La Teoria dell’Evento. Tentativo di applicazione della Protologia al tema dell’evento storico

In queste pagine cercheremo di offrire una riflessione, che proponga un tentativo di fondazione metafisico-protologica della realtà dell’evento storico, sulla scia della sistematica proto-logica platonica, desumibile dalle dottrine non scritte e dagli studi della Scuola di Tubinga-Milano.

In tal modo, tenteremo di sviluppare il patrimonio teoretico-metafisico, che il pensiero platonico ci offre, nella dimensione di una indagine vertente sulla dimensione storica ed, in particolare, sul tema dello evento storico, quale unità cogente della storia, nonché realtà ontologica imprescindibile per lo stesso realizzarsi storico.

Proporremo, così, una riflessione, che non assolutizzi la dimensione storica, come sovente hanno fatto il pensiero contemporaneo e moderno, bensì la comprenda nel più ampio contesto dei fondamenti supremi e della dimensione eterna dell’Essere, in virtù di quel plesso gerarchico della realtà, che è possibile delucidare attraverso la considerazione sia degli scritti platonici, sia delle Dottrine non scritte.

1. La Protologia della Storia di Platone

La riflessione metafisica di Platone sulla storia deve essere inserita nel più ampio contesto della sistematica protologica platonica, desumibile dalle Testimonianze indirette circa l’insegnamento orale di Platone all’interno dell’Accademia, nonché dalle auto testimonianze medesime di Platone, rintracciabili nei suoi scritti, sia nella forma di espliciti rimandi all’insegnamento orale, sia nella forma allusiva di rimandi impliciti.1

La sistematica protologica di Platone si basa, appunto, sulla Protologia, discorso sui Principi Supremi e da essa deriva il plesso gerarchico dell’intera realtà, la cui comprensione filosofica consiste in una metafisica sistematica, fondata sui principi.

Ai vertici abbiamo i principi protologici dell’Uno e della Diade: il primo principio è principio dell’Unità, della determinazione, del Limite e dell’ordine; il secondo principio è la Diade, principio del disordine, della tendenza al troppo e al troppo poco, ma anche principio della molteplicità. L’essere è realtà principiata dai due principi protologici e, pertanto, si profila come realtà uni molteplice, unità di entità molteplici, limitazione di ciò che tende all’illimitato, ordine di una dimensione che tende al caos. La realtà, pertanto, si profila ontologicamente come uni molteplice, come limitazione dell’illimitato, come ordine del disordine. Queste caratteristiche si specificano ed articolano secondo differenti livelli ontologici: dimensione proto-logica, dimensione intelligibile ideale, assai articolata al suo interno, dimensione intermedia degli enti matematici, dimensione geometrica e stereometrica, che costituisce, a sua volta, la struttura degli elementi fisici che compongono il cosmo: acqua, aria, terra e fuoco; dimensione cosmica, costituita dall’Anima cosmica, quale principio di auto movimento e intelligenza e da un corpo cosmico, composto dai quattro elementi fisici, strutturati stero metricamente.

Se ci si concentra, così, sulla dimensione storica intramondana, possiamo intravedere nell’Essere, una triplice articolazione generale di livelli ontologici, disposti in ordine gerarchico, in modo tale che l’inferiore non possa essere pensato senza il livello superiore, ma debba essere considerato all’interno di esso. In tal modo, abbiamo un livello supremo e fondamentale consistente, in generale, nella dimensione metafisica intelligibile delle Idee e dei Principi Supremi; in secondo luogo, troviamo la dimensione cosmologica dell’universo e dei pianeti, che attorno alla terra ruotano; in terzo luogo, si ha la dimensione intramondana, nella quale è inserito l’uomo con la propria libertà: quest’ultima dimensione è inserita all’interno del cosmo ed è caratterizzata da una profonda instabilità, concernente il divenire sensibile, il caos e la ventura. All’interno di tale dimensione, l’uomo, tramite la propria libertà cerca di attuare i propri progetti, realizzando la propria persona e le proprie potenzialità.

Ora, la triplicità delle dimensioni ontologiche, che si profila nel nostro discorso, si intreccia con il tema del tempo, tema che, nel pensiero platonico, riveste un’importanza fondamentale ai fini della stessa strutturazione della realtà e dei rapporti dinamici tra sensibile, anima e dimensione intelligibile.

Dobbiamo tentare di capire, malgrado la difficoltà e l’altezza dell’argomento, cosa sia il tempo e che ruolo rivesta nell’Essere; il Timeo può offrirci interessantissime indicazioni riguardo tali interrogativi.

In un passo del Timeo viene affrontato proprio il tema della creazione del tempo, all’interno di una grandiosa trattazione metafisico-cosmologica.2

Non ci soffermeremo, per ovvi motivi di opportunità, nell’analisi di tale trattazione, ma considerando l’insieme del testo possiamo primariamente affermare che il tempo è una immagine mobile dell’eternità, costruita dal Demiurgo affinché il cosmo generato fosse il più possibile simile all’eternità.

Il tempo è un artificio demiurgico, che rende la sua creazione più simile al modello archetipico di riferimento: il Vivente in sé eterno ed intelligibile. Creare il tempo è rendere il cosmo più vicino e simile al Vivente in sé intelligibile, è rendere l’immagine più prossima al modello. Quest’immagine non può essere immobile, giacché l’immobile appartiene alle realtà eterne e ingenerate, ossia all’essere comprensibile con il ragionamento, ma deve essere in movimento, giacché è realtà generata e dunque caratterizzata dal divenire.

Il tempo è generato assieme al cielo e le sue parti, cioè i giorni, i mesi e gli anni, ma anche il presente, il passato e il futuro, non potrebbero esistere se non ci fosse il cielo, giacché ad esso ed al suo corso sono relative. Cielo e tempo sono legati da un connubio talmente indissolubile che, se mai dovesse scomparire e dissolversi il cielo, scomparirebbe insieme ad esso anche il tempo.

Dunque il tempo fu prodotto insieme con il cielo, affinché, così come erano nati insieme, si dissolvessero anche insieme, se mai dovesse avvenire una loro dissoluzione. E fu prodotto in base al modello della realtà eterna in modo che gli fosse al più alto grado simile nella misura del possibile.3

Un esempio di ciò ce lo offre, a nostro avviso, il Politico, nel passo in cui si espone il grande mito dei cicli cosmici, dell’età di Crono e dell’età di Zeus. In tale mito abbiamo un particolarissimo artificio, ben evidenziato dal Migliori, secondo il quale la vita e la storia umane sono, ad un tempo condizionate dal corso del cosmo, ma altresì presentano notevoli fattori di libertà dallo stesso corso cosmico.4

Nel Politico vengono prospettati due corsi fondamentali del cosmo: il primo è il ciclo di Crono, una vera età dell’oro, il secondo è il ciclo di Zeus; nel primo ciclo è il Dio stesso a guidare il cosmo, nel secondo ciclo, quello di Zeus, invece, il cosmo è lasciato a se stesso, libero di muoversi da sé con un movimento inverso rispetto al movimento del primo ciclo.

I pianeti sono, quindi, strumenti del tempo, il loro corso e la loro collocazione adempiono alla funzione di misura ed ordine del tempo; essi vengono, infatti, creati proprio perché il tempo si possa generare e possa avere una sua numerazione. Nelle sette orbite attorno alla Terra vengono collocati i sette pianeti: la Luna, il Sole, Mercurio, Venere e gli altri pianeti.5

Nell’Epinomide abbiamo un’esposizione analoga, ma assai più particolareggiata che ci chiarisce proprio tale nesso tra tempo e cosmologia.6

Questa esposizione sintetica della cosmologia platonica deve servire a farci capire, ciò che una teoria dell’evento storico e, in generale, una protologia della storia, non possono dimenticare: la dipendenza delle vicende umane dalla dimensione cosmologica, nonché lo spazio che in essa si apre per l’umana libertà, spazio che congiunge l’uomo con il Divino intelligibile. Dobbiamo ben capire le dinamiche cosmiche per comprenderle e nel loro intrinseco significato cosmologico e nella loro valenza antropologica, ossia nel loro intrecciarsi con le vicende, le opere ed il destino dell’uomo, il quale conferisce alla cosmologia medesima un investimento semantico.

Libertà dell’uomo e Tempo, inteso nella sua accezione cosmologica, si intrecciano dunque nella realtà dell’evento storico, realtà nella quale l’uomo gioca ed è giocato, è libero ed è necessitato, aspira all’eterno, ma è temporale, è vivente immortale, ma altresì si scopre mortale.

Tutte queste dinamiche inseriscono l’uomo in uno spazio più grande di quello della sua libertà, lo spazio in cui si realizza il suo destino. Questo spazio è immediatamente storico, cioè inserito in contesti meramente umani, per scoprirsi progressivamente aperto a dimensioni più grandi concernenti il contesto cosmologico, in cui nasce il tempo, ed il contesto ultimo dell’orizzonte metafisico intelligibile, da cui il tempo deriva e al quale l’uomo aspira.

2. Il darsi dell’Uno nel mondo

A partire dalla considerazione della sistematica proto-logica platonica, nella quale, quale principio speciale del tempo, viene assunta l’unità dell’attimo — nun —, dobbiamo esaminare il punto di riferimento ontologico fondamentale della storia, la sua unità cogente: l’evento. Nell’evento storico, si attua la dimensione storica, in quanto in esso si concretano e determinano energie e processi ed esso costituisce il punto focale del processo euristico gnoseologico della ricostruzione storiografica e della tradizione, nonché l’unità di riferimento delle vicende umane. Il divenire storico sensibile, come continuum, diviene discontinuo e determinato grazie al potere limitante e discernente dell’evento storico: questo costituisce, da una parte, il punto di arrivo di molteplici e dinamici processi ed il punto di partenza per nuove dinamiche storiche, e, dall’altra, il punto da cui inizia una tradizione e a cui pretende arrivare una ricostruzione storiografica.

La dinamica tra conoscenza ed essere, che si realizza nella realtà ideale, si riflette in modo sensibile all’interno della dinamica che lega l’uomo al proprio passato nel mondo del divenire temporale.

Innanzitutto, dobbiamo tentare di cogliere l’essenza dell’evento, attraverso quelle categorie metafisico-protologiche, che l’attento esame della sistematica platonica e la seria considerazione delle notevoli acquisizioni che, sia nel campo della storiografia che nell’ambito della metafisica platonica, la Scuola di Tubinga-Milano ci fornisce.

L’evento storico si presenta, inizialmente, come un fenomeno derivante dalla dimensione temporale: la dimensione temporale costituisce la condizione ontologica di possibilità per l’eventualità storica.

Il tempo costituisce l’immagine in movimento dell’eternità, ossia il riflesso dell’intelligibile ideale nella dimensione del movimento dell’Anima cosmica.

Innanzitutto il tempo implica il movimento, ossia una dinamica che attua molteplicità e differenza; queste si relazionano dialetticamente ad un Anima intelligente, capace di limitare ed ordinare il dinamismo temporale, rendendolo immagine simile all’eternità. La dialettica tra identità e differenza, inerente l’essere dell’immagine, si costituisce grazie alla molteplicità ed al movimento e si compie grazie all’atto intelligente di un’Anima padrona del corpo cosmico.7

Dobbiamo comprendere l’argomentazione platonica, sulla creazione del tempo, nei suoi passaggi e nei suoi elementi fondamentali. Il primo elemento inerisce la relazione immagine-modello e modula questa relazione sullo schema bipolare: eternità-realtà generata. La differenza tra Vivente eterno e Vivente generato, differenza che sancisce l’irriducibilità tra i due tipi di viventi, viene «superata» dalla creazione di un’immagine mobile dell’eternità, capace di riflettere, nel movimento, le caratteristiche di stabilità ed unità dell’eterno. Quest’immagine procede secondo il numero ed è un’immagine mobile ed eterna dell’Eterno Immutabile. La relazione tra Eternità e tempo racchiude pertanto la relazione tra modello ed immagine e la relazione tra Immutabile e Movimento.8

La creazione del tempo, inoltre, viene concepita assieme alla creazione del cielo, ossia della parte più nobile del corpo cosmico, di ciò che metaforicamente può essere inteso come l’ultimo lembo del pensiero dianoetico, al di sotto della noesis ideale.9 Le parti che il tempo ingloba, cioè le stagioni ed i mesi, quasi fosse un’unica idea generale, sono costituite assieme al cielo; il cielo è il luogo cosmico delle parti del tempo, il tempo, immagine in movimento dell’eterno, le ingloba e le pervade.^[10]

La differenza tra il tempo, immagine eterna, e l’Eternità, suo modello, mentre si esplica nel concetto di generazione temporale, che appartiene al futuro ed al passato, si assottiglia nel presente, forma temporale che sembra essere appropriata anche all’eterno;10 il presente, e non la presenza che non coincide con il presente in quanto lacerata tra un proprio passato e un proprio futuro, costituisce la modalità dell’immagine temporale più affine all’eterno, ma è continuamente minacciata per opera della generazione.

Possiamo, sulla scia del ragionamento platonico, presentare una interpretazione sinottica del problema del tempo.

Innanzitutto il tempo è un’immagine mutevole dell’Eternità, caratteristica che ne sancisce la bontà e la funzione: il tempo, infatti, è ciò che permette al cosmo, creazione effusiva della Bontà divina, di permanere per quanto possibile in un movimento ordinato secondo misura. Il suo legame con il cielo e i suoi strumenti, gli astri, attuano l’armonia cosmica nella modalità temporale, determinando la bontà ontologica del movimento cosmico, in quanto movimento ordinato e non caotico.

