto di amore nel pensiero filosofico di Coleridge, con il supporto di alcune frasi dell’autore, identifica l’etica kantiana con l’etica stoica e connette, seguendo alcune frasi dello stesso, l’idea di amore in Coleridge all’idea di amore nel cristianesimo. In Chinol però non c’è, o almeno non compare, un confronto dettagliato, basato sui testi di entrambi, tra la posizione kantiana e quella coleridgeana. Sembra emergere in modo più dettagliato forse piuttosto il Kant di Coleridge. Infine a sollecitare una certa curiosità per questo argomento si è aggiunta la lettura degli studi di Silvestro Marcucci, sul pensiero di Coleridge, e in particolare gli interrogativi con i quali si chiude il suo articolo Su un commento di Coleridge ad una affermazione kantiana della «Metafisica dei costumi»,1 proprio dedicato al concetto di amore in Coleridge.
2. Coleridge: l’idea di un sistema filosofico
Per comprendere quali significati particolari assuma nel pensiero filosofico di Samuel Taylor Coleridge il concetto di amore, è necessario individuare un percorso attraverso il riferimento ad alcuni dei passi delle opere dello stesso autore. Nei testi consultati in maniera più approfondita2 non è stata trovata una trattazione sistematica e completa del concetto di amore, ma ciò non meraviglia, perché il metodo filosofico adottato da Coleridge è quanto di più diverso si possa immaginare rispetto all’idea di sistema tradizionalmente intesa. Coleridge stesso descrive la sua filosofia in questo modo:
My system, if I may venture to give it so fine a name, is the only attempt, I know, ever made to reduce all knowledges into harmony. It opposes no other system, but shows what was true in each ; and how that which was true in the particular, in each of them became error, because it was only half the truth. I have endeavourd to unite the insulated fragments of truth, and therewith to frame a perfect mirror.3
Si tratta di una dichiarazione importante che individua come scopo principale dell’autore quello di riunire in armonia le concezioni filosofiche precedenti, valorizzando e mettendo in evidenza ciò che ogni sistema filosofico precedente aveva introdotto di vero, secondo il suo punto di vista. Questa volontà di armonizzare i frammenti sparsi dei precedenti sistemi della storia del pensiero filosofico ha per Coleridge il significato di una nuova prospettiva della filosofia, che deve trarre la sua origine da un cambiamento di prospettiva del filosofo, derivata dal suo collocarsi in un punto di osservazione diverso rispetto alle osservazioni dei pensatori precedenti. Anche se Coleridge usa il termine «system» per parlare del suo pensiero filosofico, ciò non significa che il suo sistema debba necessariamente procedere attraverso la stesura di opere strutturate sistematicamente. Ciò che è scritto nel precedente passo, ciò che si può supporre dalle letture di alcuni dei suoi testi di carattere filosofico, rinvia ad un disegno, ad una forma di organizzazione del suo pensiero filosofico articolata in una dimensione polare, legata alle dimensioni di Io e Natura, ma soprattutto dotata di un senso. Infatti più volte Coleridge, all’interno dei suoi scritti, parla di una logica polare, cioè della «truth of the law of Polarity in the history of Politics, Religion & c.»,4 «verità della legge della polarità nella storia della politica, della religione etc.» (trad. mia), secondo la quale ogni tendenza si evolve nel suo opposto e tutte le opposizioni manifestano una tendenza a riunirsi.
A questo proposito Ornella Bellini, nella introduzione alla sua traduzione italiana del testo di Coleridge Hints Towards the Formation of a More Compehensive Theory of Lyfe, tradotto con il titolo La teoria della vita5,riporta il passaggio di una lettera6 di Coleridge stesso, in cui egli così descrive il suo percorso filosofico:
Nella mia vita letteraria [Biographia Lieteraria]troverete un abbozzo del polo soggettivo della Filosofia Dinamica, i rudimenti della costruzione dell’Io appena sufficienti per far vedere ad una mente pensante a che cosa somiglia; nel terzo volume del Friend alle stampe troverete i grandi risultati di questa Filosofia in rapporto all’Etica e alla Teologia, mentre lo scarabocchio accluso contiene un profilo appena abbozzato a frammentario del Polo Oggettivo o Scienza della Costruzione della Natura.
