Raramente la filosofia di Simone Weil è annoverata tra quelle dei pensatori politici più importanti del novecento. Questo, purtroppo, non soltanto perché le sue argomentazioni si caratterizzarono per le posizioni estremamente originali da lei assunte, ma soprattutto perché lei espresse la propria visione filosofica principalmente attraverso la militanza politica1 e l’approfondimento di casi storici particolari.2 Pertanto, è importante che un’analisi concettuale che fa riferimento al suo pensiero non trascuri gli esempi storici di azione politica pratica da lei espressamente considerati.
Per quanto concerne, in particolare, il concetto di oppressione Weil ha trattato nei suoi scritti il tema della formazione della stessa e in che modo sia possibile opporsi ad essa. In alcune parti del suo saggio Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale3 Weil si sofferma accuratamente sull’evolversi delle forme specifiche di oppressione nei diversi periodi della storia umana. Al centro della riflessione proposta in questa sede vi sono le implicazioni di natura filosofico — politica del suo lavoro sul tema specifico dell’oppressione in società e circostanze storiche diverse. Le considerazioni che ne derivano verteranno in particolare sul mutamento delle condizioni di vita in società sempre più complesse.
1. Calcolare l’oppressione: quale scarto tra modello ipotetico e realtà?
Tra gli eventi storici Weil considera a titolo esemplificativo l’esperienza della rivoluzione francese, pur senza elogiarne i risultati. In tale circostanza il Terzo Stato4 espresse la riprovazione radicale nei confronti dell’ancien régime mediante la lotta armata, ma in seguito fu a sua volta sconfitto. In particolare, nell’esempio citato a una vecchia forma di oppressione ne subentra una nuova.
La riflessione su questa esperienza storica, secondo Weil, condusse anche Marx5 a considerare che non è possibile sopprimere l’oppressione finché sussistono le cause che la rendono inevitabile. Weil identifica tali cause nelle condizioni materiali dell’organizzazione sociale. Tuttavia, in proposito ella osserva che i marxisti hanno descritto solo parzialmente la nascita del meccanismo che produce l’oppressione, «stabilendo che essa corrisponde a una funzione nella lotta contro la natura».6 In tal senso, la riflessione marxista si rivela troppo astratta per fungere da guida per delle analisi concrete sul problema dell’oppressione in specifici contesti.7
Pertanto, Weil suggerisce di definire come limite ideale alcune condizioni ipotetiche che consentirebbero ad un’organizzazione sociale di svilupparsi senza generare oppressione. L’immagine così prodotta può essere posta a confronto con le situazioni concrete dei luoghi in cui si produce l’oppressione, in modo tale che si possa cercare di avvicinarsi a un modello ideale. Da questo confronto tra una situazione ideale e la realtà, secondo Weil, emergerebbero le irresponsabilità degli individui e sarebbe, così, possibile produrre nei loro confronti un’azione politica. Il tipo di approccio che Weil cerca di promuovere non necessita solo di riflessioni approfondite, ma anche di studi di carattere storico e tecnico che evidenzino in che modo nella storia e nella vita quotidiana odierna le persone subiscono l’oppressione.8 Non di meno, occorre prestare attenzione al modo in cui si è cercato, in passato, di opporsi all’oppressione con l’attivismo politico. Tuttavia, anche se «molti diritti sono stati conquistati nelle società democratiche attraverso un coraggioso attivismo — le otto ore di lavoro al giorno, il voto per le donne, […] la teoria democratica contemporanea raramente riflette sul ruolo della manifestazione e dell’azione diretta».9 Questo elemento invece, connota la filosofia politica di Weil, rendendola peculiare.
