Manifestare solidarietà contro l’oppressione. Camus e la rivolta senza rivoluzione ed autodistruzione

Gran parte dell’opera letteraria di Albert Camus ha una sottesa ispirazione filosofica,1 caratteristica che si ravvisa, seppur con modi e approcci diversi, anche in altri protagonisti della letteratura contemporanea quali Kafka, Proust, e Dostoevskij.2 In particolar modo, nell’opera L’Homme Révolté,3 che in questa sede verrà esaminata in alcune sue parti, Camus conferisce al tema della rivolta, una veste filosofico-politica e storiografica diretta, approfondendo in modo esplicito la questione della condizione umana di fronte all’esistenza. Tale opera è stata oggetto di più d’un attacco da parte della critica, essendo stata ritenuta, in alcuni casi, limitata e vaga sul piano dell’approfondimento concettuale.4 Tuttavia, lo stesso Camus non si reputava un filosofo, ma piuttosto un artista e, di tanto in tanto, un giornalista professionista.5

In questo contributo si mostra che le riflessioni condotte da Camus sulla rivolta, sono tutt’altro che contenute e indeterminate, rivelando, da un lato, la difficoltà6 di circoscrivere un concetto di rivolta valido in ogni situazione e, dall’altro, il rischio che tale concetto venga associato, in modo poco chiaro, sia all’autodistruzione suicida che alla rivoluzione nichilisticamente omicida. A partire da tale riflessione si potrà delineare una visione etico-politica del concetto di rivolta che pone l’attenzione sull’importanza della manifestazione di solidarietà umana nella collettività, contro ogni forma di oppressione.

1. Inaccettabilità dei nuovi comandi e presa di coscienza degli ordini statuiti in passato

1.1. Il giudizio verbale

Nel tracciare i lineamenti del soggetto rivoltoso, Camus lo immagina come un individuo posto in subordine nei confronti di coloro contro i quali si ribella, uno schiavo che pur avendo ricevuto nel corso della propria esistenza soltanto ordini, giudica un nuovo comando inaccettabile.7 Secondo quanto delineato in tale profilo, il desiderio di rivolta nasce, quindi, dal rifiuto di una ulteriore richiesta che, a differenza delle altre, viene considerata intollerabile. In particolare Camus osserva che la rivolta, come necessità, non si avvertirebbe se non si avesse la percezione di essere dalla parte della ragione nel momento in cui ci si oppone alle pretese dell’altro. Difatti, la rivolta è preceduta da un atteggiamento di non contestazione in cui il soggetto sceglie di tacere poiché non considera le richieste avanzate nei suoi confronti come inammissibili. Con la rivolta, invece, colui che è oppresso esprime un giudizio diretto nei confronti dell’oppressore e lo comunica anche verbalmente. Pertanto, l’individuo «dal momento in cui parla, anche dicendo no, desidera e giudica».8 Una prima osservazione sull’uomo rivoltoso conduce a connotarlo ottimisticamente per il suo coraggio di affrontare a viso aperto una situazione oppressiva, rifiutando un’ottica di accettazione passiva.

1.2. Tipi di rivolta

Camus osserva, inoltre, che dal punto di vista etimologico il termine rivolta è inteso come voltafaccia. Difatti, colui che è in rivolta non procede più seguendo gli ordini di un padrone ma si ribella agli ordini da quest’ultimo statuiti. In questo senso, la rivolta potrebbe manifestarsi non soltanto qualora un nuovo comando sia reputato immorale, ma anche quando si prende coscienza che la completa relazione con l’altro si è basata nel passato su continue ingiustizie. In tal senso, il moto di rivolta avrebbe inizio da una acquisizione di consapevolezza. Si potrebbe palesare, in questo caso, una insofferenza nei confronti di tutto quello che in precedenza veniva accettato. Pertanto, la rivolta può essere considerata anche retroattiva. In entrambe le circostanze, nel respingere un ordine un individuo allontana da sé la sua stessa condizione di subordinazione passata mettendola dinamicamente in questione nel presente.

2. Tutto o Nulla per il riconoscimento della dignità di essere umano

2.1. Vivere in ginocchio o Morire in Piedi?

Da quanto detto sopra, emerge come la rivolta non consista in un semplice rifiuto ma muti le condizione del rapporto che il soggetto verso cui si era subordinati aveva fissato. Difatti, nella rivolta vi è non solo il rifiuto di un ordine reputato umiliante, ma anche la richiesta di essere trattati alla pari. Lo schiavo non accetta più il compromesso poiché, prima di esso, riveste rilevanza la sua umanità. Per ottenere il rispetto della sua dignità di essere umano, lo schiavo in rivolta è disposto a perdere tutto quello che ha acquisito in precedenza mediante la sua condizione di assoggettamento — pur non essendo necessariamente disposto a sacrificare sé stesso, giacché una scelta simile discenderebbe da un approccio pessimista alla vita che non connota il rivoltoso di per sé. Come osserva Camus:

