Diritti dell’Uomo e dialettica politica come condizioni per una democrazia compiuta. La riflessione di Carlos S. Nino

1. L’oggetto del dibattito

Carlos Santiago Nino1 può a pieno titolo essere considerato, assieme ad Ackerman, Alexy, Apel ed Habermas, uno dei primi e più importanti esponenti della corrente giusfilosofica e politica denominata “Democrazia Deliberativa”.2 Con tale espressione si indica l’idea, oggi ampiamente condivisa, che le democrazie contemporanee si avvicinino realmente all’ideale di un sistema di “governo retto dal popolo”. L’elemento su cui far leva è costituito dall’esigenza d’incrementare le possibilità di partecipazione del cittadino alle scelte politiche. Perché ciò avvenga diventa necessario soddisfare alcune condizioni preliminari che consentano agli individui di determinarsi in maniera libera e consapevole. Ad essi spettano, in altri termini, dei diritti fondamentali ed inviolabili, tali da garantire l’instaurarsi di un discorso aperto e leale per ragionare su quali siano le migliori scelte politiche da compiere.

L’argomento ora esposto costituisce una importante tematica dell’attuale dibattito giusfilosofico; l’interpretazione e la ricostruzione delle linee portanti della riflessione di Carlos Nino, l’oggetto specifico di questo scritto.

2. L’attività dialettica (dialégesthai)

Il punto da cui prendere le mosse è dato dalla concezione kantiana della morale. Quest’ultima — com’è noto — veniva considerata una questione prevalentemente individuale. Ciononostante, le valutazioni morali dell’individuo dovevano essere improntate ai princìpi di universalità (per la prima formulazione dell’imperativo categorico), d’imparzialità (sua seconda formulazione) e di autonomia (terza formulazione).3 Ma — era questo il punctum crucis — nulla garantiva che la razionalità individuale fosse sufficiente per formulare dei princìpi di valore validi anche in politica, situazione intersoggettiva per eccellenza. Per superare il problema, pertanto, alcuni pensatori, tra i quali Carlos Nino, hanno prospettato l’idea di ricorrere ad un metodo più affidabile: fare riferimento non già alla razionalità meramente individuale, di matrice kantiana,4 bensì a quella collettiva risultante dall’attività dialogico-argomentativa liberamente svolta fra più persone.5

Nino «sostiene che la “correttezza” morale non può determinarsi in funzione di una supposta corrispondenza con dei fatti naturali (le verità morali non stanno in alcun luogo del mondo empirico sperando di essere scoperte), ma che la loro determinazione è una questione concettuale».6 Ciò significa che l’individuazione o, meglio, la “costruzione” di princìpi morali non può che avvenire tramite la pratica sociale della discussione morale. Questo strumento decisionale consente di evitare i conflitti sociali ed agevolare la cooperazione civica attraverso la libera accettazione di comuni princìpi di condotta.7 La praxis discorsiva ha il pregio di aggiungere alla capacità riflessiva individuale, il pieno rispetto delle classiche condizioni d’imparzialità, universalità, pubblicità, “soppravvenienza” e finalità. In tale contesto diventa agevole applicare correttamente i princìpi morali ed individuare in maniera inequivocabile la soluzione più soddisfacente da adottare.8 Come afferma Hilary Putnam, questo tipo di «ragionamento morale non si svolge in un vuoto cartesiano, ma ha luogo nel contesto del tentativo della persona di… giustificare certi modi di vita di fronte ad altre persone… offrendo ragioni che abbiano un qualche interesse generale, ci si rende conto che il problema dell’obiettività dell’etica si pone in un modo completamente nuovo».9 Non v’è spazio per imporre idee preconcette, semplici desideri, usanze o comandi “rivelati”, né risulta ammissibile accettare qualsivoglia argumentum ex auctoritate. La partecipazione al discorso morale si realizza quando l’individuo, sua sponte, intende ragionare pubblicamente sulle scelte collettive, esponendo i propri interessi e cercando di convincere gli uditori della bontà delle proprie ragioni ed opinioni. Il passo successivo è quello di ascoltare e prendere in considerazione le esigenze e le obiezioni poste dagli altri. In ultimo, ci si pronuncia e si decide sulla soluzione che, da un punto di vista imparziale,10 meglio rende compatibili le molteplici preferenze individuali. Per Nino «questo modo di costruzione del punto di vista impersonale, che è alla base del discorso morale, conduce direttamente all’approvazione di un principio di base aggregativo… un principio che prescrive quelle azioni… che soddisfano il maggior numero di interessi su ampia scala».11 Egli ritiene che questo metodo sia migliore di quello utilitaristico, poiché consente di tenere conto di tutti gli interessi in gioco, considerando ciascuno di essi nella sua specificità, e non in modo cumulativo. Il processo deliberativo democratico, strumento idoneo a costruire convenzionalmente (costruttivismo etico) ed a conoscere (costruttivismo epistemologico) la verità morale,12 si svolge in modo pubblico in quanto riguarda azioni e decisioni collettive. Da tale discussione, inoltre, emergerebbero quali princìpi morali possono ritenersi intersoggettivamente validi, pur se essi non costituiscono l’oggetto specifico della discussione.13