Per determinare quale possa essere la soluzione migliore per ridurre le azioni oppressive che quotidianamente affliggono la società è necessario avere prodotto un modello ideale da porre a confronto con la situazione reale, così da valutare in che misura quest’ultima se ne discosta. Sembra quasi che la proposta di Weil sia quella di immaginare che sia possibile calcolare uno ‘scarto’tra il modello ipotetico di buona società e le oppressioni che si riscontrano nella realtà o che si sono formate nel passato. Nel passo che segue, Weil esprime al meglio la finalità a cui mira la comparazione tra il modello reale e quello ideale:
fin quando non si è definito il peggio e il meglio in funzione di un ideale chiaramente e concretamente concepito e di conseguenza non si è determinato il margine esatto delle possibilità, non si sa qual è il male minor, e perciò si è costretti ad accettare sotto questo nome tutto ciò che impongono di fatto coloro che detengono la forza, perché qualsiasi male reale è sempre minore rispetto ai mali possibili che un’azione non calcolata rischia sempre di provocare.10
Sebbene Weil riconosca che Marx abbia colto la natura nascosta dell’oppressione, ella sostiene che nel marxismo manca, tuttavia, la proposta di un modello ipotetico al quale rapportare la realtà; per tale motivo, il marxismo si sarebbe in fine rivelato di scarso aiuto per proporre uno studio concreto che affrontasse il problema dell’oppressione.11
2. Società primitive versus società complesse: dalle divinità naturali a quelle umane
Partendo da una riflessione di natura storica sull’economia,12 Weil osserva che in tutte le organizzazioni sociali che la storia ci presenta, è raro che non emergano tracce di oppressione. In particolare, secondo Weil le forme di oppressione sono meno evidenti in quelle organizzazioni sociali semplici con un basso livello di produzione e il cui sistema economico è privo di una struttura complessa.13 Da questa osservazione ne deriva che tra una forma primitiva di economia e una forma complessa non vi è solo una differenza organizzativa, ma si può affermare che esse abbiano natura diversa.
Nelle forme primordiali di produzione il procacciamento delle risorse — mediante attività quali la pesca, la caccia, la coltivazione della terra — è una diretta conseguenza dei bisogni naturali fondamentali avvertiti dagli individui. In questo stadio di base, gli individui sono liberi nei riguardi degli altri perché ciascuno è in contatto con le proprie esigenze ed è asservito al dominio della natura. Quest’ultima, in alcune fasi della storia antica viene considerata una divinità. Con l’aumentare della complessità sociale, il potere esercitato dalla natura è sempre meno immediato. In questa fase gli individui apprendono come soddisfare le proprie esigenze future a prescindere dagli eventi naturali incerti, mediante la conservazione delle scorte. La natura comincia, così, a perdere parte del suo fascino divino, mentre il divino acquisisce forme umane. Dopo averci condotto a effettuare questo tipo di riflessione, Weil osserva che, in realtà, anche nelle fasi in cui l’economia si organizza in forme più complesse l’azione umana continua ad essere determinata, comunque, dalle necessità immediate, sebbene in questo stadio evolutivo ogni individuo «invece di essere tormentato dalla natura [. .] è ormai tormentato dall’uomo».14
3. Il privilegio oligopolistico e la sua instabilità
Ci sono tappe inevitabili nello sviluppo umano che, secondo Weil, conducono l’uomo comune a confrontarsi con le proprie condizioni di esistenza, con i sui sforzi e il risultato che ne deriva. Se tale risultato diviene proprietà altrui (invece di essere ripartito tra chi lo produce) si crea il privilegio.15 In particolare, il privilegio oligopolistico consiste nel fatto che pochi individui «[…] benché dipendano per vivere dal lavoro degli altri, hanno in mano la sorte di quegli stessi da cui dipendono […]».16 Questa è la prima condizione che, per Weil, conduce al formarsi dell’oppressione.17
Un esempio in tal senso deriva dalla ‘finta’disposizione delle forze della natura da parte dei componenti del clero, per mezzo dei riti religiosi di cui detengono l’oligopolio. Quest’ultimo si forma proprio perché tali riti sono sempre più numerosi e complessi per essere insegnati a chi non decida di dedicarvi la propria vita in modo esclusivo. Analogamente, in ambito scientifico l’erudito che si specializza in un particolare settore approfondendo una questione specifica riuscirà, probabilmente, a vedersi riconoscere dagli altri una competenza esclusiva in merito. Per riflettere approfonditamente sulle disuguaglianze conoscitive tra i pochi e la maggioranza, Weil considera l’esempio estremo in cui la maggior parte degli individui non dispone di armi, il che rende loro impossibile opporsi a coloro che, invece, hanno questo privilegio, unitamente a una pratica e una conoscenza sufficiente per utilizzarle efficacemente. Probabilmente, le riflessioni di Weil appena riportate intendono condurci ad interrogarci sulla divisione del potere in una collettività. Le implicazioni di natura filosofica — politica che ne conseguono riguardano principalmente il problema delle disuguaglianze.