la coscienza viene alla luce con la rivolta.9

Il prendere coscienza conduce ad essere disposti a sacrificare tutti i vantaggi garantiti dal compromesso tra le parti, in cui una delle due accettava la condizione di schiavitù. Lo schiavo prende dunque coscienza della propria dignità di essere umano e che ogni desiderio di libertà dev’essere esaudito nel rispetto degli altri. In sintesi, l’uomo in rivolta potrebbe sembrare d’accordo, in un primo momento, con il motto secondo cui è molto meglio «morire in piedi che vivere in ginocchio».10 Tuttavia, pur rifiutando di vivere nell’oppressione egli non mira a sacrificare sé stesso per la rivolta. Difatti, nel sacrificio umano l’idea di rivolta, come ribellione in difesa della propria umanità, perderebbe il proprio senso.

2.2. Il riconoscimento dell’essere umano

Il rivoltoso sembra disposto ad accettare qualunque cosa, persino la propria morte, piuttosto che accettare la privazione della propria libertà ed essere costretto a restare subordinato all’altro, in una condizione di perdita della propria dignità. È per questo motivo che il concetto stesso di essere umano entra in gioco nella peculiare riflessione sulla rivolta, proposta da Camus. Infatti, il soggetto in un primo momento potrebbe sembrare disposto a privarsi della propria vita, piuttosto che accettare una condizione ingiusta che ignori la propria umanità. Un soggetto rivoltoso potrebbe sembrare condotto a rischiare Tutto per vedersi riconosciuto come essere umano. Nella rivolta egli accetta di perdere Tutto, ma non la propria vita o quella altrui. Pertanto, ad uno stadio iniziale della propria riflessione egli è consapevole che insorgendo la sua prerogativa potrebbe essere: Tutto o Nulla.

3. Dalla rivolta individuale a quella collettiva

3.1. Peculiarità della rivolta individuale

In particolare, Camus individua le peculiarità dell’atto rivoltoso, come di seguito indicato:

  1. Il moto di rivolta non è egoistico per due ragioni. Esso si oppone alla menzogna e all’oppressione. Nel far ciò, il rivoltoso non cerca di preservare la condizione acquisita precedentemente alla rivolta, ossia, si mette in gioco, totalmente.

  2. Inoltre, la rivolta non ha origine necessariamente nell’oppresso ma può avvertirsi la necessità di avvalersi di tale forma di dissenso per solidarietà nei confronti degli altri. Anche colui che assiste ad un evento oppressivo può identificarsi con la vittima dell’oppressione. Potrebbe, in questo caso, non trattarsi di una identificazione psicologica. Si potrebbe essere solidali con l’oppresso anche nel momento in cui non si immagina sé stessi al posto di questi. Vi è il caso in cui non si sopporti l’oppressione sugli altri, indipendentemente, dalla propria.

Come osserva Camus, secondo Scheler la rivolta nascerebbe da un sentimento di risentimento. Tuttavia, il risentimento, come nota lo stesso Scheler, si caratterizza per la passività, mentre una delle caratteristiche della rivolta è l’attivismo. Il risentimento, inoltre, si forma dall’invidia che si nutre nei confronti di qualcosa che non si detiene. Al contrario, nella rivolta l’uomo difende ciò che egli già possiede o ciò di cui è stato privato, ingiustamente. Nel risentimento si vorrebbe essere diversi rispetto a quello che si è, mentre la condizione di un rivoltoso si forma quando si cerca di essere riconosciuti per ciò che si è e per quello che si detiene (ad esempio, uno status). Detto questo, Camus non intende convincerci che nel moto di rivolta non possa mai esserci del risentimento o che esso non possa mai connotarsi pessimisticamente. Piuttosto, egli ribadisce che queste eventualità non debbano considerarsi delle caratteristiche distintive del moto di rivolta stesso.

3.2. Peculiarità della rivolta collettiva

La rivolta è percepita come un’esigenza in alcune società, ad esempio quelle in cui le disuguaglianze sono troppo grandi — si pensi alle caste indiane — oppure quelle in cui l’eguaglianza che si consegue è assoluta, come le società primitive. Invece, nelle società evolute l’esigenza della rivolta sorge quando il soggetto oppresso avverte i limiti alla libertà come problematici. Più si prende coscienza della mancanza di libertà di cui si è privi e più si tende a ribellarsi. Il paria che non si pone il problema della rivolta, trova una soluzione allo stesso nella tradizione, vedendo delle risposte alla propria subordinazione sociale nella religione.11 In questa condizione «la metafisica è sostituita dal mito».12 Il mito si forma quando gli interrogativi sulla propria condizione scompaiono lasciando che vi siano soltanto risposte, sempre le stesse. La rivolta conduce, invece, a porsi dei quesiti sulla condizione umana. Uno di tali quesiti, particolarmente ricorrente, riguarda la possibilità di trovare una regola di condotta al di là di ogni dogma religioso. La rivolta fondata sulla solidarietà13 tra individui trova, comunque, nel suo svolgersi, dei limiti nella dimensione dell’umano senza richiamarsi a regole religiose. In questa solidarietà, la natura della rivolta cambia, da impresa individuale diviene avventura di tutti quelli che ne condividono lo spirito. Questa evidenza trae l’individuo dalla sua solitudine e così «il male che un solo uomo provava diviene peste collettiva».14

