Sara Brotto, Etica della cura. Una introduzione, presentazione di Carmelo Vigna, postfazione di Fabrizio Turoldo, Orthotes, Napoli 2013, 208 pp., € 17,00.
Il volume di Sara Brotto offre un valido aiuto a coloro che vogliano acquisire una conoscenza dei nuclei teorici essenziali dell’etica della cura, la quale costituisce una delle correnti di pensiero filosofico più rilevanti del tardo Novecento. Lo studiosa è docente di lingue stranìere nelle scuole secondarie superiori e la sua esperienza didattica costituisce per lei una forte motivazione a porre in atto all’interno di tale contesto alcune modalità relazionali poste in luce proprio dall’etica della cura. Sara Brotto è anche studiosa di filosofia morale e di bioetica.
Nella Presentazione del libro, Carmelo Vigna osserva che il sintagma «etica della cura» si deve «dire in molti modi». Esso designa una riflessione che «a partire da un’etica del reciproco riconoscimento, cioè a partire da un’etica tout court, si determina volta a volta secondo differenti “specificazioni” nella nostra vita pratica, allorquando viene oltrepassata la semplice forma del rispetto (che è ancora interna a un’etica del riconoscimento) » (p. 6).
L’etica della cura ha preso avvio poco più di trent’anni fa dalla riflessione di alcune filosofe statunitensi e ha avuto un’ampia recezione nella cultura del nostro paese. Tuttavia, il libro di Sara Brotto prende in considerazione segnatamente il pensiero delle autrici nordamericane che hanno promosso la care ethics. Queste studiose hanno rilevato la scarsa attenzione prestata dalla filosofia a un insieme di relazioni improntate alla cura, le quali sono fondamentali per il sussistere della convivenza umana, a partire dal nucleo familiare.
La cura è fonte dei legami più intensi e impegnativi, ed è l’attitudine propria soprattutto di chi assume il compito di accudire una persona particolarmente debole e vulnerabile, come il bambino, il malato, l’anziano. Anche all’interno di una relazione simmetrica, come l’amicizia, uno dei partner può diventare particolarmente vulnerabile — temporaneamente o in modo permanente, per una malattia, un lutto, o un evento traumatico — e allora ha bisogno che l’altro si prenda cura di lui. La vulnerabilità è particolarmente evidente nel bambino e nell’anziano ma, in quanto stigma ontologico dell’uomo, si manifesta in varie forme per tutto il corso della sua vita. È significativo, pertanto, che la parola “vulnerabilità” si riscontri con particolare frequenza nel linguaggio proprio dell’etica della cura.
Sara Brotto osserva: «Normativamente, l’etica della cura cerca di mantenere le relazioni contestualizzando e promuovendo il benessere sia di coloro che si prendono cura di qualcuno o qualcosa sia di coloro che ricevono la cura in una rete di relazioni sociali. Molto spesso definita come una pratica o una virtù piuttosto che una teoria in sé, la cura coinvolge il mantenimento del nostro mondo e di quello altrui, nonché il soddisfacimento dei bisogni sia nostri che di altri» (p. 8). La studiosa riconosce l’assonanza dell’etica della cura con l’etica dei sentimenti morali, in auge nella Gran Bretagna del diciottesimo secolo, poiché pone in rilievo il coinvolgimento di emozioni e sentimenti nell’esperienza della cura. D’altra parte, tale declinazione dell’etica travalica l’ambito dei rapporti interpersonali e rivendica una rilevanza politica, soprattutto per quanto attiene alla salvaguardia dell’ambiente e alle relazioni internazionali. Se è vero che le relazioni di cura più coinvolgenti riguardano persone vicine a noi, la care ethics vuole abbracciare anche il campo delle relazioni tra i più lontani da noi. Così la cura, intesa in un’ampia accezione, può informare anche il pensiero e l’azione di un operatore sociale o di uno statista.
L’etica della cura non può ricondursi integralmente a un insieme di norme e di regole comportamentali, poiché l’esercizio della cura è «una chiave per una vita felice» (p. 9). Lo è realmente se prende avvio dalla cura di sé, esigenza affermata in forma imperativa già nel «conosci te stesso» prescritto dalla sapienza dell’oracolo delfico. Charité bien ordonnée commence par soi même, recita un proverbio francese. L’autrice del volume ravvisa tre fondamentali accezioni dell’etica in parola, a seconda che sia considerata nel suo contrapporsi all’etica della giustizia, quale attività pratica e quale etica relazionale (p. 13 e p. 39). Quest’ultima accezione appare la più rilevante.