E’ comunque la testimonianza dell’ idea di sistema a cui tendeva Coleridge, e rinvia alle letture e alla formazione filosofica dell’autore, alla sua teoria dell’organizzazione della vita, influenzata anche dall’idea bruniana della coincidentia oppositorum, attraverso le varie rielaborazioni che si manifestano, e, in particolar modo, all’interno del movimento filosofico che sarà proprio dell’età del romanticismo.
Probabilmente, come si può osservare dallo stile della Biographia Literaria, degli Aids to Reflection, di Table talk, in cui le riflessioni di carattere morale, filosofico, religioso e politico spesso coesistono all’interno di uno stesso testo, Coleridge ha un’idea della struttura a cui tendere, ma questa struttura sarà realizzata proprio grazie alla sua capacità di tenere insieme riflessioni a prima vista così diverse tra loro, in quanto appartenenti a discipline diverse. Quella che è stata spesso considerata la debolezza7 del pensiero di Coleridge, potrebbe, da altri punti di vista, essere una delle sue qualità, ma certamente costituisce uno dei tratti della sua originalità filosofica.
3. Alcuni aspetti di «volontà» e «amore» nelle riflessioni filosofiche di Coleridge
Quali sono le connotazioni principali del concetto di amore nel pensiero filosofico di S.T. Coleridge ? E’, in primo luogo, interessante osservare che cosa l’autore intende nelle sue opere filosofiche con il termine «Love», «Amore». A chiarire indirettamente il significato del termine Love, in una decisa presa di posizione contro l’uso sconsiderato della parola, interviene Coleridge stesso in un passaggio dello scritto On Sensibility, contenuto negli Aids to Reflection8. Infatti, dopo aver individuato nella filosofia sentimentale di Sterne e dei suoi numerosi imitatori la fonte di effetti dannosi sul piano morale, egli scrive:
The vilest appetites and the most remorseless inconstancy towards their objects, acquired the titles of the Hearts, the irresistible Feelings, the too tender Sensibility;…
About this time, too, the profanation of the word Love, rose to its height.9
Coleridge prosegue il suo discorso con una dura critica contro le ripercussioni, in ambito sociale e in ambito etico, del proliferare di atteggiamenti dettati da sentimenti informi e da impulsi immediati. Il testo si chiude con un richiamo al concetto di amore, in riferimento alla sua più alta manifestazione terrena, attraverso il quale si può avverte un forte legame di Coleridge con l’etica kantiana.
Remember, that Love itself in its highest earthly Bearing, as the ground of the marriage union, becomes Love by an inward FIAT of the Will, by a completing and sealing Act of Moral Election, and lays claim to permanence only the form of DUTY.10
Dalla lettura dei due passi precedenti emergono due importanti orientamenti del pensiero di Coleridge. Infatti il primo passo costituisce una precisa dichiarazione del rifiuto di un’etica del puro sentimento, ma anche un invito a considerare quali siano i veri significati nascosti nella parola amore e soprattutto, un invito a riflettere su quale sia l’oggetto indicato dalla parola stessa. Mentre la seconda considerazione riguarda la natura dell’amore ed il suo rapporto con la volontà e il dovere. Infatti, secondo Coleridge, l’amore terreno, che viene poi sancito e legittimato attraverso l’atto del matrimonio, diviene amore nel senso più vero del termine, attraverso un atto interiore della volontà, che per rendere duraturo questo legame, lo esteriorizza sotto la forma del dovere e lo rende stabile e duraturo non sulla base di sentimenti informi, impulsi o per «inclinazione»11 ( Neigung, come direbbe Kant) ma sulla base di principi della ragione, che si configurano appunto come «DUTY», (DOVERE).
