Se non ci sono ventilatori per tutti. Covid-19 e il criterio dell’età

Una pandemia sottolinea ed esaspera problemi che sono di lungo periodo, a partire dalle disuguaglianze fra i ricchi e i poveri del pianeta. Non ci si può stupire, per esempio, nel constatare che è più facile morire là dove mancano anche in tempi normali reparti di terapia intensiva e ventilatori e con queste asimmetrie si scontrano fatalmente gli auspicati, doverosi sforzi di «coordinamento internazionale».1 C’è però, al tempo stesso, un colpo di frusta anche sui sistemi sanitari più avanzati ed efficienti, che cercano di garantire ai loro cittadini cure appropriate alla loro condizione e non semplicemente quelle che sono in grado di pagare. Si può arrivare in pochi giorni a una situazione che evoca quella della medicina delle catastrofi, portando l’intera rete di assistenza sull’orlo del collasso.

Rispetto a questa eventualità, la Covid-19 ha evidenziato da un duplice punto di vista la vulnerabilità degli anziani. È stato subito chiaro che per loro il rischio di conseguenze gravi e di morte era molto più grande. E di fronte anche solo alla possibilità di decisioni come quella su chi cercare di salvare e chi lasciar morire, quando non ci sono più ventilatori a sufficienza per tutti coloro che ne avrebbero bisogno, si è riproposto con la forza dei dilemmi tragici un confronto aperto da tempo sui criteri per l’allocazione delle risorse al livello “macro”. I molti documenti prodotti da comitati e società scientifiche del mondo occidentale nelle settimane nelle quali il contagio si allargava non hanno potuto evitare di prendere posizione sul criterio dell’età anagrafica, anche perché l’idea che si possano (si debbano) favorire i giovani rispetto agli anziani quando non è possibile curare tutti sembra conservare, agli occhi di molti, una “naturale” persuasività.

Mi concentrerò su questo secondo aspetto, che rinvia non soltanto al trade-off fra i principi di utilità e di equità evidenziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo testo del 2016 dedicato alle questioni etiche collegate alle epidemie,2 ma anche a una più ampia questione relativa alla natura e al metodo della ragione pratica, che è quella del rapporto fra i principi e il contesto nel quale ci si può trovare costretti a scegliere. È sempre l’OMS, nel suo Rapporto del 2015 su invecchiamento e salute, a sintetizzare i termini di una polarizzazione chiara e netta: a coloro che sostengono che il conseguimento del greatest good for the greatest number implica il riconoscimento del criterio dell’età anagrafica come criterio «etico, oggettivo e cost-effective» per l’allocazione delle risorse si oppongono quanti lo contestano con argomenti «forti» basati appunto sull’equità e sui diritti e per i quali il razionamento a partire dall’età è «semplicemente un esempio di discriminazione nei confronti delle persone più anziane», un esempio di ageism.3 Come interpretare questo contrasto apparentemente insuperabile?

1. La decisione solo clinica come garanzia di uguaglianza

Una corretta valutazione della situazione clinica è la premessa di una buona pratica della medicina nel tempo dell’emergenza non meno che in quello della quotidianità. Un triage che includesse soggetti per i quali il ricorso a un ventilatore è inutile o addirittura dannoso (a prescindere dalla loro età) sarebbe semplicemente irrazionale ed è dunque ovvio che si debba verificare in via prioritaria se sarebbe stato considerato appropriato – in condizioni appunto normali – il ricorso a mezzi di sostegno vitale che sono diventati scarsi.4 Il tema, di conseguenza, non è e non può essere l’età anagrafica in quanto tale, ma la possibilità di considerare la valutazione clinica come il criterio unico e comunque risolutivo in vista di un giudizio che non è più semplicemente di appropriatezza ma di priorità.

Spinge in questa direzione la preoccupazione per un allentamento delle maglie della rete di protezione dei più fragili: è proprio in un contesto di risorse limitate che deve essere mantenuta alta la guardia rispetto ad azioni di marginalizzazione, stigmatizzazione o vera e propria discriminazione, a danno degli anziani ma anche di altri segmenti della popolazione come i disabili, i rifugiati, i migranti.5 Con conseguenze che possono facilmente prolungarsi, una volta finita l’emergenza, nelle politiche e nella pratica di tutti i giorni.6 Risulterebbe così compromesso il fondamentale principio di uguaglianza sul quale poggiano norme internazionali, costituzioni e ordinamenti giuridici, codici deontologici. È in virtù del significato appunto egualitario della giustizia che, di fronte a un’epidemia, «si tratta in primo luogo di ricordare che lo scopo è quello di proteggere tutta la popolazione, quale che sia la posizione dei suoi membri nella scala sociale e la loro età».7 Non si può allentare la consapevolezza che «tutti gli individui sono di pari valore e tutti possono vantare un diritto incontestabile alla salute» e selezioni basate sul fatto di essere giovane o vecchio, uomo o donna, ricco o povero «sono eticamente discutibili, in quanto introducono una gerarchia tra vite degne e non degne e una violazione dei diritti umani fondamentali».8

Sono molti, fra quelli pubblicati nei primi mesi dell’emergenza, i documenti che considerano il criterio dell’età anagrafica analogo o senz’altro sovrapponibile – per i rischi che implicherebbe – alla posizione sociale, al sesso, alle diverse forme di “merito”. Si distingue, per radicalità e nettezza, la posizione del Comitato etico tedesco. Ogni vita umana ha diritto allo stesso livello di protezione e dallo Stato non può venire alcuna indicazione per una distribuzione disuguale delle possibilità di sopravvivenza e dei rischi di morte in base al valore o alla durata della vita: lo Stato, semplicemente, non può fare questi confronti, non può dire quali vite debbano essere salvate prima e deve limitarsi all’indicazione di salvarne il maggior numero possibile.9 Con ciò non si esclude che possano essere per esempio le associazioni professionali a elaborare delle linee guida, che dovranno però restare nei limiti così tracciati. La Società interdisciplinare tedesca per la medicina intensiva e di urgenza lo ha fatto indicando come criterio la prospettiva di successo clinico in senso stretto: la priorità deve essere data ai pazienti ai quali il trattamento offre una maggiore probabilità di superare la malattia attualmente in corso. Il vincolo costituzionale a riconoscere a ogni vita lo stesso valore impone, in caso di triage, di considerare tutti i pazienti e non solo quelli colpiti dall’epidemia, ma esclude il criterio dell’età anagrafica, oltre a caratteristiche sociali e disabilità.10

Nel parere del Comitato nazionale italiano per la bioetica la complessità della decisione sulla appropriatezza clinica è pienamente riconosciuta nella sua dimensione sia oggettiva che soggettiva, includendo cioè il dovere – di valore portante per l’etica medica – di una valutazione attenta alla specificità di ogni singola situazione e a tutti gli elementi per essa rilevanti.11 Contano – insomma – tanto la gravità del quadro clinico, la comorbilità e un’eventuale condizione di terminalità a breve quanto la percezione del dolore e della sofferenza e quella della invasività dei trattamenti. Si cita a questo punto l’età, ma optando per una strategia per così dire di minimizzazione: essa «è un parametro che viene preso in considerazione in ragione della correlazione con la valutazione clinica attuale e prognostica ma non è l’unico e nemmeno quello principale» per capire chi abbia «la maggiore possibilità di sopravvivenza».12 Al di fuori di questa valutazione l’età rimane, al pari di altri, un criterio di selezione eticamente inaccettabile.