Ad ogni modo, come osserva Andreas Teuber,18 il concetto di ‘eguaglianza’non è utilizzato da Weil nell’accezione classica. Ella considera, infatti, l’eguaglianza come «un certo tipo di attenzione» nei confronti della nozione di un essere umano e della sua esistenza; al contempo essa è il modo mediante il quale consideriamo noi stessi e gli altri. Dunque, ciò che l’eguaglianza è per Weil, appare simile a ciò che Kant19 chiama ‘il rispetto degli individui’.20
Per Weil, proporre mediante degli esempi un confronto duro ed estremo tra i pochi privilegiati e la maggioranza è utile a spostare gradualmente sul piano economico l’attenzione per la questione delle disuguaglianze. In particolare, ella considera che se la maggior parte dei lavoratori non vive di ciò che produce, ma è costretta a scambiarlo almeno in parte con quanto prodotto dagli altri, l’organizzazione degli scambi diviene, dunque, oligopolio di alcuni specialisti, i quali detengono una posizione privilegiata dovuta alla loro disponibilità esclusiva di moneta. In generale, Weil sostiene che se vi sono individui che detengono maggiori privilegi degli altri ciò equivarrà a dire che i primi possono esercitare forme di oppressione sui secondi.
È possibile fornire un supporto visivo alle riflessioni appena esposte sul tema della disuguaglianza, ricorrendo a una nota modalità di rappresentazione grafica di un sistema all’interno del quale operano dei privilegi oligopolistici analoghi a quelli considerati da Weil. In particolare, la ‘curva di Lorenz’si presta all’analisi di diverse situazioni storico-politiche in cui la disuguaglianza all’interno di una collettività può essere esplicitata dal punto di vista quantitativo avendo tipicamente come dimensioni di riferimento la popolazione e la ricchezza da questa detenuta. Nell’esempio ipotetico in Fig. 1 si riporta sull’asse delle ascisse la percentuale della popolazione (P) e su quello delle ordinate la percentuale di ricchezza (R). Il punto A sulla curva sta a indicare che, in base alle sue coordinate, all’interno del sistema considerato il 75% della popolazione detiene solo il 25% della ricchezza complessiva. Pertanto, da questo tipo di elaborazione è agevole evincere che una minoranza oligopolistica, pari al restante 25%, della popolazione detiene il resto della ricchezza complessiva, che nel caso qui considerato consiste nella quota più rilevante, pari al 75%. (Una situazione di eguaglianza corrisponderebbe, invece, al punto A’ sulla retta a 45º nella Figura 1).
Figura 1. Esempio di curva di Lorenz
Se per ipotesi fosse possibile quantificare i privilegi di chi detiene posizioni oligopolistiche, seguendo le considerazioni di Simone Weil una curva come quella illustrata nella Figura 1 sarebbe, probabilmente, sintomatica del fatto che in una certa collettività la maggior parte degli individui sia assoggettata a qualche forma di oppressione. Se vi è un limite nelle osservazioni di Simone Weil, probabilmente è quello di ritenere che l’oppressione operi soltanto in contesti in cui delle minoranze oligopolistiche detengono dei privilegi. Nell’esempio storico della Rivoluzione Francese da lei considerato, questo assunto è corretto e la sua analisi si rivela utile ad una riflessione filosofico — politica sull’operare del potere nella modernità . Infatti, in quello specifico contesto storico solo in pochi potevano usufruire dei privilegi, mentre la maggioranza era oppressa da quei pochi. Tuttavia, se osserviamo perspicuamente la varietà di modi in cui il potere può tradursi in forme di oppressione vediamo che in alcuni contesti non è la maggioranza ad essere oppressa ma, al contrario, tale condizione è esperita da una minoranza alla quale sono preclusi determinati privilegi e che, per tale motivo, costituisce l’oggetto di discriminazioni. È possibile supportare quanto asserito con riferimento, ad esempio, all’ambito religioso, che rientra — assieme alla conoscenza scientifica e al coordinamento degli scambi monetari — tra quelli considerati espressamente da Weil. In tale ambito vi sono evidentemente delle situazioni in cui ad essere oppresse sono le minoranze. Si pensi ai doveri e alle coercizioni a carico delle minoranze religiose in quegli stati in cui è presente una maggioranza religiosa particolare. Ad esempio, l’influenza esercitata in Italia dalla religione cattolica ha un ruolo di grande rilievo nell’attuale mancanza di riconoscimento delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali, con ripercussioni non trascurabili per la minoranza composta da coloro che non si conformano a tale credo. Un ulteriore esempio è dato dal fatto che l’obbligo di indossare il velo come copricapo per le donne islamiche che vivono, ad esempio, in Arabia saudita vige anche per quella minoranza di donne che non condivide tale imposizione.