Nell’aforisma XXXII degli Aids to Reflection12 troviamo una descrizione delle tre facoltà della natura umana, alle quali corrispondono, secondo l’autore, degli organi all’interno della natura umana stessa.
Thus: the prudential corresponds to the sense and the understanding; the moral to the heart and the conscience; the spiritual to the will and the reason, i.e. to the finite will reduced to harmony with, and in subordination to, the reason, as a ray from that true light which is both reason and will, universal reason, and will absolute.
La prudenza appartiene al senso e all’intelletto, il senso morale al cuore e alla coscienza; la spiritualità alla volontà e alla ragione, cioè alla volontà finita ridotta ad armonia con la ragione e ad essa subordinata, come un raggio dal quale risplende la verità che è sia ragione e volontà, ragione universale e volontà assoluta.
Per Coleridge alla base della spiritualità nell’uomo c’è questo legame tra volontà e ragione, ma soprattutto la spiritualità nell’uomo è in particolar modo identificata con la volontà. E nel commento all’aforisma VI, della stessa opera,13 in un confronto tra la religione come rivelazione e la filosofia, ancora una volta la «Volontà» viene indicata come il soprannaturale nell’uomo e il principio della personalità. E ancora nello stesso aforisma14 c’è una distinzione tra la natura, considerata come tutto ciò che può essere rappresentato attraverso le forme del tempo e dello spazio, e la volontà. Della volontà tuttavia viene precisato che può essere detto principalmente ciò che essa non è.
Nei testi di Coleridge si può notare che il termine inglese «will», tradotto con «volontà» non si presenta sempre nella stessa veste grafica; infatti Coleridge in alcuni casi scrive la parola con l’iniziale maiuscola, in altri casi si serve della minuscola, mentre in casi eccezionali scrive con lettere maiuscole tutta la parola. Nel caso in cui tutta la parola è scritta con lettere maiuscole è evidente l’intenzione di sottolinearne il significato. Sarebbe interessante però poter analizzare i vari contesti, magari con l’aiuto della tecnologia informatica, per cercare di scoprire se c’è un disegno ben preciso, una connessione, o se, più semplicemente si tratta di casualità dovute anche al carattere di appunti di molte scritti di Coleridge.
Nella concezione dell’amore di Coleridge l’aspetto più interessante emerge, in particolare, da un passo inedito dell’autore stesso, citato da Chinol.15e, in seguito da Marcucci16
Se dico che dubito di questa indipendenza dell’Amore dalla Volontà, e persino dubito che l’Amore sia nella sua essenza semplicemente eine Sache der Empfindung, una mera questione di sentimenti, cioè un qualcosa che troviamo in noi ma che non proviene da noi e non è nostro ( Emp= in sé - Findung) intendo solo dire che su quest’argomento il mio pensiero non è chiaro né tanto meno adeguato- e non sono capace di dare alcuna ragione per giustificare il fatto che io credo il contrario. Ma io credo il contrario. Ciò che Kant afferma dell’uomo nella condizione di Adamo, un ineffabile atto della volontà che sceglie il male, e che, benché incarnato nella coscienza, è al di sotto o dentro la coscienza, in quanto si deve pensare esso abbia luogo nell’ Homo Nούμενον, non nell’ Homo Φαινόμενον- qualcosa di simile io penso dell’amore, in quel senso eccelso della parola che Petrarca capiva.17
In questo passo Coleridge tenta di dare una spiegazione della sua idea di amore, partendo dalla critica di una frase della Metafisica dei costumi18di Kant, che egli conosce attraverso l’opera I. Kant, Vermische Schriften, non però in una edizione tedesca, come sottolineato da Chinol e da Marcucci.
Dalla lettura di questo breve brano emergono alcune indicazioni sul pensiero di Coleridge e sulla sua posizione riguardo al concetto di amore: l’intima unione di volontà e amore; la critica esplicita alla posizione kantiana, rappresentata nella frase di Kant contenuta nell’opera La metafisica dei costumi; il richiamo alla sfera della religione rivelata del cristianesimo, al problema del male19 e alla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno; l’importanza della figura del Petrarca per la comprensione del concetto di amore, e come rappresentante di uno stile di pensiero, per alcuni aspetti vicino a Coleridge.
