Storia e vita. Da Nietzsche alla Nouvelle Histoire

1. Introduzione

Che cosa intendiamo quando parliamo di storia? Ci riferiamo a qualcosa di oggettivo, oppure indichiamo un termine strettamente legato al mondo soggettivo? Come consideriamo la storia dei grandi uomini: un esempio, oppure un modello irraggiungibile? Il modo in cui approcciamo gli eventi storici rivela il nostro modo di pensare e considerare la storia. Lo stesso lavoro dello storico è profondamento mutato nel corso dei secoli. La documentazione storica che abbiamo fra le mani risente pesantemente del potere politico dominante. È il potere che ha scritto e, per molti aspetti, continua a scrivere la storia, manipolando a proprio piacimento i dati, per esaltare le proprie scelte. Quella che chiamiamo storia non è mai uno sforzo disinteressato di narrare gli eventi, ma consiste nel fare in modo che i posteri possano leggere gli eventi passati con uno specifico sguardo, quello del potere e del potente di turno. C’è, dunque, una storia scritta, per così dire, dal centro, da coloro che in un determinato momento e in una determinata epoca detengono il potere, e c’è tutta la storia silenziosa e, spesso e volentieri, non scritta della vita quotidiana, degli uomini e delle donne che rimangono ai margini degli eventi determinati dal potere. Non sempre la storia narra la vita; la verità storica non coincide con ciò che è stato narrato. Se la storia permette di creare un legame tra presente e passato affinché chi vive nell’oggi dell’esistenza possa trarre profitto dall’esperienza passata, diviene molto importante il modo di narrare gli eventi, la trasmissione di ciò che è stato. Grazie alle intuizioni e al lavoro svolto dal gruppo iniziale del gruppo di studiosi raccolto attorno alla rivista Annales1 e ai loro successori che hanno portato avanti il lavoro della Nouvelle Histoire,2 oggi quando parliamo di storia non guardiamo solamente alla manualistica, ma prendiamo in considerazione tanti altri documenti. Non solo, ma abbiamo appreso anche a fare storia in un modo nuovo, tenendo in considerazione tutte le discipline che possono intervenire per raccontare meglio e più verosimilmente possibile l’evento che s’intende narrare. Riuscire a mettere di lato la conformazione della narrazione ad un unico modello ispirato da un unico soggetto narrativo, per narrare una storia a più voci, che tenga conto del punto di vista del maggior numero di sguardi incontrati nel maggior numero di documenti a disposizione, significa aver compiuto un passo importante verso la liberazione dalla mentalità che vuole identificare l’oggettività storica con la conformità dell’unica narrazione. In questo articolo vorremmo soffermare la nostra attenzione sul sottile legame che intercorre tra le intuizioni del giovane Nietzsche, espresse nell’opuscolo Sull’utilità e il danno della storia per la vita, apparso nel 18743 e le riflessioni elaborate a partire degli anni Venti del XX secolo, da quel gruppo di studiosi – tra loro ricordiamo Marc Bloch e Lucien Febvre – riuniti attorno alla rivista Annales. Queste intuizioni comuni ci permettono una serie di riflessioni che, lungi da essere esaustive, introducono nella comprensione dell’importanza del lavoro dello storico e della ricaduta che il suo lavoro ha sulla vita delle persone.

2. Storia e vita

Quale significato ha la storia per la singola vita? Che cosa significa vita e quale valore è lecito attribuire alla storia? Nella seconda inattuale, scritta nel 1874, Nietzsche si sofferma su questi temi. Prima di procedere all’analisi del testo, occorre precisare che, quando l’autore parla di storia non specifica mai che cosa intenda con esso.4 Nonostante la mancata esplicitazione è possibile affermare, leggendo fra le righe del testo, che storia indica tutto ciò che è stato, non solo, però, il fluire del tempo, ma anche e soprattutto nel significato che l’uomo, con la sua esistenza, ha saputo dare al tempo. Storia indica il passato e questo trova il suo logico correlato nella vita dell’uomo. In questo nuovo contesto semantico il presente indica l’oggi, l’istante vissuto, che un domani, un nuovo presente renderà storia. Già in questi primi passaggi sul reticolo concettuale entro cui il nostro autore si muove, è facile comprendere come storia, passato, presente e futuro non indichino dei concetti puri, delle mere astrazioni. L’attenzione di Nietzsche è, infatti, costantemente rivolta all’uomo, al suo vissuto e al suo vivere. L’immediata conseguenza è una concezione filosofica depauperata da sofismi e da parossismi da nomoteta, a favore di una intelligibilità del sociale che tiene conto del suo protagonista: l’uomo.

2.1. La difficile obliterazione

«Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piolo dell’istante, e perciò né triste né tediato»5. Nietzsche introduce il discorso con un’immagine assai efficace: la vita animale. Come spiegare nel modo migliore il presente, l’attimo? L’animale vive solo ed esclusivamente in questa dimensione di eterno presente, dimentico di tutto ciò che è stato, di tutto ciò che un attimo prima ha compiuto. Il suo agire è un eterno istante, un continuo ripetere eventi già eseguiti, senza la mediazione di una coscienza che renda l’istante vissuto un piccolo mattone di storia. Tutto ciò che ha eseguito nell’attimo lo ripete ora, un nuovo presente, come qualcosa di originale mai prima effettuato. Per l’animale, passato e futuro non esistono. L’unica dimensione temporale che appartiene al suo mondo è il presente che, in questo contesto, diviene sinonimo di tempo. Al contrario «l’uomo vive sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte»6. L’uomo è diverso dall’animale. In che cosa, però, si caratterizza tale diversità? Per Nietzsche è la storia. Il nostro autore sembra riproporre la vecchia definizione aristotelica: l’uomo è un animale razionale. Per il nostro autore, però, indica qualcosa di ben diverso da una semplice facoltà (come invece voleva Kant7). Il mondo nel quale l’uomo è situato passa costantemente per il tribunale della coscienza, che valuta, unisce e separa. Per questo stringente motivo l’individuo vive con le cose e le cose vivono in lui anche quando sono passate. Questo è il significato di una storia intrinsecamente connessa con la vita. La storia è forgiata dalla vita, che lascia la sua impronta indelebile sulla realtà e sugli avvenimenti. C’è, dunque, in Nietzsche la consapevolezza che l’uomo, volente o nolente, deve sempre convivere con i gesti, le sensazioni, l’emozioni che in ogni istante prova.

