Ogni uomo concreto vive nell’interiorità di un Io duplice, nella cui trama predomina una delle sue due componenti. La storia reale dell’umanità non è che la mutevole relazione tra quegli uomini in cui è più forte la condizione di persona e quegli altri in cui prevale l’individualità che li rende singoli.1
1. Martin Buber. All’origine del pensiero dialogico
Il medico aragonese Pedro Laín Entralgo ha svolto un’ampia riflessione su un tema della massima importanza nella filosofia del secolo scorso, ovvero l’intersoggettività, considerata nelle sue diverse declinazioni. Al riguardo, è particolarmente significativo il volume Teoría e realidad del otro. L’opera è suddivisa in due sezioni. Nella prima, di carattere storiografico, l’autore sottopone a un esame critico la riflessione sull’intersoggettività svolta dai filosofi della Modernità europea, da Cartesio a Merleau-Ponty. Nella seconda sezione, Laín Entralgo esplicita la propria prospettiva teorica in ordine alle diverse forme della relazione con l’altro. Nelle pagine storiografiche dell’opera, l’autore presta grande attenzione ad autori del Novecento quali Husserl, Scheler, Buber, Heidegger, Jaspers, Merleau-Ponty e, tra i connazionali, Unamuno e Ortega y Gasset.
In particolare, prendo qui in esame l’interpretazione lainiana dei capisaldi teorici del pensiero dialogico2 di Martin Buber,3 al fine di porre in rilievo le affinità e le divergenze che si riscontrano nel pensiero dei due autori circa le più rilevanti forme dell’intersoggettività.
Fondatamente, Pedro Laín Entralgo considera Buber uno dei protagonisti del rinnovamento del pensiero europeo nel primo Novecento. Egli individua le prime espressioni del rinnovamento in autori ascrivibili a varie discipline umanistiche, scientifiche e artistiche. Al tempo, soprattutto i filosofi denunciano la prospettiva ego-logica4 di buona parte del pensiero precedente e pongono in luce la rilevanza dell’altro – del Tu – nel costituirsi dell’Io.
Tra gli scritti di Buber, l’autore aragonese prende in considerazione soprattutto il saggio più celebre, Ich und Du;5 in Teoría y realidad del otro, sono piuttosto esigui i riferimenti agli scritti successivi, nei quali il filosofo viennese va rielaborando le tesi fondamentali del proprio pensiero.6
Nell’esame critico, invero alquanto selettivo, dell’opera buberiana, Laín Entralgo presta attenzione soprattutto agli scritti che vertono sui rapporti interumani, piuttosto che sulla relazione tra l’uomo e il Tu Eterno: nelle sue pagine, el otro è innanzitutto l’altro uomo.
Inoltre, va detto che nell’autore aragonese non si rinviene l’espressione “pensiero dialogico”, né viene messa a tema la le peculiarità del pensiero di Buber nell’ambito del Dialogisches Denken. Invero, Laín Entralgo non conosce l’opera degli altri esponenti più rappresentativi del pensiero dialogico di lingua tedesca, Franz Rosenzweig e Ferdinand Ebner. Tra gli autori francesi che hanno contribuito all’affermazione del pensiero dialogico, egli cita di frequente Gabriel Marcel.7
Si è detto che Laín Entralgo cita soprattutto Ich und Du,8 ovvero il saggio in cui l’autore espone – talvolta in uno stile aforistico che tradisce l’ascendenza nietzschiana –
i capisaldi del proprio pensiero. Proprio in Ich und Du, la critica meno recente individuava la svolta dal “periodo predialogico” al pensiero maturo del filosofo viennese. Da parte sua, Bernhard Casper, autorevole studioso del pensiero dialogico di area tedesca, ha ravvisato una sostanziale unità nell’opera dell’autore. Il critico scrive: «Chi, avendo letto le prime opere e conoscendo l’opera più tarda di Buber, prenda in mano la prima edizione di Ich und Du, rimane sorpreso dal ritrovarvi con la massima evidenza lo stesso insieme di tematiche che pure quelle prime opere si impegnavano a trattare9».
Come ha posto in rilievo lo studioso Francesco Ferrari,10 i prodromi del pensiero dialogico si rinvengono nelle opere precedenti, soprattutto nella raccolta di dialoghi Daniel,11 ove Buber enuclea due atteggiamenti tipici dell’essere umano.
Il primo orienta, ed è proprio dell’uomo che suole disporre di “oggetti”, aspira a sentirsi sempre chez soi e si pone così alla ricerca di sicurezza, nella consapevolezza di vivere in un mondo pieno di insidie. Una netta differenza rispetto a tale orientamento si riscontra nell’attitudine che realizza (verwirklicht). Quest’ultima è propria dell’essere umano sempre in cammino, il quale affronta il rischio e avverte l’abissalità del mistero. Si tratta dell’uomo che realizza pertanto la pienezza del proprio essere, nell’istituire una relazione autentica con gli esseri della natura, l’altro uomo e l’Eterno. Colui che è volto alla Verwirklichung giunge a realizzare in se stesso l’Eterno: invero, per l’ebreo Buber, Dio stesso «ha bisogno dell’uomo».
Le due attitudini delineate in Daniel prefigurano rispettivamente il rapporto (Verhältnis) Io-Esso e la relazione (Beziehung) Io-Tu. In quest’ultima – proprio nel pronunciare la parola “Tu” – l’Io si costituisce e si autocomprende nella propria realtà effettiva (Wirklichkeit).
2. L’amicizia e l’amore: oltre il sentimento
Laín Entralgo osserva che Buber dà alle stampe Ich und Du nel 1923,12 ovvero l’anno in cui vengono pubblicate due opere la cui tesi fondamentale gli appare conforme allo “spirito del tempo”:13 El tema del nuestro tiempo14 di José Ortega y Gasset e Wesen und Formen der Sympathie15 di Max Scheler.