Il volume di Sara Brotto prende in considerazione le possibili definizioni di cura (pp. 29-45), la natura di questa e l’obbligo di prendersi cura (pp. 47-62) nonché le dinamiche e virtù della cura (pp. 63-74). La seconda parte del libro esamina gli aspetti di criticità dell’etica della cura (pp. 81-89) e, in forma più ampia, le relazioni tra questa ed altre teorie etiche (pp. 91-120). La terza parte riguarda la rilevanza contemporanea dell’etica della cura (pp. 127-138) e le applicazioni di essa (pp. 139-144). Nelle Appendici del volume la studiosa rende conto di alcune esperienze di cura in ambito didattico, nel quale ella stessa lavora (pp. 147-166) e riporta alcune testimonianze resa da professionisti della cura, che operano in campo medico e didattico (p. 167-190).
Il libro propone anche una “mappatura” delle principali declinazioni dell’etica della cura di area nordamericana. Qui ritengo opportuno prestare particolare attenzione a tale “mappatura”, in quanto è soprattutto essa a offrire un primo orientamento allo studioso che si accosta a questo indirizzo di pensiero. L’autrice enuclea i tratti essenziali della riflessione proposta da Carol Gilligan, Joan Tronto, Nel Noddings, Sara Ruddick e Virginia Held (pp. 13-28). Le capostipiti di questo indirizzo di pensiero, Gilligan e Noddings, hanno posto in luce i valori che informano la cura, nella convinzione che essa promuova «il soddisfacimento responsabile dei bisogni concreti di persone inserite in contesti reali» (p. 15).
Già nel 1987 è stata pubblicata l’edizione italiana (Con voce di donna) del libro di Carol Gilligan In a different Voice (1982), un classico che si situa ai primordi della care ethics. La voce “differente” che l’autrice intende fare risuonare nell’agorà dei filosofi, finora restii ad ascoltarla, è quella di milioni di donne le quali, come le giovani da lei intervistate, assumono quale criterio fondamentale nel dirimere i conflitti morali che debbono affrontare le esigenze di cura dell’altro, e non solo in quanto madri, mogli o figlie ma, più semplicemente, proprio in quanto donne (pp. 16-20). Pertanto, in una prospettiva etica che ascolti questa “voce” la nozione di cura può assumere il rilievo capitale che nelle etiche del passato hanno avuto nozioni quali vita buona, virtù e dovere. Tale prospettiva può legittimamente resistere al tentativo di assimilazione all’etica delle virtù: per le autrici surrichiamate la cura non è una virtù tra le altre, ma è attitudine fondamentale che si dispiega, in forme diverse, nella vita di relazione ed è precondizione di ogni virtù. Va anche detto che Carol Gilligan non intende instaurare una dicotomia tra un’etica “femminile”, improntata alla cura e al contesto della decisione morale, e una “maschile”, attenta al rispetto di valori e norme universali di giustizia. Piuttosto, intende evidenziare la peculiarità del percorso mediante il quale generalmente le donne pervengono alla maturità di soggetto morale. Per l’autrice, tale maturità implica, nella donna come nell’uomo (pur con diverse accentuazioni), sia l’attenzione al contesto in cui sorge un problema etico sia il riconoscimento di un universo valoriale.
Nel libro Caring (1984) Nel Noddings prende in considerazione la rilevanza della cura nell’educazione morale. Ella ascrive una certa reciprocità alla relazione di cura, in quanto the-one-caring e il cared for si impegnano «a incontrare l’altro moralmente» (p. 20). L’attitudine del primo si nutre della memoria di essere stato un tempo curato da altri. L’autrice non crede in principi etici universali e ritiene che le priorità della cura debbano emergere dal contesto relazionale. Si deve a lei la distinzione tra il caring about, in virtù del quale la persona elabora «intenzioni di cura» (p. 21) e il caring for, che compendia l’aspetto pragmatico di essa, il quale si dispiega pienamente nei confronti delle persone più vicine. Noddings descrive soprattutto il vissuto di cura, che comporta un coinvolgimento di tutta la persona. La filosofa lo denomina engrossment, ovvero «lo spostamento motivazionale: colui che si prende cura emette un’energia indirizzata verso colui che necessita di cura, è attento, lo ascolta» (pp. 41-42).