«Perciò lo commuove, come se si ricordasse di un paradiso perduto, il vedere il gregge che pascola o, in più familiare vicinanza, il bambino che non ha ancora nessun passato da rinnegare e che gioca in beatissima cecità fra le siepi del passato e del futuro»8. È il ricordo, considerato come insieme di eventi passati, che caratterizza l’uomo e che, soprattutto, decurta la sua azione. Passato, ricordo, storia: sono tre sostantivi che indicano il proprium dell’uomo in senso, però, fortemente negativo. Il problema consiste nel capire come mai Nietzsche veda in tutto ciò che l’uomo ha vissuto un pernicioso peso che continuamente minaccia il suo presente, una terribile catena dalla quale difficilmente riesce a liberarsi. In che senso, quindi, l’animale è più felice dell’uomo? L’autore a queste impellenti domande, che spontaneamente scaturiscono nel cuore di colui che si è messo in ascolto del suo messaggio, non risponde in modo esplicito. Che la storia/passato sia un peso, è una verità alla quale non possiamo opporci.9. L’autore pone invece l’accento su un’altra questione: se la storia è pesante fardello, in che modo essa costituisce un danno o un vantaggio per la vita? Rispondendo a ciò, Nietzsche ci fornirà le risposte anche alle previe domande. Affinché il passato non diventi «affossatore del presente» occorre saperlo integrare nell’istante, in quanto «solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l’uomo diventa uomo». Nietzsche sembra qui riproporre un vecchio detto popolare: “la storia è maestra di vita”. La sua riflessione, come invece vedremo, scende molto più alla radice. Senza forzare troppo il testo, ci pare che l’autore non lasci troppe possibilità alla storia, parlandone sempre in via esclusivamente negativa. Difatti, l’unico riferimento positivo riguarda la capacità del singolo d’integrare nel presente l’esperienza passata, senza mai specificare in che cosa consista questa integrazione da lui chiamata «forza plastica». Invitando l’uomo a fare tesoro dell’esperienza passata, Nietzsche sembra quasi proporre delle considerazioni romantiche. Va, però, precisato che l’intento dell’autore è quello di mettere a fuoco il modo in cui l’uomo moderno si accosta alla storia e, perciò, al suo passato. È proprio questo uomo moderno che ora andiamo ad osservare.

2.2. Critica all’uomo moderno

Come mai si è oggi arrivati ad un tale eccesso di storia, che sembra minare la stessa esistenza? Nietzsche tenta di rispondere alla domanda osservando l’uomo del suo tempo. Il rapporto inscindibile tra storia e vita si è leso, poiché si è voluto che la storia fosse scienza. Oggi (è l’oggi dell’autore) non ci si rivolge più al passato per cercare risposte utili alla vita presente. L’autore tenta, allora, di delineare la genesi di questo traviamento: «Il sapere storico sgorga sempre di nuovo da sorgenti inesauribili, in qua e in là; ciò che è estraneo e sconnesso si affolla, la memoria apre tutte le sue porte e tuttavia non è aperta abbastanza ampiamente, la natura si sforza al massimo di ricevere questi ospiti estranei, di ordinarli e onorarli, ma essi stessi sono in lotta tra loro»10. L’analisi di Nietzsche sembra la dettagliata descrizione dell’incapacità umana di far fronte a ciò che essa stessa produce: la cultura storica. È proprio quest’ultima che genera un materiale così eccessivo, che nemmeno la memoria più elastica riesce ad assimilare, minacciando così, in modo irreversibile, la salute dell’uomo moderno11. Che cosa può fare, allora, l’uomo di fronte ad un tale pericolo? Quali rimedi deve prendere per allontanare la minaccia di una morte, che si profila ormai certa? A questo riguardo l’autore è estremamente pessimista. L’uomo del suo tempo non è sufficientemente attrezzato per affrontare il problema e, così, subentra in lui l’assuefazione: «da ultimo l’uomo moderno si porta in giro un’enorme quantità di indigeribili pietre del sapere, che poi all’occorrenza rumoreggiano puntualmente dentro di noi»12. L’uomo del tempo di Nietzsche è totalmente in balia del sapere storico, incapace di far fronte all’enorme quantità di materiale che si presenta alla sua coscienza. La sua forza plastica, vale a dire la sua capacità d’integrare il passato a servizio del presente, è anchilosata, irretita a tal punto da arrendersi a questo mortale destino. Questa situazione di stallo porta l’autore a delineare «la qualità più propria di questo uomo moderno: lo strano contrasto di un interno a cui non corrisponde nessun esterno». L’incapacità dell’uomo di controllare la storia/passato provoca in lui una tremenda rottura: «il sapere che viene preso in eccesso, senza fame, anzi contro il bisogno, oggi non opera più come motivo che trasformi e spinga verso, ma rimane nascosto in un certo caotico mondo interno, che l’uomo moderno designa con strana superbia come l’“interiorità” a lui propria»13.

Ciò che è sempre stato unito, appare oggi irrimediabilmente separato. Il singolo individuo sembra diventato incapace di esprimere la propria interiorità, il proprio bagaglio culturale. Parlare di esterno ed interno può trarre in inganno il lettore disattento. Nietzsche non li considera mai in modo separato. Parlando di individuo è implicito il suo riferimento alle due dimensioni che lo caratterizzano14. L’efficacia dell’azione individuale sta nel sapere esprimere la propria dimensione interna. L’antropologia, che qui l’autore ci presenta, è assai semplice e concreta. Contro quelle elaborazioni filosofiche estremamente razionali, che pongono il primato del singolo nelle sue capacità riflessive,15 contro anche quelle riflessioni sociologiche, assai di moda ai tempi in cui scriveva il nostro autore, che ritenevano l’azione e, in modo specifico, il lavoro, l’elemento valorizzante l’uomo,16 Nietzsche afferma l’indissolubilità del rapporto interno/esterno. Siamo di fronte ad un’antropologia d’impronta immanentista, che si realizza solo ed esclusivamente nella dimensione orizzontale, segno evidente che la rottura con il fenomeno religioso è ormai definitivamente avvenuta nello sviluppo della riflessione nietzschiana. Forse, il carattere di inattuale che l’autore attribuisce a questo suo breve saggio, è da ricercare anche sotto questo aspetto. Lo si può leggere, infatti, come critica a quel mondo di remote tradizioni religiose, quale era la Germania nella quale lui viveva, che ormai sentiva in modo asfittico. Solo più tardi il distacco si farà irreparabile e l’invettiva contro il mondo religioso, in particolare quello cristiano, giungerà ad una tale veemenza mai osata prima.17 Ciò che a questo proposito rimane da dire è che, pur non chiamando direttamente in causa il cristianesimo come male da estirpare,18 la sua concezione dell’uomo è già solidamente laica. Quale diventa, allora, l’immediata conseguenza della separazione tra interno ed esterno? Per Nietzsche è: «la personalità debole, secondo la quale il reale, l’esistente, lascia soltanto una scarsa impressione […] Ne nasce un’abitudine a non prendere più sul serio le cose reali»19. L’uomo moderno identifica sempre più la sua personalità con l’interno. Che cos’è però, quest’ultimo? A scanso di equivoci, occorre precisare che non si tratta di quella interiorità, sinonimo di spiritualità, tipica della riflessione cristiana. Tutt’altro. È il risultato di quel processo, sopra descritto, secondo il quale l’individuo vive schiacciato sotto il peso del materiale prodotto dalla cultura storica. Indica, anche, il continuo crogiolarsi dentro quel sapere vuoto, che non serve al concreto vivere. In definitiva, per Nietzsche, vivere nel proprio interno significa vivere in modo inautentico, sprezzante del presente. La personalità debole vive, così, in un mondo diverso, chiuso e alienante, che non è più quello degli uomini. Infatti, l’individuo si fa esitante e insicuro, e non può più credere in sé: sprofonda in se stesso, nell’interiorità, ossia nel deserto accumulato delle cose espresse che non agiscono all’esterno, della erudizione che non diventa vita.20