Nel caso considerato da Weil, che può essere rappresentato come in Figura 1, la maggioranza è oppressa da una minoranza che detiene in modo esclusivo un determinato privilegio che, come abbiamo osservato prima, è per Weil il fattore primario nel determinare l’oppressione. Il secondo fattore che determina l’oppressione non nasce della necessità di soddisfare dei bisogni ma dal ‘desiderio di potenza’.
L’individuo che raggiunge uno stadio in cui detiene il potere, dovrà difenderlo dai propri rivali ma anche dai propri sottoposti, i quali tenderanno a contrapporsi a chi esercita su di loro l’oppressione. Nonostante, appaia impossibile contrapporsi a un sistema all’interno del quale chi detiene il potere non lo condivide con gli altri, ma lo conserva mediante la loro oppressione, Weil indica due modi in cui è possibile opporsi al desiderio di potenza:
- Promuovere una politica che miri all’eliminazione delle ineguaglianze;
- Favorire la formazione di un potere che faccia da arbitro tra chi comanda e chi è comandato.
Sono questi i due modi in cui il sistema oppressivo può essere contrastato. A questo riguardo, l’analisi di Weil diviene più acuta. Difatti, ella osserva che il contesto in cui un soggetto o pochi soggetti detengono il potere è artificialmente imposto:
sarebbe diverso se un uomo potesse possedere in sé stesso una forza superiore a quella di molti altri insieme; ma non è così; gli strumenti del potere, armi, oro, macchine, segreti magici e tecnici, esistono sempre al di fuori di colui che ne dispone, e altri possono impadronirsene.21
Pertanto, da questa osservazione emerge come, secondo Weil, il potere non sia detenuto da alcuni soggetti in virtù delle loro particolari qualità — che non si connoterebbero, dunque, come migliori o speciali rispetto a quelle di chiunque altro — ed è per questo che qualcuno può essere in grado di prendere il loro posto nell’esercizio del potere. Per questa ragione il potere è «instabile». Difatti, talvolta nel corso della storia è accaduto che un gruppo di oppressi riuscisse a contrapporsi ai propri oppressori. In altri casi, invece, tale contrapposizione nei confronti di una forma di oppressione non ha condotto alla liberazione dalla stessa. Talvolta può anche verificarsi un inasprimento della forma di oppressione nei confronti di coloro che vi si oppongono. In quest’ultimo caso colui che esercita l’oppressione, avvertendo una minaccia al suo potere, sarà condotto, secondo Weil, ad affermare con maggior vigore la propria forza, temendo di perdere i privilegi acquisiti.
La visione di Weil sembra tener conto delle effettive difficoltà e delle reali possibilità di successo che si riscontrano nel momento in cui dei soggetti si risolvono ad affrontare un oppressore e quindi dei numerosi fallimenti in cui questi incorreranno nel tentativo ottenere la pari dignità umana.22 Nel caso in cui gli oppressi riescano ad ottenere i risultati sperati nella lotta contro l’oppressore, per Weil ciò potrebbe risolversi, tuttavia, nel far avvicendare alla vecchia forma di oppressione una nuova. Nella situazione in cui non si riesca ad ottenere altro che un peggioramento della propria condizione, Weil sostiene che occorre, tuttavia, considerare attentamente entro quali limiti è possibile che l’oppressione possa aggravarsi. Se, come abbiamo osservato precedentemente, ad una forma di oppressione può sostituirsene un’altra ciò 1) non elimina le ineguaglianze, né 2) favorisce la formazione di un potere che faccia da arbitro tra chi opprime e chi è oppresso. Operando, invece, nelle due condizioni sopra considerate è necessario, secondo Weil, considerare dei ‘limiti’oltre i quali l’esercizio del potere non può spingersi.