In secondo luogo, il carattere di immagine del tempo rinvia alla dialettica stessa dell’immagine, fondata sui tre generi sommi dell’Essere, dell’Identico e del Diverso. Il tempo costituisce una sorta di idea, che ingloba e penetra la molteplicità delle sue parti, fondandole nella loro possibilità e determinazione: le stagioni, i mesi e gli anni sono parti generali del tempo, strutturate a partire dalla loro conformazione numerica. La mediazione tra l’idea universale e unitaria del tempo è dovuta, inizialmente, a tre idee generiche, interne al tempo: il passato, il presente ed il futuro, e, successivamente, dal tempo affine alla generazione, che ingloba passato e futuro, e tempo affine all’eterno, in cui consiste il presente e nel quale si assottiglia la distanza tra temporalità ed eternità.11

Possiamo ritenere pertanto il tempo, nella sua natura numerica, come il medium che lega la dimensione generale dello Spirito e dell’Intelligibile, alla dimensione fisico-sensibile.12

A conferma di questo carattere intermedio del tempo, possiamo osservare come la costituzione del tempo, oltre che ricostruibile dal punto di vista di un’argomentazione ontologica, si mostri essere stereometrica, ossia costituita dall’unità elementare dell’attimo. Il procedimento elementarizzante permette di comprendere la struttura numerica del tempo secondo l’unità di misura fondamentale dell’attimo.13

L’evento riflette l’unità temporale rappresentata dall’attimo, nell’ampio e mutevole contesto del divenire storico; in esso si compie quel salto qualitativo, che cambia la storia, quel surplus di senso che scatena nuovi processi storici e nuove dinamiche umane e culturali. La dimensione storica si determina e si costituisce secondo gli intervalli degli eventi, atti concreti e determinati, che concentrano in unità la molteplicità dei fenomeni e dei processi storici.

La comprensione della storia prevede non solamente la collocazione di questa nel contesto del divenire sensibile, ma implica anche l’individuazione delle sue strutture ontologiche intrinseche e di ciò che determina la sua intelligibilità.

Per una comprensione della storia è opportuno partire dalla sua unità di misura e dai suoi punti di riferimento: gli eventi. Attorno ad essi si articolano la memoria e la conoscenza storica, così come, in generale, attorno all’essere si articolano e si strutturano il pensiero e la conoscenza.14

Platone tematizza sia l’importanza dell’evento in ordine alla storia, sia le difficoltà incontrate nella ricostruzione dell’evento da parte della conoscenza storica e della memoria. Memoria, ricostruzione storica e tradizione storiografica costituiscono i grandi poli di quella distanza temporale, che, nel mondo del divenire sensibile, separa l’evento in sé e la sua determinatezza dal tentativo di ricostruzione storiografica.

L’evento, come evento in atto, consta di un’intrinseca potenzialità all’autodeterminazione commisurata ad una tendenza al divenire, al concludersi ed al perdersi nel trascorrere temporale, connaturata alla stessa dimensione storica.15 I nuclei temporali di queste due dinamiche, cioè il determinarsi ed il trascorrere, rinviano rispettivamente ai due generi del tempo: l’è — presente — ed il generarsi — passato e futuro —.

La dimensione del generarsi coincide con la dimensione più prettamente diveniente del tempo, potremmo dire con la temporalità del tempo; l’evento storico appartiene, per un verso, alla diveniente e mutevole dimensione del mondo sensibile, che costituisce una delle condizioni del verificarsi stesso dell’evento. Questa effettualità eventuale comporta l’inserimento dell’evento nel divenire storico, cioè nella processualità che lo anticipa e il suo sparire e non essere più.

All’interno di questa processualità si inserisce la tendenza alla determinazione che costituisce una peculiare potenzialità ontologica dell’evento: l’evento storico è, nel momento in cui avviene, cioè nel momento in cui assume una determinata conformazione. L’accadere ontologico dell’evento, come determinarsi all’interno di una processualità, rinvia alla potenza determinante dell’Uno: l’evento assorbe a sé le molteplici premesse che lo anticipano e le trasfigura in una forma concreta, determinata e unitaria; la determinazione dell’evento sfiorisce laddove l’evento storico termina e lascia il posto all’avvenire, che ancora deve determinarsi. Nel momento in cui l’evento accade ed acquisisce una determinazione abbiamo, nella dimensione storica e mutevole, una identità stabile, che diviene fattore di senso per qualsiasi forma di ermeneutica e di conoscenza storica. Questo fattore determinato presenta caratteri stabili ed immutabili per qualsivoglia investimento semantico, per qualsivoglia processo interpretativo o conoscitivo, che ad esso intenda riferirsi.

È pur vero che nella storia si assiste al fenomeno della ri-produzione di senso, fenomeno inevitabile per la vita dell’uomo nonché concernente le differenti interpretazioni su un medesimo evento ed il loro sviluppo nel tempo, tuttavia, come fattore almeno regolativo, è necessaria l’ammissione di una forza intrinseca all’evento stesso, la quale sorregge e realizza l’unità e l’identità dell’evento medesimo. Qualsiasi interpretazione storica o dinamica basata sulla rinnovabilità dei processi ermeneutici non può che presupporre tale determinatezza dell’evento, almeno sul piano della pura svelatività della cosa — Unverborgenheit —, altrimenti non potrebbe presentarsi come veritativa.16 È sempre il medesimo evento, infatti, che storicamente si esplicita in un’interpretazione storico determinata, esplicitando, in tal modo, la propria vincolante identità.17

In tal modo nella storia, intesa a partire dal suo accentramento sull’evento, troviamo un riflesso della dialettica proto-logica: la dimensione temporale del passato e del futuro rappresenta una molteplicità da determinare e da determinarsi, che assume forma concreta e precisa nel suo accentrarsi sull’evento. L’evento fruttifica, così, il passato e origina il futuro. Nel suo essere in sé l’evento si determina nella sua identità che, seppur offuscata progressivamente dal divenire della storia, rimane un punto di riferimento assoluto per la ricostruzione storica. Di qui la domanda sulla vera natura del pensiero e sulla vera natura dell’evento, evento che, pur nel passare del tempo, sembra permanere attraverso la forza della tradizione e della testimonianza e il permanere di reperti storici e dei documenti.

Questo offuscamento progressivo, dovuto alla dimenticanza e al sedimentarsi della storia, va a costituire quella distanza temporale, che costituisce l’alterità del passato rispetto a noi e che già da Platone, molto tempo prima dell’Ermeneutica totale, è stata vivacemente tematizzata.

Rimane, tuttavia, un fattore fondamentale di interrogazione: la permanenza dell’evento, la sua attrazione nei riguardi della conoscenza storica e l’interesse dei posteri sono totalmente riducibili, nella loro realtà e nel loro essere, alla storia ed alla tradizione, oppure presentano dei caratteri metafisico-ontologici propri, i quali, pur servendosi della tradizione e della storia, le trascendono presentando una loro proprio essere in sé?18 In altri termini, l’evento, allorché nella dimensione storico temporale del divenire acquisisce una propria identità cogente, quale fattore stabile nel dinamismo storico ed ermeneutico, guadagna con tale acquisizione l’eternità? L’essere storico dell’evento, accadendo, diviene pertanto divino?

3. Esempi concreti della differenza temporale negli scritti platonici

Se consideriamo il Timeo, ci accorgiamo come nella prima parte vi si trovi una ricca problematizzazione della dimensione storica, considerata dal punto di vista ontologico e dal punto di vista epistemologico.

Innanzitutto, il prologo del dialogo si articola in una vicenda cronologica, intrisa di rimandi e richiami ad esperienze trascorse: gli intervalli temporali scandiscono la trama stessa del prologo.

Il dialogo inizia con un esplicito richiamo al discorso interrottosi il giorno precedente sulla migliore costituzione; questo discorso viene riepilogato da Socrate nei suoi punti fondamentali, soprattutto a motivo della dimenticanza degli altri presenti. Il contesto in cui inizia il nuovo dialogo è nel frattempo mutato: uno dei presenti il giorno precedente, è assente, la sua assenza viene supplita dal contributo attivo dei personaggi rimasti.

Non appena Socrate riepiloga i punti fondamentali del discorso del giorno precedente, anche gli altri presenti espongono la loro conversazione tenuta nel ritorno a casa ed interrottasi la sera prima. Crizia è tenuto a ripetere a Socrate il racconto, che ha caratterizzato questa conversazione. L’impostazione del prologo è pertanto incentrata sulla ricostruzione di vicende, racconti e trattazioni interrotte, che si devono ricostruire e proseguire in modo sensato.19

Il racconto di Crizia, che coincide con il racconto sull’Atlantide, viene introdotto dall’analogo richiamarsi di presente e passato, cioè dal tema della tradizione storica di un antico evento. L’evento costituisce il principio oggettivo della tradizione storica ed il punto verso il quale si dirigono il tentativo di ricostruzione storica e la stessa conoscenza storica.

Originariamente questo racconto era esposto da Solone, amico del bisnonno di Crizia Dropide: si ha parte della tradizione di un racconto a contemporanei. In seguito Dropide tramanda il racconto a Crizia, nonno del presente Crizia, e questi lo tramanda al nipote: la focalizzazione multipla realizza letterariamente questo gioco di rimandi e tradizioni.

Il racconto di Solone rinvia ultimamente ad una serie di vicende storiche oggettive che costituiscono l’attualità, ormai trascorsa e perduta, alla quale, tuttavia, la ricerca storiografica e la riflessione teoretica debbono ritornare, superando la differenza temporale. Le grandi gesta dell’antica Atene sono state dimenticate a causa della morte degli uomini e del tempo: la morte umana e la temporalità costituiscono le cause dell’inesorabile sparizione e dimenticanza degli eventi storici del passato, che perdono la propria determinabilità, offuscandosi nella loro determinazione ed intelligibilità. Ora questo non deve rischiare di trarci in inganno, lasciandoci relativizzare l’oggettività e la realtà degli eventi alla mera realtà di un dasein mortale e temporale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la temporalità e la mortalità non sono dimensioni meramente umane, bensì costituiscono delle categorie fondamentali e peculiari del livello ontologico della storia entro le quali l’uomo si trova ad essere, ma che non esauriscono né l’esistere dell’uomo, il quale è affine all’eterno, né tantomeno la totalità del reale.

L’evento storico, che Platone utilizza, è di grande importanza non solamente per l’influsso che ha avuto nella cultura occidentale e nell’immaginario umano, ma anche in relazione alla nostra teoria dell’evento e alla nostra comprensione metafisica della storia.

La grande questione dell’Atlantide ci offre alcuni interessantissimi spunti per una riflessione teoretica sul significato che l’evento ha nella storia umana e sulla subordinazione della dimensione storica alla dimensione cosmica e, infine, metafisico-protologica.

Le grandi gesta dell’Antica Atene, la cui narrazione, per i motivi suddetti, non giunse nell’Atene del sesto secolo, ed in particolare la sconfitta dell’esercito atlantideo da parte di Atene, venne recepita da Solone durante un viaggio in Egitto; questi la raccontò agli ateniesi, non fissandola in una concreta e conclusa opera scritta.

Solone venne a conoscenza delle vicende dell’Antica Atene, acquisendo una notevole conoscenza storica, nella città di Sais, fiorente centro del Basso Egitto nel fertile Delta del Nilo; questa città fu fondata dalla dea Neith, che nella lingua Egizia indica quella dea che i greci chiamano Athena. In virtù della comune dea fondatrice, Sais è gemellata con Atene: tra le due città, esiste una sorta di parentela, essendo entrambe figlie della dea della Sapienza.20

La figura religiosa di Athena, emblema della sapienza, diviene il fattore di comunanza e identità, tra due civiltà differenti e tra due lingue diverse. Una differenza spaziale e culturale viene pertanto superata dal comune richiamo al livello spirituale e trascendente della Sapienza, simboleggiata dalla dea Athena.

Il superamento della differenza spaziale, culturale e linguistica, qui espresso in modo metaforico tramite l’allusione alla dimensione religiosa, apre la trattazione al superamento di un’altra differenza, quella temporale.

L’ammonizione degli egizi alla mancanza, presso i greci, di un’antica tradizione, introduce la trattazione al tema della subordinazione della dimensione storica alla dimensione cosmica. L’assenza di un’antica tradizione deriva da motivi cosmico ambientali: la conformazione geologica e fisica dell’Egitto permette la conservazione di antichi manoscritti, nei quali sono conservate le testimonianze sulle antiche vicende umane.21

La conservazione delle testimonianze sul passato viene minacciata dai cataclismi e, nel caso specifico dell’Atlantide, dai diluvi, ossia dall’innalzamento del livello dei mari; la metafora del mare infinito della dimenticanza, presentataci nel Politico, può a ragione venir menzionata, nella tematizzazione timaica delle concrete cause della dimenticanza storica e del deperimento delle testimonianze.

Da ciò risulta chiaro come le testimonianze costituiscano la documentazione in base alla quale è possibile ricostruire, senza mai raggiungerla pienamente, la determinazione degli eventi storici.

In un certo senso, abbiamo in questo passo del Timeo, un caso di «superiorità» dello scritto sulla tradizione orale, nel senso di una maggiore permanenza dello scritto, sulla tradizione orale, di fronte ai fenomeni cosmici.