4. La rivolta metafisica

L’uomo che insorge contro la propria condizione secondo Camus inaugura un atteggiamento di rivolta metafisica. Tale definizione deriva dal fatto che questo tipo di rivolta è diretta nei confronti della condizione dell’uomo e della sua creazione. L’insorto è in rivolta metafisica se egli è in grado di sviluppare un giudizio di valore sulla condizione che vive. Inoltre, come già osservato in precedenza, il ribelle esige che il valore su cui egli erge la propria contesa sia riconosciuto dalla collettività. In tal senso, egli rivendicherebbe il ritorno alla chiarezza delle regole morali e sarebbe in opposizione al disordine e alla confusione di tali regole. L’insorto denuncia, da un punto di vista etico, la mancanza di chiarezza cercando di risolvere un problema di confusione. Secondo Camus, l’insorto metafisico non può essere semplicemente considerato ateo, come si potrebbe essere portati a credere, ma diviene nella rivolta un essere blasfemo. Dio rappresenterebbe per l’insorto il padre di uno scandalo enorme, ossia, colui il quale non ha messo in questione la propria superiorità. L’uomo in rivolta, a differenza dell’ateo, non considera Dio inesistente. Difatti, egli si pone nei confronti di questi con atteggiamento di sfida. Nella rivolta, Dio non è soppresso, ma gli parla da pari a pari.15 In questo modo, l’uomo rivoltoso denuncia la destituzione di questo Dio e poi lo condanna a morte. Tuttavia, come ha commentato Franco Cassano in proposito: «l’eclisse di Dio non segna l’inizio di una festa nichilista ma quello di una responsabilità più vasta proprio perché senza tutori e senza padroni».16 La perdita di Dio è il primo passo che conduce gli uomini a darsi delle regole morali e, pertanto, a sviluppare autonomamente la propria responsabilità verso il mondo in cui ci si collocano.

5. Nichilismo e storia: ricostruzione continua di una metafisica assoluta

5.1. Le molteplici ragioni dei soggetti

La riflessione sul tema della “rivolta metafisica” porta a mettere in evidenza i diversi percorsi intrapresi dalla protesta umana contro i dogmi formulati e imposti dalla metafisica. Tuttavia, coloro che si sono posti con spirito critico nei confronti della metafisica, secondo Camus, sono stati condotti a formulare ed imporre nuovamente (e in modo diverso) nuovi paradigmi, dopo aver mostrato la vacuità di ogni morale. Pertanto, Camus opera una classificazione radicale, individuando a grandi linee, da un lato, i rivoltosi che, dopo essersi ribellati sono stati condotti a creare delle proprie norme morali e, dall’altro, coloro i quali non hanno rinunciato al desiderio di eliminare l’ingiustizia ed hanno tentato il suicidio17 o hanno perduto il senno laddove il fine a cui miravano è parso loro irraggiungibile.

La rivolta umana è per Camus, nelle sue forme elevate, una protesta contro la morte che è presente nella confusione metafisica anche quando essa si impone come assoluta. O meglio, come Colin Davis osserva in proposito «la rivolta mira a conseguire un’aperta comunicazione tra soggetti liberi, mentre l’ambiguità è associata con la morte».18

I ribelli che non si autodistruggono conferiscono valore alla propria vita, perché lottano per conferire dignità — perduta con l’oppressione — alla propria esistenza. Il rifiuto della morte per l’uomo in rivolta non consiste nel chiedere «di vivere», ma nelle «ragioni della vita».19 In questo senso è significativo il contrapporsi al dogmatismo di cui la metafisica stessa può farsi rappresentatrice, che ignora le molteplici ragioni dei soggetti.

5.2. L’errore di riformulare costantemente una metafisica assoluta

Nel percorso storico della rivolta, coloro che si erano ribellati nell’età moderna acquistavano la libertà esercitandola in spazi chiusi, nei castelli, nelle contee. Con lo svilupparsi dell’età contemporanea la richiesta di libertà è più consapevole nella maggior parte della comunità, ma anche in quest’epoca coloro che si ribellano tendono a formare a loro volta una propria metafisica, a cui si opporranno nuovamente quelli che verranno. Nelle parole di Camus: «Uccidere Dio e costruire una Chiesa, è questo il movimento costante e contraddittorio della rivolta».20 Difatti, nell’interpretazione da egli riportata, l’Ottocento da secolo di rivolta approda in un Novecento, che si caratterizza per la ricerca di una regola morale universale, quindi, per la ricerca di qualcosa che c’era anche prima, ossia una la costruzione di una metafisica. L’uomo rivoltoso che perde memoria delle proprie origini, delle ragioni della propria rivolta, rischia di moltiplicare all’infinito l’errore di costruire una metafisica assoluta. Il nichilismo sommerge la forza creativa e suggerisce in seguito di ricostruirla con qualsiasi mezzo, anche mediante l’imposizione di una nuova forma di metafisica.21