Riguardo al rapporto di Coleridge con Francesco Petrarca, si può dire che oltre al legame per la poesia, per la letteratura e per l’arte in generale, uno degli aspetti apprezzati da Coleridge nel poeta italiano potrebbe essere collegato anche alla formazione del Petrarca stesso, il quale all’interno delle sue opere richiama autori cari a Coleridge, come, per esempio, Platone. La formazione intellettuale di Petrarca è fortemente influenzata dal pensiero platonico, non però attraverso una lettura diretta dei testi, ma attraverso il filtro delle opere di S. Agostino. Petrarca,20 inoltre difende la teoria che vede l’amore terreno verso la donna come strumento di perfezionamento etico dell’innamorato, perché la virtù della donna viene vista come dono di Dio e modo di somiglianza a Dio. Anche se la donna nella concezione del poeta è una figura terrena, e non più la donna-angelo degli stilnovisti, tuttavia l’amore di cui parla Petrarca è l’espressione di un amore spiritualizzato al massimo, un amore che viene nobilitato perché il poeta vede nella donna una forma di rivelazione di Dio, della bellezza ideale che è in Dio, negli archetipi della mente divina. In questo caso il poeta cerca di dare espressione alla sublimazione dell’amore, che non è più soltanto un sentimento legato a pulsioni irrazionali ma una forma di alta idealizzazione, tanto che egli arrivare a lodarlo razionalmente. In Petrarca c’è un tentativo di integrazione dei principi dell’amor cortese dei Trovatori provenzali con i fondamenti del cristianesimo. Petrarca per Coleridge può aver rappresentato anche l’inizio di quella rivoluzione che, prima nell’Umanesimo, poi nel Rinascimento, rivaluterà la posizione dell’uomo, la sua interiorità e i suoi conflitti. Inoltre in Petrarca si presenta in particolar modo l’imperativo di matrice socratico-platonica del «conosci te stesso», filtrato attraverso l’insegnamento agostiniano21 che sarà la condizione imprescindibile e il vero compito della filosofia secondo Coleridge.
Il legame della volontà con l’amore, espresso da Coleridge, è in qualche modo collegato anche all’idea della trinità della religione cristiana, e agli attributi divini «posse, nosse, velle» ( potenza, sapienza, amore), in cui la volontà coincide proprio con l’amore. In questa triade il «voler bene», rappresentato dall’infinito presente del verbo latino «velle», tradotto in italiano con la parola amore deve rinviare al significato del verbo “voler bene” che è un agire, non un patire. Questo elemento di attività, di azione è ciò che si esprime nel verbo latino velle.
Nei testi di Coleridge, oltre ad essere presenti numerose citazioni bibliche e riferimenti al cristianesimo, è presente anche il riferimento ad una terminologia ad esso legata.
Inoltre c’è da sottolineare che la dottrina morale di Coleridge si fonda sul postulato dell’esistenza di una volontà libera, come per Kant, mentre l’inizio del pensiero filosofico e della conoscenza si fonda sull’esistenza di un punto fisso, «the self-consciusness»[Biographia\ Literaria,\ op.\ citata\ vol. I,\ p. 186.], «^l’autocoscienza», che non ha bisogno di dimostrazioni ulteriori. Coleridge nella Biographia Lieteraria individua un principio che accomuna l’essere e la conoscenza che consiste in «a WILL, or primary ACT of self-duplication […]»22 «una volontà, o atto primario di autoduplicazione, che costituisce la mediazione o il principio indiretto di ogni scienza» (trad. mia).