Dobbiamo comprendere e interpretare questo messaggio platonico sempre all’interno del sistema protologico, cercando di individuarne un possibile sviluppo metafisico-teoretico. A tal fine dobbiamo comprendere la dialettica tra la dimensione storica e la dimensione spirituale ed intelligibile, sulla scia della dialettica tra la scrittura e la oralità; in altri termini si impone alla nostra ricerca una fondazione metafisico-protologica dell’analogia tra la relazione che intercorre tra storicità e riflessione metafisica su essa e la relazione che intercorre tra la dimensione della scrittura e la dimensione dell’oralità. Questa fondazione va cercata sempre nella fondamentale differenza ontologica tra la dimensione dell’intelligibile e la dimensione del sensibile.

Innanzitutto, dobbiamo individuare i nessi e le differenze tra dimensione sensibile e dimensione intelligibile all’interno della tematica della memoria storica, in base al nesso tra la teorizzazione metafisica della città ideale, operata da Socrate, e il richiamo alla memoria di antichissime vicende storiche, che tale teorizzazione suscita in Crizia. Questo nesso costituisce il punto d’incontro tra la teoria e la sua concreta attuazione, in quanto profila come necessario, ai fini della realizzazione di un programma teorico, quel richiamo concreto ad una tradizione storica operato dalla memoria. La dinamica tra una teoria politica, supportata da un articolato discorso culminante nella Protologia e la valutazione delle esigenze concrete con le quali una teoria deve confrontarsi, ingloba la stessa dimensione storica, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità. La storia risulta essenziale nella costituzione del processo ontogenetico, che porta a concretizzazione sensibile una teoria ideale determinandola storicamente. La storia, tuttavia, non viene assolutizzata come l’unica dimensione possibile, in cui si attuano le dinamiche ed i progetti umani, ma è inserita in un più vasto panorama metafisico-gnoseologico, nel quale si intrecciano vari fattori antropologici e metafisici.

L’esplicitazione dei fondamenti del reale e dei fattori che costituiscono l’anima umana guidano l’intera progettazione della città ideale, nonché la sua concreta realizzazione e determinazione storica, in virtù di una riconsiderazione del passato, che non si chiude nella mera determinazione degli eventi, ma li legge nella loro dinamica storica e, pertanto, nei loro limiti ontologici. Questa riconsiderazione, anche se individua nel passato una realizzazione dell’ideale di città, lo illumina nel suo limite temporale ed ontologico, inserendolo nel suo concreto livello ontologico.^[23]

L’inserimento della storia all’interno della struttura gerarchica della realtà caratterizza l’andamento stesso del Timeo, nel quale viene inserita la dinamica storica all’interno di un generale discorso astronomico e metafisico sul cosmo. L’ordine dell’argomentazione che viene seguito inizia con una trattazione generale del cosmo e della sua origine, prosegue con la disamina della natura degli uomini per poi terminare con la trattazione di figure storiche concrete.

Abbiamo, pertanto, un livello di transemporalità, concernente l’anima umana, la conoscenza e la progettualità, che si riferisce a concrete realizzazioni storiche, pur non esaurendosi in esse, ma trascendendole sotto differenti livelli, tra i quali deve essere annoverata la coscienza medesima del carattere perituro della storia. Il pensiero si comprende, in tal modo, come consapevole della sua possibilità storica e dell’importanza della realtà storica, ma altresì comprende ed interpreta la storia non come la sua unica realtà e possibilità, ma come un livello ontologico inserito all’interno di un panorama metafisico più ampio. In virtù di tale panorama, è possibile comprendere l’eventualità storica come il riflesso dell’uno trascendente e l’intenzionalità del pensiero, nella sua modalità storica, come il tentativo di ricercare quell’Uno, che si è realizzato nella storia, all’interno della più ampia ricerca metafisica dei Principi che fondano non solamente la storia, bensì l’intera realtà.

Altri esempi di differenza temporale si possono trovare in altre opere platoniche, i quali possono essere interpretati sempre in chiave proto-logica, ossia nell’orizzonte di una dimensione metafisica profonda.

È il caso del Politico, opera nella quale, all’interno di un assai approfondito esame dell’arte politica e dell’uomo politico, viene introdotto un mito dalla profonda valenza teoretica e metafisica. Tale mito riguarda i cicli del movimento cosmico, i quali sono di due tipi: ciclo di Crono e ciclo di Zeus. Nel ciclo di Crono è il Supremo Artefice a guidare il corso del cosmo con tutti i benefici che questo comporta; nel ciclo di Zeus, invece, il cosmo è lasciato a se stesso e segue un corso inverso a quello precedente. Il cosmo, lasciato libero, per quanto può ricorda la guida del Supremo Artefice, ma tale ricordo viene progressivamente indebolito dalla dimenticanza e dallo scorrere del tempo sino al momento in cui il corso del cosmo comincia a degenerare e a guastarsi, tanto diviene immemore della precedente e buona guida divina. A tal punto, prima che il cosmo si degeneri totalmente, interviene il Supremo Artefice, riprende la guida del corso cosmico — dunque si riapre un nuovo ciclo di Crono — e riporta il cosmo allo stato originario di bontà, per poi rilasciarlo libero — nuovo ciclo di Zeus —.22

Il mito del Politico, così poliedrico e ricco di implicazioni, può rivelarsi significativo per la nostra indagine, in quanto costituisce un’ulteriore prova della presenza nel pensiero di Platone del tema della differenza temporale e della dimenticanza, quali fattori costitutivi delle vicende umane e della stessa dimensione cosmologica, entro la quale è collocata la storia stessa dell’uomo.

Anche nelle Leggi abbiamo tematizzato il tema della differenza temporale, in una forma assai analoga al Timeo, attraverso il tema dei grandi diluvi, che hanno afflitto l’umanità nella sua storia. Nelle Leggi si cerca una prospettiva per la comprensione della evoluzione degli stati, sia nel loro accrescimento che nella loro degenerazione e fine e tale prospettiva è storica e inerisce la considerazione di tutti i flagelli, le devastazioni, i diluvi e le epidemie, che da tempo immenso ed incalcolabile devastano a diverse riprese l’umanità. Vari e diversi sono i flagelli e i loro intervalli sono costituiti da innumerevoli anni, nei quali gli stati progrediscono assieme alle conquiste tecniche, scientifiche e civili dell’umanità per poi scomparire nel nulla.

Antichi racconti, come quelli citati nel Timeo, parlano di tali flagelli e nascondono un nucleo di verità, concernente la distruzione, quasi totale, del genere umano tramite cataclismi, epidemie ed altre sciagure.

Di queste innumerevoli sciagure, se ne sceglie una, avvenuta per diluvio, e la si cerca di esaminare. Il diluvio distrugge le città marinare e costruite in pianura, le sommerge e le cancella. In esse si realizzano i commerci e gli scambi, le conquiste scientifiche e tecniche, nonché si creano istituzioni politiche che sovrintendono la convivenza tra gli uomini, e tutte queste conquiste comportano tempo e fatica, il prezzo del progresso. Migliaia di volte e per un numero infinito di anni queste scoperte furono perse dall’uomo.

Pochi furono i sopravvissuti al diluvio, pastori di montagna, che dall’alto dei monti scamparono al diluvio, ignari del progresso delle città costiere, ma fiammelle del genere umano e unica speranza verso un nuovo futuro, una ricostruzione lunga e faticosa.23

Un altro esempio è costituito dalla celeberrima opera Crizia, che testimonia l’esistenza di Atlantide, isola collocata nel grande mare, probabilmente l’Oceano Atlantico, nella quale risiedeva una civiltà assai evoluta, che, novemila anni prima di Platone, dopo un tentativo di conquista di tutti i popoli del Mediterraneo e una guerra persa contro la Antica Atene, sprofondò negli abissi per un cataclisma. In quest’opera si ha un ulteriore esempio della presenza, nel pensiero di Platone, del tema della differenza temporale e della difficoltà di ricostruire storicamente e scientificamente le gesta di antichissime civiltà, di cui restano sparute testimonianze, spesso tramandate per via orale nelle generazioni o recepite in qualche viaggio presso popoli più memori del passato. Interessante in quest’opera, a nostro avviso, l’invocazione che Crizia compie, all’inizio del suo discorso sull’Atlantide, a Mnemosine, dea della memoria, affinchè lo illumini nella comunicazione delle cose che Solone ascoltò dai sacerdoti egiziani, durante quel viaggio citato già nel Timeo.^[26]

4. La questione della spazialità dell’evento

Per la nostra analisi protologica non possiamo tralasciare la riflessione sulla dimensione spaziale dell’evento storico: come l’estensione è costitutiva della stereometria del sensibile, così la spazialità costituisce una delle dimensioni fondamentali, affianco alla temporalità, dell’evento; questo, è infatti inserito sempre in un contesto spaziale, oltre che temporale, ed in esso si genera, si sviluppa e si conclude.

Nel luogo dell’evento si concretizzano i suoi protagonisti, i suoi partecipanti ed i suoi spettatori: la battaglia di Salamina, la conferenza di Yalta, la firma degli Accordi SALT II o la Domenica di Bouvines, in quanto eventi, rimangono legati non solamente ad un periodo temporale, ma altresì ad un contesto spaziale di attualizzazione: Atene, la Crimea, Vienna o un villaggio della Francia.

La dialettica tra intenzione ed estensione, che abbiamo visto inerire così profondamente alle dinamiche ideali, si ripropone in modo sensibile proprio nell’evento storico. La determinazione dell’evento si genera in un atto temporale e si estende in un territorio determinato, in cui risuona tutto intero il significato dell’evento, raccogliendo ogni cosa in unità. La determinazione essenziale dell’evento comporta un’estensione spaziale il cui limite giunge laddove l’evento non è più ed in cui la sua risonanza ed i suoi frastuoni sono assopiti; la risonanza dell’evento si spegne pertanto nel punto di incontro tra il limite dell’evento stesso e la differenza, in cui l’evento non è più. Questo limite può essere più o meno marcato a seconda della circostanza: le determinazioni, universali che permettono la genesi degli eventi, si realizzano in circostanze temporali ed ambientali spesso nuove e imprevedibili.

In questo senso la percezione spaziale del presente, di cui parla Babolin, può costituire un utile spunto per la riflessione sull’importanza della dimensione spaziale nelle dinamiche umane: spesso si sottovaluta, infatti, lo spazio in funzione del tempo, dimenticando come la genesi di un evento storico non investa solamente un lasso di tempo, ma si concretizzi anche in uno spazio. Parlando di eventi storici non citiamo solo date, ma ricostruiamo contenuti e dinamiche, riproducendo, in qualche modo, la spazialità stessa, quale contesto generale di realizzazione di un evento.

La funzione eufemica dell’immaginario e della fantasia, che realizza un metafisico superamento del deteriorasi temporale e della morte, rinvia alla spazialità come forma trascendentale della riproposizione immediata dell’immagine; un evento, nel momento in cui viene ricordato dalla memoria, tende a riproporsi come un’immagine nella quale la spazialità domina e il deteriorarsi temporale è assente. Le tre qualità dello spazio fantastico, ossia l’ocularità, la profondità e l’ubiquità, mostrano proprio l’importanza della spazialità all’interno della riproposizione fantastica, cioè per immagine, dell’evento passato.24

La genesi ontologica dell’evento deve pensarsi pertanto nella sintesi dialettica tra temporalità e spazialità: le energie e le potenzialità temporali, che si determinano nell’evento, si raccolgono nello spazio, dando luogo ad una determinatezza storica che è un’unità sensibile spazio temporale ed una spazialità in divenire.

Un’unità spazio temporale, la cui genesi e manifestazione ontologica si attua un’unica volta, diventa il polo di attrazione di un movimento di ritorno, che si articola secondo la dinamica propria dell’epistrofè neoplatonica. Questo movimento da una parte non coincide con l’epistrofè metafisica compientesi nel mondo ideale, dall’altra ne costituisce però un riflesso, un’immagine sbiadita seppur similare. La massima realizzazione di un’unità nel mondo del divenire e del susseguirsi storico degli eventi è rappresentata dalla ricerca storica, intesa come il movimento generale del pensiero, che tenta di ritornare all’evento unitario spazio-temporale. Il termine del ritorno non coincide, però, con una realtà eterna e stabile, capace di offrire un fondamento stabile al dinamismo del pensiero, ma con una datità scomparsa, di cui restano reperti e testimonianze, scritte e o orali. La potenza del pensiero consiste nel ricomporre tutte le testimonianze in vista di un’unità di senso, che tende ad una realtà irraggiungibile, cioè la singolarità attuale dell’evento ormai scomparso. Il movimento del pensiero, seppur esercitato in una dimensione peritura dell’essere, che non garantisce un fondamento stabile ed eterno, conserva i caratteri propri della sua sensatezza e razionalità, cioè la tendenza ad un che di stabile ed unitario e l’attuazione dell’unificazione. L’epistrofè dalla dispersione rimane nella modalità di un’immagine storico-temporale e di una ricerca storiografica, che tenta di ricomporre in modo sensato una molteplicità di documenti.

Nello scorrevole logorio temporale, nel nulla che cancella il mondo e lo dissolve come il sogno alle soglie dell’aurora, il pensiero esercita il suo potere unificante, in vista della potenza sbiadita, seppur reale dell’evento: la potenza di attirare a sé una molteplicità da esso compresa nel suo originario darsi spontaneo. L’interpretazione del dinamismo ontogenico dell’evento rimane incentrata sul concetto di unità, all’interno di una concezione protologica della stessa dimensione storica.