6. I deicidi e la società concreta

Con il pensiero di Hegel si tende a non riconoscere le cause del fallimento della rivoluzione francese e quindi, secondo Camus, a supportare e promuovere una metafisica di un solo tipo, in grado di fornire solo una lettura agli eventi della storia. Secondo Camus, in Hegel la libertà assoluta e astratta conduceva al terrorismo tanto quanto l’applicazione del diritto astratto conduce all’oppressione.22 Per superare tale problematica dell’astrazione «bisognava volere una società concreta, vivificata da un principio che non fosse formale, in cui si conciliassero libertà e necessità».23 Alla ragione astratta di Saint-Just e Rousseau il pensiero tedesco ha sostituito l’universale concreto. Tuttavia, gran parte della dimostrazione consiste nel provare che la coscienza morale — quella che è in sintonia con i valori di giustizia e verità — pone i propri valori, ritenuti universali, fuori dal mondo, compromettendone la loro trasformazione (e quindi, il loro evolversi contestualmente al mutamento presente nel mondo stesso) o, persino, mettendone a repentaglio l’esistenza stessa all’interno del mondo stesso.

7. Dalle ideologie di assenso alla rivoluzione senza rivolta

Al fine di di operare una critica spietata dei totalitarismi (intesi come sistemi di oppressione tra i più atroci) Camus prova a descrivere gli stessi come dei casi in cui un solo soggetto si arroga il diritto di scegliere sulla vita e sulla morte altrui, come farebbe un Dio. Nel momento in cui l’uomo è un rappresentante di Dio -che si manifesta come signore della vita e della morte- anch’egli potrà ritenersi padrone della vita e della morte sugli altri. Il fascismo, nel suo intento di instaurare l’avvento del superuomo nietzschiano incarna nell’uomo il Dio.24 Nella visione opposta, con Marx la rivoluzione razionale si propone invece di realizzare il mito dell’uomo totale, seguendo un modello destinato a restare utopico.25 Confrontando i due modelli opposti che, per alcuni versi, tendono a riconoscersi, entrambi, come sovversivi, Camus osserva che essi possono dirsi «ideologie di assenso non di rivolta».26 La sete di unità e di principi universalizzanti è stimolata e supportata da coloro che intendono dominare mediante la promozione degli stessi. Per ritrovare la forza creatrice della rivolta, la rivoluzione è condotta a rinunciare al nichilismo ed ai valori storici ad essa legati. Per equilibrare quello che Camus chiama il delirio storico, la rivoluzione non può fare a meno di una regola morale, la quale è rintracciabile nella rivolta all’origine dell’idea rivoluzionaria. La follia della rivoluzione ha luogo quando quest’ultima rifiuta ogni valore morale, senza considerare delle regole di tale natura che conducano a non sacrificare nessun essere umano. Il pensiero di Camus sul rapporto tra rivoluzione e storia si rivela in linea con quanto da lui espresso riguardo al concetto di rivolta, poiché a riguardo egli sostiene che «invece di uccidere e morire, per un produrre l’essere che non siamo, dobbiamo vivere e far vivere per creare quello che siamo».27

8. L’omicidio come contraddizione logica della rivolta

Con l’età contemporanea, secondo Camus, pur avendo abbattuto i vincoli religiosi, gli individui ne avevano introdotti di nuovi. Pertanto, dopo aver creduto di poter contrastare la religione, in tale periodo lo spirito europeo divenne consapevole che per essere vincente nella lotta per la libertà, era necessario combattere anche contro l’oppressione degli uomini. Tuttavia, come osserva Camus, tale conflitto tra uomini può condurre i rivoltosi ad uccidere e, pertanto, ad un allontanamento dall’idea di rivolta stessa — un’idea che non prevede il sacrificio dell’altro. Commettendo un omicidio, la sete di giustizia non può ritenersi soddisfatta, poiché il rivoltoso che lo commette si è spinto oltre la difesa della propria dignità e, in tale condizione, egli è passato dalla condizione di vittima a quella di colpevole. L’alternativa alla rivolta consiste nell’attenersi ad un comune conformismo, oppure giustificare l’omicidio e persino la successiva distruzione dell’idea di rivolta che ha condotto a distruggere l’altro. Tuttavia, in quest’ultimo caso non si tratterebbe più di rivolta, ma la reazione violenta e omicida diverrebbe un nuovo tipo di «alibi dei nuovi tiranni»,28 un alibi per criticare le motivazioni che hanno dato origine alla rivolta. Come osserva Camus, l’omicidio suscita solo contraddizioni logiche29 poiché, se la rivolta si origina al fine di contrapporsi all’assurdità con cui la dignità dell’uomo è violata, non avrebbe senso che essa si concluda con la distruzione di altri esseri umani. Per questa ragione, Camus osserva che «sul piano logico, dobbiamo rispondere che omicidio e rivolta sono contraddittori».30 L’insorto, dopo l’omicidio, non potrebbe, probabilmente, richiamare a sé la solidarietà della propria comunità. In tal senso, l’uccisore sarebbe condannato alla solitudine ed alla promiscuità, così come «Caino, quando uccide Abele fugge nel deserto».31 Anche nel caso in cui l’uccisore ricevesse la solidarietà di una folla il suo essere stato condotto a commettere un omicidio costituirebbe qualcosa di non previsto, né desiderato, che porterebbe alla contraddizione rispetto al concetto di rivolta proposto da Camus.