Un altro aspetto connette indirettamente, attraverso il ruolo della volontà, «the will» l’ origine dell’amore, della religione e della morale, infatti Coleridge dichiara di essersi convinto della non indipendenza della religione e della morale dalla volontà, e della loro comune origine morale.23
4. Coleridge e Kant sull’idea di amore
Ma il punto più interessante da approfondire riguarda le riflessioni sul concetto di amore in Coleridge e in Kant. Coleridge stesso, come abbiamo già detto, cita una frase24 di Kant, contenuta nelle pagine de La metafisica dei costumi25. Su questo aspetto Chinol^[26]ha formulato, sulla base di passi, contenuti in altri testi di Coleridge, una spiegazione della differenza con Kant, nella quale si individua nel pensiero di Coleridge un’identificazione dell’etica kantiana con l’etica stoica, in opposizione all’etica cristiana.
L’obbiettivo di queste pagine, che ora qui si manifesta nella sua forma forse più complessa, consiste nel tentativo di confrontare alcuni aspetti del pensiero di Kant e di Coleridge sul concetto di amore, prendendo ora in considerazione alcuni dei passi, in cui Kant esprime le sue idee in merito.
Kant nelle sue opere riflette più volte sul concetto di amore, ma in particolare prenderemo in considerazione le descrizioni dell’amore contenute in alcuni passi delle opere: La metafisica dei costumi, Lezioni di etica, Fondazione della metafisica dei costumi, Critica della ragione pratica.
Nelle Lezioni di etica,26 pubblicate per la prima volta nel 1924 da Paul Menzer, e risalenti probabilmente a lezioni tenute tra il 1775 e il 17780-81, Kant dice che «l’amore è un voler bene per inclinazione; ma vi può essere anche una benevolenza fondata sui principi».^[28] Egli individua così due forme di amore, l’una legata alle inclinazioni, l’altra legata ai principi e collegata al dovere e alla volontà. Per sottolineare la sua posizione Kant prosegue :
Il voler bene per amore dipende dal cuore, mentre il voler bene per obbligo dipende piuttosto dai principi dell’intelletto.27
Questa distinzione sarà poi ripresa dall’autore anche nel passo dedicato Alla filantropia, all’interno del testo La metafisica dei costumi,28, e costituisce lo spunto per la critica di Coleridge all’idea kantiana di amore. Nelle Lezioni di etica, Kant distingue due forme d’amore «come benevolenza [ Wohlwollen] e come piacere [Wohlegefallen]»29 sottolineando che solo il primo può essere scelto dalla volontà e comandato all’uomo. Ma ciò che risulta maggiormente interessante dalla lettura di questi passi è il richiamo diretto al comandamento del dovere di amare il prossimo della religione cristiana, e l’interpretazione di Kant. Il comandamento cristiano viene infatti citato da Kant, in particolar modo, nelle Lezioni di etica,30 nella Critica della ragion pratica,31 ne La metafisica dei costumi,32 nella Fondazione della metafisica dei costumi33. Kant infatti sostiene che il comando della religione cristiana dell’amore verso il prossimo deve essere inteso come un comando verso l’«amore pratico», secondo la ragione, attraverso le azioni della benevolenza. Il comandamento cristiano viene visto esclusivamente in maniera finalistica, e viene interpretato da Kant come un ideale irraggiungibile, a cui però l’uomo deve tendere per il proprio progresso morale.
A proposito della differenza e del dualismo tra l’amore come inclinazione e come sentimento e l’amore pratico, secondo i principi dell’intelletto, di cui parla Kant, bisogna riconoscere che Kant stesso cerca in qualche modo di colmare questa distanza o quantomeno di ridurla, introducendo il concetto di consuetudine,attraverso il quale «l’amore dettato dall’obbligo si muta in un’inclinazione».34 Tuttavia per Kant l’amore come amore pratico, cioè secondo principi, che deriva da una scelta dell’uomo, con le azioni che da esso conseguono, rimane comunque superiore all’amore per inclinazione, che deriva dal sentimento (non dalla ragione ) e da ciò che è variabile in ogni uomo.
