Andrea Muni, Legge e Libertà. La Filosofia dell’Educazione in Edda Ducci, presentazione di Cristóbal Solares, prefazione di Rossella Pisconti, Limina Mentis, Villa Santa 2012.
Il libro di Andrea Muni su Edda Ducci e la Filosofia dell’educazione costituisce una sintesi assai dettagliata del pensiero ducciano. Questa sintesi, da un lato, ci introduce al pensiero della Ducci, dall’altro tenta di stimolarci all’esercizio del pensiero e alla riflessione su quei temi fondamentali ai quali la Ducci, nei suoi scritti, ci apre: è, quella del Muni, un’indagine interrogante, che incalza continuamente il pensiero dell’Autrice.
Il pensiero della Ducci ci è presentato nella sua formazione prima che nei suoi contenuti, è un pensiero fortemente legato alla biografia dell’Autrice, biografia che minuziosamente viene esposta ed esaminata nei suoi significati e valenze.
Di particolare significato l’esperienza drammatica della guerra e dei totalitarismi, tragica espressione di una tendenza alla massificazione e all’omologazione capace solo di distruggere l’uomo, pianificando in un ordine monocolore, grigio, povero ed astratto l’enorme e variopinta ricchezza che può sgorgare dall’intimo di ogni persona. La Ducci si mostrò sempre contraria ad ogni forma di omologazione spersonalizzante, e a tale convinzione contribuì senza dubbio la formazione culturale e filosofica, ma anche la tragica esperienza della guerra e della dittatura, che il Muni opportunamente sottolinea. A quest’avversione per l’omologante, nemico dell’umanante, si aggiunge uno spirito a-sistematico, assai critico nei confronti dei sistemi filosofici che organizzano ed unificano, rischiando però di uniformare eccessivamente una realtà dinamica e variopinta. Non si deve pianificare, si deve edificare.
Grande importanza, per la Ducci, ebbero i suoi maestri, pensatori grandissimi del XX secolo, che stimolarono in lei non solo gli interessi culturali, ma anche la radicale attenzione rivolta all’autenticità personale e ad un sapere che non fosse solamente accrescimento di nozioni, bensì liberazione delle proprie autentiche potenzialità, della irripetibile vocazione personale. Tra i maestri vanno annoverati in primo luogo la Tincani, poi il Corallo, il Rossano e il Fabro.
Corallo era grande conoscitore del mondo antico e delle lingue antiche: greco, latino, ebraico, aramaico e arabo. Fu lui che iniziò la Ducci alla pedagogia, anche se le linee seguite dai due furono differenti: il primo seguiva il filone delle teorie novecentesche anglosassoni, la seconda era di ispirazione metafisica e sistematica.
Luigia Tincani fu la fondatrice della Congregazione a cui appartenne la Ducci, le «missionarie della Scuola», fu la sua «maestra», la vera ispiratrice. Le insegnò a vivere nel mondo senza essere del mondo, le prospettò il luminoso orizzonte della libertà dal finito, dall’oggettivo, dal terreno, come grande risposta alla secolarizzazione e scristianizzazione. Alla formazione del pensiero della Tincani furono essenziali due grandi giganti della fede: San Domenico di Guzman e Santa Caterina da Siena. La Tincani insegnò alla Ducci come la scienza oggettiva abbia dei limiti nella comprensione dell’umano e come l’autentica educazione del mistero che è l’uomo debba stimolare la capacità di amare.
Coetaneo e maestro della Ducci fu Mons.Pietro Rossano, teologo e biblista, che si interessò molto del dialogo e dell’idea dell’homo religiosus: in ogni uomo c’è la verità e la religiosità. Ducci e Rossano affrontarono assieme le tematiche della «frontiera», tematiche poste al limite tra il divino e l’umano, tra il dicibile e l’indicibile. Il Dialogo non è mera tecnica, ma investe appieno il mistero dell’uomo.
Poi vi fu il Fabro, grande conoscitore di San Tommaso d’Aquino e grande interprete di Kierkegaard. Il Fabro, del quale la Ducci fu assistente, fu il suo punto di riferimento filosofico costante, prova ne è il grande interesse dell’Autrice per Kierkegaard. Dal Fabro ella recepì anche l’interesse per le radici metafisiche ed ontologiche dell’uomo, radici che liberano l’essere umano dal contingente e lo elevano a Dio, attraverso quella tensione dinamica tra finito e infinito, che caratterizza profondamente l’esistenza umana.