Anche la Commissione bioetica austriaca, richiamando le indicazioni fondamentali emerse dal confronto all’interno delle società scientifiche, insiste sui criteri medici e sottolinea l’importanza della probabilità di sopravvivenza nel breve periodo (la sopravvivenza al trattamento di terapia intensiva), aggiungendo tuttavia la precisazione che deve essere presa in considerazione anche l’eventualità che la sopravvivenza a una situazione di pericolo di vita abbia come esito la dipendenza permanente e irreversibile da cure intensive (aspetto di particolare rilievo in queste circostanze) e con una differenziazione di giudizio potenzialmente significativa. L’età anagrafica, in quanto criterio isolato, non può essere considerata determinante dal punto di vista scientifico-professionale né legittima sotto il profilo etico e giuridico (e ad essa viene affiancato il riferimento alla qualità della vita in quanto definita «dall’esterno», dunque a prescindere dal principio di autodeterminazione). Un eventuale riferimento allo status sociale viene però liquidato con espressioni più dure. Esso «è ovviamente del tutto inaccettabile», così come lo sarebbero rapporti personali con chi deve prendere la decisione.13 A fare la differenza, in ogni caso, è sempre solo il possibile significato prognostico dei criteri. Proprio perché le persone più anziane sono spesso più fragili l’età può essere considerata un fattore di rischio di morte per una prognosi a breve termine.14 L’Accademia svizzera delle scienze mediche, elencando i criteri clinici da valutare in caso di triage per l’esclusione da un ricovero in terapia intensiva, include nella lista la demenza grave già nel momento in cui le risorse si fanno limitate ma ci sono ancora letti disponibili, aggiungendo un’età superiore a 85 anni (ancora una volta perché l’età è un indicatore per la prognosi «secondo i dati di cui si dispone») per il caso in cui si arrivi alla piena saturazione.15

Il riferimento alla sopravvivenza nel breve periodo appare in effetti essenziale per valutare il significato e i limiti di una decisione unicamente clinica. Non esplicitarlo comporterebbe di fatto, con poche eccezioni legate a particolari condizioni di salute, la scelta del giovane rispetto all’anziano, almeno quando la differenza di età fosse ampia e per le stesse ragioni per le quali al secondo, da un certa età in poi, non verrebbe più concesso un mutuo trentennale. In questo modo, però, si crea una frizione con l’idea che esista una responsabilità collettiva per il futuro delle generazioni più giovani come parte di una più generale responsabilità per il futuro dell’umanità. Ma anche, molto più semplicemente e per citare un noto esempio, con la constatazione che i più ritengono del tutto ragionevole una reazione diversa di fronte alla morte di un giovane di 26 anni e a quella di una persona di 97: definiamo la prima una tragedia, mentre la seconda, quando si tratta di un uomo di successo come Bertrand Russell, diventa «l’occasione per una commemorazione solenne di una vita ben vissuta».16 È un sentimento che appare infiltrato nella stessa pratica medica: un’indagine svolta negli ospedali statunitensi ha evidenziato nel beneficio il criterio di triage sul quale converge un consenso quasi unanime, ma l’età è comunque indicata nel 50 per cento dei casi.17

Queste osservazioni sono la spia di una difficoltà più profonda. Il protocollo Birkenhead18 (“prima le donne e i bambini”) era l’eredità di un codice cavalleresco e sessista e non è detto che dovendo scegliere fra la vita di un bambino e quella di un giovane padre di famiglia la maggioranza opterebbe per il primo.19 Ma in questo tipo di decisioni sembra davvero difficile evitare di estendere ai risultati della valutazione clinica la cautela che giustamente si esige rispetto a ogni automatismo nell’applicazione del criterio dell’età anagrafica. Che fare, per esempio, quando si tratta di scegliere fra pazienti che, in vista della sopravvivenza a breve termine e utilizzando strumenti come il SOFA (Sequential Organ Failure Assessement), ottengono un punteggio analogo? Anche l’età può proporre evidentemente delle situazioni di quasi-pareggio (quanto può pesare la differenza fra un sessantenne e una persona di 5 o 10 anni più giovane?), forse con frequenza perfino maggiore. Considerandola alla stregua di status, sesso, appartenenza etnica ecc. si rischia tuttavia un esito paradossale. Restiamo all’esempio del ventilatore. La ricerca di un criterio di decisione senza discriminazioni, nei casi in cui la sopravvivenza a breve termine appaia probabile e il beneficio in questa prospettiva certo per tutti i candidati all’unico dispositivo disponibile, si può impantanare nell’alternativa fra un esito della cui “giustizia” molti non riusciranno a sentirsi pienamente convinti e l’affidarsi al caso come tiebreaker.

Si può insistere sui soli parametri clinici: il più delle volte prevarrà il più giovane, ma quando ciò non accadesse, soprattutto se la differenza rispetto a tali parametri fosse minima e non pregiudicasse l’appropriatezza del trattamento e fosse invece grande quella di età, si insinuerebbe facilmente il dubbio che ciò non fosse sufficiente a fare la differenza e che un’altra scelta sarebbe stata il male minore. Oppure ci si può affidare alla sorte, che la politica per prima aveva apprezzato come baluardo di uguaglianza, per poi optare per il consenso come base della rappresentanza legittima.20 James Childress, in un articolo centrato sulla critica a un approccio di matrice utilitarista basato sul valore sociale, indicava esplicitamente l’opzione del sorteggio, insieme alla regola first come, first served, come la più idonea a preservare i diversi valori in gioco: l’uguale dignità di ogni essere umano impone la garanzia di uguaglianza di opportunità a tutti coloro che superano il giudizio di appropriatezza medica.21 La scelta di “servire” chi è arrivato prima resta naturalmente subordinata a questo giudizio.22 Ma può lasciare comunque insoddisfatti, così come quella del sorteggio.

2. Il fair innings argument e lo standard biografico

Una pandemia, per il numero dei pazienti coinvolti e per l’urgenza delle decisioni da prendere, può determinare un contesto nel quale, proprio per quanto è stato detto finora, può essere la stessa esigenza della migliore decisione clinica a imporre infine una scelta basata anche sull’età anagrafica. Può non esserci il tempo per una valutazione accurata delle singole situazioni e ciò facilita l’adozione di un criterio che sia immediatamente verificabile e applicabile e comunque significativo – almeno in gran parte dei casi – anche dal punto di vista prognostico. Ipotesi estreme come l’indicazione di una vera e propria soglia per l’ingresso in una terapia intensiva si espongono inevitabilmente all’obiezione di una esclusione a priori e dunque di discriminazione, ma la decisione a vantaggio dei più giovani, in queste condizioni, potrebbe essere difesa anche come un tentativo di minimizzare il rischio di una decisione clinica sbagliata. Soprattutto se tale indicazione presuppone che siano stati compiuti tutti gli sforzi possibili per aumentare la disponibilità di risorse e sia stata valutata ogni possibilità di trasferimento dei pazienti verso altri centri.23

Il fair innings argument, evocando un sentimento diffuso e ben radicato, anche se «difficile da formalizzare»,24 pone esplicitamente la questione in termini non di efficienza ma di equità. A tutti dovrebbe essere offerta una durata di vita “normale”: chi non la raggiunge è stato in qualche modo «imbrogliato», mentre chi la supera sta vivendo per così dire di tempo «preso in prestito».25 Anche un autore che evidenzia alcune importanti questioni sollevate dall’argomento ammette che la priorità assegnata al più giovane possa apparire l’applicazione di un’esigenza appunto di equità, per precisare però subito che questa prospettiva si imporrebbe solo «se tutto il resto fosse uguale», il che è impossibile. Qualche differenza in grado di incidere sulla prognosi, fra un paziente di 80 e uno di 30 anni, ci sarà sempre.26 Con il che torniamo alle difficoltà che ho già sottolineato.

L’età anagrafica sembra davvero imporsi come il cuneo più insidioso nell’idea dell’autosufficienza della decisione clinica. E non implica l’adesione alla tesi che debbano essere “pesate” in modo analogo le disabilità (a parte il loro valore prognostico, come nel caso dell’età) o una qualche forma di utilità sociale. Il Comitato spagnolo di bioetica, per esempio, si è espresso con particolare severità sulle Raccomandazioni adottate dalla Società spagnola di medicina intensiva, che per la decisione sul ricorso alla ventilazione meccanica invasiva fanno esplicitamente riferimento al concetto di «sopravvivenza libera da disabilità»: la disabilità di una persona malata, coerentemente con quanto stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti di queste persone, non può mai essere in quanto tale un motivo per dare la priorità ad altri. Al tempo stesso, il Comitato richiama un’altra Convenzione, quella sui diritti del bambino e dell’adolescente del 1989, per introdurre un’eccezione (la sola possibile) di «discriminazione positiva» appunto a vantaggio dei bambini.27