9. L’omicidio nichilista: libertà e logica della rivolta

9.1. I flagelli esercitati dell’oppressore: servitù, menzogna e terrore

Come abbiamo osservato il delitto tradisce il valore che dà origine ad una rivolta, sia esso irrazionale o razionale. L’accecamento della razionalità generato dall’indignazione rimuove quelle che sono le ragioni della rivolta stessa conducendo al nichilismo, alla distruzione di colui nei confronti del quale si volge la rivolta. L’ingiustizia percepita da chi è in rivolta deriva dal mancato riconoscimento della somiglianza tra servo e servito, sulla quale si tace. L’ingiustizia può essere avvertita dall’uomo in rivolta non come una momentanea ostilità, ma come una perpetua avversione dell’oppressore nei propri confronti. Dunque, la rivolta può essere affrontata nel dialogo mediante un linguaggio che consente ad oppresso ed oppressore di comunicare tra di loro, evitando la tragedia dell’omicidio.

Camus individua, in particolare, nella servitù, nella menzogna e nel terrore i tre flagelli esercitati dall’oppressore. Questi conducono l’oppresso in una dimensione nichilista di rivolta. Ad ogni modo, Camus ribadisce sempre che, anche in presenza di questi tre flagelli, «la libertà estrema, quella di uccidere, non è compatibile con la rivolta».32 La rivolta non coincide con la rivendicazione totale della libertà, ma è in contrasto con essa. Difatti, l’essere rivoltoso contesta il potere illimitato dell’oppressore, che abusa della libertà altrui danneggiando gli altri.

9.2. Il rispetto degli altri e l’impossibilità della libertà totale

Nonostante l’insorto richieda, mediante la rivolta, maggiore libertà per sé, egli non intende pervenire a tale stadio imponendo ad altri dei limiti alla loro libertà. La libertà rivendicata dall’oppresso è richiesta per conto di tutti coloro che vivono una condizione di oppressione analoga. Sul concetto di libertà, Camus si esprime nei seguenti termini:

è in nome di un altro valore che l’uomo in rivolta afferma la impossibilità della libertà totale nell’atto stesso di reclamare per sé la libertà relativa, necessaria al riconoscimento di questa impossibilità. Ogni libertà umana, alla radice sua più profonda, è così relativa. La libertà assoluta, quella di uccidere, è la sola a non reclamare insieme a se stessa ciò che la limita e l’oblitera.33

La conclusione a cui perviene Camus sul rapporto tra il sentimento di rivolta e quello di libertà consiste nell’affermare che quando il primo sfocia nella distruzione, la rivolta stessa è illogica, perdendo il suo senso.34 La logica della rivolta trae forza dal non abbandonarsi alla confusione, bensì dall’opporsi a coloro i quali non permettono agli altri di vivere liberamente. Alcuni elementi della logica della rivolta sono individuati da Camus come segue:

1) voler servire la giustizia, per non accrescere l’ingiustizia della propria condizione;

2) sforzarsi ad usare un linguaggio chiaro, per evitare la confusione a cui la menzogna conduce;

3) puntare al conseguimento della felicità degli uomini piuttosto che al loro dolore.