Alla dimensione temporale vien quasi a donarsi la luce meravigliosa dell’eterno attraverso l’attimo del presente, un sapore che subito sfugge e che lascia la discorsività unidimensionale di fronte al dileguarsi di un senso unitario tanto perfetto. La dimensione noetica dell’eterno, che racchiude il molteplice in unità perfette, appare nell’attualità dell’evento come unità di senso; il divenire temporale, tuttavia, perde subito quest’unità attuale, costringendo il pensiero a ricostruire in chiave di conoscenza storica quest’evento: abbiamo, così, l’evento immagine dell’eterno e la conoscenza storica immagine dell’evento.

5. L’Animo umano: tra memoria del tempo e nostalgia dell’Uno

Abbiamo cominciato a comprendere l’evento come darsi dell’uno nel molteplice. Ma cosa ne è della nostra anima? È questa, in fin dei conti, a vivere l’evento: lo vive, infatti, come attenzione, talvolta come attesa, oppure come ricordo.

Sant’Agostino, in pagine memorabili, quali quelle del libro XI delle Confessioni, esaminando il problema del tempo, ne individua il nesso ineludibile con l’anima.

L’anima sembra conferire una consistenza al tempo, il quale, invece, non ne ha, in quanto essere che tende al non essere e proviene da un non essere: il tempo arriva dal non ancora e degrada verso il non più; è un attimo presente che tende al passato e proviene da un futuro.

Il tempo che è, è solo il presente, il quale è un attimo sospeso sul nulla e non possiede durata né consistenza. È l’attimo il tempo, in cui libiamo il presente e tale presente subito sfugge.

Nella Ode dedicata a Leuconoe, il grande poeta latino Orazio, sottolinea proprio la transitorietà del tempo e il doversi confrontare dell’anima con tale transitorietà:

Non indagare (non si può), Leuconoe, la nostra sorte, lascia stare i calcoli babilonesi, accetta quel che capita, che tu viva altri inverni o che sia l’ultimo questo che fiacca il mare contro gli argini. Sii saggia, pensa a bere e non illuderti. Mentre parliamo il tempo ingordo scivola: goditi l’oggi e del domani infìschiati.25

Tornando alle riflessioni di Agostino, possiamo dire che il tempo sia più non essere che essere e, non appena cerchiamo di pensarlo e renderlo degno della nostra anima, esso già ha convertito il proprio essere in non essere.

La consistenza del tempo è istanza dell’anima, in essa il tempo acquisisce maggiore consistenza ontologica. Il tempo, da attimo fuggevole tra due non essere, viene elevato al livello cosciente dell’Anima e acquisisce una durata ed una permanenza al di là della sua presenza fuggevole ed inconsistente, acquisendo, così, una certa estensione.

L’anima è distentio temporis, è dimensione che presentifica il tempo anche nel suo non essere, ossia nelle due dimensioni del passato e del futuro. Il tempo nell’anima è trasposto in una nuova dimensione ontologica ed, altresì, è compreso in relazione ad un’istanza maggiore del pensiero: l’istanza di una realtà che proviene dall’eterno.

L’anima interpreta, misura e concepisce il tempo a partire da se stessa e dalla sua provenienza dall’eterno: il tempo è, così, trasposto alla sua autentica cogenza ontologica solo in relazione all’anima ed alla sua attività pensante.

L’istanza massima dell’anima è la presentificazione del tempo, ma dietro tale presentificazione si cela la tendenza a comprendere l’unitarietà del tempo, l’unità di una realtà fuggevole e molteplice, differente, in ciò dall’eterno.

Di qui il nesso, presente nella dinamica filosofica dello stesso Agostino, tra problema del tempo e uni molteplicità della realtà: se il tempo è compreso in base ad un’istanza di stabilità e presenza, aperte ultimamente all’eternità, allora l’unimolteplicità diviene un modello imprescindibile per la trattazione e fondazione del tempo come dimensione ontologica e della temporalità come dimensione antropologica.

Infatti, se consideriamo con attenzione come Sant’Agostino definisce l’eternità, ci accorgiamo che essa presenta delle caratteristiche interessantissime per una riflessione che si voglia proto-logica.

L’eternità si realizza, innanzitutto, nella dimensione del Divino e questa Dimensione consiste nel rapporto Infratrinitario, rapporto nel quale Dio si realizza verso l’Eternità. Nella Persona del Figlio, che è il Verbo, sono dette tutte le cose simultaneamente e tutte insieme, in un solo momento. In virtù del Verbo, della Parola di Dio detta dall’eternità, sono fatte tutte le cose. La molteplicità non è nel Verbo dispersa in una successione di attimi temporali, ma raccolta tutta insieme e simultaneamente nella Verità eterna ed immortale.

Questa dimensione simultanea, unitaria e presente è l’autentica patria dell’anima, ultimo culmine della sua attività e del suo essere: visio facialis. L’atto dell’anima e le sue più autentiche istanze sono originate da quest’ultima Verità, che è l’amore insondabile di Dio; quest’amore balugina sin quaggiù nella dimensione temporale e tale baluginare è fonte di anamnesi per l’anima. L’attimo, cioè il presente, è la traccia dell’eterno e l’anima lo pensa come sua più adeguata dimensione, sicché, operando la propria riflessione sul tempo, ne presentifica i differenti momenti nell’estensione della memoria. La memoria è estensione del tempo inesteso e facoltà in cui si estende e presentifica ciò che tende al non essere. Il non essere è, dall’atto dell’anima, elevato ad una certa forma di essere e tale essere, dipende ultimamente dal Vero Essere Divino.26

Il processo di anamnesi da parte dell’anima e l’inizio della sua operazione di presentificazione del tempo, hanno origine da un espediente, poros, e tale espediente è l’attimo presente, nun, che tende a dilatarsi, per quanto può, nell’identità cogente di un evento. L’evento è l’immagine ontologica di un archetipo eterno, eterna presenza divina;27 comprendendo l’immagine, l’anima, ricorda l’archetipo originario, tramite un atto di pensiero che è superamento dell’immagine verso l’archetipo.

Nell’evento molteplici aspetti non vengono totalmente risucchiati dal fiume del tempo, ma trovano distribuzione prospettica, attorno all’identità dell’evento medesimo.

La forza cogente dell’evento consiste proprio nell’attrarre a sé i suoi molteplici elementi, malgrado quel fluire di insostenibili attimi, che Sant’Agostino sottolinea con tanto acume. Nell’evento il tempo si inchina all’identico: l’evento, come il guado di un fiume, assorbe in se medesimo una molteplicità eccentrica e centrifuga di elementi, che raggiungono determinazione e forma e, in tal modo, intelligibilità. L’attimo, nun, elemento ultimo e misura della dimensione temporale, acquisisce spessore noetico nella misura in cui si dilata in evento, attraendo a sé molteplici elementi che acquisiscono simultaneità nell’identità di un evento, malgrado il loro avvicendarsi temporale. Nell’evento il tempo acquisisce maggiore presenza, giacché non si riduce ad attimo impercettibile, ma estende il proprio essere, nella superiore simultaneità dell’Identità dell’evento. Un evento, quale ad esempio la conferenza di Yalta, è sicuramente formato da molteplici attimi o eventi ridotti, ma la loro cogenza ontologica ed intelligibilità è racchiusa e realizzata nella maggiore dimensione globale dell’evento. A Yalta Stalin e Churchill fumavano assieme su un divano, il primo una pipa, forse «Dunhill», il secondo un sigaro; Roosevelt arrivò a Yalta e si apprestò a incontrare i primi due e poi discussero sulla divisione del mondo. Stalin era formidabile nelle trattative politiche, come un abilissimo giocatore di poker sapeva raggiungere il proprio obbiettivo con un’impareggiabile astuzia, che trapelava dagli occhi furbi e dal ghigno tipico di un georgiano. Quando una trattativa sembrava conclusa, Stalin, sollevando l’indice, la riapriva, chiedendo più di quanto avesse ottenuto. Al momento della celeberrima foto, in cui i tre statisti comparivano assisi l’uno affianco all’altro, Churchill fece di tutto per apparire più vicino al presidente americano di quanto fosse Stalin. L’intera molteplicità di attimi e di momenti di un unico evento, assottiglia la propria eccentrica tendenza al non essere, in virtù della presente identità superiore dell’evento, nella quale sono raccolti disparati momenti, con una necessità pressoché apodittica, che confluisce nell’identità perenne dell’evento. Il carattere apodittico di questa reductio ad maius unum non elimina la libertà umana, ma la coinvolge nel farsi stesso degli eventi. Nell’evento, così, il tempo stesso non ricade nel non essere, ma, al contrario, conquista l’essere e tale essere consiste proprio nell’identità ineludibile ed innegabile dell’evento. Quest’identità è presenza perenne in due modi: il primo, potremo definirlo ontico o ontologico, cioè immanente al farsi proprio dell’evento; il secondo potremo chiamarlo metafisico, consistente nel guadagno, da parte dell’evento storico, della propria vera realtà.

L’identità che si verifica nell’evento è presenza perenne, in quanto rende presenti molteplici istanti in un’unità definita ed intelligibile, unità che permane se stessa, malgrado lo scorrere del tempo. Spetta alle fonti storiche e all’uomo, ricostruire e testimoniare l’identità dell’evento, malgrado i limiti del tempo. Le fonti storiche costituiscono un espediente alla miseria umana, la quale invischiata nel tempo non riesce pienamente ad elevarsi all’identità presente dell’evento, ma tenta di ricostruirla con difficoltà, quale elemento mediano tra identità dell’evento e differenza temporale. L’evento è somma realtà e somma idealità per la ricostruzione storica: somma realtà, in quanto è il punto di partenza di una tradizione e il referente ultimo delle molteplici testimonianze, che ad esso si riferiscono e tale realtà sovrasta la nostra realtà, la quale, rispetto ad essa, è irreale. Capovolgendo, solo apparentemente, la dialettica agostiniana tra essere e non essere possiamo dire che è l’evento ad essere, mentre siamo noi a non essere, in quanto ogni nostro tentativo di presentificazione dell’evento è rispetto ad esso manchevole. L’evento è, tutto il resto è in modo secondario e ad esso derivato.

L’evento è, altresì, somma idealità in quanto guida la ricostruzione storica come orizzonte unitario ed ultimo di convergenza dei molteplici elementi che si considerano in un percorso euristico di conoscenza storica, il quale per sua natura comporta la coordinazione di una molteplicità di fattori comprensibili all’interno di una sinottica identità cogente.

6. La fuga dell’evento verso l’Eterno

Ora, dobbiamo cercare, sulla scia delle riflessioni compiute, di prospettare l’orizzonte ultimo del compimento dell’evento storico.

Abbiamo sottolineato alcuni elementi importanti per ciò che concerne la realizzazione dell’evento e le sue caratteristiche.

Innanzitutto l’evento ci è apparso come una forma ontologica di realizzazione dell’Uno nel Molteplice, sia dal punto di vista temporale che dal punto di vista spaziale.

Questa forma costituisce un vero e proprio orizzonte di senso, giacché sul piano epistemologico costituisce il fondamento ontologico e normativo della conoscenza storica, sul piano antropologico costituisce il referente dell’anamnesi e la traccia di ciò che, ultimativamente, l’anima cerca, cioè l’Uno.

L’Uno si realizza nel divenire storico e nel fluire temporale proprio nella realtà dell’evento, tale realizzazione comporta l’attuazione dell’Unità nella molteplicità, tramite l’attuazione della identità nella differenza.

Quest’identità rinvia, per le proprie caratteristiche, alla dimensione intelligibile dell’Essere e, ultimativamente, alla Protologia. Abbiamo già rilevato l’analogia tra unità-identità dell’evento e l’unità della dimensione dell’eterno.

Inoltre abbiamo visto lo iato tra cogenza identitaria dell’evento e tensione dell’anima, da una parte, e fugacità instabile del divenire temporale dall’altra. L’anima, a motivo della propria condizione intermedia e della propria costituzione ontologica, vive questa tensione tra la luminosità della realizzazione dell’evento, cielo intelligibile per lei, e la tenebra del divenire temporale e della fugacità di ciò che vive. Tenebra luminosissima il tutto!

Nella riflessione di Seneca, che i nostri stessi tramonti vide e dai medesimi monti Apollo condurre il lume dei giorni, la morte non è evento finale o possibilità sotterranea, che i nostri progetti deride, annientando le nostre conquiste tanto da renderle bersaglio dei nostri calci. Quale onta più grande per noi?