Per quanto riguarda l’utilità sociale, si può ricordare come un criterio di experience adjusted life years (EALY), del quale lo stesso autore riconosce la matrice utilitarista, sia stato recentemente proposto proprio evidenziandone la differenza dal fair innings argument. L’ipotesi, sempre sul presupposto di un identico esito clinico in caso di trattamento, è che quest’ultimo possa essere assegnato prendendo in considerazione non la quantità di vita salvata, ma la quantità di «servizio alla società». Nello stesso articolo viene riconosciuta la forza della critica di elitismo e strumentalizzazione della vita umana che va inevitabilmente a colpire questa soluzione, aggiungendosi a quella di una difficile applicazione. Resta il fatto che utilità sociale ed età sono due criteri chiaramente diversi, perché «alcune persone più anziane possono avere una expertise di maggior valore per la società rispetto a quella che possono offrire i giovani».28

A imporre cautela rispetto a una frettolosa identificazione fra criterio dell’età e utilitarismo può esserci anche la constatazione che un serrato confronto con Rawls (e dunque, fra l’altro, con l’idea che debba essere presa sul serio «la distinzione tra persone», a differenza di quanto accadrebbe appunto nell’utilitarismo29) è parte integrante del tentativo di elaborare un prudential lifespan account inclusivo tanto della consapevolezza che ogni momento della vita va valutato nello stesso modo a prescindere dal punto in cui si colloca nella nostra esistenza quanto della saggezza che ci spinge a dare maggiore enfasi all’accrescimento della possibilità per gli individui di raggiungere una durata di vita normale piuttosto che a una sua minima estensione una volta raggiunta tale soglia.30 Tutti si confrontano con la prospettiva di invecchiare e sperano di farlo. Per questo il riferimento al ciclo della vita, che molti considerano potenzialmente discriminatorio, può essere interpretato al contrario come intrinsecamente egualitario, a differenza di quanto accade con le considerazioni legate a sesso o appartenenza etnica. Si tratta di cercare di dare a tutti la stessa opportunità.31

La questione a mio avviso cruciale è tuttavia un’altra. Un’emergenza pandemica può diventare la lente d’ingrandimento di una sfida di lungo periodo che è insieme politica, economica, culturale: scelte di allocazione ed eventuali esigenze di razionamento si collocano in un contesto nel quale l’impegno pubblico può non essere sufficiente a garantire che alla non-escludibilità di principio (implicita nel riconoscimento di un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzioni legate all’età) corrisponda sempre la non-rivalità di fatto (e la rivalità, quando diventa impossibile soddisfare il bisogno di tutti, vale in pratica un’esclusione), che si tratti di una lista d’attesa della quale non si conquista mai la cima per un intervento d’elezione o di un ventilatore senza il quale si andrà incontro a una morte certa e rapida. È da qui che si allunga sulla condizione degli anziani il cono d’ombra che genera il sospetto di discriminazione ed è dunque questo il nodo da affrontare, nella consapevolezza delle molte e complesse variabili in gioco.

Una forma di ageism istituzionale, che proprio il fair innings argument contribuirebbe ad alimentare, è stata denunciata perfino nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che nell’ambito dell’obiettivo su salute e benessere fissa il target di una riduzione di un terzo della mortalità prematura (definita a livello internazionale dall’OMS con riferimento al limite dei 70 anni) causata da malattie non trasmissibili. Quel che accade agli anziani, insomma, sembra contare meno e nella definizione di questa soglia si leggerebbe un giudizio almeno implicito sul valore della loro vita.32 I primi targets dell’obiettivo 3 dell’Agenda 2030 sono relativi a mortalità materna, neonatale e dei bambini sotto i 5 anni e quello contestato viene immediatamente dopo la sollecitazione a porre fine alle epidemie, che, come ho già detto, sono altrettanti, impietosi indicatori di disuguaglianza. Si può negare che la riduzione del rischio di morire per parto per tutte le donne e l’offerta a tutti i bambini del mondo di una probabilità di diventare adulti che si avvicini a quella di chi è nato in un paese più fortunato rappresentino un’esigenza almeno prioritaria di giustizia? Ma il dubbio rimane: perché preoccuparsi delle morti premature e non di tutte?

Ci sono due strategie per rispondere a questo interrogativo, che possono integrarsi fra loro ma sollevano nuove difficoltà. Esplicitarle significa porsi nella prospettiva più corretta anche per riconoscere la specificità delle condizioni che si determinano quando una pandemia tende fino al punto di rottura gli equilibri e i bilanciamenti sui quali si regge il funzionamento di un sistema sanitario in tempi “normali”. Di questo “salto” che caratterizza l’emergenza si deve necessariamente tenere conto anche per la valutazione e l’eventuale applicazione del fair innings argument.

Definirei la prima strategia una forma di realismo inclusivo e responsabile. Daniel Callahan, rispondendo a una critica dai toni aspri al suo Setting limits: medical goals in an ageing society (Simon & Schuster, New York, 1987),33 ribadisce che la sua proposta di utilizzare l’età come criterio per la limitazione dell’uso di tecnologie costose per il prolungamento della vita presuppone alcune condizioni irrinunciabili: l’accesso per tutti a una forma di assistenza sanitaria universale; lo sforzo di evitare tutte le morti premature; un forte potenziamento dell’assistenza di lungo termine e domiciliare per gli anziani. E rilancia una consapevolezza tanto dura quanto ineludibile. Nel mondo reale non è possibile coltivare l’illusione che non ci siano limiti alle risorse disponibili semplicemente perché non dovrebbero essercene e il confronto sulle politiche pubbliche è un confronto su modi diversi per definirli, che risulteranno comunque «sgradevoli e potenzialmente ingiusti per alcuni».34 Non è questa la sede per affrontare il problema delle policies di allocazione delle risorse fra i diversi settori e all’interno di quello sanitario, che Callahan solleva con onestà intellettuale e l’evidenza di dinamiche incontestabili. Ma si può dire senz’altro che il sospetto di ageism sarà tanto più contenuto quanto più si rafforzeranno l’universalità dell’assistenza e la disponibilità dei servizi calibrati sui bisogni degli anziani. Fare di più e meglio, se le risorse lo permettono e lo si vuole, sarà sempre possibile ed è per questo che aumenta la responsabilità del decisore politico e dell’opinione pubblica di una società democratica. Le scelte della medicina delle catastrofi sono però tragiche proprio perché sembrano rendere impossibile perseguire l’obiettivo di un razionamento che sia comunque un bilanciamento. Il tema della limitazione esplode nella sua forma più brutale e diretta: l’esclusione e l’esclusione da un trattamento salvavita a vantaggio di altri, perché qualcuno, in ogni caso, dovrà essere lasciato morire.

Anche per la seconda strategia, che lavora sul senso della vita e della finitezza dell’uomo, si può far riferimento a Callahan. L’età, considerata isolatamente, non è in ogni caso sufficiente ad anticipare con esattezza l’esito di una patologia e dove una persona si collochi in una scala di probabilità. Per questo occorre andare oltre uno standard semplicemente medico, per concentrarsi su una valutazione dal punto di vista morale e dunque sugli elementi di uno standard biografico: il tempo che rimane e che è almeno statisticamente più breve; la coscienza di sé, alimentata da un modo diverso di pensare la vita e le sue prospettive; lo scorrere delle generazioni. L’età non può essere considerata alla stregua del peso, della pressione sanguigna o del numero dei globuli bianchi ed è così che si passa da una prospettiva tecnica centrata sul paziente a una prospettiva centrata sulla persona, modulando di conseguenza la valutazione dei bisogni e degli interessi dell’individuo. L’adozione di uno standard biografico non implica rifiuto, denigrazione o svalutazione da parte della società: il valore della vita rimane intatto fino all’ultimo momento. Non significa, insomma, introdurre un principio per confrontare fra loro vite diverse, ma semplicemente accettare «l’inevitabilità della morte in generale e, in particolare, la sua accettabilità per l’individuo dopo il compimento di un naturale arco di vita. La morte prenderà allora il suo giusto posto come un anello necessario nel passaggio delle generazioni».35

La forza di questa posizione è anche il suo limite. Non sono mancati gli elogi, nei momenti più duri dell’epidemia, per la generosità degli anziani pronti a rinunciare a un ventilatore per metterlo a disposizione dei più giovani. Ma si trattava appunto della loro scelta e non di quella di un medico assunta magari a loro insaputa o dell’applicazione di una norma di legge subita anche da chi non la condivide. Callahan risponde a questa obiezione con l’idea di una decisione che sia volontaria e democratica e corrisponda dunque a una «limitazione auto-imposta e non imposta coercitivamente».36 Ma quando si nega un ventilatore a chi ne avrebbe bisogno e lo vorrebbe è alla resa dei conti di questo che si parla: l’auto-limitazione delle volontà può non esserci o non essere comunque sufficiente a superare la “rivalità” che le circostanze impongono. Lo standard biografico, inoltre, può apparire orientato verso il polo dell’autodeterminazione e dunque adatto più ad alimentare che a mediare il conflitto su questo come su altri temi bioetici. Si può rispondere a questa obiezione osservando come questa prospettiva sul senso della vita abbia radici storico-culturali profonde e proprio nella cornice di un’idea forte di giustizia. Gli «eletti» della nuova Gerusalemme di cui parla il profeta Isaia (ai quali – è bene ricordarlo – si contrappongono coloro che sono destinati alla spada e i maledetti) si riconosceranno anche per il fatto che non genereranno per una morte precoce: «Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni […]».37 Resta però il problema della trasformazione di un’opzione biografica pienamente legittima a livello individuale nella premessa di un vincolo deontologico e giuridico.