4. La rivoluzione come graduale trasformazione
Le osservazioni precedentemente esaminate conducono a chiedersi in quali circostanze è possibile affermare che chi detiene dei privilegi oligopolistici stia ‘oltrepassando dei limiti’. Questa formulazione del problema potrebbe generare l’impressione che vi siano delle situazioni in cui l’oppressore debba attenersi a dei ‘limiti’e che, perciò, in altri casi questi possa non tenerne conto — risultando in qualche modo ‘legittimato’ad opprimere gli altri. Sulla base della discussione sinora condotta sul tema dell’oppressione, non sembra essere negli intenti di Weil riconoscere che vi sia un ‘livello’o una ‘tipologia’di oppressione che può essere consentito. O meglio, per Weil l’oppressione ha sempre (ad ogni livello e forma di espressione) una connotazione estremamente immorale. Pertanto, le riflessioni che ella propone riguardo i citati ‘limiti’sono volte a sottolineare soltanto che l’imposizione del potere trova un ‘limite’nelle situazioni che esso non è in grado di gestire.
In particolare, nei regimi politici oppressivi accade che l’esercizio del potere non sia limitato a ciò che si è in grado di controllare realmente e in modo diretto. Se si cerca di imporre il proprio potere anche laddove non si è in grado di farlo, ciò potrebbe provocare reazioni impossibili da prevedere. Weil ritiene che nel momento in cui vi è il rovesciamento dei rapporti di forza si formino i presupposti che possono condurre alla rivoluzione. Secondo Weil ciò che intendiamo per rivoluzione è la vittoria della debolezza sulla forza. Per questo, come ella osserva, la rivoluzione sembra qualcosa di «inconcepibile».23 Da una prospettiva storica, infatti, la rivoluzione è soltanto un evento legato a una catena di accadimenti che formano un processo di trasformazione graduale. Ottenere un cambiamento significherebbe, perciò, esercitare una influenza graduale in diversi ambiti, ad esempio, nel senso di un cambiamento etico, politico e culturale. Ad ogni modo, ciò che osserva Weil è che in ogni contesto in cui hanno luogo tali trasformazioni non si perviene alla eliminazione dell’oppressione. Anche i nuovi rapporti di forza che vengono a formarsi possono recare con sé nuovi tipi di oppressione. In proposito, Weil osserva che «non c’è mai una vera e propria rottura di continuità, neppure quando la trasformazione del regime sembra l’effetto di una lotta sanguinosa».24
5. Società progredite e condizione servile dell’uomo
Anche in una società complessa in cui vi è progresso, tuttavia, «l’uomo non è uscito dalla condizione servile nella quale si trovava quando era esposto, debole e nudo a tutte le forme cieche che compongono l’universo».25 In tal modo, Weil sembra criticare il progresso materiale,26 sostenendo che esso non conduce sempre a risultati positivi per gli esseri umani e che non dobbiamo considerarlo come un ‘dono del cielo’in ogni contesto. Qui emerge nuovamente in Weil quella distinzione tra natura e progresso, già tracciata all’inizio della trattazione, sulla quale si è scelto di incentrare l’attenzione in questa sede al fine di approfondire le riflessioni dell’autrice sul tema dell’oppressione.
Come già osservato, per Weil in una fase storica primordiale la divinità consacrata è la natura. Essa è riconosciuta come necessaria per sopravvivere. Nelle società complesse, invece, le divinità sono altre e possono incarnarsi nella scienza, nel progresso, o nell’uomo stesso.
È agevole immaginare come, in una società preistorica, l’esigenza di provvedere al proprio sostentamento fosse la sola motivazione a spingere l’uomo a cercare del cibo. Il modo in cui tale ricerca era condotta poteva derivare dalle disposizioni impartite dagli educatori con i quali esso viveva nel contesto in cui si trovava. In questo caso, secondo Weil, «l’uomo deve solo cercare la sua natura, non vincerla».27 Tuttavia, in queste riflessioni Weil non definisce il concetto di natura e, inoltre, non è suo intento quello di affermare che ciò che è natura (in qualsiasi modo lei intendesse tale termine) debba considerarsi necessariamente migliore di ciò che non lo è. In particolare, in una civiltà che si trova in uno stadio più progredito, secondo Weil gli uomini non avvertono la necessità di andare alla ricerca del cibo qualora ne dispongano facilmente. In tale contesto i soggetti impiegano, piuttosto, le proprie forze in lavori in apparenza sterili. Tuttavia, questi lavori si rivelano molto più produttivi di quanto non sia stato l’operato dell’uomo primitivo. Ma tale produttività non è sempre immediata e la sua efficacia, peraltro, può non ricadere sull’individuo stesso, ma su sui posteri.