Owen Fiss precisa che per Nino «in un mondo fallibile, la democrazia ha costituito il miglior modo per scoprire la “verità” morale».14 Per il professore argentino il pregio del sistema democratico, a differenza di uno oligarchico o dittatoriale, è quello di essere la forma di governo che meglio favorisce la conoscenza degli interessi dei cittadini.15 A questo scopo, il confronto razionale è preferibile all’uso di «mezzi propagandistici, seduttivi o coercitivi».16 Il metodo dialogico, per le sue modalità di svolgimento, conduce ad un risultato accettabile per tutti. Alla base di esso, infatti, vi è una forma di consenso, dalla quale scaturisce la norma basilare del discorso morale: l’impegno di conformare il proprio comportamento al risultato della deliberazione collettiva (pacta servanda sunt).17 Le leggi democratiche, pur adottate seguendo un procedimento imperfetto e dunque fallibile, costituirebbero il miglior succedaneo possibile della discussione morale ideale. Infatti, i presupposti tipici di un sistema democratico conducono molto probabilmente all’assunzione di posizioni imparziali18 e, come sostiene Paul W. Kahn, per Nino l’imparzialità può considerarsi «il contrassegno della validità delle soluzioni morali».19 In ogni caso, cercare democraticamente la soluzione di problemi morali intersoggettivi20 riduce in maniera consistente la possibilità di adottare scelte egoistiche. Ergo, non si può che adottare la soluzione più ragionevole che è, sembra concludere Nino, quella migliore.

Non mi sembra che si possa concordare con quanti affermano che per lo studioso argentino si tratti in assoluto della soluzione moralmente giusta. Nino, infatti, non entra nel merito dei valori, si limita ad uno “sguardo dall’esterno”. Il costruttivismo etico che propone in realtà si risolve in una «concezione meta-etica»21 volta a giustificare dei princìpi normativi,22 offrendo una soluzione solo di tipo metodologico. Com’egli afferma, la sua «visione non implica la proposizione assurda che la maggioranza abbia sempre ragione»,23 ritenendo che «in occasioni particolari la decisione democratica possa essere moralmente erronea».24 La ragione individuale ben può essere in grado d’individuare ciò che è moralmente corretto, anche se è molto più improbabile giungere ad una posizione imparziale. La procedura deliberativa certo non è infallibile, tuttavia i risultati così ottenuti vanno osservati anche se ritenuti errati poiché «se in questi casi non osserviamo il risultato del processo democratico, questo risulterebbe svuotato… contraddicendo il presupposto secondo il quale la discussione e la decisione democratica sono, in generale, più affidabili nel determinare soluzioni moralmente corrette».25 Se è vero che dal punto di vista gnoseologico il consenso che sta alla base delle decisioni pubbliche costituisce «una forma privilegiata della conoscenza morale»,26 l’origine democratica della legge conferisce solamente «una presunzione della validità morale»27 della legge stessa. La “correttezza” morale delle decisioni democraticamente ottenute non consente di individuare con certezza qual è la risposta “giusta” ai dilemmi morali, ma indica solo la soluzione più razionale da adottare (rectius: la migliore). Si tratta sempre di “una conclusione provvisoria”, poiché Nino considera relativo il valore epistemologico attribuibile alle decisioni democratiche.28 Il mero rispetto di certi presupposti morali è tuttavia sufficiente ad attribuire autorevolezza, legittimità, obbligatorietà ed una presunzione di “giustezza” al risultato della procedura deliberativa. Secondo Nino osservare un principio razionale «di massimizzazione dell’operato moralmente corretto» costituisce già una valida ragione morale per osservare le leggi.29 Ciò che di certo può ritenersi giusto è ragionare in tal senso. È giusto il «processo di decisione e di discussione in generale e non una qualunque decisione in particolare»30 della maggioranza, ed infatti «questo valore epistemologico del processo democratico… non implica l’infallibilità, ma solo una maggiore capacità rispetto ad ogni altro metodo nel prendere decisioni collettive».31 Il giusfilosofo argentino non propone solo «una giustificazione procedurale della democrazia»:32 per l’autore lo stesso concetto di giustizia è relativo e da intendersi in modo processuale.33 Argomentando sulla «vacuità dei concetti morali»,34 Nino propone di dare esclusivamente un «fondamento razionale per i giudizi morali».35 Per lui «la moralità sociale è il prodotto della formulazione e dell’accettazione dei giudizi… di una morale ideale»36 e «l’efficacia di questa istituzione è favorita dal fatto che chi partecipa ad essa ottiene una immagine più chiara del “gioco” cui sta partecipando».37 Questo non serve certo a giustificare la moralità in sé, «ma poiché la nostra coscienza non ha molti scrupoli logici, serve almeno per metterla a riposo».38 Il ragionamento di Nino può riassumersi in una frase: «le azioni collettive richiedono criteri diversi di razionalità nella elezione di princìpi o modelli di valore, posto che, fintantoché il nostro apporto ad un’opera collettiva è limitato non ne controlliamo il prodotto finale, il razionale può consistere nell’eleggere non il modello o il principio più difendibile, bensì altri con meriti minori».39 Si tratta dell’adozione consapevole della “seconda miglior” scelta possibile, anche se essa può distinguersi notevolmente dal modello ottimale.40