Nell’analisi di Ich und Du, Laín prende in esame innanzitutto le due “parole fondamentali”: Io-Tu e Io-Esso, ed espone, in modo abbastanza fedele, i tratti dei due tipi di relazione che esse costituiscono ed esprimono. Per Buber, l’Io-Tu è “la santa parola fondamentale” che dischiude la relazione tale da coinvolgere “tutto l’essere” dei partner. L’Io-Esso, invece, esprime il rapporto di un soggetto autoreferenziale con un oggetto, al fine da sperimentarlo, utilizzarlo, analizzarlo e rubricarlo in un determinato genere di enti.
Per Pedro Laín, la lettura del saggio buberiano, segnatamente per quanto attiene all’Io-Tu (in quanto Begegnung,16 ovvero incontro con l’altro), è funzionale alla fenomenologia dell’incontro che egli proporrà nella sezione teoretica di Teoría y realidad del otro. In Buber, la forma più elevata dell’incontro si realizza nell’immediatezza e nella reciprocità dell’Io-Tu.17 Per Laín Entralgo, essa consiste nell’encuentro afectante che instaura la diade, ovvero l’unico legame che impegni l’intero essere dei partner, al pari dell’Io-Tu buberiano: l’altro che incontro me afecta ovvero mi colpisce, mi scuote, mi riguarda. In virtù dell’incontro tra l’Io e il Tu si costituisce il Noi, il Noi essenziale, nel linguaggio di Laín.
Buber afferma che il Noi si realizza nella comunione di persone radicalmente differenti l’una dall’altra e consapevoli della propria identità e responsabilità. Da parte sua, riguardo al Noi essenziale, Laín Entralgo scrive:
Che cosa sarà realmente la nostra relazione? Sarà soltanto un’impressione soggettiva, un mero fenomeno psicologico, un vissuto fugace? Nulla di più lontano dal pensiero di Buber: la relazione interpersonale possiede per lui una peculiare consistenza metafisica o, come egli dice, metapsichica e metacosmica. Nel nostro incontro, Tu ed Io costituiamo un “Noi essenziale”, un’entità duale la cui realtà non è meramente sociologica bensì metafisica.18
Tra l’altro, l’autore aragonese pone in luce l’importanza della relazione interpersonale in ordine alla conoscenza dell’interiorità (conocimiento íntimo19) del Tu e dello stesso Io, che si attinge nell’amicizia e nell’amore.
In Ich und Du, Buber propone alcune dense notazioni sull’amore, piuttosto che sull’amicizia. Proprio riguardo all’amore va rilevata una differenza nella prospettiva teorica dei due autori. Per Buber, esso non è una mera istanza psichica, ovvero un sentimento, bensì una realtà metafisica che si costituisce e si dispiega tra (Zwischen) l’Io e il Tu, ovvero nel “frammezzo” che, al contempo, distingue e unisce i partner della relazione. L’amore autentico si porta all’altro nello spazio della relazione.
Il filosofo adduce quale esempio il tenore della relazione che Gesù di Nazareth istituisce con il prossimo: egli ama tutti gli uomini che incontra, ma prova sentimenti profondamente differenti nei confronti di ognuno di loro. Il sentimento che Gesù prova nei confronti dei farisei è del tutto diverso dall’affetto che lo lega all’amico Lazzaro. Eppure, Gesù ama il fariseo così come ama lo stesso Lazzaro. In Ich und Du leggiamo:
Dei sentimenti accompagnano il fatto metafisico e metapsichico dell’amore, ma non lo determinano, e i sentimenti che lo accompagnano possono essere di natura molto diversa. Il sentimento di Gesù verso l’indemoniato è diverso dal sentimento verso il suo discepolo prediletto; ma l’amore è uno solo. I sentimenti si “hanno”; l’amore accade. I sentimenti dimorano nell’uomo; ma l’uomo dimora nel suo amore. Questa è la realtà, non una metafora: l’amore non coinvolge l’Io, come se per l’amore il Tu non fosse che il “contenuto”, l’oggetto; l’amore è tra l’Io e il Tu […] L’amore è responsabilità di un Io verso un Tu.20
Da parte sua, Pedro Laín concepisce l’amore, inteso nell’accezione più generale, alla stregua di un sentimento. Si tratta comunque di un sentimento che, proprio nel tra (entre) della relazione, ispira degli atti concreti volti al bene di entrambi i partner. In Sobre la amistad, l’autore propone una definizione generale dell’“amore intramondano” che può riferirsi anche ad esseri della natura, alla propria città etc. Per Laín, questo amore:
è un sentimento in virtù del quale si desidera che la realtà amata consegua ciò che noi giudichiamo quale suo bene, si adopera affinché questo desiderio si realizzi e gioisce (se goza) come del proprio bene del fatto che tale compimento si realizzi effettivamente. Io amo un paesaggio desiderando che la sua realtà conservi o accresca la bellezza che vedo in esso, cercando, se possibile, di contribuire ad essa (per esempio, eliminando i rifiuti umani che la insudiciano) e godendo nella mia interiorità della conservazione o dell’aumento di ciò in cui, per me, consiste quella sua bellezza. Mutatis mutandis, si può dire altrettanto dell’amore a una città, a un paese, a un’istituzione, a un’impresa, a un uomo.21
Nel circoscrivere la propria attenzione all’amore per l’altro essere umano (un amore che per lui, così come per Buber, è sempre reciproco), Laín Entralgo osserva:
io amo un uomo – cominciando dall’uomo che io sono, dalla mia stessa persona – desiderando che ciò che io ritengo sia il suo bene, ricercandolo di buon animo e rallegrandomi poi, se invero riesco a conseguirlo, della realizzazione di questo mio desiderio. Ma, quando si potrà dire che l’amore si è realizzato in modo pieno? Evidentemente, solo allorché la persona che amo corrisponda in qualche modo e misura al mio amore per lei.22
A ben vedere, comunque, le divergenze tra Buber e Laín circa la nozione di amicizia sono meno marcate di quanto possa sembrare prima facie. In realtà, il sentimento di cui parla l’autore aragonese appare al lettore “più che un sentimento”. Neppure per lui si tratta di una mera istanza psichica confinata nell’interiorità, bensì di un’attitudine fondamentale che si realizza compiutamente tra (entre23) i due partner. Con riguardo all’amicizia, egli la designa benevolenza, tale da esprimersi concretamente nella reciproca beneficenza. Per Laín, la benevolenza e la beneficenza sono ingredientes necessari ma non sufficienti dell’autentica amicizia. Quest’ultima sorge allorché tra i partner si instaura anche la confidenza (confidencia), attitudine di tutto il proprio essere che, non meno delle altre due, segna la differenza tra l’amicizia e le altre forme di legame interpersonale.