Possiamo in conclusione osservare che la visione di Simone Weil che emerge dal confronto tra società complesse e società primitive ci ha condotti, in primo luogo, a considerare che il progresso non migliora necessariamente la condizione di vita di ogni uomo. La prova di ciò è, come abbiamo visto, che nelle società contemporanee gli individui possono subire delle forme di oppressione. In secondo luogo, quanto sostenuto non conduce a ritenere, tuttavia, che le condizioni di vita nelle società primitive siano in ogni caso preferibili a quelle sviluppatesi nelle società complesse. Questo poiché anche in società primordiali e semplici è possibile che abbiano luogo forme di oppressione. In particolare, queste sono esercitate dalla natura e non dall’uomo. Soffermarsi sulla distinzione tra società primitive e società complesse si è rivelato utile in questa sede per evidenziare quale sia stato l’evolversi delle forme specifiche di oppressione nei diversi periodi della storia umana.
Da un lato, le implicazioni di natura filosofico-politica che emergono dalle riflessioni di Weil a cui si è fatto riferimento suggeriscono di affrontare il problema dell’oppressione mediante la proposta di un modello concreto che sia proiettato nel contesto specifico in cui esso dovrebbe operare. Al contempo, però, sembra che per Weil, la vittoria della debolezza sulla forza -in particolare dell’oppresso sull’oppressore — sia «inconcepibile».28 Questo, tuttavia, nella prospettiva storica si risolve nella constatazione che la vittoria di coloro che subiscono l’oppressione su coloro i quali la esercitano non è immediata. In questa prospettiva, un progetto concreto che influisca su una catena di accadimenti può condurre a una trasformazione rivoluzionaria. Infatti, il cambiamento rivoluzionario è, in ultima analisi, per Weil, un processo di trasformazione graduale.
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Come osserva P. Lewis, «l’impatto percepibile che lei ebbe sulla libera politica francese derivò da un saggio che scrisse all’inizio del 1943 che incoraggiava de Gaulle a istituire il Consiglio Nazionale della Resistenza». Cfr., in proposito, P. Lewis, In a lonely place, in «History Today», vol. 59, no. 2, (Feb 2009), pp. 32-38. ↩︎
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Vedi J. C. Eaton, Simone Weil and Feminist Spirituality, in «Journal of the American Academy of Religion», Vol. 54, No. 4 (Winter, 1986), pp. 691- 704. Eaton in particolare osserva che «non era una femminista, se per «femminista» intendiamo una persona che agisce in modo auto-cosciente per interpretare l’esperienza umana alla luce dell’esperienza della donna. La sua breve vita è stata interamente segnata da un attivismo sociale e politico, sempre dalla parte degli oppressi, ma nel tumulto della Grande Depressione e della Seconda Guerra Mondiale l’oppressione della donna non è stato un argomento direttamente affrontato da Weil. Le problematiche delle quali scrisse erano in primo luogo socio-politiche. Ella criticò Marx e il Marxismo come un amico compassionevole degli intenti marxisti di trasformare le condizioni di ingiustizia che gravavano sulle masse. Il suo attivismo politico e la sua contemplazione del «meccanismo sociale», in particolare del modo in cui il meccanismo operava con riferimento alle vite dei membri delle classi lavoratrici, la misero in condizione di concludere che la forza era futile come mezzo di liberazione umana, che la purificazione della vita umana da tutto ciò che è oppressivo richiede un potere che non è di questo mondo, un potere che è sovrannaturale», p. 692; Sull’approccio di Weil alle problematiche femministe è stata effettuata anche una comparazione con la filosofia femminista di Simone De Beauvoir; su questo vedi : J. Duran, The two Simones in «Ratio (new series)» XIII 3 September 2000. «Simone Weil e Simone de Beauvoir sono due delle più note pensatrici del ventesimo secolo. L’influenza di ciascuna di loro sul pensiero francese, sulla filosofia e sulla cultura post-bellica in generale non può essere sottovalutata», p. 201. ↩︎
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S. Weil, [1955] Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi 2008. [In questo saggio, faremo riferimento ad esso utilizzando l’abbreviazione, RLO]. ↩︎
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La società francese di fine settecento era suddivisa in tre ordini: l’aristocrazia, il clero e il Terzo Stato. Quest’ultimo rappresentava soprattutto i francesi borghesi che non erano né nobili né ecclesiastici. ↩︎