La discussione morale così concepita escluderebbe quel genere di relativismo secondo il quale, per giustificare azioni e decisioni, possono richiamarsi princìpi morali diversi da quelli ottenuti tramite la deliberazione democratica, magari in altre circostanze di tempo e di spazio.41 I princìpi democratici, connotati dal carattere della generalità ed universalità, contribuiscono a rendere le scelte sociali più ragionevoli e facilmente conoscibili dal pubblico. Perché una decisione possa considerarsi valida non sempre necessita l’unanimità: può bastare il voto della maggioranza perché diversamente la minoranza potrebbe condizionare tutte le decisioni, anche non facendone adottare alcuna.42 La moralità della pratica deliberativa presuppone un consenso generale sulla procedura, ma la legittimità di una decisione particolare non richiede l’effettivo consenso su di essa, infatti «la validità dei princìpi morali è data dal soddisfacimento dei presupposti, quale che sia il consenso effettivo risultato di una decisione reale».43

3. L’assioma dei diritti fondamentali

Se il pregio del processo deliberativo democratico si coglie nella capacità d’indicare ciò che eticamente è meglio fare, allora — sostiene Nino — la partecipazione ad esso deve essere consentita a tutti i cittadini.44 Essi, per concorrere in maniera realmente libera e responsabile all’adozione delle decisioni collettive, devono godere di ampie garanzie di sicurezza personale: solo così possono denunciarsi eventuali illegittimità o inopportunità di provvedimenti amministrativi e legislativi. Perché si instauri un dialogo serio e leale devono aversi delle pre-condizioni di fatto, definite da Nino “necessità basilari”,45 che implichino il rispetto dell’autonomia morale dell’individuo. Il liberalismo, per Nino, è l’unica concezione della società che riflette il valore dell’autonomia morale, essendo neutrale e tollerante rispetto alle convinzioni differenti e spesso antagonistiche dei suoi cittadini sul modello di “vita buona”.46 Il liberalismo, secondo Dworkin, «non stipula cosa sia la vita buona, ma descrive soltanto strutture eque, politiche ed economiche, entro le quali i singoli cittadini devono decidere quale sia il tipo di vita buono per loro».47 Come avverte il professore argentino, partecipare alla pratica deliberativa e, allo stesso tempo, negare quei presupposti, significa incorrere in una “inconsistenza pragmatica”.48 Dai «presupposti della pratica del discorso morale derivano dei princìpi sostanziali che fissano un insieme di diritti fondamentali»49 che tutelano le condizioni essenziali all’autonomia individuale. I diritti umani hanno un carattere morale poiché sono originati, direttamente o indirettamente, da princìpi morali generali, universali, “sopravvenienti”50 e la loro validità non dipende dalla formulazione o accettazione da parte di alcuna autorità. Per questo loro fondamento, secondo il cosiddetto “teorema fondamentale”, tali princìpi sono connotati da un valore sostantivo intrinseco, che li rende obbligatoriamente applicabili nei confronti di tutti uomini.51 L’esistenza dei diritti dell’uomo, in quanto diritti morali, non comporta il «loro riconoscimento attraverso determinate norme giuridiche, giacché nei diritti stessi è implicita proprio la richiesta che vengano stabilite delle norme giuridiche che istituiscano dei mezzi volti alla loro tutela».52 Dall’autonomia morale dell’individuo, principio sostantivo della pratica deliberativa, discendono specificatamente tre «princìpi fondamentali di una concezione liberale dell’uomo e della società»:53 il principio più specifico dell’autonomia personale; il principio dell’inviolabilità della persona, ed il principio della dignità della persona.54 Tali princìpi intersoggettivi presiedono al corretto funzionamento della procedura deliberativa e per il loro valore morale giustificano i risultati delle decisioni democraticamente ottenute.55

Il principio dell’autonomia della persona ha due funzioni. La prima è quella di salvaguardare la libertà morale dell’uomo di determinare i propri ideali di virtù, di eccellenza umana e di scegliere gli interessi da perseguire nella vita. Sarebbe illiberale, autofrustrante ed irrazionale volere imporre agli individui gli ideali personali cui devono ispirarsi.56 La seconda funzione consiste nel vietare anche allo stato tutte quelle azioni che interferiscono indebitamente con l’esercizio di tale autonomia. Lo stato deve limitarsi «a prospettare le istituzioni che facilitano il perseguimento personale di questi programmi di vita e la soddisfazione degli ideali di vita che ciascuno coltiva».57 Dal principio di autonomia personale si possono inferire dei diritti strumentali al perseguimento dei piani di vita personali: si tratta della libertà di coscienza, espressione, associazione, lavoro, circolazione e soggiorno, di accesso all’istruzione ed alla gestione delle proprie risorse economiche. A questo principio sono da ricondurre anche le libertà classiche di espressione religiosa, scientifica, artistica, politica, di opinione e la tutela dei progetti di carattere sessuale e sentimentale.58 Perché si abbia una vera possibilità di autorealizzazione, l’individuo deve anche poter godere di una vita affettiva, di una certa privacy, di tempo libero e di un consistente grado di sicurezza personale, come l’assicurazione di non essere privato di tali beni in maniera arbitraria. Alla base di tutti questi diritti si colloca il rispetto dell’integrità fisica e psichica delle persone.59 La funzione del principio d’autonomia è quella di determinare «il contenuto dei diritti individuali fondamentali»,60 consentendo il compimento di tutte quelle azioni che non nuocciono ad altri.61