3. L’Io-Esso nell’epoca dell’eclissi di Dio
Nelle pagine lainiane sul pensiero di Martin Buber, si possono recensire significative affinità, piuttosto che marcate differenze, tra le rispettive concezioni della relazione intersoggettiva. Opportunamente, Laín osserva che in Buber il carattere im-mediato dell’incontro «equivale a dire che la relazione Io-Tu è presenza pura, presenza transtemporale e transpaziale».24 Invero, per il filosofo viennese, l’incontro con il Tu implica una epoché delle coordinate spazio-temporali, nelle quali vuole orientarsi, invece, colui che tratta con gli oggetti, ovvero l’uomo dell’Io-Esso. Per entrambi gli autori, nella tarda modernità sempre più di rado l’essere umano ha interpellato l’altro con il “Tu”; al contrario, è il mondo dell’Esso (che pur esplica delle funzioni imprescindibili nella vita umana) a “comandare”.25Pertanto, i rapporti interumani presentano spesso i caratteri propri dell’Io-Esso, essendo improntati al predominio, al possesso, allo sfruttamento, alla dissezione impietosa della personalità altrui nonché al disconoscimento della dignità dell’altro.
Inoltre, per Buber il predominio dell’Esso, poiché relega la Beziehung autentica ai margini della vita umana, giunge ad interporsi tra Dio e l’uomo, tanto da interdire a quest’ultimo la relazione con l’Eterno. In tale epoca, è quanto mai difficile per l’uomo rivolgersi a Dio pronunciando il Tu nell’appello, nell’invocazione che dischiude la preghiera, nella richiesta di aiuto come pure nella lode e nel ringraziamento. In sintesi, per l’uomo quasi non sussiste più il tra della relazione al Tu eterno. L’ipertrofia dell’Esso caratterizza l’epoca delle tenebre, dell’eclissi di Dio26.
Nel commentare ciò che il filosofo viennese scrive sullo strapotere dell’Io-Esso nella tarda modernità, Laín Entralgo rileva:
Attenendosi all’Io-Esso, trattando la realtà quale mero oggetto, l’uomo esiste sotto il giogo dell’arbitrarietà e la fatalità; attenendosi, invece, all’Io-Tu, sente che la libertà e il destino contraggono matrimonio nell’anima. Fedele alla propria tendenza radicalmente oggettivante, quegli ha fatto della realtà un Esso permanente e ha condannato la mente umana a un fatalismo disperante. Coincidono in questo il pensiero biologista e il pensiero storicista della fine del XIX secolo e dell’inizio del XX.27
Per Buber, comunque, anche in tale epoca l’essere umano può accedere alla relazione Io-Tu, in virtù di un mistero che egli denomina Umkehr, cioè conversione.28 Per l’ebreo Martin Buber, è, questa, la conversione dell’uomo al Tu divino – la teshuvah, al centro della fede e della predicazione dei profeti29 – il ritorno a Dio a partire dall’esperienza del peccato. Essa è una forza metastorica che esplica i suoi effetti nella vita dell’uomo e delle forme di aggregazione che egli instaura con i suoi simili. Ancora, la conversione emancipa l’essere umano dal dominio del fatalismo e lo educa all’esercizio della libertà che lo condurrà alla propria Bestimmung, realizzando così il proprio essere destinale.
La teshuvah è anche una forza metacosmica, che agisce quindi nell’universo oltre che nell’uomo. Laín percepisce la rilevanza che in Buber il mondo stesso assume per l’uomo che accede alla relazione Io-Tu, con il proprio simile e con l’Eterno. L’uomo capace di porsi dinanzi al Tu divino è colui che non si distoglie dalla cura per “il pezzo di mondo” affidato alla sua responsabilità. Come nota Laín citando ancora Buber, l’esistenza di Kierkegaard fu segnata dalla decisione di rinunciare alla vita pienamente nel mondo per seguire la propria vocazione di testimone della fede. Si tratta di una concezione fuorviante del rapporto uomo-Dio, in quanto condizionata da una forma radicale di acosmismo.