3. Non tutte le decisioni sono tragiche. Ma queste sì

La decisione che si vuole basata su una valutazione esclusivamente clinica è orientata ai benefici e include un livello alto di attenzione per la condizione di ogni singolo paziente. Anch’essa sottende in realtà un principio di massimizzazione: non potendo salvarle tutte, si dovrà comunque cercare di salvare il maggior numero possibile di vite umane e per questo, per esempio, “pesa” la probabilità di successo del trattamento e non la semplice constatazione che Tizio sta peggio di Caio, mentre il limite della prospettiva di breve termine è necessario per evitare non solo un ampliamento forse eccessivo di significato, ma soprattutto l’inclusione di fatto di un criterio (l’età anagrafica in quanto tale) eticamente e giuridicamente controverso. Possono e per molti devono entrare nella valutazione elementi soggettivi insieme a quelli oggettivi. Deve in ogni caso essere cercato il colloquio con il paziente, pur sapendo che potrebbe non essere la sua volontà libera e informata ad avere l’ultima parola. Il dovere della comunicazione, in queste circostanze, può diventare un onere anche emotivamente difficile da sostenere. Ma non può essere eluso.

Queste semplici sottolineature dimostrano a mio avviso come la polarizzazione esasperata fra le diverse teorie normative rischi di rendere più difficile la comprensione dei problemi e la ricerca di soluzioni concrete ed efficaci. La logica utilitaristica solleva «la questione della valutazione morale delle conseguenze che si produrranno da differenti decisioni o insiemi di decisioni» e può risultare «complementare» a una logica deontologica. Il problema, rispetto a quest’ultima, si pone quando tale logica «venga assolutizzata e appiattita sull’esclusivo criterio della massimizzazione dei benefici», subordinando «il bene del singolo alla logica dell’insieme (l’utilità complessiva)». Ed è per evitare questo rischio che occorrerebbe semmai privilegiare, per indicare la considerazione degli effetti dell’agire, «il ricorso alla categoria del consequenzialismo o a quella dell’etica della responsabilità».38 Muovendo da questa consapevolezza – questa potrebbe essere una prima indicazione – risulta più facile smussare almeno alcuni angoli e percorrere un tratto di strada insieme, fino al punto in cui si incontra il tema che, probabilmente, più di altri divide: la riposta al male inevitabile, quando questo male è la morte di qualcuno che, in condizioni normali, si sarebbe potuto salvare e che adesso siamo costretti a lasciar morire.

La via maestra per ridurre il numero di queste morti in caso di epidemia corre naturalmente parallela a quella che porta al contenimento dei danni di un terremoto: occorre fare, investire risorse e, nello specifico, investire risorse nella qualità dei sistemi sanitari, per non farsi trovare impreparati nel momento della catastrofe.39 E dunque si potrebbe rifiutare comunque l’idea di considerare questo un caso di non-ingiustizia nel senso deontico definito da Parfit con riferimento all’uguaglianza e distinguendolo da quello telico: non c’è ingiustizia, dal punto di vista deontico, quando non c’è wrong-doing, cioè quando una situazione non è stata deliberatamente prodotta o mantenuta e non può essere cambiata.40 Non è vero che non si può fare nulla e anche l’omissione può generare e far crescere l’ingiustizia. Questa considerazione si applica però alla responsabilità che precede la crisi. La decisione sull’unico ventilatore disponibile pone chi la deve prendere di fronte alla reale e insuperabile impossibilità di salvare tutti. Ed è questa impossibilità che può essere interpretata in modi diversi.

Si può considerare insormontabile l’argine etico e giuridico alla possibilità di fare un’ingiustizia: la violazione dei principi dai quali dipendono la stabilità e appunto la giustizia dell’ordinamento è il wrong-doing sempre e comunque inaccettabile, anche quando il male che inevitabilmente si produrrà si caricherà di una particolare emozione (come quella legata alla morte di un giovane). I pazienti ai quali il trattamento viene negato non sono «uccisi» ma semplicemente «non salvati» a causa di una «tragica impossibilità» e «nessuno può essere obbligato all’impossibile». La legge non fornisce alcun criterio positivo per la selezione, ma deve garantire che non lo diventino quelli, fra i quali l’età, che implicano la pretesa di “pesare” e differenziare il valore delle vite umane.41

L’alternativa è quella di affrontare queste situazioni portando fino in fondo la logica dello “stato di necessità” e dunque riconoscendo con franchezza che le decisioni tragiche sono tali non solo perché, letteralmente, con esse si “taglia via” qualcosa d’importante, ma anche perché avvengono in un contesto che può costringere a ridefinire, almeno in via temporanea, la portata delle regole intorno alle quali sono organizzate le istituzioni e le pratiche quotidiane (e che sono peraltro spesso il risultato di un bilanciamento fra principi diversi già a questo livello). Chi non ce la fa – quando entrambi hanno una ragionevole probabilità di essere ancora vivi fra uno o due anni – a lasciare che muoia un giovane del quale siamo abituati a dire che “ha tutta la vita davanti” anziché una persona “sazia di anni” (per usare un’altra espressione biblica) non sosterrà per questo l’esclusione degli anziani dalle liste d’attesa per un intervento chirurgico che sia appropriato alla loro condizione e potrebbe essere ingeneroso e frettoloso liquidare come ageism questo disagio e la conseguente tesi che anche l’età, a certe condizioni, conta.42 Il caso dei ventilatori e dei posti in terapia intensiva non è evidentemente l’unico dilemma tragico che si possa immaginare e non è detto che sia in ogni circostanza l’età anagrafica il candidato più forte che sarebbe utilizzato dai più per sciogliere il nodo. Sarà una mamma, se è in condizione di farlo, a scegliere fra la sua vita e quella del suo bambino. Altrimenti dovranno farlo altri. E non saranno sempre aiutati dall’evidenza clinica che uno dei due, in ogni caso, quasi certamente non ce la farà.

La preparazione alle decisioni che possono diventare inevitabili durante un’emergenza sanitaria pone allora tre questioni cruciali, che possono essere lette alla luce di questa alternativa di fondo. Senza accontentarsi della constatazione che la valutazione clinica avvantaggerà quasi sempre il giovane rispetto all’anziano o, peggio ancora, rifugiarsi nell’angolo oscuro del “si fa, ma non si dice”. La prima questione riguarda evidentemente i criteri. L’ancoraggio alla sola valutazione clinica, con i limiti che ho sottolineato, è naturalmente un’opzione. L’età anagrafica può diventare uno degli elementi di un approccio aperto e multi-principio e la soluzione più semplice è quella che prevede la combinazione fra essa e il criterio clinico, con l’intento di favorire per tutti la possibilità di raggiungere il normale limite della speranza di vita.43 Fermo restando che l’età non è l’unico candidato per questa integrazione. La priorità data a coloro che svolgono in questo contesto funzioni essenziali, per esempio, rappresenta per l’OMS una legittima applicazione del principio di utilità44 e, con specifico riferimento al personale sanitario, viene inclusa in molti testi e documenti.