Il principio dell’inviolabilità della persona umana indica, invece, qual è la funzione dei diritti umani. Esso statuisce il divieto di servirsi delle altre persone come di uno strumento per raggiungere scopi personali, evitando di imporre agli individui «degli oneri o dei sacrifici non compensabili (a meno di ottenere il loro consenso effettivo) sulla base del semplice fatto che ciò andrebbe a beneficio della maggioranza della popolazione, o dello stato, o di una razza superiore, o di una certa classe sociale».62 Bisogna logicamente riconoscere anche che una determinata sfera di interessi individuali ed un elevato livello di sicurezza personale non devono mai poter essere sacrificati in ragione del bene comune.63 Oltre al diritto a non subire ingiustamente qualche tipo di privazione, v’è quello a non essere punito in mancanza di un regolare processo e senza la possibilità di difendersi.64 È plausibile inoltre ricondurre a tale principio il diritto alla tutela dei propri titoli di godimento delle risorse economiche e la libertà di movimento.65 Il principio dell’inviolabilità della persona, dunque, si risolve in un criterio distributivo che limita l’ambito di applicazione degli altri princìpi.

Per regolare reciprocamente il principio di inviolabilità e di autonomia tra le persone, necessita un ulteriore principio: quello della dignità della persona. Esso consente di restringere l’autonomia degli individui a vantaggio di quella di altri; diversamente non potrebbero farsi rispettare i contratti liberamente sottoscritti, le leggi penali, né potrebbe avere riconoscimento l’istituto del matrimonio o si potrebbero assumere responsabilità o perdere facoltà.66 Siffatta restrizione, in sintonia con i princìpi liberali, può avvenire per fini che promuovono l’utilità generale della società e solo col consenso di chi ne viene privato. È questa l’origine del diritto a non essere discriminati per motivi razziali o religiosi, sessuali, a causa di determinate condizioni psicofisiche o per l’appartenenza ad una certa classe sociale.67 Questo principio «sta a fondamento della partecipazione democratica al governo, e consente… un tipo di giustificazione della pena dalla quale si inferisce che nessuna pena può essere inflitta se non per azioni volontarie previste da leggi anteriori».68 Non può che emergere «l’illegittimità di qualunque misura che discrimina gli uomini distribuendo le risorse in base a fattori non conformi alla loro volontà».69 È netto il rifiuto del determinismo: «le persone devono essere giudicate e trattate esclusivamente sulla base delle loro azioni volontarie, e non in base ad altre loro proprietà o altre circostanze».70 Risulta allora evidente la portata del principio in discorso: esso consente di prevenire o risolvere i contrasti che, a causa della penuria di risorse, possono insorgere fra i diversi piani di vita degli individui. La sua funzione è quella di permettere un «trattamento dinamico»71 dei diritti, consentendo la transazione di “merci sociali” (i beni utili per realizzare i progetti di vita individuali) attraverso un «reciproco accomodamento dei… programmi di vita estendendo alcune… facoltà e limitandone altre».72

L’insieme dei diritti in questione funge da limite inderogabile al perseguimento di obiettivi collettivi: «la loro funzione sembra essere precisamente quella di limitare l’operatività del processo democratico tramite la dequalificazione delle decisioni collettive che li ignorano».73 Ciò significa che se il processo democratico nega il valore dell’inviolabilità della persona o ignora l’autonomia o la dignità umana allora il riconoscimento dei diritti che emergono dai princìpi fondamentali renderanno invalide ipso facto tali decisioni. Si tratta, insomma, di una sorta di carta vincente nelle mani dell’individuo, che Dworkin definisce “briscola” politica e Nozick “vincoli collaterali” al processo degli obiettivi collettivi.74 Questi, dice Nino, «quando sono esibiti, escludono la legittimità di qualunque misura che subordini gli interessi protetti al benessere generale».75 La «importanza dei diritti umani è determinata ovviamente dal fatto che costituiscono uno strumento indispensabile per evitare una sorta di catastrofe che spesso minaccia la vita umana»,76 poiché la vita di ciascuno di noi è permanentemente messa in pericolo da sfortune che possono annientare i nostri progetti di vita, le nostre aspirazioni ed anche i nostri sentimenti più profondi. Queste sfortune si verificano non solo a causa della scarsità di risorse, ma anche perché molti usano gli altri esseri umani come se fossero dei mezzi per perseguire i propri interessi o per realizzare un proprio ideale di bene assoluto. Per ovviare a questo rischio esistono i diritti umani, che non sono solo quelli cosiddetti negativi, quelli cioè che vietano interferenze esterne, ma anche quelli positivi, che riconoscono la titolarità a ricevere prestazioni attive da parte degli altri e dello stato, al fine di raggiungere un certo livello di benessere personale.