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Sulla critica al marxismo da parte di Weil ci sono diversi contributi. In particolare, per una dettagliata analisi in proposito puoi vedere, Roy Pierce Sociology and Utopia: The Early Writings of Simone Weil,in «Political Science Quarterly», Vol. 77, No. 4 (Dec., 1962), pp. 505-525; Oppure, L. Patsouras, Simone Weil and socialist tradition, Mellen Research University Press, San Francisco 1992, in particolare, pp. 82-87. ↩︎
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RLO, p. 40. ↩︎
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RLO, p. 42. ↩︎
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RLO, p. 43. ↩︎
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I. M. Young, Activist Challenges to Deliberative Democracy in «Philosophy of education», (2001), 41-55; In particolare vedi, p. 41. ↩︎
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RLO, pp. 43- 44. ↩︎
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RLO, p. 44. ↩︎
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Cfr., A. Heifetz, E. Minelli, An Economic Theorists’ reading of Simone Weil, «Economics and Philosophy», 24 (2008) 191-204. ↩︎
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RLO, p. 45. ↩︎
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RLO, p. 46. ↩︎
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Cfr. E. Andrew Simone Weil on the Injustice of Rights-Based Doctrines, «The Review of Politics», Vol. 48, No. 1 (Winter, 1986), pp. 60-91, p. 70. ↩︎
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RLO, p. 47. ↩︎
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Ivi, p. 47. ↩︎
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A. Teuber, Simone Weil: Equality as Compassion in «Philosophy and Phenomenological Research», Vol. 43, No. 2 (Dec., 1982), pp. 221-237. ↩︎
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A. Teuber osserva in proposito che «A differenza di Kant, tuttavia, in cui il rispetto per una persona è rispetto nella misura in cui si possa dire che questa abbia una natura razionale, per Weil il rispetto dell’altro deve essere “nella sua interezza”». Sul concetto di eguaglianza in Weil vedi A. Teuber, Simone Weil: Equality as Compassion in «Philosophy and Phenomenological Research», Vol. 43, No. 2 (Dec., 1982), pp. 221-237; in particolare, p. 223. ↩︎
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«Riconoscere l’altro come persona significa amarlo senza riserve e questo amore è inspiegabile poiché è spontaneità e generosità. Acconsentire senza riserve all’esistenza dell’altro, secondo Weil, significa essere disposti ad accettare, in suo favore, una diminuzione del proprio essere». M. Corbascio Contento, Scienza, etica e religione nel pensiero di Simone Weil, Levante Editori, Bari 1992, p. 161. ↩︎
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RLO, p. 52. ↩︎
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Come è stato osservato «é evidente l’influenza esercitata dal pensiero di Rousseau sulla riflessione della Weil, la quale in Oppression et libertè tenta di analizzare il meccanismo che porta l’uomo a soggiacere alla schiavitù sociale e i tentativi per liberarsi da essa. Simone Weil delinea una progettazione politica della condizione umana nella quale il lavoro, da forma di oppressione quale era soprattutto nelle fabbriche, potesse diventare il principio di un legame profondo e armonico con il proprio mondo e con la materia» M. Corbascio Contento, Scienza, etica e religione nel pensiero di Simone Weil, Levante Editori, Bari 1992, p. 29-30. ↩︎
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RLO, p. 66. ↩︎
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RLO, p. 66. ↩︎
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RLO, p. 70. ↩︎
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«La tecnologia in se, per Weil, aveva contribuito a perpetuare l’oppressione perché essa rifletteva necessariamente relazioni socio-economiche inique tra lavoro e capitale ed era pertanto volta a costringere i lavoratori ad accettare le richieste intemperanti del capitale, che li svilivano e li demoralizzavano, nello specifico lasciando che l’inferno della velocità e della ripetizione uccidesse le loro anime e le loro menti». L. Patsouras, Simone Weil and socialist tradition, Mellen Research University Press, San Francisco, 1992, p. 24. In proposito vedi anche l’approfondimento fornito da L. Patsouras, p. 83. ↩︎
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RLO, p. 71. ↩︎
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RLO, p. 66. ↩︎