Il Framework etico approvato il 27 marzo 2020 dal Dipartimento della salute del governo irlandese può essere letto in questa prospettiva come la proposta di una sintesi che accetta alcuni criteri e ne scarta altri: un’esclusione categorica basata sull’età dovrebbe essere evitata, perché può implicare l’idea che alcuni gruppi di popolazione sono in quanto tali meno degni di attenzione di altri,45 ma potranno essere prese in considerazione stime e proiezioni sul numero totale di vite e di anni di vita salvati, così come sull’esito funzionale a lungo termine in caso di sopravvivenza del paziente. Non è considerato appropriato fare scelte di priorità basate sullo status o altri valori sociali come il reddito, l’appartenenza etnica o il genere, ma può essere eticamente giustificabile garantire prima il trattamento di certi gruppi a rischio e di coloro il cui lavoro è fondamentale per combattere la pandemia. Il principio di solidarietà impone infine di garantire cure palliative a chi dovesse essere escluso.46 Basta questo elenco per dimostrare come questo approccio sia quasi fatalmente destinato a risultare tanto più controverso quanto più numerosi saranno i criteri considerati e quanto più ci si avvicinerà al confine (peraltro non sempre facile da tracciare) fra considerazioni mediche e non-mediche.

La Federazione olandese dei medici specialisti e la Reale associazione medica olandese (KNMG), riconoscendo esplicitamente questa distinzione, ammettono le seconde come strumento al quale ricorrere quando le prime non sono sufficienti a prendere decisioni di triage che le circostanze rendono inevitabili. Assumere il principio che ogni persona ha lo stesso valore implica anche qui l’impossibilità di considerare criteri come la posizione sociale, la disabilità, le relazioni personali, la capacità di pagare o lo status, oltre a etnia, nazionalità, status giuridico, sesso. E vengono anche escluse la precedente qualità della vita (anche perché impossibile da definire in modo accurato in un contesto di questo tipo) e possibili considerazioni su «colpe» personali. Tutte queste precisazioni sottolineano il rilievo della scelta di considerare invece accettabile – nell’ambito delle considerazioni non-mediche e insieme a quella che può essere riconosciuta a coloro che si prevede necessitino di una permanenza più breve in terapia intensiva e agli operatori sanitari – la priorità data ai giovani, citando il fair innings argument sotto la voce «solidarietà intergenerazionale».47 Al tempo stesso, questo documento rifiuta però la possibilità di interrompere un trattamento in corso per ricoverare un paziente più giovane in un reparto di terapia intensiva che non ha più posti disponibili. E, dopo averle escluse nelle prime fasi del triage, ammette la possibilità di ricorrere a procedure basate sul caso (sorteggio, regola del primo arrivato) una volta esauriti i criteri indicati.48 Nel momento in cui si amplia e diversifica l’ambito delle opzioni prese in considerazione cresce anche la varietà delle posizioni di fronte alle quali, nella comune consapevolezza che è con il «tragico» che abbiamo a che fare,49 il rispetto di un confronto leale dovrebbe essere sempre il primo passo.

Il secondo problema riguarda la definizione di una responsabilità aperta o strettamente vincolata. Anche per una valutazione clinica è importante chiarire il rapporto fra i parametri oggettivi e quelli soggettivi legati alla specificità del singolo caso e di norma più difficili da quantificare. Qual è il margine di discrezionalità per il medico? Rispondere a questa domanda è ancora più importante nel caso di una prospettiva multi-principio, per sua natura più esposta al rischio di interpretazioni disinvolte o anche di veri e propri abusi. Questa scelta si combina a quella dei criteri, generando una pluralità di modelli. La priorità ai giovani che non hanno ancora vissuto una vita “completa” può essere inserita in un sistema che, rifiutando esplicitamente la logica dell’algoritmo, scarta senz’altro i criteri del first come, first served e della condizione clinica più grave (attraente ma fallace) e ammette quelli della prognosi e della massimizzazione del numero di vite salvate, ma anche, con alcune precisazioni, della lotteria e del valore strumentale.50 Altre proposte puntano a quantificare con punteggi e scale il beneficio di un trattamento di terapia intensiva, combinando la probabilità di sopravvivenza alle dimissioni dall’ospedale con quella di una sopravvivenza di lungo periodo (che potrebbe comunque non esserci per il più giovane, in conseguenza di eventuali comorbilità), favorendo gli individui che svolgono funzioni vitali per la salute pubblica e utilizzando come eventuale tiebreaker a vantaggio di chi ha avuto meno opportunità di attraversarne i diversi stadi le considerazioni legate al ciclo della vita.51 Il ventaglio delle opzioni sul come decidere è insomma ampio. Ma chi deve decidere le priorità e se e quanto l’età conta?

Questo terzo punto è cruciale quando si tratta di decisioni di vita e di morte. La scienza insegna come va il cielo e non come si vada in cielo. Sapere come si diffonde un virus è importante per evitare di organizzare processioni con grande concorso di popolo per fermarlo, ma la scienza non può sostituirsi all’etica e alla politica. Si possono indicare un punto fermo e una questione aperta. Il punto fermo, almeno in una società democratica, è che non può che essere l’autorità legittimamente costituita, dopo un adeguato confronto che coinvolga tutti i soggetti interessati, a stabilire le condizioni alle quali può essere limitato o addirittura negato il diritto dei cittadini a ricevere l’assistenza sanitaria della quale hanno bisogno, a maggior ragione se si tratta di trattamenti salvavita.52 Deve essere così, quale che sia la prospettiva che si andrà a privilegiare, anche per le immediate conseguenze di queste decisioni sul piano delle responsabilità penali e civili. Si salda a questa consapevolezza la questione che rimane aperta. Un vincolo normativo stretto è certamente il più idoneo a garantire gli operatori, ma può entrare in tensione, qui come in altri casi, con l’esigenza di salvaguardare quello spazio di autonomia e flessibilità dal quale dipende la possibilità di assistere ogni paziente considerando e rispettando la sua condizione. Anche questo problema va però affrontato prima della prossima pandemia. In caso contrario, il moltiplicarsi di documenti e dichiarazioni non eviterà che medici e infermieri restino esposti, da soli, in prima linea, decidendo comunque per tutti ma rischiando poi di essere loro a pagare per queste scelte.53

Linkografia

Ultimo accesso a tutti i testi indicati, salvo quelli corrispondenti ai numeri 27 e 28: 10 giugno 2020.

  1. https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000373115
  2. https://www.who.int/ethics/publications/ethical-framework-for-health-ageing/en/
  3. http://assets.comitedebioetica.es/files/documentacion/Informe%20CBE-%20Priorizacion%20de%20recursos%20sanitarios-coronavirus%20CBE.pdf
  4. https://rm.coe.int/inf-2020-2-statement-covid19-e/16809e2785
  5. https://www.ccne-ethique.fr/sites/default/files/publications/avis_106.pdf
  6. https://www.ccne-ethique.fr/sites/default/files/publications/reponse_ccne_-_covid-19_def.pdf
  7. https://www.ethikrat.org/fileadmin/Publikationen/Ad-hoc-Empfehlungen/deutsch/ad-hoc-empfehlung-corona-krise.pdf
  8. https://www.divi.de/empfehlungen/publikationen/covid-19/1549-entscheidungen-ueber-die-zuteilung-intensivmedizinischer-ressourcen-im-kontext-der-covid-19-pandemie-klinisch-ethische-empfehlungen/file
  9. http://bioetica.governo.it/media/3997/p136_2020_covid-19-la-decisione-clinica-in-condizioni-di-carenza-di-risorse-e-il-criterio-del-triage-in-emergenza-pandemica.pdf
  10. https://dev.bydas.com/cnecv2/files/1587396084_1586006035_posi%C3%A7%C3%A3o%20cnecv%20covid19_03_abril_2020.pdf
  11. https://www.thehastingscenter.org/wp-content/uploads/HastingsCenterCovidFramework2020.pdf
  12. https://www.ccne-ethique.fr/sites/default/files/fichier_communiques_presse/bulletin_de_veille_ethique_codid19_ccne_23_mars_2020.pdf
  13. https://www.bundeskanzleramt.gv.at/themen/bioethikkommission/publikationen-bioethik.html
  14. https://www.oegari.at/web_files/cms_daten/gari_sop_triage_covid-19_arge_ethik_final_26.3.2020.pdf
  15. https://www.assm.ch/fr/Ethique/Apercu-des-themes/Medecine-intensive.html
  16. https://kennedyinstitute.georgetown.edu/wordpress/wp-content/uploads/2020/04/CovidEthicsPrinciples-Georgetown.pdf
  17. http://www.siz.be/wp-content/uploads/COVID_19_ethical_E_rev3.pdf
  18. https://www.acpjournals.org/doi/10.7326/M20-1738
  19. http://www.siaarti.it/SiteAssets/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI/SIAARTI%20-%20Covid19%20-%20Raccomandazioni%20di%20etica%20clinica.pdf
  20. http://www.biomedcentral.com/1472-6939/1/1
  21. https://semicyuc.org/wp-content/uploads/2020/03/%C3%89tica_SEMICYUC-COVID-19.pdf
  22. http://www.sanita.sm/on-line/home/bioetica/comitato-sammarinese-di-bioetica/pareri-csb.html
  23. https://www.bmj.com/content/369/bmj.m1509
  24. https://www.thehastingscenter.org/why-i-support-age-related-rationing-of-ventilators-for-covid-19-patients/
  25. http://www.academyforlife.va/content/dam/pav/documenti%20pdf/2020/Nota%20Covid19/Nota%20su%20emergenza%20Covid-19_ITA_.pdf
  26. https://www.gov.ie/en/publication/dbf3fb-ethical-framework-for-decision-making-in-a-pandemic/
  27. https://www.demedischspecialist.nl/sites/default/files/Draaiboek%20Triage%20op%20basis%20van%20niet-medische%20overwegingen%20IC-opnamettvfase%203_COVID19pandemie.pdf
  28. https://hetneon.nl/cms/wp-content/uploads/2020/03/Ethische-onderbouwing-CZE-crisisscenario-Covid-19.20mrt2020.pdf (ultimo accesso: 2 luglio 2020)
  29. https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2763953