Tra i dialogici di lingua tedesca, Martin Buber e Franz Rosenzweig rigettano senza riserve tale prospettiva teorica; una certa tendenza all’acosmismo si riscontra invece nel Ferdinand Ebner dei Pneumatologische Fragmente. Si rivela estraneo rispetto all’acosmismo in parola anche Pedro Laín Entralgo allorché, avvalendosi della terminologia di José Ortega y Gasset, scrive:
Come direbbe Ortega, la relazione Io-Tu deve essere “circostanziale”: l’incontro assume istantaneamente in unità duale – nella comunione del “tra” – l’essere dell’Io e l’essere del Tu, e pertanto l’orma metafisica che nell’Io e nel Tu hanno impresso i rispettivi mondi. Ma questa relazione è anche “itinerante”, in quanto essa, sebbene apparentemente abbia un termine e sembri definitiva, è in realtà, come la creazione a cui appartiene, il cammino verso Qualcuno veramente definitivo e assoluto: il Tu eterno, Dio.30
Da parte sua, Buber, nel saggio Die Frage an den Einzelnen,31 osserva che il filosofo danese aveva ritenuto che l’amore per Dio esigesse la rinuncia all’amore per Regina Olsen.32 Soltanto in seguito, Kierkegaard avrebbe compreso che il fraintendimento del rapporto tra l’una e l’altra relazione lo aveva indotto a compiere il grave errore che avrebbe segnato la propria esistenza. È significativo ciò che il filosofo danese annota nel Diario, in un passo che sia Buber sia Laín citano: «Se avessi avuto più fede sarei rimasto accanto a Regina».33
Circa questo fraintendimento, e in conformità ai principi del proprio pensiero, Martin Buber scrive:
Ciò significa fraintendere Dio nel modo più sublime. La creazione non è un inciampo sulla via che conduce a Dio, è questa via stessa. Noi siamo stati creati insieme e per vivere insieme. Le creature sono state poste sul mio cammino perché io, creatura come loro, attraverso e insieme loro trovi Dio. Un Dio che si raggiungesse escludendo le sue creature non sarebbe il Dio di tutti gli esseri, in cui ogni essere trova il proprio compimento.34
Lapidariamente, Laín Entralgo afferma: «La verità è che si crede in Dio e si ama Dio soltanto nella persona e con gli altri».35 Inoltre, nella declinazione buberiana della relazione con l’Eterno, egli non manca di rilevare il tono nettamente critico nei confronti della concezione che di essa propone la mistica. Laín scrive:
Sebbene la visione chassidica dell’uomo e del cosmo sia uno dei presupposti del pensiero di Buber, e sebbene lo stile letterario brillante con il quale la espone tradisca frequentemente la forte “impregnazione” biblica della sua anima – si deve a lui la più fedele e bella delle traduzioni della Bibbia in tedesco –, non per questo si deve pensare che la dottrina buberiana sulla relazione Io-Tu sia di natura “mistica” nel senso che si suole attribuire a questa parola […] Quali che siano le implicazioni metafisiche ultime dell’incontro autentico, essa è molto lontana dall’essere una trance mistica: un mutamento degli sguardi con qualsiasi viandante sconosciuto può essere relazione autentica tra un Io e un Tu.36
In effetti, in molti scritti, Buber (e, ancor più, gli altri promotori del dialogische Denken) svolge una serrata critica della mistica. A suo giudizio, essa esprime un’interpretazione potenzialmente fuorviante della relazione con il Tu eterno. Nel 1909, ovvero nel “periodo predialogico”, il trentenne Buber pubblica la prima edizione delle Ekstatische Konfessionen,37 un’antologia di brani tratti dalle opere di mistici ascrivibili a diverse tradizioni religiose. Nell’edizione del 1921, l’autore afferma che la “rappresentazione elementare” del proprio vissuto, accessibile al mistico, si configura quale ’“unione con Dio”, ovvero forma di unione che gli è preclusa nella vita ordinaria e alla quale, comunque, egli aspira. Invero, siffatta rappresentazione dissimula il vissuto peculiare della mistica. Per Buber, esso consiste nell’esperienza dell’unità del proprio stesso essere, conseguita appunto dal mistico. Qui il filosofo non ritiene possibile una mistica dell’alterità: non si dà, a suo giudizio, alcuna relazione con il divino che sia un autentico patire l’Altro riconoscendolo quale Altro: l’essere umano non può realizzare l’unione con Dio.
In Ich und Du, tuttavia, l’autore non ravviserà nel vissuto mistico né l’unione tra l’uomo e Dio tale da sopprimere la differenza tra l’uno e l’Altro, né il compimento dell’unitarietà ontologica dell’essere umano. Quel vissuto, piuttosto, è considerato ora quale forma, dal carattere eccezionale, di relazione dialogica tra l’uomo e l’Eterno. Nel celebre saggio, Buber giunge a sostenere che: «ciò che l’uomo in estasi chiama unità è l’estasiante dinamica della relazione […] un’esagerazione della relazione […] così veemente che […] l’Io e il Tu vengono dimenticati».38 Alla luce di un’attitudine fenomenologica, tale da porre tra parentesi le interpretazioni rese sia dal mistico che dalla teologia spirituale, per l’autore di Ich und Du l’estasi consiste quindi in un “eccesso di relazione”.
Per il Buber che ha interiorizzato il messaggio del chassidismo,39 comunque, il modello di relazione con l’Eterno accessibile a ogni uomo non va ricercato nella mistica. Invero, la relazione può compiersi nella quotidianità dell’essere umano che promuova il «bene santo della nostra realtà che ci è stato donato per questa vita e forse, più verosimilmente, per nessun’altra».40 Negli scritti della piena maturità, il filosofo assumerà un atteggiamento sempre più critico nei confronti della mistica, nel concepire la religiosità autentica come dialogo con il Tu divino, il quale non impone all’uomo di rinunciare all’integrità del proprio essere e della propria vita, ovvero alla concretezza dei legami con gli altri uomini e con la natura.41
4. La tensione verso il Tu, in Buber, Laín Entralgo e Scheler
Tra gli aforismi disseminati in Ich und Du, Laín Entralgo presta la massima attenzione al celebre: «All’inizio è la relazione»42 (Im Anfang ist die Beziehung). Anche per l’autore aragonese, nell’essere umano il vissuto Io-Tu precede la coscienza della distinzione tra l’Io e il Tu. Pertanto, egli afferma: :
Ciò che è veramente originario nella vita dell’uomo è il vissuto (vivencia) dell’Io-Tu […] questo vissuto della relazione Io-Tu è stato sempre vivo specialmente nell’incontro con l’altro, e lo dimostra il linguaggio convenzionale dei popoli primitivi […] nell’animo dell’uomo primitivo non esiste ancora chiara consapevolezza dell’Io e, pertanto, neppure coscienza esplicita della distinzione “oggettiva” tra Tu ed Esso.43
Da parte sua, Buber scrive:
[Il primitivo] dice la parola fondamentale Io-Tu in modo naturale e per così dire preformale, quindi prima ancora di essersi riconosciuto come Io; mentre la parola Io-Esso è resa possibile solo attraverso questo riconoscimento, attraverso la separazione dell’Io. La prima parola fondamentale si divide certamente in Io e Tu, ma non è sorta dalla loro unione, precede l’Io; la seconda è sorta dall’unione di Io ed Esso, segue l’Io.44
Nella sua analisi, Laín Entralgo non prende in esame la gran parte dell’opere in cui il filosofo viennese rende ragione degli affinamenti della sua concezione dell’intersoggettività. Pertanto, non può avvedersi che il Buber della tarda maturità – al fine di corroborare la coerenza interna del proprio pensiero – afferma che la distanza è il presupposto della relazione, in quanto quest’ultima non può sorgere se non tra partner distinti. Si tratta quindi di una distanza originaria. Appunto Urdistanz und Beziehung45 è il titolo dello scritto più significativo al riguardo. Più degli altri saggi, esso ha impegnato l’acume ermeneutico dei critici, per la difficoltà a integrare la nuova prospettiva teorica in quella espressa in Ich und Du. L’anziano Buber scrive che l’uomo è l’unico vivente che “si distanzia” da ogni altro essere. Egli ha dinanzi a sé un mondo (Welt) e vive in società, ovvero in un contesto i cui i singoli “si confermano” reciprocamente quanto alla propria consistenza ontologica, nel rivolgere la parola l’uno all’altro. L’animale non ha dinanzi a sé un mondo, bensì è circondato da un ambiente (Umwelt: Um-Welt). Per Buber:
il principio dell’essere uomo non è semplice, ma doppio, si costituisce in un doppio movimento, e in modo tale che un movimento è il presupposto dell’altro. Chiamo il primo movimento distanziarsi originario, il secondo entrare in relazione. Che il primo sia il presupposto dipende dal fatto che si può entrare in relazione solo con un esistente distanziato, o meglio: con uno che è diventato un autonomo star di fronte. Ma ciò che sta autonomamente di fronte esiste solo per l’uomo.46
Nel lettore di Urdistanz und Beziehung può sorgere il dubbio che la relazione non sia realmente prioritaria nella vita umana. Nello stesso saggio, comunque, l’autore, per scongiurare il rischio di fraintendimento, precisa che non bisogna «comprendere l’atto del distanziare dell’uomo, e nemmeno l’atto di relazione che gli è connesso, come un prima».47 Il primo movimento, cioè il distanziarsi, non è l’origine bensì il presupposto del secondo, in quanto presta ad esso le condizioni di possibilità.
Se Buber ravvisa qui nella distanza il presupposto della relazione, per Laín, invece, il Noi precede l’Io-Tu: a partire dal Noi, si percepisce il Tu che, a sua volta, antecede l’autoconsapevolezza dell’Io. Si comprende pertanto come Laín, a differenza di Buber, concepisca quale Tu-Io, anziché Io-Tu, il binomio instaurato ed espresso dalla “santa parola fondamentale”. Opportunamente, per lo più egli lo designa “Tu-Io” anziché “Io-Tu”.
Va aggiunto che Buber scrive Urdistanz und Beziung oltre venticinque anni dopo la pubblicazione di Ich und Du. Egli vi intende formulare i principi generali della sua antropologia filosofica. Di converso, nell’opera più celebre è evidente il confluire dello studio di varie discipline, come la sociologia, l’antropologia filosofica e la psicologia. In Ich und Du, anche il comportamento del bambino nel primo anno di vita conferma il carattere originario della relazione, che per l’autore vale quale principio ontologico, oltre ad essere un fenomeno proprio della psiche infantile. Anche Laín – in quanto medico nonché cultore della psicologia dell’età evolutiva – riconosce la grande importanza dell’osservazione del bambino nel periodo in cui non vi è ancora alcuna distinzione tra il proprio essere e l’altro da sé.
Ancor prima dell’instaurarsi della distinzione tra Io e Tu, si manifesta nel piccolo la tensione verso la relazione, ovvero «una prefigurazione inespressa del dir-Tu», che costituisce la condizione di possibilità dell’Io-Tu. Buber scrive:
Già al livello più precoce e indefinito si mostra l’originarietà della tensione verso la relazione. Nello spazio ancora poco chiaro, prima che si possa percepire il particolare, gli sguardi ottusi si imbattono in qualcosa di indeterminato; e nel tempo in cui chiaramente non vi è alcun desiderio di nutrimento, senza scopo apparente, i teneri lineamenti delle mani si protendono verso un indeterminato, afferrando a vuoto l’aria […] Non che il bambino percepisca inizialmente un oggetto, e successivamente si ponga in relazione con esso; prima, invece, è la tensione verso la relazione, il movimento convesso della mano nella quale si modella ciò che sta di fronte; seconda, la relazione con questa cosa, una prefigurazione inespressa del dir-Tu. Ma il divenire cosa – come il divenire Io – è un prodotto tardivo, originato dalla cesura delle esperienze originarie, dalla separazione dei due un tempo uniti. All’inizio è la relazione: categoria dell’essere, disponibilità, forma che comprende, modello dell’anima; all’inizio è l’a priori della relazione, il Tu innato.48
Per il filosofo viennese, il Tu innato (das angeborene Du), in quanto a priori della relazione, è una struttura ontologica peculiare dell’uomo. All’interno del pensiero dialogico, anche Ferdinand Ebner ha posto in luce lo statuto l’originario della “tensione verso il Tu” propria dell’essere umano, denominandola Duhaftigkeit.49 Si tratta di una parola difficilmente traducibile in italiano: la si potrebbe rendere coniando il termine tuità, che si rinviene nelle traduzioni degli scritti di Ebner, oppure tualità o natura di Tu, come propone Emilio Baccarini.50
Poiché nell’uomo è presente questa tensione verso il Tu, per Laín Entralgo un ipotetico essere umano che non avesse mai conosciuto un suo simile, sentirebbe comunque un “vuoto”, una carenza nella propria vita personale. Al fondo di questo vissuto, una considerazione fenomenologica può riscontrare una intenzionalità non “riempita” da alcun oggetto, ovvero una noesi priva di noema. Laín ripropone un esempio addotto da Max Scheler per rendere ragione della “presenza dell’altro” nella vita interiore di Robinson Crusoe. Va detto che, a differenza del personaggio creato da Daniel Defoe, il Robinson “rivisto” da Max Scheler non è un naufrago trasportato dalla corrente marina in un’isola deserta, bensì un uomo abbandonato alla nascita in quell’isola. Per il filosofo tedesco, sebbene non abbia mai incontrato un suo simile, quell’uomo può giungere comunque alla consapevolezza di altri soggetti “psichico-spirituali” – consapevolezza, questa, che costituisce il reperto fenomenologico del Tu in generale – nonché della propria appartenenza a una comunità umana.