La descrizione dei contemporanei, fatta dal nostro autore è assai tragica. Sembra voler dire che questa è la giusta fine per chi si oppone alla propria natura. Dalle parole appena scritte sembra che Nietzsche abbia ben chiaro l’evoluzione dell’umanità, nelle sue fasi. Difatti, accenna un riferimento ai greci, come popolo dai gusti culturali diametralmente opposti all’epoca moderna. Questo cercare in altre età le modalità del come si dovrebbe vivere, è sintomatico. Nietzsche è insoddisfatto della sua epoca, degli uomini moderni, in quanto vede in loro lo scacco subito dalla cultura occidentale per mezzo delle loro stesse mani. Com’è potuto avvenire ciò se all’origine (nella Grecia antica), le cose andavano a meraviglia? Nietzsche ci ha già dato la risposta a questa domanda, proponendo la nosografia dell’uomo del suo tempo. Non ci fornisce, però, la storia del travisamento avvenuta a livello sociale. Nel nostro autore, c’è la piena consapevolezza del lento deterioramento che la cultura storica ha prodotto, sia a livello individuale che sociale. Rimane da capire che cosa Nietzsche intenda quando parla di uomo moderno. Di primo acchito ci viene da pensare che, in questa categoria di persone, l’autore intenda solo gli intellettuali, invece, non è solo così: «nessuno osa più arrischiare la propria persona e tutti invece si mascherano da uomini colti, da scienziati, da poeti, da politici»21. Tutti sono dunque coinvolti, nessuno è escluso. Il deprezzare la vita, celandosi all’interno, ha condotto l’uomo alla maschera. Così, l’uomo moderno ha bisogno per vivere, anzi per sopravvivere, di nascondersi dietro la maschera della cultura. Il continuo bisogno di essere altro è certamente sintomo di autodifesa e, forse, d’incapacità a sopportare la vita, soprattutto, nel suo aspetto esterno dell’azione e del dialogo. Lo stare in mezzo non piace più all’uomo moderno, poiché lo fa sentire nudo, povero. È di fronte ad una tale povertà che si sente pressato a portare delle maschere, rifugiandosi nel suo mondo interno dove, a suo avviso, nessuno può intaccarlo.

2.3. Quale storia produce l’uomo moderno?

Una rilevanza particolare ci pare debba essere fatta a proposito del pensatore puro, al quale l’autore dedica parecchia attenzione. In questo saggio Nietzsche non ha mai negato l’importanza di una certa conoscenza del passato. Anzi, egli afferma che è un bisogno: «ma non è il bisogno di una schiera di pensatori puri che soltanto stiano a guardare la vita, oppure di individui avidi di sapere, che siano appagati solo del sapere, e per i quali l’accrescimento della conoscenza sia il fine stesso, bensì si tratta sempre di un bisogno che ha come scopo la vita»22. Nietzsche è chiaramente contrario a quel modo di fare cultura, che non sa rispondere ai problemi dei singoli individui e che resta solo sulla carta stampata o sulle labbra dei così detti uomini colti. La cultura, considerata in se stessa, è contro la vita e costituisce una continua minaccia all’integrità umana (soprattutto è minacciata l’inscindibilità del rapporto interno/esterno). La critica al pensatore puro del tempo di Nietzsche, sembra ruotare attorno ad una domanda: a chi serve e a che cosa serve una cultura devitalizzata? È soprattutto il modo di procedere di questi «uomini colti» che l’autore critica: «qualunque cosa si faccia di buono o di giusto come azione, come poesia, come musica, subito lo svuotato uomo colto passa sopra all’opera e s’informa della storia dell’autore […] Subito viene paragonato ad altri, viene sezionato e squartato in base alla scelta della sua materia, in base alla sua trattazione, viene saggiamente ricomposto e in complesso ammonito e rimproverato»23. Che cosa produce tutto questo? Nient’altro che critica, vale a dire che «si chiacchiera sì per qualche tempo, di qualche cosa di nuovo, ma poi ancora di qualcos’altro di nuovo, e si fa nel frattempo ciò che si è sempre fatto»24. Questo tipo di procedimento, volto soprattutto a cercare una presunta oggettività nel sapere storico, è inefficace, in quanto trascura volutamente ciò che invece dovrebbe essere il perno del discorso: la vita. Ciò che contraddistingue l’uomo colto è lo scavare nel passato, cercando a tutti i costi di tenerlo lontano dal presente. Sono uomini che, giorno dopo giorno, tracciano un solco incolmabile tra passato e presente, tra storia e vita, tra interno ed esterno. Forse, l’uomo colto è giunto a questo punto per essersi eccessivamente innamorato del suo interno, tenendolo sempre maggiormente distaccato dall’interno e, quindi, dall’agire quotidiano.25 Sempre in via di ipotesi, si può supporre che queste considerazioni Nietzsche le abbia maturate negli anni dell’insegnamento universitario. Osservando i suoi colleghi filologi buttarsi in modo acritico sui classici, può aver prodotto una certa nausea dell’ambiente accademico, portandolo a decidere di dimettersi dall’insegnamento (nel 1879, cinque anni dopo la pubblicazione della seconda inattuale). In queste riflessioni si può scorgere anche il Nietzsche degli scritti successivi, quelli cioè che lo portarono alla critica aperta contro ogni aspetto della tradizione occidentale. Ci pare, infatti, che il motivo di questa sua analisi nei confronti dell’uomo del suo tempo, soprattutto dell’uomo colto, sia la particolare attenzione al singolo. La sua continua preoccupazione affinché sia salvaguardata la vita, è la chiara conferma di quanto andavamo dicendo. Se fare storia e, di conseguenza, produrre cultura è così rischioso per la vita, chi può dunque assolvere tale compito? «Oggi conviene sapere che soltanto colui che costruisce il futuro ha diritto a giudicare il passato». Solo colui che ha molto vissuto, cioè che ha vissuto «qualcosa in modo più alto e grande di tutti», può pretendere di farsi interprete della storia. Nel diciannovesimo secolo tali uomini, a parere di Nietzsche, non esistevano, o se esistevano erano fatti tacere dalla cultura devitalizzata del tempo. Nel nostro secolo sono sorte persone in grado d’interpretare la storia a favore della vita? Se si, come procedono e quali strumenti utilizzano? Si tratta di trovare le risposte a quelle domande, che avevano inquietato il cuore di Nietzsche conducendolo verso la difficile «missione» di interprete della tradizione occidentale.