I vantaggi che l’insorto ottiene mediante la rivolta possono essere vanificati se non sostenuti continuamente. Egli, in tale lotta continua, deve cercare di non cedere alla confusione e alla rabbia che possono condurlo a compiere l’omicidio nichilista. L’onore metafisico è, come osserva Camus, il riconoscere che, se si perviene a compiere l’omicidio, si cade nell’ingiustizia stessa perpetrata dall’oppressore. Se il rivoltoso non è in grado di ribellarsi con onore (quindi senza compiere l’omicidio) allora «se egli stesso uccide, infine, accetterà la morte».35

10. L’omicidio storico: le rivoluzioni e i limiti della rivolta

10.1. Il senso della rivolta

La concretizzazione della rivolta di carattere collettivo richiede, così come per il caso di quella individuale, la rinuncia al principio di violenza ribadendo, pertanto, l’impossibilità di dare origine ad una rivoluzione che l’adoperi. La rivolta rifiuta, infatti, il nichilismo che conduce a non rispettare la vita degli essere umani. Camus osserva che, nel momento in cui il rivoltoso prende parte alla storia collettiva, tende ad allontanarsi dai principi della rivolta, poiché adotta il cinismo della violenza, negando il riconoscimento dell’umanità altrui. Pertanto, Camus ritiene che il rivoltoso «non può distogliersi dalla storia senza rinnegare il principio della rivolta stessa, scegliere la vita eterna, senza rassegnarsi, in un certo senso, al male».36 Il dilemma davanti a cui potrebbe essere posto il rivoltoso, che prende parte alla storia collettiva, è quello di scegliere tra compiere l’omicidio o cadere nel silenzio. Optare per l’uno o per l’altro dei due modi di procedere, non concilierebbe in alcun caso con il concetto di rivolta. Pertanto, anche se la rivoluzione si proponesse di appagare lo spirito di rivolta da cui essa ha tratto origine, soddisfacendo le tendenze nichiliste essa tradirebbe lo spirito della rivolta stessa. Una concezione storicista equivale per Camus ad una concezione nichilista.37 In tal senso, una concezione storicista potrebbe infine accettare e giustificare il male dei totalitarismi nel corso della storia, ponendosi in contrasto con i principi morali su cui la rivolta si fonda. Nell’iniziativa storica che sfocia nella rivoluzione c’è il rischio di perdere il senso della rivolta, poiché in tale contesto la sete di giustizia e di libertà non si porrebbe alcun limite e persino la vita dell’essere umano non costituirebbe più un limite alle sue rivendicazioni.

10.2. La rivolta senza rivoluzione

Camus, nella riflessione su storia e rivolta considera l’importanza dei limiti che una rivolta, per dirsi tale, non può ignorare. Sulla tematica dei limiti egli riporta l’esempio delle situazioni di violenza assoluta o, all’opposto, di non violenza assoluta. Nel primo caso, la violenza assoluta e sistematica costituisce una perdita della comunicazione con gli altri che, invece, il processo di rivolta si auspica di continuare ad esercitare. Nel caso opposto, la non violenza sistematica produce delle servitù passive che non lasciano spazio alla chiarezza esplicita e diretta della protesta. L’azione di rivolta è orientata verso questioni che possono essere affrontate ponendo, quindi, dei limiti manifesti mediante l’esclusione della violenza. Come osserva Camus:

Allo stesso modo in cui l’uomo in rivolta considera l’omicidio come un limite che deve, qualora vi acceda, consacrare morendo, così la violenza non può essere nient’altro che un limite estremo che si oppone a un’altra violenza, per esempio in caso di insurrezione.38

Camus osserva che l’onore e la dignità sono concetti legati a quello di rivolta. La violenza che conduce persino ad uccidere la parte oggetto di critica nella controversia tradisce lo spirito della rivolta, i principi che hanno condotto il rivoltoso a ribellarsi. Se le prime forme di rivoluzione moderna potevano cadere nell’errore di distruggere la parte oggetto di critica, i rivoluzionari contemporanei sono più consapevoli che uccidendo l’altro condannano a morte la rivolta stessa, la quale perde il proprio senso se toglie all’altro la dignità di essere. Ritrovare le ragioni della rivolta39 è, secondo Camus, l’unico antidoto per tener fede alla rivolta stessa, ossia alla «secolare volontà di non subire».40 Si può così osservare che rivolta e rivoluzione sono, quindi, in contraddizione fra di loro:

la rivolta è fedele al confronto, alla tensione, fra l’umana esigenza di ragionevolezza e l’irragionevolezza del mondo da cui- propriamente parlando — scaturisce l’assurdo: essa, quindi, nega ciò che si oppone a quell’esigenza ma consente, per ciò stesso, con quest’ultima ed in questa ravvisa il positivo valore da difendere e in base al quale orientare la propria creatività.41

Contrariamente alla rivolta, la rivoluzione non ha esigenze di chiarezza e conduce a quel nichilismo omicida che, come osservato prima, Camus rifiuta. L’astenersi dal trasformare la rivolta in rivoluzione — e quindi in omicidio — potrebbe condurre a pensare che Camus si astenga dall’indicare al rivoltoso un possibile compimento definitivo della rivolta. Secondo Stelio Zeppi,42 più stringente diviene la discussione sulle finalità ed i risultati a cui la rivolta potrebbe condurre più Camus diviene vago. Tuttavia, la soluzione indicata da Camus consiste nel sollecitare la comunità ad unirsi contro le forme di oppressione presenti in essa, dichiarando esplicitamente la propria avversione a queste e non prendendone parte. La solidarietà contro l’oppressione, nell’ottica di Camus, non richiede mai di dover considerare la possibilità estrema di una rivoluzione violenta.