Al riguardo, è significativo ciò che Scheler afferma in Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. La “tensione verso l’altro”, avvertita dal suo Robinson, costituisce un vissuto: poiché non conosce alcun altro uomo, alcuni atti intenzionali, che pur gli sono propri, restano privi di oggetto. Il filosofo scrive:
Perfino il Robinson teorico conoscitivo di un esperimento mentale esperirebbe con-altri la sua appartenenza a un’unità sociale (sein Gliedseins einer Sozialeinheit) nell’esperienza vissuta della mancanza di una verifica intuitiva (Erlebnis des Erfüllungmangels), una verifica intuitiva di certi tipi d’atti, infatti, che contribuiscono a costituire una persona in generale. Questi tipi d’atti, infatti, conformemente alla loro essenza intenzionale – non, dunque, in base a objecta contingenti o alle caratteristiche empiriche che avrebbero in comune – sono atti reali, e precisamente atti sociali: atti che possono trovare verifica intuitiva solo in una possibile comunità. Di questo tipo sono ad esempio tutti gli atti che […] ho definito “autentici tipi d’amore” che possono trovare e richiedono una “verifica intuitiva”, distinguendoli da ogni altra specie d’amore che si differenzia solo in base alla natura degli objecta esperiti empiricamente.51
D’altronde, Laín Entralgo osserva che nel Robinson reinterpretato da Scheler soltanto l’incontro con l’altro uomo risponde alla “tensione verso il Tu” che gli è propria, liberandolo da una frustrazione, ovvero da un “vuoto” che gli ha arrecato un grave disagio. Certo, per il Buber di Ich und Du, quel Robinson può istituire una relazione dialogica, ancorché priva di parola, pure con gli esseri della natura: per qualche istante, ognuno di tali esseri può costituire un Tu. Comunque, ciò non colma il vuoto esistenziale di quel solitario, poiché egli, a somiglianza di Adamo, ha pur sempre bisogno «di un aiuto che gli sia simile» (Gn 2,18).
5. L’eredità filosofica e spirituale di Martin Buber
Nel concludere questo breve resoconto delle assonanze e delle divergenze riscontrabili tra Buber e Laín Entralgo circa l’intersoggettività, riporto i brani in cui quest’ultimo pone in luce il valore dell’eredità filosofica e spirituale dell’autore di Ich und Du.
Per quanto attiene al contributo reso da Martin Buber al pensiero filosofico, l’autore aragonese scrive:
La filosofia dell’Occidente ha spesso ridotto il pensiero a “dialettica”; tuttavia, questa non può che essere colloquio solitario della mente che pensa – «colloquio segreto dell’anima con se stessa», secondo la formula imperitura di Platone – oppure dialogo con “l’altro Io” posto in modo fittizio […] dal pensatore. Non basta, dunque, la dialettica. Di fronte ad essa, Buber propone la “dialogica”, l’esercizio della vita spirituale in dialogo con un Tu personale e concreto, sia questi un uomo in carne e ossa o realtà invisibile e quanto possibile intima a quello che Socrate denominava daimon. Wilhelm von Humboldt e Feuerbach lo avevano visto in modo molto chiaro. «La dialettica autentica – dice un aforisma di Feuerbach – non è un monologo del pensatore solitario con se stesso, bensì un dialogo tra Io e Tu»52
Quanto al valore del lascito spirituale di Buber, Laín Entralgo riconosce implicitamente la forte tensione utopica che ne informa il pensiero, e afferma:
non è soltanto di carattere intellettuale la proposta rivolta da Martin Buber al nostro mondo spersonalizzato. In diverse parti della sua opera egli intravede e postula una società nella quale, senza pregiudicare l’ampio spazio che nella vita collettiva deve avere l’ Io -Esso, non manchi un posto dignitoso alla relazione Io-Tu, sale dell’esistenza umana nel mondo […] Soggetti al caos organizzato che ci avvolge, attendiamo tutti “il brivido liberatorio”, un brusco rivolgimento del pensiero in virtù del quale il lavoro, l’economia l’amministrazione e la politica (senza cessare di appartenere al mondo dell’Esso, poiché questo sarebbe impossibile), consentano e favoriscano il sorgere del Tu. Martin Buber sente rinascere nel suo spirito l’antica voce profetica.53
In conclusione, si può ritenere che Pedro Laín Entralgo abbia compreso l’impegno umano e intellettuale di Martin Buber. L’autore di Ich und Du ha proposto (agli uomini, prima ancora che ai filosofi), piuttosto che una dottrina, un dialogo inesauribile. Per Buber, si tratta del dialogo che si svolge tra Io e Tu, cioè nella realtà ontologica che per Laín Entralgo costituisce la diade dell’amore e dell’amicizia.