Le riflessioni sul concetto di amore nell’etica kantiana, confluiscono poi nell’idea di amicizia,35 considerata come ciò che «costituisce un’idea in quanto serve come termine di misura per determinare l’amore reciproco».36 Per Kant «il massimo dell’amore reciproco», è «l’amicizia», che intesa nella sua piena realizzazione, rimane per l’uomo, un’ idea, anzi un ideale a cui tendere, un fine necessario per il progresso continuo del genere umano, così come il comandamento dell’amore verso il prossimo del cristianesimo.
Coleridge, almeno nei passi consultati in questo contesto, non accenna alla distinzione kantiana del concetto di amore.
Invece il riferimento all’idea di amore in Petrarca, qui accennato, è stato ritenuto necessario per individuare alcune connessioni che possano rendere un po’ meno oscura la frase di Coleridge.
Riguardo alla critica di Coleridge della frase contenuta nell’opera di Kant La metafisica dei costumi,37 composta di diversi riferimenti, che rinviano ad altri temi, come quello della distinzione tra realtà fenomenica e realtà noumenica, si può osservare, come già accennato in nota, che molto probabilmente si riferisce al discorso kantiano sull’origine del male nell’uomo, e sulla visione della volontà in quel contesto. In particolare Kant scrive che
Il male ha potuto derivare solo da un male morale (non da semplici limitazioni della nostra natura; e tuttavia la disposizione originaria dell’uomo (che nessun altro fuori di lui può corrompere, se questa corruzione deve essergli imputata) è una disposizione al bene; qui non v’è dunque alcun fondamento per noi comprensibile, da cui, per la prima volta, il male morale possa essere venuto da noi.38
Questa connessione accennata da Coleridge tra l’idea di amore e il problema dell’origine del male, merita di essere in qualche modo verificata, ma ciò non è possibile in questa sede.
In conclusione sul rapporto tra Kant e Coleridge riguardo al concetto di amore si può dire che, nonostante la critica coleridgeana, c’è comunque un aspetto su cui i due concordano. Se l’amore non è soltanto un sentimento ma appartiene anche alla sfera della ragione, in quanto, come benevolenza e amore pratico, può essere realizzato per dovere (un dovere legato all’autodeterminazione dell’uomo, in quanto essere morale), e quindi può in qualche modo essere scelto con l’ausilio della volontà libera dell’uomo, almeno su questo Coleridge e Kant potrebbero trovare dei punti di concordanza. Quell’amore che, secondo Kant, è amore pratico perché deriva da principi dell’intelletto è ciò su cui probabilmente Kant e Coleridge sono molto vicini. Ciò che però lascia spazio a molti dubbi è la confusione dichiarata dello stesso di Coleridge riguardo ad una formulazione precisa di questo tema.
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S. Marcucci, Su un commento di Coleridge ad una affermazione kantiana della «Metafisica dei costumi», in Studi kantiani, XIII, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma, 2000. ↩︎
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S.T. Coleridge, The Philosophical Lectures (1818-1819), Hitherto Unpublished, edited by Kathleen Coburn, Routledge & Kegan Paul LTD, London 1950; Table Talk; Recorded by H.N. Coleridge, in The Collected Works of Samuel Taylor Coleridge, 14, edited by K. Coburn and B. Winer, Princeton University Press, 1990; Biographia Literaria (1817) II, edited with his Aesthetical Essays by J. Shawcross, Oxford University Press, 1967; Aids to Reflection, in The Collected Works of Samuel Taylor Coleridge, 9, edited by K. Coburn and B. Winer, Princeton University Press, 1993; Hints Towards the Formation of a More Comprehensive Theory of Life (1848), tr.it. La teoria della vita, traduzione, introduzione e note di Ornella Bellini, prefazione di Antimo Negri, Marzorati, 1994. ↩︎