La morte è realtà del nostro essere, che sempre ci tocca, tant’è che noi sempre moriamo, ogni giorno, ogni momento della nostra vita. Ciò che siamo non saremo più, ciò che eravamo non siamo e ciò che siamo non eravamo. La fugacità del tempo di Sant’Agostino è perentorietà della morte in Seneca. L’esame della coscienza è coscienza del nostro quotidiano morire: tra un vivo ed un defunto, rispetto al proprio passato, non vi è alcuna differenza, giacché vivi e defunti giacciono egualmente inerti di fronte a ciò che è stato. Per un vivo è impossibile cambiare ciò che è stato, nel momento in cui è stato: di fronte all’evento compiuto, il vivo è inerte e sperimenta la sua morte, il suo non essere più.28

L’ammonizione di Seneca, riguardo all’esame di coscienza, interpella profondamente il nostro io, illuminandoci sul nostro quotidiano perire, sulla nostra perenne morte. In tal modo, la debolezza del tempo è divenuta nostra debolezza, il nulla del tempo è nostro stesso nulla e il nostro essere scopre la propria temporalità nullificante, ossia il nulla del tempo come proprio nulla. Il vincolo tra il nostro essere e il tempo ci scopre nella nostra debolezza e nullità, insidiandosi dentro noi stessi come un soliloquio notturno, in cui siamo nudi di fronte alla notte.29

Siamo anche noi come il filamento di sabbia, che vacilla, sino a dissolversi nel fondo della clessidra?

Ora, se consideriamo i messaggi della metafisica platonica, ci accorgiamo quanto Platone abbia insistito sulla relazione tra dimensione antropologica e dimensione ontologica, le quali sono interconnesse tra loro, vedendo la fondazione della sfera psicologica nella sfera ontologico-intelligibile e il trascendimento di quella rispetto alla temporalità.

Seppur, infatti, l’anima si trovi invischiata nella dimensione temporale, la quale presenta la duplice caratteristica di stabilità e cangianza, può, in virtù della propria costituzione ontologica e della origine divina, trascendere la dimensione del tempo e della temporalità, scoprendo entro se medesima non solamente fattori costitutivi del sensibile, bensì anche la traccia attiva di un destino e di un’origine metasensibili.30

L’Anima, pertanto, non deve protendersi solamente nella ricerca delle realtà transitorie, miste di essere e non essere, ma anche e soprattutto nella ricerca delle realtà intelligibili ed immutabili. Pertanto, la nostra ermeneutica della realtà non deve costituire una mera ermeneutica della finitudine, dovendo realizzare una interpretazione fondativa della realtà, che comprenda il divenire sensibile e temporale nell’orizzonte dell’intelligibile sovratemporale e costituendo, così, una rinnovata forma di pensiero metafisico.

Dunque, la dimensione della finitudine non può costituire la nostra unica chanches, ma deve essere compresa nell’orizzonte dei fondamenti supremi, in una dinamica ontogenetica, che non incurvi l’uomo alla mera temporalità.31

La non riducibilità dell’uomo alla mera temporalità, in generale, è motivata dal riferimento alla dimensione intelligibile; in particolare, ossia in riferimento al tema dell’evento storico, è suffragata dal dinamismo ontologico intrinseco dell’evento, che tende a raggiungere la dimensione intelligibile ed eterna dell’essere. L’evento è come la folgore, che si accende nella polvere e si propaga scintillante verso il cielo, come se questi fosse la sua naturale destinazione.

L’uomo, dunque, scopre la trascendenza nella sua stessa storicità, giacchè quell’evento storico, che ne sancisce la storicità, è già intriso di trascendenza.

Innanzitutto, l’evento ci si è mostrato come il darsi dell’uno nel mondo. L’uno si realizza nella dimensione unimolteplice della realtà sensibile e diveniente, come unità di molteplici percorsi e processi, i quali vengono attualizzati in unità ed assorbiti in quella cogente identità, che consiste nel farsi storico dell’evento e nella sua propria determinazione.

L’evento è, pertanto, differenza assorbita e trasposta nell’identità: molteplici fattori acquisiscono un carattere identitario e unitario, che assume determinazione, pur nella dimensione del divenire sensibile. Lo scorrere del tempo, che inconsistente pare di fronte al pensiero alato dell’anima, nell’evento conosce una sua fissazione e determinazione, dilatandosi ontologicamente nella perentorietà identitaria dell’evento. La spazialità dell’evento è come da teatro a questo accorparsi ontologico dei molteplici fattori, che intercorrono alla realizzazione dell’evento, quasi ad accorrere verso un punto focale, attorno al quale compiono il proprio movimento. Laggiù, nel centro dell’evento, questi conoscono il proprio destino. L’evento è, comunque, multi et multa ad unum necessarie, è l’acquisizione di un volto intelligibile e riconoscibile da parte di un molteplice. Questa intelligibilità determinata è la folgore che anima l’evento, il suo essere uni exardarsum.

La natura ontologica dell’evento, a motivo del suo radicarsi nella dimensione proto-logica dei Principi supremi, si presenta come prospettica, ossia come ad unum multo rum conversio. L’evento costituisce, così, l’ineludibile testimonianza metafisica della presenza fondante dell’Uno nella realtà storica, presenza che deve essere riconosciuta dal sapere metafisico.

Tuttavia, questa realizzazione dell’unità, nella dimensione della storia, comporta la mediazione del movimento, della differenza e della molteplicità.

Molteplici erano le navi che sull’aureo mare di Salamina, segnarono gorghi e flutti spumosi; come cavalli in battaglia, i vascelli di Serse rompevano i legni, fieri e orgogliosi al mirare del Re… ma tragica fu per loro la sorte.

Agili e docili all’eroico Temistocle, che ad Aristide oppose il dissenso, le navi ateniesi resero onore al prode Milziade, che a Maratona della Libertà fu ancella e guerriero. Il sangue straniero ancor cinge l’aurea corona della vittoria, che mai muta e mai muore nel seno della patria immortale e nel cuore dei figli fedeli.

Se consideriamo le varie testimonianze su un evento storico, quale ad esempio la battaglia di Salamina testimoniata da Erodoto di Alicarnasso, ci accorgiamo come nel farsi stesso di un evento vi siano molteplici fattori che intervengono nella costituzione dell’unità superiore dell’evento. Il movimento di questi molteplici elementi acquisisce progressivamente, in un tempo non più inconsistente, una conformazione ontologica unitaria, identica e determinata.

Bisogna interrogarsi sulla natura di tale movimento, nelle sue articolazioni e nel suo dinamismo ontologico.

Innanzitutto, il movimento può essere di cose o di persone. Il movimento delle cose possiamo chiamarlo inconsapevole, quello delle persone possiamo, al contrario, ritenerlo consapevole, cioè automovimento in grado di muovere da se stesso se medesimo. L’automovimento è, in tal modo, nient’altro che l’anima.32

Nell’automovimento, cioè nell’anima, risiede il principio di ciò che nell’evento deve essere attribuito alla Libertà. Ma alla realizzazione di un evento storico non concorre solamente il movimento della libertà, bensì questo si inserisce in una dinamica ontogenica, nella quale compaiono differenti fattori non riducibili al, pur fondamentale, fattore della libertà. Il movimento dell’evento, quale momento ontologico e metafisico, trascende e accompagna l’automovimento libero dell’anima.

Platone ce lo ricorda anche nel Timeo:

Ma noi in certo qual modo, come partecipiamo del caso e della ventura, a quel modo appunto anche parliamo.33

In seguito:

Pertanto, se qualcuno volesse dire effettivamente come il cosmo si è generato, bisogna mescolare nel discorso anche la forma della causa errante, per quanto comporta la sua natura.34

Dunque il caso e la ventura sono altri fattori che costituiscono il movimento dell’evento e che accompagnano l’agire libero dell’uomo nel farsi dell’evento.

Ma ciò che è esterno alla libertà umana non è solamente riducibile al caso, bensì può essere un determinato risultato di processi storici più o meno latenti, spesso anche prevedibili.

Il campo del possibile si intreccia con il campo del necessario, in un connubio tra libertà e necessità, possibilità e determinazione. La dialettica di opposti nella dinamica ontogenica dell’evento risulta, così, costitutiva.

Quest’intreccio di opposizioni attesta un fattore assai importante dell’evento: la sua non completa prevedibilità e la sua non manipolabilità: questa non manipolabilità comporta, altresì, il concorso della libertà, ma non il suo dominio assoluto.

Il movimento della liberà, è coinvolto nel movimento proprio del farsi dell’evento, il quale è molteplicità disordinata, che assume un ordine ed una determinazione nell’identità unitaria dell’evento compiuto. Qui l’evento supera e coinvolge la nostra libertà.

Nella dinamica di realizzazione dell’evento storico viviamo, pertanto, l’esperienza della trascendenza dell’essere su di noi, sulle nostre attese e sulle nostre potenzialità. L’evento trascende la nostra potenza e ci apre al più ampio orizzonte dell’essere, in tal modo, è una porta immanente verso il mistero, è la fiaccola che ci illumina sulla luce dell’intelligibile. La riflessione gadameriana sull’esperienza extrametodica della verità getta luce proprio sulla problematica di un essere che trascende il conoscere e su una esperienza della verità che è, appunto, extrametodica, è evento-Ereignis.35 Anche se il concetto heideggeriano e gadameriano di evento sembra trascendere il concetto di evento storico, tuttavia, presenta delle caratteristiche che non lo rendono incompatibile con la struttura ontologica dell’evento storico, che abbiamo cercato di interpretare.

Quel che a noi preme sottolineare, circa un primo tentativo di protologia dell’evento, è la trascendenza dell’essere dell’evento sul progetto umano: l’essere dell’evento supera l’uomo, ma altresì lo coinvolge nella sua dinamica ontologica. È possibile, così, parlare di una coappartenenza tra essere dell’evento ed essere umano: l’evento trascende le possibilità umane, ma altresì abbisogna dell’uomo per verificarsi. L’uomo si trova coinvolto nel movimento dell’evento, che non domina, ma, altresì, determina l’evento storico divenendone protagonista, più che semplice spettatore. Di qui una dinamica, la quale, lungi da restare antimetafisica o oscura, ci deve aprire ad una seria considerazione delle radici ontologico-protologiche dell’evento, compiendo così il corso generale della nostra indagine.

Ogni evento ha suoi propri protagonisti, costituendo, così, una chiamata all’essere rivolta all’uomo. Pertanto, ogni evento, per la propria identità strutturale, abbisogna del concorso di determinati protagonisti, i quali, seppur da una parte si trovino casualmente a vivere l’evento, dall’altra debbono possedere delle caratteristiche tali da farli essere protagonisti di un determinato evento storico.

In altri termini, seppur sia del tutto casuale che l’oplita sia caduto in battaglia, divenendo eroe per la patria, tuttavia, l’evento della battaglia non poteva investire chiunque, ma solamente doveva riguardare un ateniese combattente; oppure, seppur lo sbarco in Normandia del generale Eisenhower, che giovani soldati immolò immortali sull’altare della Libertà, si sia svolto in condizioni estreme ed in circostanze inaspettate e imprevedibili, tuttavia, quell’evento glorioso poté solamente riguardare determinati soldati e non chiunque.

Pertanto, un evento, nella sua realizzazione ontologica e nel suo acquisire l’identità, continua a mostrarsi caratterizzato da una dialettica tra casualità e determinatezza, tra imprevedibilità e previsione, intesa quest’ultima non come la previsione del progetto tecnico, bensì solamente e specificamente come legame con un precedente condizionante e vincolante. Pertanto l’evento in se sintetizza previsione vincolante e imprevedibilità dell’esito. L’identità di un evento è per noi divenuta imprevedibile, seppur inizi da precedenti in parte conosciuti.

Possiamo, così, notare quanto siano vicine, nella dinamica ontogenica dell’evento, l’identità cogente e progressiva di questo e la sua imprevedibilità esiziale. Il farsi dell’evento ci sovrasta, eppure abbisogna della nostra libertà per compiersi, giacchè il suo esito comporta questa stessa libertà come nostro automovimento nel suo movimento. L’automovimento dell’anima, diviene così movimento dell’evento, ne partecipa e vi coopera sin al suo compimento ontologico esiziale.

La dinamica che allea automovimento libero dell’anima, mai padrone dell’evento, e movimento dell’evento, inteso come suo svolgersi sino al proprio compimento, è affine alla dinamica ontologica, nella quale il movimento del pensiero compare nella genesi ontologica dell’intelligibile.

Neppure lassù, infatti, il pensiero è padrone dell’intelligibile, ma segue l’articolazione intrinseca delle idee, trovando in questa sequela il proprio compimento ontologico, la propria suprema libertà nella verità.

I cavalli alati, di cui Platone parla nel Fedro, seguono il corso del cielo ed in esso contemplano l’Iperuranio. In tale contemplazione interviene naturalmente la potenza dell’anima, che riesce con possenti ali eburnee, dai riflessi zaffiro-dorati, a volare nelle altezze intelligibili, tuttavia, quel che si nota nella mistica descrizione platonica è un’immedesimazione dell’anima con la dimensione ontologico-intelligibile. Ma seguiamo passo passo, quasi a farci trasportare dal corso di un evento, il più divino scritto platonico.

C’è all’origine un luogo sia storico che leggendario: le fresche rive dell’Illisso, che si collocano nella loro evocazione tra realtà e fantasia. Già in ciò, la storia si cela dietro il velo della leggenda, celiando fantasia e ragione dietro sembianze idilliache. E il rincorrersi delle immagini stimola i lettori, tanto da far sembrare quelle pagine viventi e noi gli autori.36

Vi son citati i platani, le muse, le cicale e il calore estivo, che placide membra culla e sollazza con molli atmosfere elleniche. Le muse prendono forma, le dolci caviglie picchiettano l’acqua, tant’è che tra i placidi flutti, dei quali appena si avverte scansione, si odono risa di candidi giochi; il fresco degli alberi, riflessi di luce sull’acqua, la carezza dell’ombra sulle gote accaldate, inebriano l’anima con fiori violetti, gentili fragranze di castità.37

Ma in tanto grazioso scenario, congenere a gentili voluttà, si erge, con vampeggiante palinodia, l’ardore socratico e giganteggia dritto di fronte al meriggio come il platano in cui si trova riparo e l’odoroso agnocasto, che attira a se lo sguardo, simile a un brillante giovinetto o a un intrepido guerriero. La pienezza fisica si trasmuta in pienezza metafisica, illuminando di luce ognidove. E alla grazia ninfea si aggiunge il vigore dialettico, nutrito di luce ideale, di divina giustizia e immortale sapienza.