11. Osservazioni conclusive

La descrizione del ribelle fornita da Camus mostra un individuo posto in una condizione di subordinazione nei confronti degli oppressori a cui si oppone e che giudica inaccettabile un nuovo comando da questi ultimi impartito.43 In breve, l’uomo in rivolta sembrerebbe concordare, in un primo momento, con il motto secondo cui è preferibile «morire in piedi che vivere in ginocchio».44 Tuttavia, come abbiamo osservato, l’uomo rivoltoso oltre a non voler vivere da oppresso (quello che nelle parole di Camus è ‘il vivere in ginocchio’) rifiuta anche la morte, intesa sia come autodistruzione suicida — ciò che egli chiama ‘il morire in piedi’- sia come omicidio degli oppressori.

Inoltre, come evidenziato, l’atto rivoltoso si caratterizza, in primo luogo, per la mancanza di egoismo. In altre parole, il rivoltoso non preserva nella rivolta ciò che ha acquisito nella precedente condizione di sottomissione mettendosi, in tal modo, completamente in gioco. In secondo luogo, la rivolta non si origina necessariamente dall’oppresso, ma può svilupparsi dalla necessità di ribellarsi per solidarietà nei confronti delle oppressioni subite dagli altri. Se caratterizzata da tale solidarietà, la rivolta da impresa individuale diviene esperienza comune a tutti coloro i quali condividono lo stesso spirito. Ad ogni modo, colui che si ribella esige che il valore su cui egli erge la propria contesa sia riconosciuto dalla collettività. La rivolta umana è per Camus, nelle sue forme più elevate, una protesta contro la morte45 che è presente nella confusione metafisica, anche quando essa si impone come assoluta.

Individuando nella servitù, nella menzogna e nel terrore i tre flagelli esercitati dall’oppressore, egli ribadisce che anche in presenza di questi ultimi «la libertà estrema, quella di uccidere, non è compatibile con la rivolta».46 La rivolta non coincide, dunque, con la rivendicazione totale della libertà — sebbene non si neghi, al contempo, che possa assumere tale connotazione — ma è in contrasto con quest’ultima. Difatti, l’essere rivoltoso dovrebbe contestare il potere illimitato dell’oppressore che abusa della libertà altrui, danneggiando iniquamente gli altri. Diversamente dalla rivolta, secondo Camus, la rivoluzione non ha esigenze di chiarezza e conduce a quel nichilismo omicida che egli, invece, rifiuta. L’astenersi dal trasformare la rivolta in rivoluzione — e, quindi, in omicidio — potrebbe condurre a pensare che Camus si astenga dall’indicare al rivoltoso un possibile compimento definitivo della rivolta stessa. Invece, la soluzione indicata da Camus consiste nel sollecitare la comunità ad opporsi unitariamente alle forme di oppressione presenti in essa, dichiarando esplicitamente la propria avversione a queste e rifiutandosi di prendervi parte. In particolare, come osserva Stefan Skrimshire:

Camus evita, ad ogni modo, risposte filosoficamente uniformi; […] egli ha fedelmente descritto uno stato di fragilità umana presente di fronte al desiderio di pervenire alla comprensione ed al crudele silenzio del mondo. Sta al ribelle impiegare questa descrizione, con solidarietà e mutualità, per comprendere un mondo insensato.47

La solidarietà contro l’oppressione, nell’ottica di Camus, non richiede mai di dover considerare la possibilità estrema di una rivoluzione e conduce, mediante la solidarietà collettiva su alcuni valori morali, alla liberazione da ogni forma di oppressione. La terapia per evitare varie forme di oppressione è ravvisabile, quindi, nella solidarietà sui valori, al fine di salvaguardare la vita e la dignità dell’essere umano. Con questa visione, Camus lascia aperta la speranza di poter lottare contro la violenza esercitata dalle oppressioni e di poterle evitare preventivamente, per l’appunto, mediante la solidarietà e la collaborazione tra i soggetti.

Si pensi, ad esempio, alla violenza senza precedenti esercitata dalle organizzazioni criminali organizzate, come le mafie, e all’oppressione che ne deriva, destinata ad accrescersi in mancanza di una rivolta collettiva motivata dalla solidarietà tra i soggetti. In particolare, il concetto di solidarietà proposto da Camus potrebbe rivelarsi utile a risanare (quindi a cercare di superare) la condizione di crisi della partecipazione collettiva presente in Italia attualmente, evitando che i soggetti siano ridotti all’omertà (autodistruttiva), nei confronti di coloro che sono oppressi dalle mafie o, ancora peggio, a soddisfare l’istinto rivoluzionario (ed omicida) di farsi giustizia da sé, in mancanza di un intervento da parte delle istituzioni preposte ad operare in tal senso.