4. Modalità di partecipazione politica

Il funzionamento del metodo deliberativo democratico si basa su alcune regole fondamentali,77 come l’esercizio del diritto-dovere di voto e la previsione di votazioni periodiche. A questo fine occorrono gli istituti della rappresentanza politica, della divisione dei poteri, del controllo giurisdizionale di costituzionalità delle leggi ed il riconoscimento della facoltà dei cittadini di partecipare alla discussione pubblica. La scelta collettiva non può che ricadere sulla proposta che vanta il «maggior numero di adesioni»:78 il modello democratico esprime la sovranità popolare in quanto rappresenta la maggioranza della popolazione.79 In questo contesto i partiti politici sono dei gruppi che si pongono fra i cittadini e lo stato, poiché in tali organismi confluiscono i voti di quanti approvano un certo indirizzo politico o una certa idea di organizzazione della società. Si tratta di un istituto che promuove la democrazia: rappresentando una parte dei cittadini, ai partiti politici viene delegato il potere di portare avanti il dibattito politico, anche perché per dedicarsi alle questioni pubbliche occorre tempo e conoscenze specifiche. Ciò che è importante è essere consapevoli del fatto che votare per un partito politico significa condividerne i valori, aderire ad una certa visione della società ed appoggiare i programmi d’intervento che vengono proposti. Le corporazioni, di contro, non sarebbero altro che l’espressione di interessi settoriali.80

Per Carlos Nino «è cruciale per il rafforzamento del potere democratico dei cittadini comuni… ampliare ed “approfondire” la partecipazione popolare alla discussione o decisione, anche imponendo il voto obbligatorio in certe circostanze»81 ed attraverso il plebiscito popolare, il referendum, l’iniziativa popolare e la petizione revocatoria. Questi istituti evitano le pressioni dei gruppi di potere e permettono di superare gli interessi particolari e l’inefficacia dei politici. Non sono immuni, tuttavia, dal grave inconveniente di essere facilmente manipolabili per l’abile mano demagogica di molti dittatori. Soprattutto la televisione opererebbe come un efficace strumento di potere in grado di trasformare il dibattito politico in uno spettacolo che non dà alcuna benché minima garanzia di riflettere obiettivamente e con la dovuta chiarezza ed imparzialità sui termini delle questioni politiche.82 Più che un mezzo per far riflettere le persone, è uno strumento per influenzarle, ridicolizzando la possibilità di procedere attraverso un dibattito morale serio ed il fenomeno ha effetti peggiori quando l’accesso ai mass-media non è egualmente distribuito fra tutte le parti politiche e non dà corretta informazione. Il fenomeno del pluralismo, infine, valorizza un’ampia diffusione della sovranità in quanto evita la tirannia ed impedisce il monopolio del potere.83 Nessuna maggioranza, così, può avere il pieno potere decisionale a causa di limiti temporali, spaziali e funzionali. Per cambiare lo status quo in determinate materie, modificando tutte quelle scelte operate in passato e considerata non in linea con le preferenze attuali, talvolta è necessario un consenso a maggioranza qualificata.

Per Nino il riconoscimento dei diritti umani in capo agli individui permetterebbe loro di contribuire in modo reale ed attivo alla vita politica, consentendogli d’influenzare le scelte politiche tramite la partecipazione alla discussione pubblica. Questa pratica sociale, unita alla consapevolezza della sua importanza, farebbe si che una Democrazia possa dirsi veramente compiuta.

5. Conclusioni

Al modello teorico prospettato da Carlos Nino sembrano potersi avanzare alcune osservazioni critiche. Anzitutto Nino non sembra tenere in debito conto il problema della “praticabilità” della sua teoria. Il «suo stato esiste solo come ideale»84 afferma P. W. Kahn. La proposta di democrazia deliberativa elaborata da Nino, infatti, non sembra attuabile se non presupponendo un comportamento sempre onesto ed imparziale dei politici e dei cittadini. Costoro, inoltre, devono essere perfettamente informati, ragionevoli e consapevoli del significato e delle conseguenze delle loro scelte. Anche Carlos Rosenkrantz considera difficilmente perseguibile il progetto politico di Nino: egli non sembra riuscire a conciliare adeguatamente la sua teoria dei diritti individuali con le decisioni adottate democraticamente.85 Il problema è evidente ipotizzando l’approvazione per vie democratiche di una legge inaccettabile. A mio avviso un’ulteriore osservazione si potrebbe avanzare nei confronti della teoria di Nino: la mancata previsione di meccanismi volti ad assicurare che il contenuto delle scelte collettive sia effettivamente informato a valutazioni morali sostanziali. Non vengono individuati i parametri con cui giudicare la meritorietà, la bontà e la giustizia delle scelte collettive e restano oscuri i criteri attraverso i quali valutare la soluzione più imparziale. Se, infatti, si trattasse semplicemente di recepire i risultati di una votazione, allora il senso profondo del metodo dialogico sarebbe irrimediabilmente compromesso.