Di qui la grande metabasi al mondo intelligibile, ove l’anima trova il suo compimento, ove il mondo trova fondamento, ove l’evento trova il suo archetipico coronamento.

E qui abbiamo l’archetipo dell’evento, sia perché l’intelligibile è archetipo del sensibile, sia perché l’anima trova la trasposizione intelligibile di ciò che vive e sperimenta nella dimensione sensibile.

Innanzitutto, la grande metabasi dell’anima si svolge al limite, nel punto che collega la dimensione più alta del cosmo, ossia il cielo, in ciò che plausibilmente nel Fedro rappresenta il circolo dell’Identico del Timeo,38 e il superiore mondo intelligibile ideale, dove risiedono la Giustizia, la Temperanza, la Sapienza e tutte le cose ad esse congeneri. Qui l’anima può vivere l’evento diurno della contemplazione intelligibile sia in virtù delle sue proprie potenze, sia in virtù di ciò che le è esterno e la coinvolge, ossia il movimento circolare del cielo. L’anima è, ad un tempo, chiamata all’evento e capace dell’evento tramite il proprio agire libero e individuale: abbiamo, così, trasposta nella dimensione intelligibile la dialettica ontologica intrinseca all’evento sensibile, tra ciò che appartiene alla libertà umana e ciò che la trascende, pur coinvolgendola. L’anima, secondo la sua capacità libera riesce a volare sino alla sommità del cielo e a sostenere tali altezze, dominando per il meglio i propri oscuri e bassi istinti tramite le proprie potenzialità e virtù, ed assieme è investita da una forza che, per quanto le sia affine, non dipende da lei e la trascende, consentendole di contemplare con una visione orbitale, la dimensione intelligibile dell’essere.

Come la Lichtung, la luce trapassa l’ombra dei platani e la lussureggiante foresta e desta l’anima alla luce immortale dell’essere, in una fuga alata verso ciò che è visione totale e giorno immortale.

Nell’evento metemeron, vi sono innumerevoli protagonisti: dodici schiere di demoni alati seguono ognuno un dio a loro capo e il coro divino, coelestis hierarchia, è retto da Zeus sovrano.

L’evento di tale contemplazione intelligibile richiama a sé molteplici anime alate, che si accalcano sull’ultima propaggine del cielo, la soglia del sommo trapasso all’Eterno; soltanto le Anime più belle e vigorose accedono a tale evento, spingendosi con energici sussulti, che intrecciano la trama di un volo divino. E lassù, sulla volta del cielo, ove tutto è perfetto, il movimento del cielo coinvolge l’anima e la allieta con divine visioni.39

Vigore dell’Intelligenza e movimento della Libertà si alleano così al movimento del cielo nell’eterno evento della contemplazione intelligibile, paradigma degli eventi di quaggiù.

7. In un attimo: l’Eterno

In un passo del Parmenide abbiamo la trattazione del tema del divenire connesso al tema dell’istante, quale fattore fondamentale di trapasso e di trasmutazione nella dimensione del tempo.

Questo potrebbe costituire un ulteriore elemento di riflessione per la nostra teoria protologica dell’evento storico, per ciò che concerne l’aspetto escatologico della realizzazione dell’evento, ossia il suo guadagnare l’eternità, fuggendo dal tempo.

Innanzitutto, il tema dell’attimo si inserisce in una parte ben precisa del Parmenide: la seconda tesi della prima ipotesi. In tale parte, Platone sviluppa una serie di ragionamenti concernenti un Uno che è, ossia il Principio Protologico dell’Unità nella sua relazione con il molteplice, ossia gli Altri dall’Uno. Gli Altri dall’Uno costituiscono, nella relazione con un Uno che è, la realtà principiata e uni molteplice in generale, la quale può essere globalmente ripartita in: mondo intelligibile, enti matematici, mondo sensibile. Dunque, la domanda fondamentale di tale tesi può riassumersi in tal forma: se l’Uno è, cosa ne consegue per l’Uno considerato nella relazione con gli altri dall’Uno?40

A seguito di tale domanda, Platone sviluppa anche il tema dell’irruzione dell’Uno nel divenire, quale fattore determinante di senso nella stessa dinamica del divenire temporale. Di qui il nesso tra mondo del divenire e mondo dell’eternità in riferimento all’irrompere fondante dell’Uno nel mondo.

Se l’Uno è, allora gli appartiene l’essere, giacché vi partecipa; questa partecipazione si realizza effettivamente nella triplice modalità del presente, del passato e del futuro, ossia dell’è, dell’era e del sarà. Pertanto, la partecipazione all’essere da parte dell’Uno comporta che questi partecipi anche del tempo che scorre e fluisce.

Ora, se l’Uno partecipa del tempo che scorre, allora l’Uno diviene più vecchio e più giovane di sé, giacché si diviene più vecchi rispetto a un qualcosa di più giovane e più giovani rispetto ad un qualcosa che è più vecchio.41

In ciò si tematizza la relazione tra le epoche, ossia tra il passato e l’avvenire, nella prospettiva di una comprensione sinottica del tempo: rispetto a ciò che fluisce, l’avvenire, divenendo passato, si mostra sempre più giovane rispetto a ciò che lo anticipa come più vecchio.

In questo passaggio dal più vecchio al più giovane, dal passato al futuro, l’Uno che è incontra, però, il presente, che costituisce una modalità del tutto particolare del tempo.

Nel momento in cui l’Uno incontra il presente, il tempo cessa di scorrere e interrompe il suo fluire nel momento presente. Il divenire riappare nel contatto tra presente e futuro, abbandonando il presente e cogliendo il futuro.

Quando, dunque, il divenire incontra il presente cessa di divenire:

Se di necessità tutto ciò che diviene non può evitare il presente, quando poi vi si trova cessa sempre di divenire ed in quel momento è ciò che gli è accaduto di divenire.42

In tal modo, Platone ci suggerisce che nel presente il passato si fissa e il fluire si sospende, promettendosi nel futuro. Nella nostra indagine abbiamo visto come, nell’attuarsi dell’evento, arrivassero a compimento, identità, convergenza e determinazione fluidi processi storici, caratterizzati dal divenire. Il processo, che Platone ci suggerisce nel Parmenide, è il medesimo: nel momento del presente, il divenire si interrompe ed il passato si fissa in una forma stabile.

Poco dopo, Platone afferma che l’Uno è sempre nel presente ogni qualvolta che è, ed il presente è sempre con l’Uno per tutto il tempo che è:

Ora il presente è sempre con l’Uno per tutto il tempo del suo essere: infatti l’Uno, ogni qualvolta è, sempre nel presente è.43

Dunque l’Uno si realizza, nell’essere temporale della storia, nell’evento del presente e questo evento presente si fonda radicalmente sull’Uno, quale suo Principio. Nell’evento il fluire del tempo cessa e si ferma attorno ad esso, come il guado di un fiume attorno a rive verdeggianti e odorose, concentrandosi in un’unità, che di natura più divina pare.

Quest’aspetto dell’Uno è assai interessante, giacché introduce all’aspetto della contemporaneità dell’Uno.

In seguito all’esame del numero, che bene esprime l’aspetto fondativo dell’Uno che concerne la dimensione ontologica, si passa alla questione, decisiva per il nostro discorso, dell’Istante.

Innanzitutto l’Uno, partecipando del tempo, a volte è e a volte non è, a volte partecipa di determinate realtà, altre volte abbandona la sua partecipazione a determinate realtà. Pertanto l’Uno in un momento partecipa, in un momento non partecipa: nel momento si prende parte ad una determinata realtà. Abbiamo tematizzata la situazionalità del reale, all’interno di una comprensione della realtà temporale su base protologico-metafisica, ossia sulla base di una fondazione della realtà temporale sull’Uno e sulla diade.

Le differenti partecipazioni, a differenti realtà e attributi, nella dimensione temporale, vengono scandite dal ritmo del momento: ogni realtà temporale possiede l’essere e le restanti perfezioni in differenti momenti, talvolta possiede alcune proprietà, talvolta le abbandona.

Abbiamo, così, tematizzata la situazionalità della realtà storica umana, la quale, lungi dall’essere avulsa da una fondazione metafisica, presenta una fortissima presenza dei Principi protologici: un’ermeneutica della finitudine, che, pur sottolineando la contingenza dell’uomo nella drammaticità dell’esistenza, si rapporti ad una metafisica protologica è, dunque, possibile.

Il cogliere l’essere, da parte di un uno che è, costituisce il nascere, mentre l’abbandonare l’essere, da parte dell’uno che è, costituisce il perire.

«E il cogliere l’Essere non lo chiami nascere?»

«Io sì»

«E l’abbandonare l’Essere non lo chiami perire?»44

Per ciò che concerne l’evento storico, come abbiamo visto, il nascere ed il perire, cioè il verificarsi nel tempo e lo scomparire dal tempo, sono proprio caratterizzati dall’acquisire l’essere, con modalità ovviamente protologiche, e dall’abbandonare l’essere, il quale è il morire dell’evento nel tempo. Ma, in fondo, la morte non è una sventura, giacché l’evento, tramite la morte, trapassa dal suo corpo sensibile e temporale ed acquisisce la propria identità immortale ed eterna: la morte appartiene al tempo, l’immortalità appartiene all’evento.

Questo dinamismo, nel quale si verifica l’attuazione non solamente di un essere, ma di un’unità nella temporalità, è sottolineata da Platone stesso:

Poiché è uno e molti e molti e poiché nasce e perisce, non è forse che quando nasce l’Uno, perisce l’essere molti, quando nascono i molti perisce l’essere Uno?45

L’evento è realizzazione dell’Unità nella molteplicità, non solamente dunque di un essere, ma di un essere uno: la metafisica dell’Essere si affianca alla Protologia. Non è possibile capire l’evento dal solo punto di vista del suo essere, ma attraverso altri fattori che riflettono l’Uno nel molteplice. L’assorbimento in un’identità di un molteplice, che tende a determinarsi e che si realizza simultaneamente alla realizzazione dell’evento, è morte del molteplice, che diviene, per quanto possibile, uni-molteplice; il verificarsi dell’Identità cogente dell’evento, abbandona il mondo temporale e, in esso, la molteplicità di conseguenze e di processi, che dall’evento scaturiscono e che sfociano nel mare della storia.

L’analisi platonica del tema dell’istante o attimo, si enuclea, tuttavia, al momento della trattazione del tema del movimento e della quiete e del passaggio dall’uno all’altra e viceversa. Abbiamo visto quanto le categorie di quiete e di movimento influenzino la realtà dell’evento e la sua realizzazione ontologica.

Platone fa notare, innanzitutto, come il passaggio da uno stato di movimento ad uno stato di quiete o da uno stato di quiete ad uno stato di movimento, comporti il mutamento. Non c’è alcun tempo in cui qualcosa né si muova né stia ferma: il movimento e la quiete, essendo due contrari opposti, non ammettono un intermedio. Inoltre, non è possibile che una realtà muti, senza il mutamento, pertanto, nel passaggio dallo stato di quiete allo stato di stato di movimento e viceversa è necessario un mutamento. Non potendosi collocare questo processo in uno dei due stadi temporali, quiete o movimento, il mutamento deve collocarsi in uno stato intermedio straordinario e trascendente il tempo, in cui si trova ad essere la realtà in mutamento, allorché muta. Questo stadio straordinario, oltre i due stadi opposti e temporali del movimento e della quiete, è l’istante.

L’istante è un momento fuori dal tempo, che presenta sue proprie caratteristiche, le quali lo avvicinano di gran lunga al nostro concetto di evento storico, il quale può essere compreso in virtù di quello, nonché può rappresentare una sorta di allargamento del concetto di istante.

L’istante è ciò da cui partono i cambiamenti dalle due opposte direzioni: dal movimento alla quiete o dalla quiete al movimento; il mutamento deriva dall’istante quale realtà dalla natura straordinaria posta in mezzo tra immobilità e movimento, questa realtà non è in alcun tempo ed è posta al di là dello scorrere del tempo.

L’istante è ciò da cui deriva il mutamento e possiede una natura straordinaria posta in mezzo tra il movimento e l’immobilità.

E che non è in alcun tempo, ciò verso il quale e dal quale quanto si muove muta nella quiete e quanto è fermo muta nel movimento.46

Tutti i mutamenti avvengono così.

Platone ci offre, in tal guisa, delle interessantissime indicazioni, circa la nostra stessa indagine metafisico-protologica sull’evento storico. Innanzitutto, l’istante non solo è ciò dal quale si ha il mutamento da quiete a movimento e viceversa, ma anche è ciò verso il quale avviene il mutamento di stato. Questo avvicina molto il concetto di istante al concetto di evento, quale centro unitario di senso e di realtà di una fluida molteplicità di processi storici, nonché punto di inizio di nuove dinamiche storiche. Nell’evento il tempo, nel suo flusso inesorabile, rallenta, fissandosi in un’identità, che, pur apparendo nella storia, si dilegua verso la dimensione eterna dell’essere, nella quale permane se medesima.