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P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, Revista de Occidente, 1ª ed. Madrid 1961, 1968 (in due volumi, ora fruibili in rete: https://www.cervantesvirtual.com/teoría-y-realidad-del-otro/); Alianza Editorial 1983, 1988.(in unico volume) Utilizzo qui quest’ultima l’edizione, ove il brano si legge alle pp. 216-217. Cfr. P. Cerezo y Galán, Alteridad y comunicación en el pensamiento de Pedro Laín Entralgo, «Arbor» , 562-563 (1992) pp. 67-87.. ↩︎
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Cfr. La filosofia del dialogo. Da Buber a Lévinas, M. Martini ed., Cittadella, Assisi 1990; Martin Buber. A centenary Volume, H. Gordon, Kta ed.,Publishing House, New York 1994: Di Cesare, D., Ebraismo, dialogo, scrittura nel pensiero di Martin Buber, in Filosofia ed ebraismo, K. Tenenbaum e P. Vinci edd., Giuntina, Firenze 1993; Fornero,G., Buber: la filosofia relazionale e dialogica, in Storia della Filosofia, G. Fornero, F. Restaino, D. Antiseri, vol. 4, 35-49, UTET, Torino 1993-4. ↩︎
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Tra le più recenti biografie dell’autore, menziono: Mendes-Flohr P., Martin Buber. A Life of Faith and Dissent, Yale University Press, New Haven 2019. ↩︎
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In Teoría y realidad del otro, Buber è annoverato, come Max Scheler e José Ortega y Gasset, tra gli iniciadores della riflessione sul tema Nosotros, tú y io (ivi, 173-246). Cfr. E. Lévinas, Fuori dal soggetto, Buber, de Waelhens, Jankélévitch, Leiris, Marcel, Merleauy-Ponty, Rosenzweig, Wahl, Marietti, Milano 1992, 2018. ↩︎
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La prima edizione del saggio fu pubblicata nel 1923 a Lipsia, presso l’editore Insel. Mi avvalgo qui dell’edizione italiana Io e Tu, in Il principio dialogico e altri saggi, A. Poma ed., San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 57-151; ed. più recente 2011, anch’essa presso San Paolo. ↩︎
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Una parte delle opere filosofiche di Buber (Schriften zur Philosophie) fu pubblicata nel primo volume dei Werke, Kösel und Lambert Schneider, München/Heidelber 1962-1964. Il secondo volume comprende le Schriften zur Bibel, e il terzo le Schriften zur Chassidismus. Tra il 2001 e il 2020 è stata pubblicata, presso il Güterloher Verlag di Güterloh, la Werkausgabe buberiana, in 21 volumi (P. Mendes-Flohr, P. Schäfer, B. Witte ,M. Urban edd.). Segnalo due antologie di brani dell’autore: Sul dialogo. Parole che attraversano, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013; Buber. La vita come dialogo, Morcelliana, Brescia 2019. ↩︎
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Circa i rapporti tra Buber e Marcel, vedi: M. Buber -- E. Lévinas -- G. Marcel, Il mito della relazione, con un testo di André LaCoque, Castelvecchi, Roma 2016. ↩︎
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Pedro Laín legge l’edizione di Ich und Du pubblicata nel 1958 presso Lambert Schneider, Heidelberg. Egli utilizza altresì l’edizione spagnola (¿Qué es el hombre, FCE, México 1949) del saggio Das Problem des Menschen, Lambert Schneider, Heidelberg 1948. Ed. it. più recente:: Il problema dell’uomo, Marietti, Milano 2019. ↩︎
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«Wer von Bubers kommend und im Wissen um das spätere Werk die Erstauflage di “Ich und Du” zur Hand nimmt, ist erstaunt, dort im im ganzen offenbar den gleiche Problemkreis wiederzufinden, um den sie sich auch das Früwerk bemuhte» (B. Casper, Das dialogische Denken. Franz Rosenzweig, Ferdinand Ebner und Martin Buber, Karl Alber, Freiburg a. B. 2002, p. 265; traduzione personale). Ed. it.: Il pensiero dialogico. F. Rosenzweig, Ebner e M. Buber, Morcelliana, Brescia 2008. ↩︎
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Tra i volumi di F. Ferrari, segnalo: Presenza e relazione nel pensiero di Martin Buber, Dell’Orso, Alessandria 2012; Religione e religiosità. Germanicità, ebraismo, mistica nell’opera predialogica di Martin Buber, Mimesis, Milano 2015 ↩︎
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M. Buber, Daniel. Gespräche von der Verwirklichung [Daniel. Dialoghi sulla realizzazione], Insel, Leipzig 1913. Ed. it.: Daniel. Cinque dialoghi estatici, Giuntina, Firenze 2003. ↩︎
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Laín Entralgo dispone dell’edizione tedesca del 1958, pubblicata ad Heidelberg presso l’editore berlinese Lambert Schneider. Per un’esigenza di uniformità, scrivo qui i pronomi personali con l’iniziale maiuscola, sebbene siano in minuscolo nella traduzione italiana curata da Anna Maria Pastore per l’edizione di Io e Tu che qui utilizzo. Ciò vale anche per i passi tratti da da Laín Entralgo, la cui traduzione è personale. ↩︎
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P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 211. ↩︎
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Il libro fu pubblicato presso l’editrice Calpe di Madrid. Tra le edd. italiane, la più recente è: Il tema del nostro tempo. Il dialogo tra l’io e la circostanza, SugarCo, Milano 2018. ↩︎
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Il volume fu pubblicato presso l’editore Friedrich Cohen di Bonn. Si trattava di una versione ampliata del saggio Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle und von Liebe und Hass, pubblicato nel 1913 presso l’editore Max Niemeyer di Halle. Il saggio è ora nel settimo volume (Francke, Bern/Zürick 1973) dei Gesammelte Werke, pubblicati in 15 volumi dal 1954 al 1997, prima presso il suddetto editore e, dal 1986 presso Bouvier, Berlin (a cura della vedova Maria Scheler sino al 1969 e, in seguito, di M.S. Frings). Tra le edizioni italiane del saggio menziono: Essenza e forme della simpatia, FrancoAngeli, Milano. 2010 (qui utilizzata), 2019. ↩︎
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«Il Tu mi incontra per grazia – non si incontra nella ricerca» (M. Buber, Io e Tu, pp. 66-67). ↩︎
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Al riguardo, mi permetto di rinviare a N. Bombaci, L’orizzonte filosofico nell’opera di Martin Buber, in Ebraismo e cristianesimo nel pensiero di Martin Buber, Dante & Descartes, Napoli 2001, pp. 13-42. ↩︎
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P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 223. ↩︎
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Ivi, p. 213. ↩︎
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M. Buber, Io e Tu, pp. 69-70. ↩︎