  1. C. S. Nino (Buenos Aires, Argentina 3 novembre 1943-La Paz, Bolivia 29 agosto 1993), testimone delle atrocità cui vennero sottoposto i suoi concittadini nel periodo della dittatura argentina, è stato professore a Buenos Aires e Yale, coordinatore del Consiglio per la consolidazione democratica e membro della commissione per la riforma del codice penale. Per le notizie biografiche rimando ai cenni autobiografici, in DOXA n. 1 (1984) pp. 175-177 e, di Jorge F. Malem Seña: In Memoriam: Carlos Santiago Nino. Apuntes bio-bibliográficos, in Derechos y Libertades n. 3 (1994) pp. 17-75 e Carlos Santiago Nino: A Bio-bibliografical sketch, in Inter-American Law Review vol. 27 n. 1 (1995) pp. 45-105. ↩︎

  2. Attualmente il dibattito sulla democrazia deliberativa si è arricchito di importanti contributi (J. S. Fishkin, Dewey ed altri). ↩︎

  3. Cfr. C. S. Nino, Diritto come morale applicata, Giuffrè Milano (1999) p. 139. ↩︎

  4. C. S. Nino, Derecho, Moral, Política, in DOXA n. 14 (1993) p. 46: C’è una certa «analogia col metodo trascendentale kantiano». [Trad. mia] Per questa ragione tali autori vengono definiti “neokantiani”. ↩︎

  5. La forza della pratica sociale della discussione morale trova fondamento nella sua “intrinseca” inconfutabilità. La tecnica dialettica (dialégesthai) non potrebbe essere criticata se non attraverso il dialogo stesso, ma così facendo se ne legittima il valore, incorrendo in una evidente contraddizione. Il dialogo ha un carattere trascendentale ed il suo valore non sembra quindi questionabile: «un presupposto centrale della pratica post-illuministica della discussione morale è che tutta l’autorità… è soggetta a critica, eccetto forse la stessa attività critica». (C. S. Nino, La constitución de la democrazia deliberativa, Gedisa editorial, Barcelona (1997) p. 75, Trad. mia). L’attività argomentativa, il lógos, è quella giustificazione razionale in grado di fornire delle soluzioni motivate alle questioni esaminate. Alla sua base sta la logica aletica, il cui compito consiste nel riconoscere la validità delle varie proposizioni. In sintesi, abbiamo a che fare con una “apodéixis elenctichós”: si dimostra l’impossibilità di negare ciò che si dice, è un argumentum a contrario. I princìpi che presiedono allo svolgimento della discussione sono quelli classici della logica aristotelica, poi ripresi da Leibniz. ↩︎

  6. Agustín José Menéndez, La democracia deliberativa de Carlos S. Nino, in Res publica n. 3 (1999) p. 3. [Trad. mia] ↩︎

  7. Cfr. di C. S. Nino: La Validez del Derecho, Editorial Astrea, Buenos Aires (1985) p. 96; The Ethics of Human Rights, Oxford University Press, Oxford (1991) pp. 69ss. e 248; Autonomia y necesidades básicas, in DOXA n. 7 (1990) p. 23. ↩︎

  8. Cfr. di C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 143; The Ethics… op. cit., pp. 72-73 e pp. 103 e 119; La democracia epistémica puesta a prueba. Respuesta a Rosenkrantz y Ródenas, in DOXA n. 10 (1991) p. 302. ↩︎

  9. Il passo è riportato dallo stesso C. S. Nino in Introduzione all’analisi del diritto, Giappichelli editore, Torino (1996) p. 338. Inoltre, cfr. di C. S. Nino: La constitución… op. cit., pp. 171ss e The Ethics…, op. cit., p. 139. ↩︎

  10. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., pp. 74-75 e pp. 246ss. Thomas Nagel parla di sguardo da “nessun luogo”, secondo una prospettiva “altruistica”; John Rawls fa riferimento al bilanciamento d’interessi egoistici contrapposti, seguendo un meccanismo per giungere a posizioni di compromesso definito “equilibrio riflessivo”. ↩︎

  11. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 158. Cfr., inoltre, pp. 152 e 160. ↩︎

  12. Cfr. di C. S. Nino: La constitución…, op. cit., p. 181 e 187; Diritto…, op. cit., p. 113 e The Ethics…, op. cit., p. 247. L’azione collettiva è quella realizzata “da più mani”, come l’esecuzione musicale di un’orchestra che, per ottenere risultati apprezzabili, deve essere coordinata da un direttore. ↩︎

  13. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., pp. 246ss. e C. F. Rosenkrantz, che fa riferimento a “princìpi di armonizzazione degli interessi”, in Hok and Slye, Deliberative Democracy and Human Rights, Yale University Press, New Haven and London (1999) pp. 236 e 245. ↩︎

  14. Owen Fiss, in Hok e Slye, Deliberative Democracy…, op. cit., p. 23. [Trad. mia] ↩︎

  15. Cfr. di C. S. Nino: La constitución…, op. cit., pp. 168-177 e 180; La democracia epistémica puesta a prueba. Resposta a Rosenkrantz y Ródenas, op. cit. p. 300. ↩︎

  16. Anche perché si riducono notevolmente i “costi di coazione” (C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 139). ↩︎

  17. Cfr. di C. S. Nino: The Ethics…, op. cit., pp. 69ss. e La Validez…, op. cit., p. 96. ↩︎

  18. Conformemente al teorema di Condorcet. Cfr. di C. S. Nino: La constitución…, op. cit., pp. 178-180; The Ethics…, op. cit., p. 250; Diritto…, op. cit., p. 154; Contexto social y régimen de gobierno, in DOXA n. 14 (1993) p. 54*; The Epistemological Moral Relevance of Democracy*, in Ratio Juris vol. 4 n. 1 (1991) p. 46. ↩︎