  1. Sull’approccio filosofico di Albert Camus si veda, in particolare: J. Sarocchi, Albert Camus Philosophe, in «Les critiques de notre temps et Camus», Garnier Fréres, Paris, 1970, p. 131-136. ↩︎

  2. Cfr. S. Zeppi, Camus un uomo in rivolta, Nuova Accademia, Milano 1961, p.11; Per un parallelo tra Camus e Dostoevskij sul tema della rivolta si veda, in particolare, E. Sturm, Conscience et Impuissance chez Dostoevskij et Camus, Librairie A. G. Nizet, Paris 1967, p. 83-92. ↩︎

  3. A. Camus, L’uomo in rivolta, Bompiani, Milano 2002. [In questo saggio, faremo riferimento a tale testo utilizzando l’abbreviazione R]. ↩︎

  4. Quest’opera condusse alla rottura di Camus con la rivista Les temps modernes, il cui comitato direttivo includeva Jean Paul Sartre. La fine del sodalizio tra i due provocò una divisione nell’ opinione intellettuale francese dell’epoca. ↩︎

  5. «Una volta ammise di ritenere il giornalismo “una delle più belle professioni che conosco”». J. Guerin, Camus The journalist, in «The Cambridge Companion to Camus», E. J. Hughes (a cura di), Cambridge University Press, Cambridge 2007, p. 79. ↩︎

  6. Cfr. C. C. Robinson, Theorizing Politics After Camus, in «Human studies», n. 32, 2009, pp. 1-18. In particolare si veda pp. 16-18. ↩︎

  7. R, p. 17. ↩︎

  8. Ivi, p. 18. ↩︎

  9. Ivi, p. 19. ↩︎

  10. Ibid. ↩︎

  11. Sulla problematizzazione dell’interconnessione tra religione e politica nel pensiero di Camus, si veda R. L. LeBanc, C. M. Jones, Space/place and home: prefiguring contemporary political and religious discourse in Albert Camus’s The Plague, in «Contemporary Political Theory», n. 2, 2003, pp. 209-230. ↩︎

  12. R, p. 25. ↩︎

  13. Cfr., S. E. Bronner, Camus: Portrait of a Moralist, The University of Chicago Press, London 2009, 55-73. ↩︎

  14. R, p. 27. ↩︎

  15. Ivi, p. 33. ↩︎

  16. F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari-Roma 1996, p. 81. ↩︎

  17. Ad ogni modo, come sostiene Antoon Leenaars, la visione di Camus sul suicidio non ha connotazioni puritane, difatti, «per Camus, il diritto al suicidio era connesso alla questione esistenziale della nostra esistenza. Egli credeva che il diritto al suicidio fosse più che un diritto: era la definizione del nostro essere». A. A. Leenaars, Suicide and Human Rights: A Suicidologist’s Perspective in «Health and Human Rights», Vol. 6, No. 2, Violence, Health, and Human Rights (2003), pp. 128-148. In particolare, si veda p. 140. ↩︎

  18. C. Davis, Violence and ethics in Camus, in «The Cambridge Companion to Camus», E. J. Hughes (a cura di), Cambridge University Press, Cambridge 2007, p. 113. ↩︎

  19. R, p.114. ↩︎

  20. Ivi, p. 116. ↩︎

  21. Ivi, p. 117. ↩︎

  22. Ivi, p. 150. ↩︎

  23. Ivi, p. 150. ↩︎

  24. Ivi, p. 267. ↩︎

  25. Sulla critica di Camus al marxismo si veda W. E. Duvall,, Albert Camus against history, «The European Legacy», Volume 10, n. 2 Aprile 2005 , pp. 139 - 147. ↩︎

  26. R, p. 268. ↩︎

  27. Ivi, p. 273. ↩︎

  28. Ivi, p. 307. ↩︎

  29. Ibid. ↩︎

  30. Ibid. ↩︎

  31. Ibid. ↩︎

  32. Ivi, p. 310. ↩︎

  33. Ivi, p. 311. ↩︎

  34. Ibid. ↩︎

  35. Ivi, p. 312. ↩︎

  36. Ivi, p. 313. ↩︎

  37. Ivi, p. 315. ↩︎

  38. Ivi, p. 318. ↩︎

  39. Ivi, p. 320. ↩︎

  40. Ivi, p. 329. ↩︎

  41. S. Zeppi, op. cit., p. 166 ↩︎

  42. Ivi, p. 123 ↩︎

  43. R, p. 17. ↩︎

  44. Ivi, p. 19. ↩︎

  45. Cfr. G. Hourdin, Camus le juste, Les Éditions du Cerf, Paris 1960, p. 56. ↩︎

  46. R, p. 310. ↩︎

  47. S. Skrimshire, A political theology of the absurd? Albert Camus and Simone Weil on Social Transformation, «Literature & Theology», Vol. 20 No. 3, September 2006, pp. 286-300, p. 290. ↩︎