Questa dinamica ontologica risulta comprensibile protologicamente secondo la duplice valenza dei Principi: la valenza di genere e di elemento, sulla quale si basa il duplice processo gnoseologico: il processo generalizzante ed il processo elementarizzante.

L’evento è dilatazione del nun e segue la struttura elementare del tempo, che proprio sul nun si fonda. La dinamica di potenzialità attiva del nun, punto di irradiazione del mutamento, si riflette nell’evento, nel quale, un’identità determinata e cogente, realizzandosi, unifica molteplici dinamiche attirandole a sé, per poi, una volta compiutasi, abbandonare al flusso del tempo e della storia le molteplici conseguenze, che da tale unità si generano.

8. Conclusioni: verso una nuova metafisica platonica

Queste riflessioni, con le quali abbiamo tentato di prospettare una preliminare esposizione di una teoria, protologicamente fondata, dell’evento storico, si inseriscono all’interno di quel generale rilancio della metafisica nell’epoca attuale, al quale sempre più studiosi e intellettuali si mostrano interessati e intende svilupparsi all’interno di tale tentativo.

In tal modo, abbiamo cercato di proporre un’indagine metafisica, che interpreti la dimensione storica nell’orizzonte di una realtà più ampia, quali quella cosmologica e quella intelligibile ed eterna dell’Essere.

Quest’indagine metafisica si è rivelata proto-logica, ossia fondata sulla Protologia platonica, dottrina dei principi supremi dell’Uno e della Diade, dai quali deriva l’intera realtà, quale essere uni molteplice e si è così distinta, all’interno della metafisica, sia dall’henologia pura, alla quale però somiglia, cioè da una filosofia fondata sull’Uno Assoluto, dal quale si fa derivare la diade, sia dalla metafisica propriamente ontologica, ossia da quel sapere che si radica non sull’Uno, quale principio universale, ma sull’Essere. Tale distinzione, ovviamente, non intende essere contrapposizione, ma semplice alternativa nella comune collaborazione filosofica, collaborazione che deve mostrare, ad un tempo, la ricchezza e la varietà delle differenti proposte metafisiche e la loro capacità di dialogare e cooperare. Sulla base di tale relazione e cooperazione, deve ricercarsi quella prospettiva di dialogo ed apertura nei confronti della riflessione filosofica contemporanea, specie ermeneutica, la quale tende ad assolutizzare la dimensione storica e a chiudere qualsiasi prospettiva più fondamentale, nella quale si imponga un riferimento alla dimensione trascendente, metastorica e meta sensibile. Quest’articolo ha tentato di oltrepassare, in un vero e proprio impatto ermeneutico, quella pregiudiziale, forse ideologica, con la quale la contemporaneità si chiude a prospettive di senso che non siano riconducibili alle mere dinamiche storico-culturali. I motivi di tale chiusura sono assai complessi, debbono essere rintracciati nelle varie correnti che hanno caratterizzato la modernità: il positivismo, un certo cartesianesimo, posizioni materialistico- scientiste, posizioni marxiste e spesso sottintendono un ideologismo pregiudiziale, dalla scarsa capacità critica, non esente da aporia.

Di qui la profonda esigenza di un’apertura della riflessione ermeneutica contemporanea alla rinnovata proposta metafisica, che oggi si sta sviluppando, per cercare nuovi orizzonti di indagine e prospettive più adeguate alle esigenze ed agli interrogativi del mondo contemporaneo. Il patrimonio filosofico e culturale della filosofia antica non deve essere inteso come semplice conoscenza del passato, ma può essere interpretato come vitale fattore di una nuova posizione di valori.47

Questa nuova posizione di valori, a partire da un patrimonio tradizionale, è possibile non solo a motivo di una semplice dinamica di Wirkungsgeschichte,48 ma risulta possibile anche perché l’apertura alla dimensione eterna dell’essere, che la filosofia antica propone, si mostra essere esigenza universale per gli uomini di tutte le epoche, esigenza che può caratterizzare qualsiasi periodo storico. Questo carattere perenne di una filosofia ha un fondamento non soltanto antropologico, inerente i bisogni dell’uomo, bensì metafisico-ontologico, giacché la dimensione storica dell’essere e la storicità dell’uomo, sono possibili solo a partire dalla dimensione intelligibile dell’Essere, dalla quale derivano e della quale sono un riflesso ed un’immagine.

Ora, a buon diritto, si può capire come la potenza espressiva del patrimonio culturale, filosofico e teoretico della filosofia antica, specie platonico, debba essere ratificata nel tempo e trasmessa di epoca in epoca, sulla base di quella naturale aspirazione dell’uomo alla dimensione intelligibile e di quel comune orizzonte, universale ad ogni epoca, che consiste proprio nella eternità. La stessa storicità del darsi storico della Verità, che l’Ermeneutica rivendica sottolineandone il carattere di evento, Ereignis, deve essere compresa proprio sulla base della dimensione intelligibile dell’Essere e non assolutamente in contrapposizione ad essa. Storia ed eternità debbono così essere ripensate insieme e la realizzazione dell’evento storico, quale darsi dell’Uno nel sensibile, costituisce proprio una proposta ed un tentativo di pensiero in tale direzione.

Nell’affermare l’importanza e il carattere veritativo della storia, non si nega la dimensione intelligibile, né si assolutizza la storia; nell’ammissione di una dimensione eterna ed immutabile dell’Essere, non si nega assolutamente l’importanza della storia ed il suo partecipare alla verità, né la sua importanza in ordine all’ulteriorità ed all’autotrascendenza dell’uomo. Il raggiungimento della Verità intelligibile è proprio l’orizzonte ed il fine ultimo dell’agire umano nella storia, personale ed universale, è il senso delle dinamiche umane, le quali si realizzano temporalmente nei limitati tempi storici, in atti concreti e determinati.49 Il concretizzarsi dell’evento è un baluginare della verità nella dimensione storico temporale, è un attuarsi dell’identico, è un vero e proprio donarsi dell’uno e prendere forma ontologica di una determinazione unitaria ed intelligibile in ciò che tende al flusso continuo. Tale preziosa manifestazione di ciò che si radica nell’Uno, ci lascia lo spazio per una nuova metafisica, mentre gli eventi si compiono, e, acquisendo la propria identità e determinazione, raggiungono la propria Verità.

Tale orizzonte ultimativo di senso conferisce alla vita umana, pur nella sua intrasferibile ed irripetibile dinamicità, un’unità prospettica intelligibile ed amabile, giacché configura l’esistenza non solo come tesa verso un orizzonte trascendente e divino, ma anche come caratterizzata da eventi unitari, determinati, con una loro cogente identità. Di qui la stimabilità di tali eventi e la loro comprensibilità quali ontogenesi di un’unità in una molteplice e multiforme dinamicità: l’evento è il prendere improvvisamente forma e determinazione di un’irruzione immediata nel continuo, un’innovazione ontologica di senso, alla quale l’uomo stesso conferisce un investimento semantico.

Quest’unità di senso, di tempo, di luogo e di azione mostra la presenza nel reale dell’Uno, presenza sulla quale l’uomo deve tornare ad interrogarsi e che deve tornare ad apprezzare nel suo valore agatologico. L’uomo moderno e poi contemporaneo, ha progressivamente perso la capacità di apprezzare l’uno e l’unitarietà dell’essere, spostandosi verso modalità esistenziali e concezioni filosofiche poco avvezze all’interpretazione e costituzione del reale sotto forma unitaria ed agatologica. Abbiamo così, ad esempio, nel teatro la scomparsa dell’unità di luogo, tempo ed azione, teorizzata nell’antichità da Aristotele, la perdita della tonica nella musica, la perdita della forma e del «volto umano» nella pittura o della stessa unità prospettica, espressioni queste di quella generale perdita del senso unitario e agatologico della realtà, che ha progressivamente caratterizzato l’uomo moderno.50 L’esito ultimo è una postmodernità nella quale l’uomo ha, secondo autorevolissimi studi, perduto il senso unitario della propria vita, non riuscendo più ad apprezzare il senso della sua dinamica esistenziale, né a costruire progetti veramente unitari nella propria vita. L’uomo è travolto da un vorticoso alternarsi di esperienze che si sovrappongono, ma di cui non è più in grado di contemplare la bellezza, il valore e neppure il significato per la sua identità personale.51

La riapertura di una seria riflessione protologico-metafisica sull’Uno e sui fondamenti intelligibili del reale, la quale non deve contrapporsi alla riflessione ermeneutica sull’evento, della quale deve essere, invece, interlocutrice, né contrapporsi ad una seria considerazione dell’erlebnis, quale unità privilegiata delle scienze dello spirito, consente di riscoprire quel senso unitario dell’esistenza umana, attraverso la comprensione della funzione ontologica ed agatologica dell’Uno nella realtà. La tradizione platonica e neoplatonica ci si rivela così attualissima e assai aderente alle più attuali istanze della riflessione filosofica corrente.

In queste poche pagine abbiamo cercato, inoltre, di aprire alcuni percorsi euristici che potrebbero rivelarsi interessanti e che andrebbero affrontati ulteriormente per costituire nuovi campi di indagine. Uno di questi campi di indagine può concernere il tema del ricordo, che si connette alla memoria individuale o collettiva, la quale è una facoltà presente e disponibile per l’uomo, ma, altresì, relazionata ad una realtà ontologica, che non è più e ad un essere che le si da come non essere più. In ciò può individuarsi il nesso tra la riflessione di Martin Heidegger sulla temporalità e il darsi dell’essere, ed il tema platonico dell’anamnesi, che, come abbiamo visto, possiede una profonda valenza in relazione alla storicità dell’uomo e alla dimensione storica. Possiamo, così, nell’orizzonte del futuro, interrogarci su ciò che sfugge a noi e al tempo, dileguandosi là dove abita la stirpe degli dei, ma che in un attimo, in quell’evento irripetibile in cui lo scorrere del tempo cede alla quiete, ci tocca, indicandoci il luogo in cui non ci abbandonerà mai… attendendoci lassù immortali.


  1. Per la questione si veda: G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1997; H.J. Kramer, Platone e i fondamenti della Metafisica, Vita e Pensiero, Milano 1998; T. A. Szlezák, Come leggere Platone, Rusconi, Milano 1991; K. Gaiser, Testimonia platonica, Vita e Pensiero, Milano 1998; M. Erler, Il senso delle Aporie nei dialoghi di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1991. ↩︎

  2. Per un’analisi assai illuminante su tale trattazione, capace di interpretare il Timeo nei suoi differenti aspetti si veda G. Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1997. In particolare le pagine 657-663. ↩︎

  3. Timeo, 38 B 6 - C 3. ↩︎

  4. Cfr. M. Migliori, Arte politica e Metretrica assiologia, Vita e Pensiero, Milano 1996, pp. 80-103. ↩︎

  5. Cfr. Politico, 268 D - 274 E. ↩︎

  6. Cfr. Epinomide, 980 D - 992 E. ↩︎

  7. Per la dialettica dell’immagine, quale riflesso dell’archetipo si veda. W. Beierwaltes, Pensare l’Uno, Vita e Pensiero, Milano 1992. pp. 75-107; dello stesso autore si veda anche Identità e differenza, Vita e Pensiero, Milano 1989. ↩︎