La Ducci, più che una semplice pedagogista ed educatrice, fu una filosofa dell’educazione, capace di soffermarsi non soltanto sui contenuti e sui metodi delle scienze dell’educazione, ma piuttosto sul senso profondo dell’educazione in seno all’essere dell’uomo. La sua formazione, prima filosofica che pedagogica, la aiutò e accompagnò in questo suo percorso riflettente-interrogante sul significato profondo dell’educazione in ordine alla profondità e verità dell’essere umano. La domanda educativa su come educare in modo migliore la persona si lega alla domanda ontologica sul mistero dell’uomo, sull’essere dell’uomo legato all’essere trascendente, fondamentale, non transeunte. L’essere dell’uomo ci appare come una dynamis, potenzialità ad aprirsi all’essere trascendente, intelligibile ed eterno; l’educazione deve esplicitare e favorire questa potenzialità, così come il buon agricoltore deve occuparsi del sano sviluppo della pianta, giacché l’uomo è una meravigliosa pianta celeste.
Dunque esiste un connubio tra l’essere dell’uomo, inteso come potenzialità feconda ad atti realizzativi e l’essere di Dio, tra il fondato ed il suo fondamento. Questo connubio deve essere compreso in chiave metafisica, nel senso di una chiave di lettura interiore, che mira alla comprensione del mistero umano non dal punto di vista sperimentabile, empirico, utilitaristico o pragmatistico, ma umanistico, spirituale. Di qui il riferimento alla tradizione, la quale si mostra essere sempre attuale nella misura in cui ci interroga sui fondamenti dell’essere umano, sul mistero della nostra interiorità.
La Ducci, nella sua opera pedagogica, si è sempre confrontata con la grande tradizione filosofica e letteraria dal punto di vista educativo, cioè dal punto di vista della domanda sulla autentica realizzazione dell’essere dell’uomo, sull’attualizzazione delle sue potenzialità, attualizzazione che è vera libertà. Solo la libertà può rappresentare l’autentica realizzazione della persona umana, al di là di ogni processo omologante o massificante; l’autenticità ed irripetibilità della persona, che è mistero, risulta incompatibile con ogni processo o dottrina che considera gli individui intercambiabili o sostituibili.
Il confronto ducciano con la tradizione deve essere letto in questa prospettiva: l’importanza che per l’Autrice ebbe Sofocle, il quale mise in primo piano il mistero dell’uomo, l’impotenza dell’ingegno, oltre quell’esaltazione della ragione che operò la sofistica. La Ducci interpretò opere come l’Edipo o l’Antigone, proprio in questa prospettiva di mistero, di insondabilità, di non piena oggettivabilità dell’uomo. L’essere dell’uomo, nella sua pienezza e nel suo mistero, si addentra nel mistero di Dio e nell’essere di Dio, realizzando un superamento del contingente, nella prospettiva del trascendente.
Il confronto con Aristotele e con le grandi categorie metafisiche dell’atto e della potenza avviene sotto la luce del concetto dell’umanazione, del divenire autenticamente essere umano e del realizzarsi come essere umano. L’uomo possiede delle potenzialità che debbono liberamente essere esplicitate, ne vale la pienezza ed il senso del proprio esistere, la sua irripetibile realtà.
Ma il confronto basilare, per la riflessione ducciana, risulta quello con il grande maestro Platone, il filosofo insuperabile, che più di ogni altro si oppose alla sofistica, ponendo al centro della sua riflessione filosofica il tema dell’educazione e del divenire uomo come liberazione verso l’essere. E tale essere in cui l’essere dell’uomo cresce e si eleva è l’essere trascendente.
Il confronto tra la Ducci e Platone è vivacissimo, si esercita come un autentico dialogare tra la vivente riflessione dell’Autrice e le opere del filosofo greco. La Ducci riesce a realizzare magistralmente l’autentica intenzione di Platone: stimolare il lettore a pensare per sé medesimo. L’Autrice ci ha offerto profondissime interpretazioni circa l’Apologia di Socrate, il Gorgia, il Teeteto, l’Alcibiade Maggiore, la Repubblica, il Menone, il Fedone, il Critone, la Lettera VII, il Crizia.
Dell’Apologia la Ducci sottolinea l’atteggiamento esistenziale e sapienziale di Socrate, alieno al sapere tecnico-razionale dei sofisti. Socrate ci fa capire come l’uomo si liberi e viva veramente da uomo interrogandosi e dialogando, e solo in tal modo scopra la sua autentica interiorità e libertà interiore. Questa libertà interiore ritorna come bene maggiore nel Gorgia, opera nella quale si esprime come la falsa sapienza sia il peggiore dei mali: la libertà interiore si raggiunge tramite il ricercare assieme e non tramite la persuasione sofistica ed antidialogica, che mira solo a confutare l’interlocutore. Nel Teeteto viene sviluppata questa contrapposizione tra la sofistica schiava dei piaceri del popolo, serva del popolo, e la vera filosofia, che mira, più che al consenso popolare, al conseguimento della verità e della libertà interiore.