3. La nuova storia

A nostro parere, le risposte alle domande inquietanti che si poneva il giovane Nietzsche, alla ricerca di un nuovo modo di fare storia che rimanesse attenta alla vita, alla realtà del vissuto umano, si possono trovar in una scuola di pensiero sorta negli anni Venti del secolo scorso chiamata Nouvelle Histoire e che hanno trovato nella rivista delle Annales la piattaforma in cui confluivano e, a tutt’oggi confluiscono, il frutto delle loro le ricerche.26 Prima d’interpellare questa scuola di pensiero ci soffermeremo, ancora un attimo, sull’autore da noi finora considerato, per trovare il giusto aggancio con le riflessioni che in seguito verranno proposte.

3.1. Storia monumentale

Con tale accezione, Nietzsche indica la storia dei grandi eventi, dei grandi uomini, che, di solito, vengono presi come punti di riferimento per lo sguardo retrospettivo del passato. È la storia che è riconoscente solo ed esclusivamente al mito, a colui, cioè, che ha reso importante un’epoca. È quel tipo di storia costruita dal centro che manipola i dati della realtà per trasmettere una particolare visione del mondo. Evidentemente, in un simile contesto, il quotidiano, la vita di ogni giorno fatta di tanti piccoli particolari, viene eliminata e dichiarata priva d’importanza. Per Nietzsche, questo modo di considerare la storia e di rivolgersi ad essa è tipico dell’uomo attivo, che vede nella gloria il suo scopo.27 Il suo è un desiderio di «omogeneità e continuità della grandezza di tutti i tempi» e non trovando modelli nel presente, si tuffa incondizionatamente nel passato. Se un giorno la grandezza è stata possibile, perché non può più tornare tale? Questa è la questione fondamentale che permette all’uomo attivo di non fermarsi mai e di proseguire imperterrito verso la sua meta, fiducioso di trovare un posto dignitoso nella storia. Parlare di storia in questi termini è, per Nietzsche, falsare completamente il discorso: «nei rari personaggi che in genere divengono visibili, salta agli occhi un che d’innaturale e di meraviglioso»28. La storia monumentale diventa la vittoria della parte (i grandi avvenimenti, che costituiscono un numero assai esiguo) sul tutto (i rimanenti avvenimenti, che rispetto ai primi, assumono una dimensione infinita) e così: «intere grandi parti di esso vengono dimenticate, spregiate, e scorrono via come un grigio e ininterrotto flusso, mentre emergono come isole solo singoli fatti imbelliti»29. Nella cultura di un’epoca che fa sua la concezione di storia monumentale, la vita quotidiana ne esce non solo depauperata, ma anche e soprattutto alienata. Una cultura siffatta, diventa ingannatrice e non può che produrre finzioni storiche. Ci pare utile, a questo punto, riproporre la domanda conclusiva del precedente capitolo: in che modo è possibile fare storia in modo utile alla vita?30

3.2. Una risposta al problema

Con Nuova storia si vuole indicare quella corrente storiografia sorta in Francia nel 1929, data della fondazione della rivista Annales d’histoire économique et sociale, fondata da Lucien Febvre e Marc Bloch31. La principale presa di posizione di questa rivista è il rifiuto della storia semplicista, che si ferma alla superficie degli avvenimenti. È, in altre parole, il rifiuto d’identificare la storia con la storia monumentale di cui Nietzsche accennava nella seconda inattuale. Le Annales segnano, così, il punto di partenza di un nuovo modo non solo di concepire la storia, ma anche di farla. Da ciò nasce un nuovo modo di concepire il tempo. Si passa, infatti, da un tempo scandito da una periodizzazione ben precisa, fatta di date atte a sottolineare i momenti più importanti della storia, ad una lunga durata che K. Pomian definisce così: «le forze profonde della storia agiscono e si lasciano cogliere solo nei tempi lunghi. La storia del breve periodo è incapace di cogliere e di spiegare la permanenza e i cambiamenti»32. Il concepire la storia nella lunga durata insegna allo storico che la periodizzazione data, fino ad ora, alla storia, non è qualcosa di oggettivo, valido per sempre, ma solo uno strumento orientativo. Come spesso succede per le realtà create dall’uomo, anche questo strumento orientativo può diventare disorientante. In effetti, ci dà sicurezza pensare la storia come insieme di fatti importanti. All’interno o ai margini degli Eventi, con la «E» maiuscola, vi sono situati un’infinità di tanti altri avvenimenti che non costituiscono la «storia vera», ma perlomeno una storia più attenta e vicina alla realtà. Non si è mai letto, infatti, nei manuali di storia qualcosa sull’alimentazione, sul corpo, sui comportamenti sessuali, sui modi di vestire e di costruire le abitazioni. Eppure, se ci pensiamo bene, la maggior parte della gente vive in queste piccole storie e si sente più viva e rappresentata in quelle storie che fanno appello al quotidiano, rispetto a quelle monumentali. I nuovi storici ci spronano a guardare la storia con occhi nuovi, vitalizzati (Nietzsche parlava di cultura devitalizzata), attenti cioè al fenomeno nella sua molteplicità. È un invito ad una storia globale, che rifiuta categoricamente il monopolio della politica, come sino ad ora è avvenuto. È la scoperta che la storia si svolge dietro alle quinte, mentre quella sul set è solo una piccolissima parte di essa. In questo modo, lo storico ha bisogno di nuovi strumenti capaci di corrispondere alle nuove esigenze. Si avvale, così, di molte discipline considerate da sempre al di fuori del perimetro storico. Antropologia, etnologia, geografia, economia, sociologia, psicanalisi, geologia, archeologia sono tutte chiamate ad indagare l’evento. Ad una superficiale concezione lineare della storia, si sostituisce un tempo costituito da una molteplicità di tempi sovrapposti far loro: «si stratificano nello stesso campo durate diverse […] Si profila l’idea di una storia sinfonica nella quale i diversi ritmi decifranti si scontrerebbero nelle loro divergenze»33. L’intreccio di ritmi diversi consente, in modo più efficace di prima, a salvare il fenomeno. Una storia vista come un intreccio di aspetti diversi è più credibile, nel senso che è più verosimile alla vita quotidiana. Parlare di lunga durata e di tempi diversi significa chiamare in causa un altro elemento concettuale, che ha contribuito a formulare la nuova storia: la struttura.

