Recensione a Ezio Gamba, La legalità del sentimento puro. L’estetica di Hermann Cohen come modello di una filosofia della cultura

Ezio Gamba, La legalità del sentimento puro. L’estetica di Hermann Cohen come modello di una filosofia della cultura, Mimesis, Milano 2008.

Un pregevolissimo studio questo di Ezio Gamba, dottore di ricerca in Ermeneutica presso l’Università di Torino, atto ad analizzare un aspetto non molto noto del pensiero di Cohen, che tuttavia si impone all’attenzione al fine di delineare una filosofia della cultura sostanziata sul terreno dell’estetica in quanto Weltanschauung.

Cohen, esponente autorevole della Scuola neokantiana di Marburg, e noto anche per il suo sforzo di coniugare ebraismo e filosofia, recupera all’estetica, come molto opportunamente sottolinea il nostro autore, un’autonomia che le conferisce una piena dignità nell’ambito delle altre discipline filosofiche e questo non senza l’apporto prezioso di Kant e la sua Critica della ragione giudicatrice.

Tuttavia resta all’orizzonte una sfida per lo stesso Cohen, ovvero quella di riconoscere una validità ad un fatto storico-culturale senza farlo derivare da un fondamento assoluto, ma senza neanche opporlo ad un’analisi trascendentale, quasi in un assoluto relativismo. Dunque la ricerca coheniana non vuol essere psicologica, quanto neppure metafisica (dato l’apporto critico dato da Kant), ma certamente egli non può, da filosofo, non voler accertare le condizioni di possibilità di un’estetica e i suoi titoli di validità.

Al fine di poter riuscire in questo intento, Cohen sottolinea come una teoria culturale non possa prescindere, secondo quanto insegna la Völkerspsychologie, dall’humus nel quale prende forma e dalla coscienza stessa dell’autore. Se questo è vero della teoria dell’intuizione di Platone cui Cohen dedica pagine davvero suggestive, è innegabile che tale verità si riscontri ogni volta che si cerca di indagare il concetto di tradizione attraverso la coscienza della determinazione storica e quello di appartenenza di gadameriana memoria.

Crediamo che proprio su questo punto si possa delineare il concetto del genio ed il suo ruolo nell’estetica, in modo tale da risolvere il nodo problematico posto all’inizio. Se, riprendendo Kant, il genio è colui che dà, attraverso l’arte, regole alla natura, agendo nella libertà del suo creare, naturalmente non può darsi un fondamento assoluto di natura metafisica obiettivante, e pur tuttavia la capacità di una libera creazione attraverso una libera disposizione di regole prescritte all’operare non può non nascere da una previa libertà di interpretazione del proprio tempo, che quasi prelude ad una fusione di orizzonti.

Inoltre, tale idea non può non richiamare, conseguentemente, quella che riguarda la possibilità di una lettura estetica di un’opera d’arte secondo l’unione di natura e spirito, in modo tale che la visione spirituale dell’artista offra uno spazio d’eterno nel contingente e transeunte. Ci sembra importante sottolineare, così, il valore intenzionale dell’arte come invenzione di spazio che ra-presenta la stessa natura nel valore di libertà che nell’arte stessa acquista, dato che la forma e soprattutto la sua percezione sembra addivenire ad una dimensione di universalità.

Cohen si sofferma altrettanto diffusamente sulle teorie poetiche, cercando di individuare l’origine della poesia come cultura dei popoli ed indagando la teoria mimetica di Platone ed Aristotele, evidenziando però, che essa attiene solo all’elemento formale, che riguarda non tanto una imitatio naturae quanto invece l’aspetto rappresentativo che si forma nella coscienza e che, nel caso della poesia, viene alla parola in quanto dispiegantesi su differenti stadi di linguaggio, da quello patognomico (che registra il cambiamento degli stati della coscienza), a quello onomatopeico (dove il contenuto rappresentativo comincia a manifestarsi), fino a quello del linguaggio completamente formato. Questi stadi saranno il presupposto per formulare nell’opera fondamentale, Aesthetik des reinen Gefühls la teoria della logica del giudizio, che poggia sull’idea secondo cui il linguaggio non può essere ricondotto al mero piano rappresentativo, essendo produttivo di concetti. Il ruolo del linguaggio in ambito estetico consiste, all’avviso di Cohen in un movimento, oseremmo dire, performativo del linguaggio che, presiedendo ad una unità di senso muove dalla conoscenza alla volontà per rendere ragione di tutte le direzioni della coscienza. Si passa, dunque, da un’analisi estetica ad un’analisi di psicologia filosofica che, però, ha il merito di rendere ancora più notevole e suggestiva la riflessione sul sentimento posto a fondamento dell’estetica in quanto intuizione della coscienza stessa.

Necessariamente il discorso filosofico di Cohen si concentra sull’individuo nel suo libero agire, esplorando il dramma, che, nella sua derivazione greca drao, implica proprio il significato di azione, e che, nella fattispecie del Faust o della Divina Commedia chiama in causa il problema della determinazione e della libertà dell’agire tipico dell’intera storia dell’umanità. In ultima analisi la fondazione trascendentale dell’arte nella moralità è indagata anche nell’ambito di arti figurative come scultura, pittura ed architettura. Tale moralità spiega il concetto di legalità del sentimento puro come produzione di leggi del genio in ogni espressione artistica, in modo da fornire una direzione di indagine della stessa cultura tout court pur presa nei vari aspetti di realizzazione del bello.

L’opera merita senza dubbio una lettura attenta ed approfondita, avendo anche il pregio di un’allure analitica precisa e di un’accurata ed ampia bibliografia.