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P. Laín Entralgo, Sobre la amistad, Revista de Occidente, Madrid 1972, p. 175. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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«il “tra” è un esistenziale, nell’accezione di Heidegger, che può assumere realtà ontica in gradi molto diversi […] Se il “tra” è qualcosa di distinto dall’anima e dal mondo, quale è la sua realtà propria? Buber la chiama a volte amore e altre spirito» (ivi, pp. 223-224). ↩︎
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Ivi, p. 214. Da parte sua, Buber scrive:«[…] il presente reale e compiuto si dà soltanto nella misura in cui si dà presenzialità, incontro, relazione. Solo attraverso il farsi presenza del Tu, il presente nasce» (M. Buber, Io e Tu, p. 67). ↩︎
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Ivi, p. 91. ↩︎
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Id., Eclipse of God. Studies in the Relation between Religion and Philosophy, Harper, New York 1951. Edd. italiane; L’eclissi di Dio, Mondadori, Milano 1990; Passigli, Firenze 2001. Prima ed. tedesca: Gottesfinsternis, Manesse Verlag, Zürich 1953. ↩︎
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P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 215. Cfr. M. Buber, Io e Tu, pp. 84-102. ↩︎
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M. Buber, Io e Tu, 99; P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 215. ↩︎
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Vedi M. Buber, Der Glaube der Propheten, Manesse Verlag, Zürich 1950 (La fede dei profeti, Marietti, Genova 1985; Marietti, Milano 2001). Cfr. H. Von Balthasar, Einsame Zwiesprache. Martin Buber und das Christentum, Hegner, Köln 1958; Dialogo solitario. Martin Buber e il cristianesimo, Jaca Book, Milano 2006; E. Biser, Buber für Christen, Herder, Freiburg im Breisgau 1988. ↩︎
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P. Laín Entralgo, ivi, p. 225. ↩︎
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M. Buber, La domanda rivolta al singolo, in Il pensiero dialogico, cit. pp., 229-252 (Die Frage an dem Einzelnen, Schocken Verlag 1936). Cfr. P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 225. ↩︎
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Vedi M Buber, La domanda rivolta al singolo, cit., p. 229. ↩︎
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M. Buber, La domanda rivolta al singolo, cit., p. 247. ↩︎
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Ivi, p. 242. Cfr. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 117. ↩︎
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P. Laín Entralgo, ibidem. Cfr. 1 Gv 4,20. ↩︎
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Ivi, p. 228. ↩︎
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M. Buber, Ekstatische Konfessionen, Diedrichs, Jena 1909; 1921; Confessioni estatiche, Adelphi, Milano 1987, 2ª ed., qui utilizzata, 1990. ↩︎
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Id., Confessioni estatiche, cit. p. 29. ↩︎
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Cfr. Id.,Die chassidische Botschaft, Lambert Schneider, Heidelberg 1952 (tra le edizioni italiane segnalo: Il messaggio del chassidismo, Giuntina, Firenze 2012); Id., Der Weg des Menschen nach der chassidischen Lehre, Friedlaender, Den Haag 1948 (Il cammino dell’uomo, Qiquajon, Bose–Bi 2000). Una singolare interpretazione della cultura religiosa del chassidismo è stata proposta da uno psicoanalista di indizizzo junghiano: E. Neumann, The Roots of Jewish Consciousness, I. Revelation and Apocalypse, II. Hasidism, Routledge, London 2019. ↩︎
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Id., Io e Tu, p. 123. ↩︎
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Cfr. P. Ricci Sindoni, M. Buber. Il sogno dell’esistenza unificata, in Dio nella filosofia del Novecento, Brescia 1993, pp. 165-174; La passione dell’originario. Fenomenologia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa, E. Baccarini ed., Studium, Roma 2000. ↩︎
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M. Buber, Io e Tu, p. 72. ↩︎
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P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 217. In origine (cioè prima della coscienza della distinzione tra Io e Tu), l’uomo primitivo alluderebbe all’Io-Tu nel ricorrere a parole che si riferiscono a una relazione, piuttosto che designare un sostantivo. ↩︎
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M. Buber, Io e Tu, p. 75. ↩︎
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Id., Urdistanz und Beziehung, in «Studia Philosophica», Basel, X, 1950; Distanza originaria e relazione, in Il principio dialogico e altri saggi, cit., 277-292. Cfr. N. Rotenstreich, Immediacy and its Limits, Routledge, London 1991, 2009. ↩︎
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M. Buber, Distanza originaria e relazione, cit., p. 284. ↩︎
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Ivi, p. 284. ↩︎
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Id., Io e Tu, pp. 77-79. La “cosa” a cui allude l’autore può essere una parte del corpo materno, ad esempio il seno. Tuttavia questa “cosa” (pur essendo appunto “oggetto” e non persona) allorché il bimbo inizia a percepirla in quanto distinta da sé, diventa per lui il primo Tu. Per Buber, come si è detto, la relazione Io-Tu precede il rapporto Io-Esso. ↩︎
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Vedi. F. Ebner, Il sapere Dio e la fede, in Id., La realtà di Cristo, Morcelliana, Brescia 2017,p. 52 Ed. originale: Das Wissen um Gott und der Glaube, «Der Brenner» 6 (1921) 10, ora nella raccolta di saggi Die Wirklichkeit Christi, in Werke,, Kösel Verlag, Wien 1962-1964, vol. I, pp. 433-449.> > Cfr. Id., Versuch eines Ausblicks in die Zukunft, in Werke, I, passim (Proviamo a guardare al futuro, Morcelliana, Brescia 2011). ↩︎
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Cfr. E. Baccarini, In principio era la Parola. La svolta di Ferdinand Ebner, «Dialegesthai» (https://mondodomani.org/dialegesthai), 19/03/1999. ↩︎
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Id., Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Bompiani Milano 2013 (con testo tedesco a fronte), p. 1003; ed. originale: Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik, in «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», Bdd. 1-2, 1913-1916. Il saggio è compreso nel secondo volume dei Gesammelte Werke, cit.* Menziono un’altra edizione italiana, presso San Paolo, Cinisello Balsamo 1996. Qui il brano è alle pp. 635-636. ↩︎
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P. Laín Entralgo, Teoría y realidad del otro, p. 229. ↩︎
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Ivi, pp. 230-231. ↩︎