«Per noi storici una struttura è una realtà che il tempo stenta a logorare e che porta con sé molto a lungo. Talune strutture vivendo a lungo, diventano elementi stabili per un’infinità di generazioni: esse ingombrano la storia, ne impacciano, e quindi ne determinano il corso»34. La storia è dunque costellata da elementi permanenti. La logica conseguenza di ciò è che la vita quotidiana di una società, è composta da un insieme di strutture che si mantengono tutte nella lunga durata, per quanto ognuna di essa evolva ad un ritmo proprio. È la loro presenza ad imporre alla vita quotidiana il suo carattere regolare e a chiuderla entro confini dai normalmente è impossibile liberarsi. Da queste considerazioni, risulta assai evidente il mutamento che la concezione della storia subisce. Infatti, dalla vecchia impostazione dove si trattava di constatare che cosa era successo di nuovo e che, di conseguenza, indirizzava gli storici verso gli avvenimenti straordinari, si passa ad un’impostazione, che pone al centro dell’attenzione i fenomeni che si ripetono. Lo sguardo si posa, cioè, dall’eccezionale al regolare. È la vita di tutti i giorni che il nuovo storico sta interrogando, che non è fatta di cose eccezionali, ma, al contrario, di atti e gesti consueti, che si ripetono un’infinità di volte. Ciò che più sorprende è, a nostro avviso, l’aver messo in luce che alcuni gesti, alcuni modi di riflettere sulla realtà (la mentalità) che oggi noi abbiamo, sono gli stessi dei nostri avi, di uomini vissuti in civiltà molto lontane. È questa la storia che noi andiamo cercando, quella storia, cioè che ci aiuti a comprendere il contesto culturale nel quale la vita ci ha inseriti. Noi uomini e donne del presente, abbiamo le radici in un passato, che è più remoto di quanto possiamo sospettare. Questa presa di coscienza, ci deve spronare a non fermarci alla superficie, per andare alla ricerca di un passato che è strettamente connesso con il nostro oggi. Vedere la storia attraverso la lunga durata, la struttura, la mentalità, significa rispettare la vita, in quanto, quest’ultima, è costituita da una molteplicità di elementi, che si perdono nella lunga durata del tempo e, la loro dimenticanza, spesso costituisce la nostra caduta.

Considerare la storia e quindi la vita, in questa dimensione di lunghezza, ci conduce ad ulteriori considerazioni. La storia si muove, ma il suo movimento è quasi impercettibile. Noi stessi ci accorgiamo di essere cambiati solo a distanza di anni. Se questo discorso è valido per noi, singoli uomini, tanto più vale per la storia intesa come intreccio di molteplicità periodi. Georges Duby ci può aiutare a comprendere quanto stiamo dicendo: «l’uomo regola il suo territorio in funzione dei propri bisogni vitali, ma rispettando un piano che gli è stato lasciato in eredità da coloro che sono venuti prima di lui e che si accorda con la visione che egli ha del mondo, con l’idea di ordine che egli si fa; non s’installa la propria casa in un luogo qualsiasi, non si distribuiscono i campi e i giardini intorno ad essa come capita, non si raccoglie qualsiasi cosa che possa nutrire, ma il nutrimento imposto dalla tradizione»35. Questo modo di essere giocati dalla tradizione e la nostra impossibilità di modificarla, ha condotto lo storico ad usare in modo diverso i documenti che aveva a disposizione. Sia Duby36 che Jean Claude Schimitt37, ci aiutano a comprendere il nuovo modo dello storico d’affrontare le fonti. Immaginiamo di dover condurre una ricerca storica su un periodo del medioevo. Tenendo fede alle cose prima dette, non potremmo più rivolgerci al documento chiedendogli notizie sugli avvenimenti principali. Infatti, questi, in un modo o nell’altro, li avremmo. Li avremmo, però alla luce di come li vedeva la cultura dominante di quel periodo, con il suo potere, i suoi sudditi, i suoi cavalieri, i suoi contadini. Ogni avvenimento di un’epoca passata, arriva a noi attraverso la voce del centro, cioè del potere politico del periodo che ha imposto una particolare narrazione. È solo quest’ultimo a parlare e, di conseguenza, tramanda alla storia ciò che più rappresenta il suo potere, ciò che più può impressionare le orecchie di chi ascolta. La storia è sempre stata manipolata per affermare un potere, per sostenere una rivendicazione. Come potremmo, allora, sapere qualcosa di obbiettivo e verosimile sui contadini dell’undicesimo secolo, se di loro hanno scritto persone manipolate dal potere? «Vediamo i contadini soltanto attraverso gli occhi del signore feudale […] Il popolo non parla, o piuttosto ciò che ha detto non è mai fissato»38. Il fatto chiaro è che la storia è stata a lungo scritta dal punto di vista del centro, dal quale s’irradiava la verità “in relazione alla quale erano giudicati tutti gli errori, le deviazioni o semplicemente le diversità;39 una realtà che lo storico non solo deve accettare, ma anche affrontare. Come far parlare i marginali, quelle intere schiere di persone che per diversi motivi,40 sono rimasti a vivere ai margini del centro? In che modo interpellarli se la storia ha fatto silenzio su di loro o si è limitata a fornirci notizie viziate? Si tratta certamente di passare al setaccio il documento storico: ma come fare? Che cosa può voler dire «destrutturare il documento per capire le condizioni della sua produzione»41? George Duby, afferma che, quando fa storia: «cerco di vedere come quelle date cose sono state percepite, perché vengono presentate in questo o quel modo in un determinato testo; cerco di ritrovare il colpo d’occhio che è stato gettato sull’evento attuale, o su quello passato, sulle strutture attuali o passate della gente dell’epoca»42. È, dunque, uno sforzo d’immaginazione che allo storico è richiesto, uno sforzo di mettersi nei panni degli altri e di empatia di chi sta indagando, d’immergersi nella loro cultura nel loro mondo. È evidente che il nuovo storico non si avvale solo dall’immaginazione. Si serve, infatti, soprattutto, dell’ausilio di altre discipline alle quali si rivolge per chiedere dati che affrontano il suo stesso problema sotto angolature diverse. È certamente un lavoro che richiede parecchio tempo e tanta attenzione, ma se alla fine il risultato è quello di produrre storia vitalizzata e attenta alla vita, lo sforzo impiegato non è andato perso. Nel capitolo precedente abbiamo visto come Nietzsche criticasse aspramente coloro che facevano storia solo per mestiere, senza perciò tenerla in connessione con la vita. In che modo i nuovi storici si occupano di storia? Quale legame ha per la loro vita? Quali insegnamenti ne traggono per sé e per gli altri? Jacques Le Goff, in un articolo apparso su «Mondoperaio»43 nel mese di maggio del 1986, afferma che: «noi storici facciamo la storia del passato a partire dal presente. In effetti, ciò che vogliamo sapere, è perché siamo arrivati qui. A me non interessa sapere in quanto tale che cosa accadeva nell’undicesimo secolo; ciò che m’interessa è sapere che cosa è successo nello undicesimo secolo per capire che cosa accade oggi»44. Georges Duby ne: Il sogno della storia, afferma:

Ero intimamente convinto che il lavoro che facevo avesse una sua utilità pratica, per gli uomini del nostro tempo, e che lo sguardo posato sul passato permetta di aguzzare lo sguardo che rivolgiamo alle cose del mondo attuale, e che sono in movimento. Sono convinto che produrre il discorso storico significa sviluppare un sapere utile […] La storia insegna anche la complessità della realtà. Insegna a leggere il presente in modo meno ingenuo, a cogliere, attraverso l’esperienza della società antiche, come i diversi elementi di una cultura e di una formazione sociale, entrino reciprocamente in gioco. Il mio mestiere consiste nel porre domande sull’uomo (sull’uomo di oggi) e nel tentare di darvi risposta prendendo in considerazione il comportamento della nostra società in una tappa anteriore del suo corso45.

Abbiamo visto come sia Le Goff che Duby considerano il loro lavoro di storico uno strumento che possa essere utile alla vita. È l’esplicito rifiuto di quel sapere in sé, nel quale Nietzsche aveva individuato il male mortale dell’uomo del suo tempo. Gli storici da noi interpellati vogliono capire il mondo nel quale si trovano. Ciò che li guida è, a nostro avviso, un’esigenza di far luce su ciò che l’uomo ha vissuto, per una miglior comprensione del presente e per consegnare una storia che possa in un qualche modo essere utile alla vita.

4. Conclusione

L’obiettivo di questo lavoro non è stato quello di presentare il pensiero di Nietzsche o il metodo della Nouvelle Histoire, ma di mettere in luce delle sintonie. Nietzsche mette in evidenza i limiti di un modo di fare storia che, rimanendo fine a se stesso, a servizio dello stretto circolo culturale di una università, non serve alla vita, non dice nulla, o poco, del vissuto autentico che, invece, la storia dovrebbe raccontare. Nietzsche mette il dito sulla piaga di un materiale storico prodotto da un metodo, che ha progressivamente perso i legami con la vita. Nelle pagine della seconda inattuale si respira un’aria d’insoddisfazione per quello che viene prodotto dalla ricerca universitaria, perché ritenuta inutile, incapace di dire qualcosa di autentico sul passato. L’uomo moderno è prigioniero del passato, e del dogmatismo di una storia che incombe continuamente sulla vita, limitando od impedendo l’accesso all’unica forma di libertà: la creazione dell’istante. Questa critica spietata di Nietzsche alla cultura storica del suo tempo è, in realtà, un atto di accusa ad un metodo, un’impostazione che produce l’annichilimento progressivo della realtà, consegnando all’uomo e alla donna occidentale una realtà artefatta, lontana dalla vita vera, una realtà mascherata. Non a caso Gianni Vattimo46 ha considerato la filosofia di Nietzsche come un processo di smascheramento. Togliere la maschera che la metafisica occidentale ha costruito nei secoli, producendo una cultura artefatta, che ha nel modo di fare storia una delle sue manifestazioni, è il senso profondo della filosofia nietzschiana. Per questo, la storia non è che una delle mistificazioni prodotte dalla metafisica. Come sappiamo, nel proseguo della sua opera Nietzsche smaschererà la morale, la religione, l’arte come prodotti di un pensiero che non ha fatto altro che togliere la vita dalla cultura. Il nichilismo, allora, non sarà altro che la logica conseguenza di questo cammino di morte. Una risposta positiva a questa critica radicale e, per certi aspetti, definitiva sul modo moderno di fare storia, l’abbiamo trovata e brevemente presentata nella Nouvelle Histoire, che sembra produrre una storia non più fine a se stessa o a riprodurrei interessi di potere, ma attenta al presente della vita. Sono ormai molti decenni di produzione storica che questa scuola ha prodotto e, di conseguenza, ne si possono valutare i risultati. Diceva Le Goff che ai nuovi storici interessa sapere perché siamo arrivati qui. In questa prospettiva, il passato diviene importante per cogliere le dinamiche della vita presente. Se si sfogliano gli articoli apparsi sulla rivista Annales e anche i cataloghi delle opere di questi studiosi, si percepisce l’attenzione che è stata data alla vita quotidiana, segnale che l’accento è stato notevolmente spostato dal centro alla periferia. A questo proposito, quello che è stato scritto dal potere politico, acquisisce un’importanza relativa. Quando s’intende capire in profondità i costumi delle persone di una regione in un particolare periodo della storia, sono ben altre le fonti necessarie. Diari, narrazioni orali tramandate, canti popolari, costumi, registri che riportano i numeri di un particolare commercio, o i registri che si possono incontrare in una parrocchia: è tutto un materiale da ascoltare per farsi consegnare un vissuto mai narrato in modo organico da nessuno. Dicevamo poco sopra che il presente lavoro non ha l’obiettivo di presentare in modo esaustivo la filosofia di un autore o una particolare scuola di pensiero, ma di mettere in evidenza delle sintonie. Le domande lasciate aperte da Nietzsche sul modo di fare storia, hanno trovato alcune risposte nella scuola di pensiero che ruota attorno alle Annales. È un’intuizione che vuole essere anche un’indicazione, una pista per continuare la ricerca.