  19. P. W. Kahn, in Hok e Slye, Deliberative Democracy…, op. cit., p. 248. [Trad. mia] ↩︎

  20. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 199. ↩︎

  21. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 63. [Trad. mia] ↩︎

  22. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 63. ↩︎

  23. C. S. Nino, La constitución…, op. cit., p. 181. ↩︎

  24. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 156. Cfr. C. S. Nino, La constitución…, op. cit., p. 179, dove afferma che «Per se stessa, l’approssimazione all’unanimità non è sufficiente per dimostrare la giustezza di una soluzione». [Trad. mia] ↩︎

  25. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., pp. 157-158. Cfr., inoltre, di C. S. Nino: La constitución…, op. cit., p. 181 e The Ethics…, op. cit., p. 254. ↩︎

  26. C. S. Nino, Diritto…, op. cit. pp. 113 e 156. ↩︎

  27. C. S. Nino, Radical Evil on Trial, Yale University Press, New Haven and London (1996) p. 158. [Trad. mia] e cfr. C. S. Nino, La democracia epistémica puesta a prueba. Resposta a Rosenkrantz y Ródenas, op. cit., p. 303. ↩︎

  28. Cfr. di C. S. Nino: La Validez… op. cit., p. 159 e The Ethics… op. cit., p. 78. ↩︎

  29. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 156. Cfr. C. S. Nino, Radical Evil…, op. cit. p. 159. Nelle pp. 158-159 afferma: «We may strongly believe that a majoritarian decision is wrong, but if those preconditions are satisfied we have a substantive moral reson to observe it». ↩︎

  30. C. S. Nino, La constitución…, op. cit., p. 181. ↩︎

  31. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 200 (si tratta della traduzione del saggio di C. S. Nino, Positivism and Communitanism). ↩︎

  32. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 111 e cfr. idem, p. 110. ↩︎

  33. Cfr. C. S. Nino, La Validez… op. cit., p. 96. ↩︎

  34. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 60. ↩︎

  35. Ibidem, p. 61. ↩︎

  36. J. M. Seña, In memoriam: Carlos Santiago Nino. Apuntes bio-bibliográficos, op. cit. p. 21 [Trad. mia]. Cfr. inoltre di C. S. Nino, The Ethics… op. cit., pp. 61-66. ↩︎

  37. L’espressione, attribuita a Nino, è riportata da J. M. Seña in Carlos Santiago Nino: A Bio-bibliografical sketct, op. cit. p. 51. [Trad. mia] ↩︎

  38. Idem. ↩︎

  39. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 114 e cfr. ibidem, p. 133. ↩︎

  40. Cfr. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., pp. 114-115. ↩︎

  41. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., pp. 72-73. ↩︎

  42. Cfr. C. S. Nino, La constitución…, op. cit., p. 248. Se, esemplifica Nino, si discute riguardo alla riparazione di un ascensore, una soluzione imparziale potrebbe essere quella di ripartire i costi in base all’uso che ne possono fare i diversi condomini, tenuto conto anche dei piani in cui abitano. Qualora non si dovesse trovare una posizione unanime, prevarrà la decisione adottata a maggioranza: la mancanza di accordo non deve essere usata come una tecnica per non far riparare l’ascensore nell’esclusivo interesse dell’unico condomino dissenziente. ↩︎

  43. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 142 e cfr. di C. S. Nino, The Ethics… op. cit., p. 242. ↩︎

  44. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 96-97. ↩︎

  45. L’argomento è trattato approfonditamente in C. S. Nino, Autonomía y necesidades básicas, op. cit. ↩︎

  46. Cfr. C. S. Nino, La constitución…, op. cit., p. 75. Tutti i pensatori liberali hanno la necessità di individuare un meccanismo che consenta di dare preminenza al valore della “Giustizia”, tipico delle concezioni liberali, su quello della “Bontà”. In Hobbes e Locke l’elemento liberale è dato dal tacito, nonché ideale, accordo collettivo stipulato tra i cittadini; in Kant lo si può intravedere nel ruolo svolto dalla “ragione pratica”; negli economisti classici, specie in A. Smith, esso è rinvenibile nel concetto della “mano invisibile”; in altre teorie il riferimento è a “l’osservatore ideale” o allo “spettatore imparziale”, concetto suggerito da Hume. In Rawls questo elemento è insito nella rappresentazione del “velo d’ignoranza”, che consente di scegliere in base all’interesse individuale. Per Nino tutto si incentra nell’idea d’imparzialità della procedura deliberativa. ↩︎

  47. Ronald Dworkin, in R. Dworkin e S. Maffettone, I fondamenti del liberalismo, p. 6. ↩︎

  48. C. S. Nino, La costitución…, op. cit., p. 74. [Trad. mia] Per tale motivi i diritti devono essere “costituzionalizzati”. ↩︎