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Coleridge, Table Talk, pp. 147-148 «Il mio sistema, se posso azzardarmi a dare ad esso un così bel nome, è l’unico tentativo che io conosco, che abbia mai cercato di raccogliere tutte le conoscenze in armonia. Esso non si oppone a nessun altro sistema, ma mostra ciò che c’era di vero in ognuno; e come ciò che era vero nel particolare, in ognuno di essi è divenuto errore, perché era solo una metà del vero. Ho tentato di unire i frammenti isolati del vero, e con ciò di formare uno specchio perfetto» (trad.mia). ↩︎
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Table Talk, op. cit., vol. I, pp. 280-281. ↩︎
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Op. cit., p. 13. ↩︎
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Lettera del settembre 1817 a Charles August Tulk, in Collected letters of S.T. Coleridge, 6 vol., a cura di E.L. Griggs, Oxford, Clarendon Press, 1956-1971, qui vol. IV p. 767; tr.it. parziale, Il senso del sublime, Mondadori, Milano, 1987. ↩︎
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R. Wellek, Kant in England, 1793-1838, Princeton University Press, 1931, p. 66: «But if we look into the workshop of Coleridge’s mind, we must admit a fundamental flaw in Coleridge which never allowed him to integrate his tought into an organic, individual, coleridgean whole [Ma se noi osserviamo le opere del pensiero di Coleridge, dobbiamo ammettere un fondamentale difetto in Coleridge che non gli ha mai permesso di integrare il suo pensiero in un tutto organico, individuale, coleridgeano]» (trad. mia). ↩︎
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Coleridge, Aids to Reflection, pp. 60-61. ↩︎
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«Gli appetiti più vili e la più grande incostanza senza rimorsi verso i loro oggetti, acquisiscono i titoli del cuore, dei sentimenti irresistibili, e della più tenera sensibilità…Così in questo tempo la profanazione della parola amore è giunta al suo punto più alto.» ↩︎
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Coleridge, Aids to Reflection, cit., pp. 63-64: «Ricordate che l’Amore stesso nella sua più alta forma terrena, come fondamento dell’unione matrimoniale, diviene Amore attraverso un’interiore FIAT della Volontà, mediante un Atto di Elezione Morale che lo completa e sigilla, e che ottiene il diritto alla permanenza solo sotto la forma del Dovere» (trad. mia). ↩︎
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Neigung, inclinazione, usato da Kant in opposizione al termine Pflicht, dovere: si veda in particolare I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, tr.it. Fondazione della metafisica dei costumi, traduzione e introduzione di Filippo Gonnelli, Laterza, Bari, 1997, p. 28. Il termine «Neigung», «inclinazione», da Kant è usato in stretta connessione con l’aggettivo «pathologisch», «patologico», per indicare la sua origine non dai principi della ragione, ma dai sensi. Infatti, secondo Kant, l’amore che deriva da un’inclinazione o da una propensione è patologico. Il termine opposto a Neigung, in Kant è Pflicht, dovere. In particolare si veda Kritik der praktischen Vernunft, tr.it. Critica della ragione pratica, a cura di A.M. Marietti, con introduzione di G. Riconda, Rizzoli, 1992, p. 302. ↩︎
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Coleridge, Aids to Reflection, cit., p. 42 (trad.mia). ↩︎
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Ivi, p. 77. ↩︎
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Ivi, p. 80. ↩︎
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E. Chinol, Il pensiero di S. T. Coleridge, Neri Pozza, Venezia, 1953, pp. 116-117. ↩︎
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S. Marcucci, Romantici inglesi, in Grande antologia filosofica, vol. XIX, Marzorati, Milano, 1971, p. 1058. E successivamente nel saggio Su un commento di Coleridge ad una affermazione kantiana della «Metafisica dei costumi» in Studi kantiani, XIII, Pisa, 2000, p. 101. ↩︎
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Citato da Chinol, B.M., C. 43.a.9. ↩︎