  1. Les Annales d’histoire économique et sociale è una rivista che rappresenta una corrente storica francese fondata da Lucien Febvre (1878-1956) e Marc Bloch (1886-1944) alla fine degli anni 1920. La rivista cerca di scrivere una storia completa, una storia «totale», non limitandosi più solo agli aspetti politici, militari o diplomatici. Attorno alla rivista si sono succeduti studiosi di diverse generazioni e, tra loro, ricordiamo: George Duby, Jacques Le Goff, Fernand Braudel, Pierre Goubert, Emmanuel Leroy Ladurie, Philippe Ariès, Bernard Lepetit. ↩︎

  2. Con il termine Nouvelle Histoire (in italiano Nuova Storia), si è soliti indicare una corrente di pensiero storico che mira all’ampliamento dell’orizzonte di osservazione dello storico mediante la scoperta di nuovi oggetti e lo studio delle scienze sociali, ricorrendo al maggior numero di discipline possibili capaci di dar ragione dell’evento esaminato. Essa fu espressa dalla scuola des Annales. si tratta di quello che, probabilmente, è il più importante gruppo di storici francesi del XX secolo e che divenne celebre per aver introdotto tali rilevanti innovazioni metodologiche nella storiografia. La Nuova Storia non si è limitata ad aprire a nuovi orizzonti e a nuovi indirizzi. Essa si proclama Storia Globale, rivendicando il rinnovamento di tutto il settore storiografico. Essa ha allargato il campo della documentazione storica: scritti di ogni genere, documenti figurativi, reperti archeologici, documenti orali, fotografie, utensili di vario tipo, sono per la Nuova Storia tutti documenti di prim’ordine. ↩︎

  3. È la seconda delle quattro Considerazioni inattuali. Si tratta di un breve trattato nel quale Nietzsche, distinguendo tra storia monumentale, storia antiquaria e storia critica, sviluppa le sue iniziali posizioni antistoricistiche, diventando un punto fermo per chiunque voglia occuparsi di filosofia della storia, anche se poi, nel percorrere i tortuosi meandri del suo pensiero, abbandonerà in parte queste posizioni, assumendo un atteggiamento più mite nei confronti del passato. ↩︎

  4. Su questo punto cfr.: Schaberg, William H., The Nietzsche Canon: A Publication History and Bibliography. Chicago: University of Chicago Press, 1995. ↩︎

  5. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Milano, Adelphi, 1983, p. 6. ↩︎

  6. Ivi, p. 7. ↩︎

  7. Sul rapporto Nietzsche e Kant cfr. L’interessante lezione congiunta di orientamento tenuta a Milano il 7 maggio 2012, presso l’Università Vita-Salute San Raffaele da Roberta De Monticelli e Roberto Mordacci, dal tema: Kant o Nietzsche? Distruggere la morale o fondarla? Disponibile in: https://www.phenomenologylab.eu/index.php/2012/05/kant-o-nietzsche-2/ ↩︎

  8. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 7. ↩︎

  9. Ivi, p. 30-31. Questo discorso ci pare perfettamente in accordo con quanto Nietzsche affermava nella Nascita della tragedia, (Milano: Adelphi, 1978) a proposito del senso del tragico. Per l’autore, la vita porta necessariamente con sé aspetti gioiosi e tristi. L’uomo da sempre ha cercato di fuggire gli aspetti tragici della vita con i miti. Due cose fanno particolarmente paura all’uomo: l’irrazionale e l’orrido. Contro il primo agisce con il mito della verità, contro il secondo con il mito del bello. Ci pare che nella visione tragica della vita possa rientrare il passato, descritto da Nietzsche come peso che minaccia il presente. L’unico modo che l’uomo possiede per far fronte a questo pericolo è l’oblio. Va detto, però, che l’autore non considera il passato totalmente negativo. Su questo aspetto cfr.: Colli, Giorgio, Scritti su Nietzsche. Milano: Adelphi, 1980. ↩︎

  10. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 31-32. ↩︎

  11. Ivi, p. 48. ↩︎

  12. Ivi, p. 32. ↩︎

  13. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 32. ↩︎

  14. Il rapporto descritto da Nietzsche d’interno ed esterno, ci ha fatto trova una corrispondenza nel personalismo di Emmanuel Mounier. Infatti, il filosofo francese affermava che: «l’esistenza personale è sempre contesa fra due movimenti: uno di interiorizzazione l’altro d’esteriorizzazione; entrambi le sono essenziali, entrambi possono sia soffocarla sia dissiparla […] Non bisogna disprezzare troppo la vita esteriore perché senza di essa la vita interiore, anche quella esteriore delira» (Mounier, Emmanuel. Il personalismo. Roma: AVE, 1964, p. 61-62). Sono riflessioni di evidente matrice cristiana, per cui interno ed esterno assumono significati diversi rispetto al discorso di Nietzsche. Mentre, infatti, per quest’ultimo i due elementi non sono distinti, ma compresenti nell’efficacia dell’azione (è l’uomo moderno, con un eccesso di storia, che ha provocato la frattura con dolorose conseguenze), per Mounier interno ed esterno sono momenti diversi dell’universo personale. Occorre inoltre precisare che nella visione di Mounier il senso più adeguato della persona può trovarsi solo nella totalità dell’essere, solo in un orizzonte di «universalità» (A.A.V.V. Mounier trent’anni dopo. Milano: Vita e Pensiero, 1981, articolo di Virgilio Melchiorre «Linee di fondazione del concetto di persona» p. 105). In Nietzsche, questo aspetto dell’uomo partecipe di qualcosa che non avrà mai fine non c’è. Il «suo» uomo sembra un perenne condannato a combattere contro i castelli metafisici costruiti in tanti secoli della tradizione (cfr. le analisi di: Montinari, Mazzino. Che cos’ha detto Nietzsche. Milano: Adelphi, 1999; Fink, Eugen, La filosofia di Nietzsche. Milano: Mondadori, 1980. ↩︎

