Jean-Luc Nancy, Verità della democrazia, Cronopio, Napoli 2009, € 9, 00.
Jean-Luc Nancy ha scritto Verité de la democratie in occasione del quarantesimo anniversario del Maggio 68. In questo breve saggio, che ha ottenuto il primo premio al Prix du pamphlet 2008, Nancy cerca di mettere a fuoco la sua attenzione sull’interrogazione che Maggio 68 si pose sulla verità della democrazia. Partendo dal riesame di questo periodo di grande fermento intellettuale, Nancy intende prolungare la portata di questa interrogazione, sottolineando come la democrazia non sia stata in grado di riflettere sulla propria inadeguatezza, non potendo, o non volendo, «portare alla luce il demos, che doveva costituirne il principio». A chi si scaglia contro Maggio 68 Nancy ricorda, come questo periodo storico abbia avuto il pregio di affermare che «l’autorità non può essere definita da alcuna autorizzazione preliminare, ma può procedere solamente da un desiderio che vi si esprime o vi si riconosce». Dunque l’autorità della democrazia deriva dal desiderio, quel desiderio che si caratterizza come potenza d’essere tutti insieme, tutti e ognuno, una comunità. La rinuncia ad identificarsi con un’autorità, che ha smesso di essere riconosciuta in quanto tale, sia essa il Padre, un Dio, una Nazione, una Repubblica e perfino la Democrazia, non porta con sé alcuna contraddizione, dato che l’essenziale resta l’essere-insieme. «La democrazia non ha sufficientemente capito che doveva essere anche “comunismo”, in qualche modo, perché altrimenti non sarebbe stata che gestione delle necessità e dei compromessi, priva di desiderio, cioè di spirito, di soffio, di senso». Questa provocazione tende a sottolineare come ci sia stata una deriva dell’essere-insieme; non va dunque inteso come un appello ad un ritorno dell’esperienza sovietica, ma a ciò che stava alla base, al fondamento di quell’esperienza, l’ideale della comunità, di ciò che noi tutti, noi e gli altri, abbiamo in comune e mettiamo in comune, la comunità come centro e direzione degli interessi del vivere insieme. «Democrazia vuol dire che né la morte né la vita valgono in sé stesse, ma che vale solo l’esistenza condivisa», torna dunque a farsi sentire anche in questo saggio l’eco delle parole spese attorno al tema della comunità negli anni ’80. La democrazia, secondo Nancy, non è una forma politica tra le altre, essa è spirito ancor prima di essere forma, e questo spirito che cos’è se non quello dell’uomo che supera infinitamente l’uomo, il rapporto dell’uomo con l’aperto in quanto tale? Esiste dunque all’interno della democrazia una componente incalcolabile che travalica ogni valore, sia esso politico, sociale o religioso. In un mondo come il nostro, dove tutto ha un prezzo, Nancy ci ricorda come nel cuore della democrazia, esiste qualcosa, il senza-valore, che per sua stessa natura non può essere calcolato. Questa parte è quella che riguarda l’arte, l’amore, l’amicizia, il pensiero, il sapere e l’emozione. Secondo Nancy la delusione nei confronti della democrazia deriverebbe dalla mancata condivisione politica dell’incalcolabile, del senza-valore. Troppo spesso ci scordiamo di come la politica sia nata dalla separazione tra sé stessa e un altro ordine di potere, che ormai non viene più riconosciuto nella figura di Dio ma che, nondimeno, mantiene la sua trascendenza attraverso l’arte, l’amore, l’amicizia, il pensiero, il sapere e l’emozione. Il senza-valore, l’incalcolabile di cui parla Nancy, che cos’è se non quello che in fondo noi tutti chiamiamo il senso, quello che apre le nostre vite a sé stesse, cioè le une alle altre. «Penetrare in questo pensiero è già agire, è essere nella prassi per mezzo della quale si produce un soggetto trasformato piuttosto che un prodotto conformato, un soggetto infinito piuttosto che un oggetto finito.» Dunque questa prassi è la sola in grado di distruggere l’equivalenza universale del capitalismo, poiché oppone ad essa qualcosa che non può essere calcolato, qualcosa di incommensurabile, che travalica le possibilità della misurazione, sostituisce cioè al falso infinito che faceva del soggetto un oggetto della catena del mercato, un soggetto infinito, un uomo che, come voleva Pascal, supera infinitamente l’uomo, aprendosi all’infinità dell’aperto in quanto tale. «Il destino della democrazia è legato alla possibilità di una trasformazione del paradigma dell’equivalenza. Introdurre una nuova inequivalenza, […] ecco la sfida.» Nancy si rende conto di come questa affermazione possa essere intesa come un pio idealismo, ma è assolutamente convinto che ci sia bisogno di trasformare questa affermazione in realtà, che è da questa inequivalenza che bisogna ripartire, non dal tutto si equivale, ma dal niente si equivale. Questa affermazione, e ancora di più, la possibilità stessa di questa affermazione, deve essere resa possibile dall’opera della politica, anche se la politica, dal canto suo, non può farsi portatrice di questa affermazione. Il suo compito resta quello di disegnare e progettare lo spazio entro il quale sia possibile esercitare questa affermazione di inequivalenza. «La democrazia non è figurabile. […] È forse il solo senso che in definitiva le si possa attribuire: la democrazia depone l’assunto di una figurazione di un destino, di una verità del comune». La democrazia dunque depone non solo la figurazione preordinata di un destino comune, ma anche la progettazione di questo stesso destino, per lasciare allo spazio comune la possibilità di aprirsi all’infinita possibilità dei nostri desideri e delle nostre affermazioni.
Il gran numero di saggi che si stanno susseguendo attorno al tema della democrazia fa pensare che sia la stessa democrazia a sentire l’esigenza di un suo riesame e di una sua rifondazione. Ma chi vuole rifondare deve ritornare al fondamento della democrazia e Nancy tenta di indicarci la strada in questo libro che, per molti versi può forse sembrare idealista e poco concreto, ma coglie appieno il problema dell’assenza di spirito, o desiderio, insito nella democrazia odierna. «La verità della democrazia è questa: essa non è una forma politica tra le altre, […] non è affatto una forma politica, o almeno non è in primo luogo una forma politica.»