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La frase di Kant completa, citata da Chinol, è la seguente: «Liebe ist eine Sache der Empfindung, nicht des Wollens, und ich kann nicht lieben weil ich will, noch weniger aber weil ich soll (zur Liebe genöthigt werden); mithin ist eine Pflicht zu lieben ein Unding». «L’amore appartiene al sentimento, non alla volontà: io non posso amare perchè voglio, ancor meno, però, perchè debbo (io non posso essere costretto all’amore); un dovere di amare è dunque un non-senso», tr. it. a cura di G. Vidari, in I. Kant, La metafisica dei costumi, Laterza, 2004, p. 253. ↩︎
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Riguardo alla citazione relativa all’origine del male e alla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, forse Coleridge ha in mente alcuni passi di Kant, contenuti ne La religione entro i limiti della sola ragione, tr.it. a cura di M.M. Olivetti, Laterza, 1985, p. 45, e in generale riguardo al discorso kantiano sull’origine del male nell’uomo, si veda la prima parte della stessa opera. Riguardo al collegamento nel discorso kantiano tra volontà dell’uomo e origine del male, si vedano i versi del poeta e scienziato Albrecht von Haller, citato in Kant, La metafisica dei costumi, ed.cit., p. 248, e in La religione entro i limiti della sola ragione, tr.it. a cura di M.M. Olivetti, Laterza, 1985, p. 68: «Die Welt mit ihren Mängeln / ist besser als ein Reich von Willenlosen Engel» (Il mondo con le sue mancanze / è meglio di un regno di angeli senza volontà). In nota al passo in cui è contenuta la citazione del poeta Haller, si fa riferimento alla posizione assegnata all’uomo, secondo Haller, fra le creature create da Dio. All’uomo viene assegnata una posizione di superiorità nella scala morale rispetto agli angeli, perché l’uomo, ha la volontà e quindi avendo la possibilità di scegliere liberamente è soggetto alla tentazione. Mentre gli angeli per la loro natura di santità sono legati al bene e non soggetti alle tentazioni. ↩︎
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Di Petrarca si vedano in particolare i sonetti e le canzoni In morte di Madonna Laura; per questo lavoro è stata consultata l’edizione F. Petrarca, Rime, Bettoni, Brescia, 1821. ↩︎
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F. Petrarca, Epistole familiari, IV, I in Antologia della letteratura italiana, a cura di Gianni Balestreri, Pasquali, G. D’Anna, Milano, 1988, p. 413, cit. di un passo delle Confessioni di S. Agostino: «E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, e i grandi flutti del mare, e il lungo corso dei fiumi, e l’immensità dell’Oceano, e il volgere degli astri; e si dimenticano di sé medesimi». ↩︎
-
Ivi, p. 185. ↩︎
-
Ivi, p. 135. ↩︎
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Op. cit. ↩︎
-
Ed.cit., p. 253. ↩︎
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I. Kant, Eine Vorlesung Kants über Ethik, im Auftrage der Kant-Gesellschaft, herausgegeben von Paul Menzer, Paul Verlag Rolf Heise, Berlin, 1924, tr. it. Lezioni di etica, a cura di Augusto Guerra, Laterza, Milano, 2004. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ed.cit., pp. 253-254: «L’amore appartiene al sentimento, non alla volontà; io non posso amare perché voglio, ancor meno, però, perché debbo, (io non posso essere costretto all’amore); un dovere di amare è dunque un non-senso». ↩︎
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Ivi, p. 224. ↩︎
-
Ivi, pp. 225-226. ↩︎
-
Ivi, pp. 302-303. ↩︎
-
Ivi, p. 254, p. 317, pp. 319-320. ↩︎
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Ivi, pp. 28-29. ↩︎
-
Ivi, p. 226. ↩︎
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S. Marcucci, L’amicizia morale in Kant, in Atti del Convegno internazionale di studi italo-tedeschi, Il concetto di amicizia nella storia della cultura europea, Accademia di studi italo-tedeschi, Merano, 1994. ↩︎
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I. Kant, Lezioni di etica, ed.cit., p. 231. Cfr. pp. 230-239; La metafisica dei costumi, ed.cit., pp. 345-350. ↩︎
-
Ed.cit. p. 253. ↩︎
-
I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, ed.cit., pp. 45-46. ↩︎