  1. Indicati insieme all’importanza di un forte sistema sanitario pubblico in UNESCO/IBC, COMEST, Statement on Covid-19: ethical considerations from a global perspective, 6 aprile 2020, § 3 [link 1]. ↩︎

  2. Per il principio di utilità, quando si tratta della scelta sull’utilizzazione di risorse limitate, l’OMS indica alcune opzioni, che implicano priorità diverse: salvare il maggior numero di vite, di anni di vita o di anni di vita quality-adjusted. Il principio di equità (equity) richiede attenzione per la fair distribution dei benefici e degli oneri e dunque una considerazione particolarmente attenta dei bisogni dei segmenti più vulnerabili della popolazione. Non sempre, purtroppo, sarà possibile garantire la piena realizzazione di entrambi i principi. Cfr. WHO, Guidance for managing ethical issues in infectious disease outbreaks, WHO, Geneva 2016, p. 21. ↩︎

  3. WHO, World report on ageing and health, WHO, Geneva 2015, pp. 94-95. Robert Butler, che coniò il termine, intendeva con esso «un processo di stereotipizzazione sistematica e di discriminazione ai danni delle persone in ragione della loro età, così come accade con razzismo e sessismo in riferimento al colore della pelle e al genere» (cit. da WHO, Developing an ethical framework for healty ageing, WHO, Geneva 2017, p. 4 [link 2]). Una sintesi della storia di questo concetto, a partire appunto da Butler, si trova in L. Ayalon e C. Tesch-Römer, Introduction to the Section: Ageism ̶ Concept and Origins, in L. Ayalon e C. Tesch-Römer (ed.), Contemporary Perspectives on Ageism, Springer, Cham 2018, pp. 1-10. ↩︎

  4. Cfr. Comité de Bioética de España, Informe del Comité de Bioética de España sobre los aspectos bioéticos de la priorización de recursos sanitarios en el contexto de la crisis del coronavirus, 25 marzo 2020, p. 6 [link 3]. ↩︎

  5. Cfr. COE, DH-BIO Statement on human rights considerations relevant to the COVID-19 pandemic, 14 aprile 2020, p. 2 [link 4]. ↩︎

  6. Per le diverse forme che la discriminazione basata sull’età può assumere nel campo dell’assistenza sanitaria, sul lato dell’offerta di servizi ma anche della domanda (in termini, per esempio, di minori aspettative e maggiori difficoltà nel gestire le proprie esigenze di cura in un contesto complesso e burocratizzato), si veda M.F. Wyman, S. Shiovitz-Ezra e J. Bengel, Ageism in the Health Care System: Providers, Patients, and Systems, in L. Ayalon e C. Tesch-Römer (ed.), Contemporary Perspectives on Ageism, cit., pp. 193-212. ↩︎

  7. Comité consultatif national d’éthique pour les Sciences de la Vie et de la Santé, Questions éthiques soulevées par une possible pandémie grippale (Avis N° 106), 5 febbraio 2009, p. 12 [link 5]. Questo testo è richiamato dal Comitato francese in quello su La contribution du CCNE à la lutte contre COVID-19: Enjeux éthiques face à une pandémie, 13 marzo 2020 [link 6]. ↩︎

  8. L. D’Avack, Covid-19: criteri etici, in «BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto», Special Issue 1/2020: Un diritto per la pandemia, p. 374. ↩︎

  9. Cfr. Deutscher Ethikrat, Solidarität und Verantwortung in der Corona-Krise. Ad-hoc Empfehlung, 27 marzo 2020, pp. 3-4 [link 7]. Per una riflessione sul quadro normativo tedesco, che precede di qualche anno la pandemia da Covid-19, cfr. T. Witte, Ressourcenknappheit und Verteilungsgerechtigkeit im Seuchenfall, in «Medizinrecht», 33 (2015), n. 7, pp. 491-495. ↩︎

  10. Cfr. Deutsche Interdisziplinäre Vereingung für Intensiv- und Notfallmedizin (DIVI), Entscheidungen über die Zuteilung intensivmedizinischer Ressourcen im Kontext der COVID-19-Pandemie. Version 2, 17 aprile 2020, pp. 4-5 e 6 [link 8]. Analogo invito viene dal Comitato nazionale italiano per la bioetica: nel triage in emergenza pandemica, anche in relazione all’aggiornamento di eventuali liste d’attesa, va considerata l’intera «comunità dei pazienti», seguendo per quanto possibile l’evoluzione della patologia e tenendo conto di tutti coloro che hanno bisogno di un determinato trattamento a causa di altre. Cfr. CNB, Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”, 8 aprile 2020, p. 8 [link 9]. ↩︎

  11. L’importanza della valutazione etica «caso per caso», «in parallelo» a quella clinica, è chiaramente indicata nel documento del Conselho Nacional de Etica para as Ciências da vida (de Portugal), Situação de emergência de saúde pública pela pandemia Covid-19. Aspetos éticos relevantes, 3 aprile 2020, p. 14 [link 10]. Questo richiamo è tanto più significativo nel contesto di un’epidemia, nel quale alla prospettiva centrata sul paziente, che è ogni volta questo individuo concreto con i suoi bisogni e i suoi diritti, si sovrappone quella orientata alla tutela della salute pubblica, cioè della popolazione nel suo insieme. Ne risulta in ogni caso una tensione non facile da gestire proprio dal punto di vista dell’etica clinica. Cfr. N. Berlinger [et al.], Ethical Framework for Health Care Institutions Responding to Novel Coronavirus SARS-CoV-2 (COVID-19), The Hastings Center, 16 marzo 2020, p. 2 [link 11]. ↩︎

  12. Comitato nazionale per la bioetica, Covid-19: la decisione clinica, cit., p. 7. È evidente, per esempio, che ci sono persone di 70 anni e oltre che sono in ottime condizioni dal punto di vista fisiologico e possono dunque trarre da un trattamento di rianimazione un beneficio maggiore rispetto a persone più giovani ma rese fragili da altre patologie pregresse o immunodeficienze (cfr. Comité consultatif national d’éthique pour les sciences de la vie et de la santé, Le CCNE, instance de veille éthique dans le contexte exceptionnel de la crise du Covid19. Bulletin n° 1 du 23 Mars 2020, p. 7 [link 12]). ↩︎

  13. Cfr. Bioethikkommission, Zum Umgang mit knappen Ressourcen in der Gesundheitsversorgung im Kontext der Covid-19-Pandemie. Stellungnahme der Bioethikkommission, marzo 2020, pp. 11-12 [link 13]. ↩︎

  14. Cfr. Österreichische Gesellschaft für Anästhesiologie, Reanimation und Intensivmedizin, ICU-Triage im Falle von Ressourcen-Mangel, 26 marzo 2020, p. 1 [link 14]. ↩︎