  8. Cfr. Timeo, 37 C 6 - 38 C 3. ↩︎

  9. Ci sembra qui opportuna una precisazione sulla valenza simbolico semiotica del cielo nella filosofia platonica. La filosofia platonica è una filosofia assai concreta, che, anche a motivo della sua sistematicità, derivatale dalla Protologia, sa comprendere le varie dimensioni della realtà e della vita umana medesima. Il cielo costituisce il punto intermedio tra la dimensione intelligibile e quella sensibile: come punto intermedio tra due dimensioni rappresenta il culmine della inferiore e il fondo della superiore, fondo che, tuttavia, riesce in qualche modo a rivelarsi tangente la dimensione superiore. Di qui la sua valenza cosmologica ed antropologico semiotica. Dal punto di vista cosmologico il cielo, costituito dagli astri, rappresenta la massima forma di realizzazione di ciò che è immutabile nella dimensione del movimento: il cielo, infatti, è movimento perfetto e regolare, che si scandisce in ritmi numerici, dei quali gli astri sono insieme momenti determinanti e strumenti stessi di scansione. Dal punto di vista antropologico semiotico il cielo è immagine vivente dell’autotrascendenza, con la quale l’uomo si risolve in essere intelligibile da essere sensibile quale era. Il cielo è, pertanto, propagazione dell’anima umana e luogo nel quale prende corpo il desiderio umano, arrivando a toccare l’intangibile. Come più eterea e pura espressione di ciò che è corporeo, il cielo diviene il punto di congiunzione di ciò che non può congiungersi, il punto di unione di ciò che è differenziato ed inconfondibile e, come tale, realizza uno spazio nel quale si concretizza il desiderio. Questo spazio è lo spazio del desiderio, della tensione dell’attimo sospeso della trasformazione e dell’ascesa; come tale questo spazio non è il punto più alto di un’illusoria tensione o di un desiderio disatteso, ma diviene il punto estremo di una contemplazione possibile, di una vita divina che sino all’ultimo lembo tende ad emanarsi. Di qui il sensibile è trasfigurato e insieme superato, ma tale superamento e tale trasfigurazione sono possibili solo tramite il sensibile stesso, il quale viene elevato a contemplazione intelligibile. L’immagine si supera verso l’archetipo e questo in virtù dell’elemento di mediazione totale, cioè il pensiero. Le immagini sensibili del linguaggio raggiungono il loro vertice ultimo, lasciando lo spazio e lo scenario al pensiero e tale passaggio avviene appunto nel cielo. Il Fedro, una delle più elevate opere dell’arte letteraria di Platone, esprime proprio questo trapasso con immagini e simboli assai significativi ai fini della delucidazione del concetto di auto trascendenza, trapasso e mediazione. Ciò che è mediano è, infatti, ciò che realizza il trapasso del dinamismo del pensiero dalla dimensione sensibile a quella intelligibile, e tale trapasso spinge il sensibile al suo limite estremo aprendolo a ciò che lo trascende. L’immagine del movimento circolare del cielo, ad esempio, è assai significativa e consente all’interpretazione differenti livelli di lettura. Il cerchio è geometricamente ciò che sintetizza tutte le figure geometriche e ne rappresenta non solo la sintesi, ma anche la più alta realizzazione: il cerchio, pertanto, è vertice di perfezione geometrica, nonché sintesi di tutto ciò che esso, nel proprio ambito, supera. Essendo, in tal modo, sintesi ed eccellenza, eleva tutto ciò che racchiude e lo realizza in modo massimo e pieno. Il movimento circolare del cielo è pertanto fisicamente la massima realizzazione di ciò che è corporeo e, come tale, si pone all’infimo livello dell’intelligibile e al massimo livello del sensibile. Il cielo è punto di confine e, insieme, di trapasso. Il cielo, dal movimento circolare, è insieme luogo di contemplazione dell’intelligibile e, in tal modo, l’immagine del cerchio diviene il simbolo della conoscenza contemplativa, conoscenza nella quale si compie la discorsività, trapassando in noesis. Il cielo è, così, luogo metafisico, ossia livello ontologico, ed altresì momento di realizzazione gnoseologica per l’uomo. L’immagine che , in tal modo, assume la conoscenza umana è circolare: compie e riassume, ma altresì si apre a ciò che la supera e insieme la origina. I cavalli alati, che, poggiandosi sopra la volta celeste e trasportati dal movimento circolare del cosmo, contemplano l’intelligibile che li trascende mostrano proprio la compiutezza della contemplazione ed, altresì, la sua apertura a ciò che la trascende. La contemplazione è circolare, racchiude un percorso diacronico dianoetico in una forma unitaria, la quale è dinamismo — movimento circolare — aperto alla trascendenza. Tale apertura è simboleggiata dal fatto che i cavalli alati si poggiano sulla superficie esterna del cielo, quella che nel Timeo verrà descritta come circolo dell’Identico affine all’intelligibile. Totalità ed apertura alla trascendenza costituiscono le coordinate dell’immagine del cielo: il cielo si muove circolarmente, consentendo una visione totale dell’intelligibile che lo trascende, circondando ciò che è racchiuso in esso; il cielo medesimo ruota ed è rivolto, nella sua propria parte esterna, a ciò che lo trascende. In tal modo, la conoscenza umana, pur nella sua profonda valenza spirituale, ha assunto un’immagine ed una configurazione sensibile, mostrando la profonda unità del tutto e la concretezza del pensiero platonico, pensiero che lontano da astrazioni, è capace di comprendere in modo unitario i differenti livelli della realtà. Per la potentissima immagine platonica si veda Fedro, 246 D-248C. ↩︎

  10. In tal senso, all’interno di una riflessione teologico-filosofica sull’irruzione estatica del Divini, mi sembra utile accennare in via preliminare, come lo stesso F. Rosenzweig nel suo capolavoro Der Stern der Erlösung, La stella della Redenzione, parli proprio del presente, dell’attimo, Augenblick, e dell’evento per tematizzare il donarsi di un Dio, che ama, all’anima che è amata. Cfr. F. Rosenzweig, La stella della redenzione, Vita e Pensiero, Milano 2005, pp. 161-178. ↩︎

  11. Cfr Timeo, 37 E- 38 C. ↩︎

  12. Si consideri la funzione e la posizione ontologica del cielo e quanto abbiamo detto nella nt. 5. ↩︎

  13. Su quest’aspetto si vedano le considerazioni di Kramer sull’attimo all’interno del sistema protologico platonico in Platone e i fondamenti…, pp. 153-178 . ↩︎

  14. Il tema dell’intenzionalità, tutt’altro che moderno, è presente infatti già in Platone e nel neoplatonismo, in base ad esso si può comprendere la conoscenza ed il suo intenzionarsi ai differenti livelli ontologici, e quindi è possibile comprendere nella sua possibilità e nelle sue peculiarità la conoscenza storica, proprio in virtù dell’intenzionalità e dell’originario intenzionarsi del pensiero all’essere. La soggettività si comprende infatti in rapporto all’oggettività e queste due categorie, nella dimensione dei fondamenti supremi del reale, si trovano in unità, all’interno di una dinamica estatica che dall’essere giunge al pensiero che si intenziona all’essere. Questa dinamica fondamentale si riflette nei differenti livelli ontologici a livello del rapporto tra essere e pensiero , inteso sia come rapporto tra soggettività ed oggettività sia intendibile come più generale, e forse originario, rapporto tra essere ed uomo. Il tema dell’intenzionalità non è solo prerogativa del pensiero medievale, moderno o fenomenologico, bensì è riscontrabile originariamente in gran parte della riflessione filosofica antica, all’interno di una ricerca metafisica che si interroga sulle origini intelligibili ed ontologiche del pensiero umano e della conoscenza. Per una analisi assai perspicace su tale tema si guardi al contributo di W. Beierwaltes, Pensare l’Uno, Vita e Pensiero, Milano 1992; Autoconoscenza ed esperienza dell’Unità, Vita e Pensiero, Milano 1995; Plotino: un cammino di liberazione verso l’interiorità, Vita e Pensiero, Milano1993; Identità e differenza, Vita e Pensiero, Milano 1989. ↩︎

  15. Cfr. K. Gaiser, La metafisica della storia in Platone, Vita e Pensiero, Milano 1994. ↩︎

  16. Il grande filosofo Carlo Huber, nella sua opera, Vegliate dunque, pur riconoscendo il valore del soggetto trascendentale nella costituzione della realtà storica, evidenzia l’ineludibilità dell’oggetto della realtà storica, quale fattore fondamentale e vincoloante ai fini di qualsiasi valore di verità della conoscenza storica. Cfr. C. Huber, Vegliate dunque, Cittadella Editore, Assisi 2000, pp. 109-126 . Per una riflessione sulla ermeneutica veritativa si veda anche G. Mura, Introduzione all’Ermeneutica veritativa, EDUSC, Roma 2005, pp. 227-261. ↩︎

  17. Si può intendere il vincolo anche dal punto di vista della übereignen, ossia della coappartenenza tra evento-essere ed interprete-pensiero. ↩︎

  18. Sulla distinzione tra cause primarie e cause secondarie-strumentali si veda il Timeo, 46 C - 47 A, ed anche il Fedone, 97 C - 101 D. ↩︎

  19. Cfr. Timeo, 17 A - 26 E. ↩︎

  20. 21 Cfr. Timeo, 21 E1- 22 B3. ↩︎

  21. Cfr. Timeo, 22 C - 23 D. ↩︎

  22. Cfr. Politico, 268 D - 274 E. ↩︎

  23. Cfr. Leggi, III 676 A - 678 E. ↩︎

  24. Cfr. S. Babolin, Produzione di senso, Pontificia Università Gregoriana editrice, Roma 1996, pp. 149-152; Semiosi e comunicazione, Hortus Conclusus, Roma 1999, pp. 232-236. ↩︎

  25. Quinto Orazio Flacco, Odi, I, XI. ↩︎

  26. Cfr. Agostino, Confessioni, XI. ↩︎

  27. Il fatto che molta filosofia contemporanea definisca la presenza come retaggio di metafisica ontoteologica deteriore nasconde, a nostro avviso un atteggiamento dogmatico, non totalmente giustificabile, né giustificato. L’inadeguatezza del concetto di presenza per le più alte istanze umane non è imputabile, infatti, alla dimensione dell’eterno e dell’intelligibile, ma al nostro modo inadeguato di comprendere il Divino. Si noti, a tal proposito la riflessione di Sant’Anselmo d’Aosta nel Proslogion, nel quale, dopo la trattazione dell’esistenza di Dio, ci si interroga sugli attributi Divini. In quest’ultima trattazione Anselmo sostiene che Dio supera anche le cose eterne. Questo superamento non è semplicemente una astrazione del presente a scapito del passato e del futuro, ma è un superamento del presente medesimo, nel suo essere dimensione temporale. Dio è assoluta presenza, nel senso di assoluta compiutezza e tale compiutezza rinvia ad una dimensione ontologica, più che temporale, dimensione che non è riducibile al presente, bensì ingloba sia il passato, che il futuro. Cfr. Anselmo, Proslogion, XIX-XXII. ↩︎

  28. Cfr. Seneca, Lettere a Lucilio, Mondadori, Milano 1994. In particolare le lettere 54 e 102; cfr. anche G. Reale, La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima, Bompiani, Milano 2004. In particolare le pp. 119-139. ↩︎

  29. Il soliloquio notturno, nella storia ha avuto sempre un grande significato, specie in età moderna, ma non esclusivamente. Non dobbiamo dimenticare come il grande discorso sul metodo di Cartesio, dal quale ha avuto origine e fondamento l’intero percorso formativo e realizzativo della tecnica moderna, che al telos del dominio totale del mondo aspira, sia partito proprio da un soliloqui notturno, emblema di un’illusorietà minacciosa che tutto dissolve. Diavoli notturni tempestano gli incubi di santi e mistici, come ad esempio il demone deforme della testimonianza del monaco Rodolfo il Glabro, che ai piedi del suo letto vide un essere deforme in un improvviso risveglio notturno. ↩︎

  30. Cfr. Fedone, 65 A - 68 B; 78 B - 80 B. ↩︎

  31. Per una ermeneutica che interpreti il nichilismo come unica chance del mondo attuale si può consultare G. Vattimo, Fine della modernità, Garzanti, Milano 1999. In particolare si vedano le pp. 9-38. ↩︎

  32. Cfr. Fedro, 245 C - 245 E. ↩︎

  33. Timeo, 34 C 3-5. ↩︎

  34. Ibidem, 48 A 7-9. ↩︎

  35. Cfr. H.-G. Gadamer, Verità e Metodo, Bompiani, Milano 2000, pp. 81-153. ↩︎

  36. Si vedano a tal proposito le indicazioni di Babolin sulla tendenza della soggettività del fruitore a rispondere alla soggettività dell’artista. Cfr. S. Babolin, L’uomo e il suo volto, Hortus Conclusus, Roma 2000, pp. 247-252. ↩︎

  37. Cfr. Fedro, 229 A - 230 E. ↩︎

  38. Cfr. Timeo, 36 B - D. ↩︎

  39. Cfr. Fedro, 246 D - 250 B. ↩︎

  40. Per ciò che concerne questo tema nella sua trattazione si veda Parmenide 142 B - 157 B. Si veda anche la brillante interpretazione del Migliori in M. Migliori, Dialettica e Verità, Vita e Pensiero, Milano 1990. Si consideri, sempre del Migliori, l’articolo «Non è l’ontologia il vero cuore del Parmenide e del Sofista» in AA.VV., Platone e l’Ontologia. Il Parmenide e il Sofista, a cura di Matteo Bianchetti ed Erasmo Silvio Storace, Albo Versorio, Milano 2004. ↩︎

  41. Cfr. Parmenide, 151 E-152 D. ↩︎

  42. Parmenide, 152 C6 - D 1 ↩︎

  43. Ibidem, 152 E 1-3. ↩︎

  44. Parmenide, 156 A 5-7. ↩︎

  45. Ibidem, 156 B 2-4. ↩︎

  46. Parmenide, 156 E 1-3. ↩︎

  47. Interessantissime indicazioni in tal al senso si possono trovare in: G. Reale, Saggezza Antica, terapia per i mali dell’uomo d’oggi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995; Valori dimenticati dell’Occidente, Bompiani, Milano 2005, Radici culturali e spirituali dell’Europa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003. ↩︎

  48. Sul concetto, fondamentale per la filosofia contemporanea, della Wirkungsgeschichte si veda H.-G. Gadamer, Verità e Metodo, Bompiani, Milano 2000, pp. 340-358. ↩︎

  49. Interessanti sono le indicazioni di Proclo, nella Elementatio Theologica, parr. 104-109; 191-197. Proclo tratta del tema dell’anima che ha una sostanza eterna, ma un’attività temporale, ponendosi come dimensione intermedia tra la dimensione dei principi indivisibili e la dimensione divisibile. In tal modo, riflette il messaggio platonico del Timeo, 34 B - 36 D, concernente la formazione dell’anima quale misto tra divisibile ed indivisibile. ↩︎

  50. Cfr. S. Babolin, L’uomo e il suo volto, Hortus Conclusus, Roma 2002; Semiosi e comunicazione, Hortus Conclusus, Roma 2002, pp. 147-189; G. Reale, Saggezza Antica, pp. 121-136. ↩︎

  51. Cfr. U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il Nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2008. ↩︎