Il filo conduttore dell’ermeneutica ducciana è sempre quello della libertà interiore e dell’irripetibile autenticità di ogni persona, il cui essere è un mistero che si enuclea in Dio e che dobbiamo sempre cercare, tramite l’educazione, il dialogo e l’amicizia, di «accendere». Il mito della caverna può essere l’emblema di questa vivace ermeneutica ducciana, in quanto in esso il tema dell’educare si lega al tema dell’essere, della libertà e della crescita di tale libertà nell’essere trascendente: l’uomo si eleva nel trascendente e si auto-trascende nel trascendente. Stimolo a tale spinta interiore è, appunto, il filosofo, che, nell’Alcibiade Maggiore, è colui che provoca nell’uomo un dissidio interiore ed un fermento che conducono al miglioramento della persona, un miglioramento liberante.
Il Muni, nella sua acuta indagine, sottolinea il nesso tra libertà, legge ed amore. Dobbiamo educare l’uomo non solo all’esercizio della libertà, ma anche al senso della legge: la sensibilità umana deve essere sensibile alla legge. La libertà autentica deriva da una educazione libera, liberatoria e liberante, e questa libertà è la libertà dal male che partecipa alla libertà di Dio: Dio ci rende liberi, perché ci creò liberi. La legge di natura e di cultura è superata dalla libertà, la quale ci permette di accedere al vero senso della legge: la legge divina inscritta nel cuore e nell’intimo dell’uomo. La legge è la presenza dello Spirito Santo dentro di noi, è la legge del Dio vivo, è, fondamentalmente, l’Amore. Nell’orizzonte di tale Amore operiamo quel cammino dalla legge alla grazia, nel quale natura e grazia si completano: la grazia non nega, ma salva la natura. Educare al senso della legge è stimolare l’anelito dell’anima verso la legge, far crescere l’anima e migliorarla.
Dunque l’opera di Muni è veramente originale, perché costituisce la prima analisi esplicita del pensiero ducciano, di una filosofia dell’educazione che può interrogarci e stimolarci a capire quanto l’autenticità e l’irripetibilità dell’essere umano siano preziosi, al di là di un mondo che tende al prassismo, al produttivismo, all’oggettività misurabile e, purtroppo, ad una massificazione che schiavizza l’uomo invece di liberarlo. Compito profondo dell’educazione è liberare l’uomo, liberare le potenzialità personali, fare in modo che queste risplendano di una luce irripetibile, riflesso, questa, di quel Dio inscritto nel cuore dell’uomo.
L’Autore mostra, per ciò che concerne i temi pedagogici e le tematiche dell’educazione, una grandissima preparazione e capacità critica di vagliare, alla luce degli stimoli ducciani, alcuni metodi del nostro odierno sistema educativo, che rischia di ricadere in una mera educazione prassistica al saper fare e al saper produrre, saperi matematizzabili, numerabili, ma probabilmente alieni a quella che dovrebbe essere una educazione liberante, una vera umanazione.
Oltre alla grande preparazione in campo pedagogico, l’Autore mostra una grande competenza nel campo filosofico, operando un continuo, vivace e puntuale confronto tra le grandi intuizioni ducciane e i grandi temi della tradizione filosofica. Si notano rimandi da Sant’Agostino a Boezio, da San Bonaventura e San Tommaso d’Aquino a Kierkegaard, e si tenta anche una nuova ed originale prospettiva ermeneutica, nella quale il pensiero ducciano possa essere interpretato in chiave agostiniana. L’autore ci propone dunque molti spunti di riflessione, in un testo denso, esteso ed assai ricco di suggestioni, e, altresì, puntuale e preciso nella trattazione dei temi e nella sintesi delle opere.
La bibliografia, così come il glossario, è assai nutrita e varia dal campo filosofico a quello pedagogico, manifestando la grandissima preparazione pedagogica e filosofica, abbinata alla ricca vivacità intellettuale, che si riflette in una scrittura chiara, capace di stimolare il lettore alla riflessione e alla ricerca.
L’opera del Muni può, altresì, considerarsi non soltanto un particolare invito allo studio e all’approfondimento del pensiero della Ducci, ma anche un generale stimolo a quella riflessione metafisica che oggi si sta riproponendo in tutta la sua urgenza ed attualità. I ricchi rimandi alla tradizione filosofica costituiscono come delle vie e delle prospettive ad una rinnovata metafisica, che si sappia porre in dialogo con la filosofia dell’educazione e con le tematiche antropologiche in generale.
In tal modo si può esplicitare e sviluppare, in una metafisica viva e attuale, quella dialettica tra la storicità e contingenza dell’uomo e la sua naturale vocazione alla trascendenza, vocazione nella quale ci si svela quella luce di Dio che brilla e risiede nel cuore umano e che stimola l’uomo a cercarla e, aliquatenus, a cercarsi.