  49. C. S. Nino, Diritto…, op. cit., p. 143 [Trad. mia] ↩︎

  50. Cfr. C. S. Nino, The Ethics… op cit., . 24. ↩︎

  51. Cfr. C . S. Nino, Introduzione… op. cit., p. 371. ↩︎

  52. C. S. Nino, Introduzione… op. cit., p. 371. [Trad. mia] ↩︎

  53. C. S. Nino, Introduzione…, op. cit., p. 372. [Trad. mia] Ciò evita una petitio principii, cfr. J. F. Malem Seña, In Memoriam: Carlos Santiago Nino. Apuntes bio-bibliográficos, op. cit., pp. 26-27. ↩︎

  54. C. S. Nino, Autonomía y necesidades básicas, op. cit., pp. 23-24; cfr. C. S. Nino, La costitución…, op. cit., pp. 76-79. ↩︎

  55. “Giustificare” è concetto da intendere nel senso esplicato da U. Scarpelli, come «discorso atto a far risultare mediante ragioni che qualcosa è giusto… non in riferimento a un valore di giustizia secondo una particolare determinata formula, ma in senso assai lato: giusto come ciò che, in via generale o in una data situazione, è da accettare, da preferire, da scegliere, da perseguire, appunto sulla base di ragioni», passo riportato da L. Ferrajoli in Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, Bari 1989, p. 225 nota n. 6. ↩︎

  56. C. S. Nino, La costitución…, op. cit., p. 76. [Trad. mia] ↩︎

  57. Il passo di Nino, tratto dal libro Etica y derechos humanos, è riportato da J. F. Malem Seña, In Memoriam: Carlos Santiago Nino. Apuntes Bio-Bibliográficos, op. cit., p. 29. [Trad. mia] Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 137. ↩︎

  58. Cfr. di C. S. Nino: Introduzione… op. cit., p. 374 e The Ethics… op. cit., p. 145ss. ↩︎

  59. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 145. ↩︎

  60. C. S. Nino, La costitución…, op. cit., p. 77. [Trad. mia] ↩︎

  61. Cfr. di C. S. Nino: The Ethics…, op. cit., p. 145 e Introduzione…, op. cit., p. 374. È il cosiddetto “principio del danno” di J. S. Mill. ↩︎

  62. C. S. Nino, Introduzione…, op. cit., p. 372. [Trad. mia] ↩︎

  63. Cfr. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 148 e 162. Fanno eccezione le sanzioni penali e l’autodifesa. ↩︎

  64. Cfr. C. S. Nino, Introduzione… op. cit., p. 373. ↩︎

  65. Cfr. di C. S. Nino: The Ethics…, op. cit., p. 148 e Introduzione… op. cit., p. 373. ↩︎

  66. Cfr. C. S. Nino, la costitución…, op. cit., p. 80. [Trad. mia] ↩︎

  67. Cfr. Introduzione… op. cit., pp. 374-375. ↩︎

  68. C. S. Nino, Introduzione… op. cit., p. 375. [Trad. mia] ↩︎

  69. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 178. [Trad. mia] ↩︎

  70. C. S. Nino, Introduzione… op. cit., p. 374. [Trad. mia] ↩︎

  71. C. S. Nino, The Ethics…, op. cit., p. 180. [Trad. mia] ↩︎

  72. Idem. ↩︎

  73. C. S. Nino, La costitución…, op. cit., p. 95. [Trad. mia] ↩︎

  74. Cfr. C. S. Nino, The Ethics… op. cit., p. 162. ↩︎

  75. C. S. Nino, The Ethics… op. cit., p. 162. [Trad. mia] ↩︎

  76. C. S. Nino, The Ethics… op. cit., p. 1. [Trad. mia] I diritti umani sono “artificiali”, in quanto prodotti dall’ingegno umano. ↩︎

  77. Cfr. C. S. Nino, La democracia epistémica puesta a prueba. Respuesta a Rosenkrantz y Ródenas, op. cit., p. 297. ↩︎

  78. C. S. Nino, La democracia epistémica puesta a prueba. Respuesta a Rosenkrantz y Ródenas, op. cit., p. 298. [Trad. mia] ↩︎

  79. Cfr. di C. S. Nino: The Ethics… op. cit., pp. 235ss e La costitución…, op. cit., p. 235. La rappresentanza politica riduce il valore epistemico delle deliberazioni, tuttavia costituisce un “male necessario”. ↩︎

  80. Cfr. C. S. Nino, Radical evil… op. cit., pp. 44ss. Talvolta le corporazioni contribuiscono al verificarsi delle gravi violazioni dei diritti umani. ↩︎

  81. C. S. Nino, Contexto social y régimen de gobierno, op. cit., p. 55. [Trad. mia] Cfr. C. S. Nino, La constitución… op. cit., p. 210. ↩︎

  82. Cfr. C. S. Nino, La constitución… op. cit., p. 224. Nino cita Giovanni Sartori a proposito del “video-potere”. ↩︎

  83. Cfr. C. S. Nino, La constitución… op. cit., pp. 228ss. ↩︎

  84. P. W. Kahn, in Hok e Slye, Deliberative Democracy and Human Rights op cit., p. 249. [Trad. mia] ↩︎

  85. Cfr. C. F. Rosenkrantz, in Hok e Slye, Deliberative Democracy and Human Rights op cit., p. 245. ↩︎