  15. Cfr. Accademia svizzera delle scienze mediche, Pandemia Covid-19: triage dei trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse, 24 marzo 2020 (seconda versione aggiornata), pp. 4-5 [link 15]. È possibile riconoscere che anche alcune forme di disabilità cognitiva o motoria possono incidere sulla valutazione clinica e al tempo stesso ribadire con forza la tesi che tutti i pazienti, in linea di principio, sono “degni” di essere trattati nello stesso modo, escludendo senz’altro criteri come il valore sociale delle persone o il principio di massimizzazione del totale degli anni di vita o del totale dei QUALYs salvati (cfr. Pellegrino Center for clinical bioethics, Ethical Principles of Resource Allocation In the Event of an Overwhelming Surge of COVID-19 Patients, § 4 [link 16]). È vero però che quando età e disabilità si sovrappongono si crea una condizione di particolarissima fragilità e ci si muove su un crinale che richiede la massima attenzione. Gli anziani nelle case di riposo – si legge per esempio in un documento che sottolinea anche l’importanza di disporre di un piano terapeutico discusso preventivamente con gli interessati o le loro famiglie – soffrono spesso di forme severe di disabilità incompatibili con una vita indipendente nelle loro case e limitarsi a una terapia sintomatica in presenza di gravi deficit cognitivi può apparire in questo caso «un’opzione ragionevole e umana», prendendo in considerazione il trasferimento in ospedali già sovraffollati, almeno in linea di massima, solo quando ci sia uno scopo terapeutico realistico chiaramente definito (cfr. Belgian Society of Intensive care medicine*, Ethical principles concerning proportionality of critical care during the 2020 COVID-19 pandemic in Belgium*, 26 marzo 2020, pp. 2-3 [link 17]. ↩︎

  16. J. Rachels, Quando la vita finisce. La sostenibilità morale dell’eutanasia, Sonda, Casale Monferrato (Al) 20072, p. 73. ↩︎

  17. Cfr. A.H. Matheny Antonmaria [et al.], Ventilator Triage Policies During the COVID-19 Pandemic at U.S. Hospitals Associated With Members of the Association of Bioethics Program Directors, in «Annals of Internal Medicine», 24 aprile 2020 [link 18]. ↩︎

  18. Dal nome di una nave che affondò nel 1852 al largo del Sud Africa con a bordo alcune centinaia di soldati britannici e una ventina di donne e bambini. Agli uomini venne ordinato di lasciare che fossero loro a salire per primi su una scialuppa per salvarsi. E la gran parte degli uomini perì. ↩︎

  19. «In tutte le società i ruoli sociali cambiano con l’età. Il giovane, e spesso l’anziano, dipendono dal resto della società in termini di supporto fisico, emozionale, finanziario». Un anno di vita può così essere valutato in modo diverso, anche se ciò non significa che esso sia più o meno importante per l’individuo (cfr. C.J.L. Murray, Quantifying the burden of disease: the technical basis for disability-adjusted life years, in «Bulletin of the World Health Organization», 72 (1994), n. 3, pp. 434-5). Si può spiegare così, per esempio, una valutazione dell’utilità sociale basata sulla produttività e l’età lavorativa, spesso legate alla responsabilità per il mantenimento di una famiglia. ↩︎

  20. Cfr. B. Manin, Principi del governo rappresentativo, il Mulino, Bologna 2010, pp. 90-104. ↩︎

  21. Cfr. J.F. Childress, Who Shall Live When Not All Can Live?, in «Soundings: An Interdisciplinary Journal», 96 (2013), n. 3, pp. 237-253. L’articolo era stato pubblicato per la prima volta, sulla stessa rivista, nel 1970. Va detto che Childress, che riconosce in questo testo la possibile rilevanza dell’età all’interno dei criteri medici, non esclude in assoluto la possibilità di eccezioni. Potrebbe esserlo la necessità di evitare la morte di una persona, come il Presidente di una nazione, che avrebbe effetti gravissimi e assolutamente non sopportabili. ↩︎

  22. Il criterio del first come, first served acquista una particolare forza di fronte alla domanda sulla possibilità di staccare una macchina da un paziente per il quale il trattamento è ancora indicato e che può ancora trarne beneficio per assegnarla a un altro. Il già citato documento del Deutscher Ethikrat la pone esplicitamente e risponde in modo categoricamente negativo (p. 4). ↩︎

  23. È con questa premessa che la possibilità che si renda necessario porre un limite di età per l’ingresso in terapia intensiva viene considerata nelle Raccomandazioni della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva. Cfr. SIAARTI, Raccomandazioni di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, 6 marzo 2020 [link 19]. La posizione della SIAARTI è stata citata come esempio della possibilità di dare priorità ai giovani per massimizzare i benefici ottenibili in E.J. Emanuel [et al.], Fair Allocation of Scarce Medical Resources in theTime of Covid-19, in «The New England Journal of Medicine», 382 (2020), pp. 2049-2055. L’articolo precisa però che questo non varrebbe quando si trattasse di un vaccino e non di terapie, perché resta l’obiettivo di salvare il maggior numero possibile di vite e gli anziani si sono dimostrati più esposti al rischio di gravi conseguenze. ↩︎

  24. Comité consultatif national d’éthique pour les Sciences de la Vie et de la Santé, Questions éthiques soulevées par une possible pandémie grippale, cit., p. 14. ↩︎

  25. A. Williams, Intergenerational Equity: an Exploration of the ‘Fair Innings’Argument, in «Health Economics», 6 (1997), n. 2, p. 119. Williams commenta qui la definizione proposta in J. Harris, The Value of Life. An Introduction to Medical Ethics, Routledge and Kegan Paul, London 1985, pp. 91-94, precisando che la qualità della vita deve essere comunque considerata importante quanto la sua lunghezza. L’opzione di Williams è per un metodo rigorosamente quantitativo, per evitare il ricorso a «slogan vagamente attraenti ma ambigui» e ricavare regole che possano essere applicate in modo coerente e con una ragionevole possibilità di controllo (cfr. ivi, p. 120). Sulla prospettiva di una combinazione fra il criterio della lunghezza e quello della qualità della vita egli ritorna in The ‘fair innings argument’ deserves a fairer hearing! Comments by Alan Williams on Nord and Johannesson, in «Health Economics», 10 (2001), n. 7, pp. 583-585. ↩︎

  26. Cfr. M.M. Rivlin, Why the fair innings argument is not persuasive, in «BMC Medical Ethics», 2000, 1:1, pp. 4-5 [link 20]. ↩︎

  27. Sulla base dell’articolo 3 della Convenzione, che fissa il primato del superiore interesse del minore su qualsiasi altro interesse legittimo. Si ribadisce peraltro che l’età, come altri fattori, può incidere senz’altro, in generale, sulla prognosi clinica ma mai sostituirla. Cfr. Comité de Bioética de España, Informe del Comité de Bioética, cit., pp. 9-11. Il riferimento, per quanto riguarda le persone con disabilità, è a Sociedad Española de Medicina Intensiva, Crítica y Unidades Coronarias (SEMICYUC), Recomendaciones éticas para la toma de decisiones en la situación excepcional de crisis por pandemia Covid-19 en las unidades de cuidados intensivos [link 21]. Sulla necessità di garantire la protezione e la sicurezza di queste persone nelle situazioni di rischio ed emergenze umanitarie (articolo 11 della relativa Convenzione) cfr. anche Comitato Sammarinese di Bioetica, Risposta alla richiesta di parere urgente su aspetti etici legati all’uso della ventilazione assistita in pazienti di ogni età con gravi disabilità in relazione alla pandemia di Covid-19, 16 marzo 2020, p. 3 [link 22]. ↩︎

  28. M. Pruski, Experience adjusted life years and critical medical allocations within the British context: which patient should live?, in «Medicine, Health Care and Philosophy», 21 (2018), n. 4, p. 565. ↩︎

  29. Cfr. J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 2008, p. 47. ↩︎

  30. Cfr. N. Daniels, Justice between Age Groups: Am I my Parents’ Keeper?, in «Milbank Memorial Fund Quarterly/Health and Society», 61 (1983), n. 3, pp. 489-522 e Id., Am I my Parents’ Keeper? An Essay on Justice Between the Young and the Old, Oxford University Press, New York 1988. Norman Daniels è ringraziato insieme ad Alan Gibbard, nella Prefazione a Una teoria della giustizia, proprio per avere indicato a Rawls difficoltà presenti nella sua formulazione dell’utilitarismo «come base per i doveri e gli obblighi individuali», conducendolo «a eliminare buona parte di questo tema e a semplificare l’esposizione di questa parte della teoria» (J. Rawls, op. cit., p. 19). ↩︎