  15. Il riferimento è al pensiero platonico e aristotelico che ha plasmato la cultura occidentale. Cfr. Reale, Giovanni. Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’uomo europeo. Milano: Cortina Raffaello, 2003. ↩︎

  16. Il riferimento è alla corrente marxista espressa in modo significativo dalle opere di Marx ed Engels, che proprio in quel periodo prendevano piede attraverso la fondazione della Prima Internazionale (1864-1889) sorta con l’intuito di creare un legame internazionale tra i diversi gruppi politi idi sinistra e tra le varie organizzazioni di lavoratori e, in modo particolare gli operai. Il dissidio tra anarchici e marxisti, che presero cammini diversi, diedero vita alla seconda Internazionale (1889-1916). Un approfondimento su questo tema si trova in: Monteleone, Renato,La Seconda Internazionale e il movimento operaio in Europa, in: Tranfaglia, N. e Firpo, M. (a cura di),La storia. L’età contemporanea. Torino: UTET, 1988, vol. 3, p. 639–665. ↩︎

  17. L’unico aspetto, a nostro avviso, che sembra accomunarli è l’importanza attribuita all’equilibrio che l’individuo deve raggiungere. Il rischio sarebbe per Mounier «una vita assurda», mentre per Nietzsche «una personalità debole». Interessanti a questo riguardo sono le considerazioni di Mounier nel libro in cui apre un dialogo con il pensiero di Nietzsche: Mounier, Emmanuel. L’affrontamento cristiano. Bari: Ecumenica, 1984. ↩︎

  18. Ci riferiamo in particolar modo a questi due testi di Nietzsche entrambi pubblicati nel 1988: Il crepuscolo degli dei e L’anticristo↩︎

  19. Ci pare importante fare un’ulteriore precisazione sullo stile di Nietzsche riscontrato in quest’opera. Mentre nei volumi che lo consacreranno come il massimo critico e distruttore della tradizione occidentale i toni si fanno spesso veementi e incontrollati, qui il discorso è pacato, quasi a voler segnare il distacco, la non curanza verso un mondo, il cristianesimo, che ha già in sé le cause della sua rovina. Per questo motivo ci pare più opportuno definire il Nietzsche della seconda inattuale laico anziché ateo, in quanto questo ultimo termine sottintende un conflitto con l’elemento religioso che, in questo frangente, pare non esserci. Su questo aspetto cfr.: Welt, Bernard, L’ateismo di Nietzsche e il cristianesimo. Brescia: Queriniana, 1994. ↩︎

  20. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 34. ↩︎

  21. Affermiamo questo, in quanto ci è parso che, per Nietzsche, l’equilibrio tra interno ed esterno sembra essere un elemento stesso della natura umana. Ha affrontato e approfondito questo tema: Biuso, Giovanni Alberto. L’antropologia di Nietzsche. Napoli: Morano, 1995. ↩︎

  22. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 41. ↩︎

  23. Ivi, p. 30. ↩︎

  24. Ivi, p. 45. ↩︎

  25. A questo proposito è impressionante la sintonia di pensiero con il poeta e filosofo francese Charles Péguy che, all’inizio del XX secolo, si scagliava con veemenza contro l’uomo moderno e gli intellettuali. Cfr. Péguy, Charles. Lo spirito del sistema, Milella, Lecce, 1988. È soprattutto in questo testo che Péguy critica il metodo moderno incapace di ascoltare la dinamicità che la realtà porta con sé nel tempo presente, imprigionandola nei rigidi sistemi razionali che non hanno altra funzione che quella di vivere tranquilli. Chi più di ogni altro ha approfondito la filosofia di Péguy è stato: Prontera, Angelo. La filosofia come metodo. Libertà e pluralità in Péguy. Milella, Lecce, 1988. ↩︎

  26. In questo paragrafo terremo come riferimento i saggi raccolti nel seguente volume: Le Goff, Jacques (a cura di). La nuova storia. Mondadori, Milano, 1983. ↩︎

  27. Sulla concezione della storia elaborata da Nietzsche cfr. Mazzarella, Eugenio. Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita. Napoli: Guida, 2000. ↩︎

  28. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 56. ↩︎

  29. Ivi, p. 21. ↩︎

  30. La nostra riflessione sulla concezione della storia in Nietzsche tiene come punto di riferimento il fondamentale lavoro di: Lowith, Karl. Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX. Torino: Einaudi, 2000. ↩︎

  31. Pomian, Krzysztof. Che cos’è la storia? Milano: Mondadori, 2001, p. 49. ↩︎

  32. Nietzsche, Friedrich, Sull’utilità e il danno della storia per la vita. Cit. p. 21. ↩︎

  33. Le Goff, Jacques (a cura di). La nuova storia. Cit. p. 32. ↩︎

  34. Duby, George, Il sogno della storia. Milano: Garzanti 1986, p. 75. ↩︎

  35. Le Goff, Jacques (a cura di). La nuova storia. Cit. p. 49-80. ↩︎

  36. Duby, George, Il sogno della storia. Cit. p. 84. ↩︎

  37. Ivi. p. 150. ↩︎

  38. Articolo di Jean-Claude Schmitt in: Le Goff, Jacques (a cura di). La nuova storia, cit. p. 259-287. ↩︎

  39. Duby, George, Il sogno della storia. Cit. p. 82. ↩︎

  40. Ivi. p. 69. ↩︎

  41. Ivi, p. 259. ↩︎

  42. Duby si riferisce ai diversi tipi di marginalità dovuti a un diverso modo, nell’arco dei secoli, di porsi in conflitto con le strutture sociali. Questa analisi lo conduce ad affermare che, nell’evoluzione storica, alcuni casi di marginalità sono divenuti il centro, creando, a loro volta, una nuova marginalità. ↩︎

  43. Terni, Massimo. Intervista a J. Le Goff, in: Mondo Operaio, Roma: maggio 1984, p. 110-118. ↩︎

  44. Le Goff, Jacques (a cura di). La nuova storia. Cit. p. 42. ↩︎

  45. Duby, George, Il sogno della storia. Cit. p. 86. ↩︎

  46. Cfr.: Vattimo, Gianni. Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione. Milano: Bompiani, 2003. ↩︎