  31. Cfr. D.B. White [et al.], Who Should Receive Life Support During a Public Health Emergency? Using Ethical Principles to Improve Allocation Decisions, in «Annals of Internal Medicine», 150 (2009), p. 135. ↩︎

  32. Cfr. P.G. Lloyd-Sherlock [et al.], Institutional ageism in global health policy, in «British Medical Journal», 2016, vol. 354, n. 8072, p. 362: i4514 e P.G. Lloyd-Sherlock [et al.], A premature mortality target for the SDG is ageist, in «The Lancet», 2015, vol. 385, n. 9983, pp. 2147-2148. ↩︎

  33. Togliendo un trattamento agli anziani in vista di un bene complessivo si assumerebbe la posizione utilitarista, che «tratta le persone anziane come mezzi per un fine anziché fini in sé». E l’elemento della costrizione evoca il pendio scivoloso verso forme involontarie di eutanasia e immagini di totalitarismo. Cfr. R.W. Hunt, A critique of using age to ration health care, in «Journal of Medical Ethics», 19 (1993), n. 1, pp. 19-23. ↩︎

  34. D. Callahan, Response to Roger W. Hunt, in «Journal of Medical Ethics», 19 (1993), n. 1, p. 27. «In ogni momento, infatti, a prescindere dalla loro entità, le risorse disponibili sono finite e, in ogni momento, saranno ripartite secondo criteri, impliciti o espliciti, che soddisferanno in modo differente bisogni diversi, ma non tutti. Esplicitare questi criteri li rende valutabili anche in termini etici, permettendo ai cittadini di compiere scelte consapevoli e quindi responsabili» (G.R. Gristina, L. Orsi, M. Vergano, Pandemia da Covid-19 e triage: la filosofia e il diritto talvolta guardano l’albero mentre la medicina prova a spegnere l’incendio della foresta, in «BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto», Special Issue 1/2020, p. 396). ↩︎

  35. D. Callahan, Terminating Treatment: Age as a Standard, in «The Hastings Center Report», 17 (1987), n. 5, p. 25. Questo standard biografico può così essere compatibile con il rifiuto del vincolo all’utilità del diritto alla vita. Sono uscite da tempo dal nostro orizzonte culturale le immagini dell’uccisione di vecchi e malati che sarebbe stata praticata in numerose società indoeuropee (come gli Indiani dei quali parla Erodoto) o le pratiche di suicidio per il bene della comunità (per una sintetica ma efficace illustrazione cfr. M. Cavina, Andarsene al momento giusto. Culture dell’eutanasia nella storia europea, il Mulino, Bologna 2015, pp. 30-33). Sarebbe davvero scorretto, anche solo nella logica del piano inclinato, evocarle in questo contesto. ↩︎

  36. D. Callahan, Response to Roger W. Hunt, cit., p. 26. ↩︎

  37. Is 65, 20. ↩︎

  38. A. Da Re, Il dilemma del triage. La deliberazione medica tra apriorismo e giudizio clinico, in L. Napolitano e C. Chiurco (ed.), Senza corona. A più voci sulla pandemia, QuiEdit, Verona-Bolzano 2020, p. 82. ↩︎

  39. Per far questo servono naturalmente quelle che genericamente chiamiamo “tasse”. È significativo che durante un’emergenza sanitaria tenda ad affievolirsi la voce della posizione intransigentemente libertaria, ferma all’analogia proposta da Nozick fra la tassazione dei guadagni da lavoro e il lavoro forzato (cfr. R. Nozick, Anarchia, stato e utopia, il Saggiatore, Milano 2008, p. 181). ↩︎

  40. Cfr. D. Parfit, Equality and Priority, in «Ratio (new series)», X (1997), n. 3, pp. 212 e 208. ↩︎

  41. Cfr Deutscher Ethikrat, Solidarität und Verantwortung in der Corona-Krise, cit., p. 4. Questa posizione può essere in ultima analisi ricondotta alla distinzione fra ciò che è (tragicamente) unfortunate e ciò che sarebbe invece unfair (cfr. M.M. Rivlin, art. cit., p. 5) e dunque da evitare in una prospettiva deontica. ↩︎

  42. Cfr. la conclusione di Caplan in D. Archard, A, Caplan, Is it wrong to prioritise younger patients with covid-19?, in «British Medical Journal», 369 (2020), n. 8242:m1509 [link 23]. ↩︎

  43. Cfr. per esempio F.G. Miller, Why I Support Age-Related Rationing of Ventilators for Covid-19 Patients, in «Hastings Bioethics Forum», 9 aprile 2020 [link 24]. Miller è consapevole che in questo modo potrebbe essere escluso. Ma accetta questa eventualità, perché ritiene di «aver vissuto una vita completa». ↩︎

  44. WHO, Guidance for managing ethical issues in infectious disease outbreaks, cit., p. 21. ↩︎

  45. Questa è la ragione per la quale anche la Pontificia Accademia per la Vita ritiene che l’età non possa essere considerata un «criterio unico e automatico di scelta», saldando però questa consapevolezza all’impegno per arrivare a «formulare criteri per quanto possibile condivisi e argomentativamente fondati» (Pontificia Accademia per la Vita, Pandemia e fraternità universale, 30 marzo 2020, p. 5 [link 25]). ↩︎

  46. Cfr. Department of Health (of the Government of Ireland), Ethical Framework for Decision-Making in a Pandemic, 27 marzo 2020, p. 17 [link 26]. Accompagnamento e cure palliative sono un presidio di dignità e solidarietà considerato irrinunciabile in gran parte dei documenti sulla Covid-19. Il dovere di alleviare la sofferenza rimane intatto, a maggior ragione nei confronti di coloro ai quali non è stato possibile garantire un trattamento salvavita. Su questo punto si veda anche C. Furie, What do theories of social justice have to say about health care rationing? Well-being, sufficiency and explicit age-rationing, in A. den Exter e M. Buijsen (ed.) Rationing Health Care. Hard Choices and Unavoidable Trade-offs, Maklu, Antwerpen-Apeldoorn-Portland 2012, p. 75. ↩︎

  47. Cfr. Federatie Medisch Specialisten en Artsenfederatie KNMG, Draaiboek ‘Triage ob basis van niet-medische overwegingen voor IC-opname ten tijde van fase 3 in de COVID-19 pandemie’, 16 giugno 2020, pp. 11-14 [link 27]. Il fair innings argument è indicato come criterio al quale ricorrere quando quelli medici non sono sufficienti, da soli, per giungere a una soluzione anche in un documento della Commissione etica dell’ospedale Catharina Ziekenhuis, nel Brabante del Nord (regione particolarmente coplita dalla pandemia). Cfr. Ethische Commissie Catharina Ziekenhuis, Ethische onderbouwing crisisscenario fase zwart Covid-19, 20 marzo 2020 [link 28]. Ringrazio Luca Valerio, oltre che per le informazioni sul dibattito in Olanda, per la traduzione di questo testo e di alcune parti di quello della Federazione dei medici specialisti e della KNMG. ↩︎

  48. Cfr. Federatie Medisch Specialisten en Artsenfederatie KNMG, Draaiboek, cit., pp. 14-15. ↩︎

  49. Ivi, p. 15. ↩︎

  50. Cfr. G. Persad, A. Wertheimer, E.J. Emanuel, Principles for allocation of scarce medical interventions, in «The Lancet», 373 (2009), n. 9661, pp. 423-431. ↩︎

  51. Cfr. D.B. White e B. Lo, A Framework for Rationing Ventilators and Critical Care Beds During the COVID-19 Pandemic, in «Journal of American Medical Association», 27 marzo 2020 [link 29]. ↩︎

  52. Il punto è chiaramente evidenziato dal Comité de Bioética de España, Informe del Comité de Bioética, cit., p. 5 (§ 9.2). ↩︎

  53. Sulla necessità di evitare che un’emergenza sanitaria diventi la premessa di dolorosi contenziosi giudiziari cfr. per esempio Comitato nazionale per la bioetica, Covid-19: la decisione clinica, cit., p. 9 e Bioethikkommission, Zum Umgang mit knappen Ressourcen, cit., p. 13. ↩︎