Analogamente a Nel Noddings, Virginia Held fonda la capacità di cura di una persona nell’esperienza di avere già fruito dell’accudimento da parte di altri (pp. 22-24). Ella ritiene che ogni persona capace di prestare una cura materna è una mothering person. In questa prospettiva, il mothering è affrancato dalla maternità biologica (motherhood): anche un uomo può essere capace di svolgere il mothering. La sua riflessione prende avvio dal pensiero femminista (Feminist Morality, 1993) ed è particolarmente attenta agli aspetti razionali e emozionali — rispettivamente al sense e alla sensibility — della cura nonché alla sua rilevanza sociale e politica. Quest’ultima è evidenziata segnatamente nel volume The Ethics of Care (2006), ove la filosofa considera la cura come un insieme di valori e pratiche piuttosto che una virtù. L’autrice ritiene auspicabile una “globalizzazione” delle relazioni di cura, la quale contribuirebbe alla convivenza pacifica di diverse culture, nonché al rispetto dei diritti della persona.
Un classico dell’etica in parola è pure il libro di Sara Ruddick Maternal Thinking (1980; ed. italiana: Il pensiero materno, 1993). L’autrice pone in luce il complesso di sentimenti che coesistono con l’amore materno, ovvero «infatuazione, piacere, fascinazione, orgoglio, vergogna, colpa, rabbia e perdita» (cit. p. 25). Al riguardo, la sua analisi richiama alla memoria la descrizione degli aspetti più critici, e meno tematizzati, della maternità, resa dalla poetessa e saggista Adrienne Rich nel libro Of Woman Born (1976; Nato di donna, 1996).
Diverse persone possono rappresentare contemporaneamente una figura materna per il bambino. Ruddick ritiene che il pensiero materno possa scaturire, a prescindere da qualsivoglia base biologica e dall’identità di genere, da ogni forma materna di cura, ovvero di lavoro materno, che difenda e promuova la vita allorché è più vulnerabile. In virtù della sua capacità di percepire empaticamente le esigenze dell’altro, questa forma di pensiero costituisce una risorsa che può essere messa pienamente a frutto se le si riconosce rilevanza nella politica, ove può contribuire alla promozione della pace. In estrema sintesi, si può affermare che l’autrice tende a correlare fortemente la care alla pratica di cura materna ma, al contempo, propone un’accezione molto ampia dell’aggettivo “materno”.
Un’altra autrice ampiamente citata da Sara Brotto è Joan C. Tronto, la quale pone in luce le implicazioni sociali e politiche della cura. Affinché esse vengano riconosciute, la filosofa ritiene che sia necessario abbattere i «confini morali» (moral boundaries) che la relegano ancora nell’ambito privato. L’edizione italiana (Confini morali) del suo libro più noto risale al 2006. Tronto afferma che tali “confini” possono essere abbattuti superando la dicotomia tra morale e politica ovvero proponendo «una versione politica e morale della vita buona» (p. 27).
Nel pregevole volume di Sara Brotto, sorprende constatare la scarsità di riferimenti al pensiero di Eva Feder Kittay. Come le autrici surrichiamate, ella ha offerto un originale contributo all’etica della cura. Nel volume Love’s Labor (1999; La cura dell’amore 2010), Kittay pone in luce l’importanza sociale, sinora misconosciuta, del compito svolto dai dependency workers. Si tratta per lo più di donne che, per un vincolo affettivo oppure per professione, sono impegnate nella cura delle persone più fragili. L’autrice fonda la solidarietà sociale dovuta al dependency worker nella condizione propria di ogni essere umano, ovvero l’essere figlio. Questa espressione compendia la fragilità e il bisogno di cura che attiene a ogni vita umana, in modo temporaneo o permanente.
In ragione della polisemia della parola “cura”, è apprezzabile l’attenzione rivolta dall’autrice del libro al chiarimento dei suoi significati (pp. 29-45) nel linguaggio filosofico, a partire dall’epimeleisthai socratico sino al Novecento, e nel linguaggio comune. Nella complessa nozione di cura proposta da Heidegger in Essere e tempo, ella individua «in sostanza lo star da presso benevolo a se stessi, agli altri, al mondo» (p. 34). Questo star da presso dell’esserci che è l’uomo è proprio sia del prendersi cura (Besorgen) degli enti intramondani che dell’aver cura (Fürsorge) di altri esserci.
La studiosa prende in considerazione anche le definizioni della parola cura offerte da alcuni dizionari, e rileva che esse pongono l’accento più su colui che la presta che su chi la riceve (p. 35). Tra le definizioni di cura elaborate dal pensiero filosofico, Sara Brotto apprezza particolarmente, per la accezione molto estesa, quella proposta da Joan Tronto e Berenice Fisher, ovvero «una specie di attività che include tutto ciò che facciamo per mantenere, continuare e riparare il nostro “mondo”in modo da poterci vivere nel modo migliore possibile. Quel mondo include i nostri corpi, noi stessi e il nostro ambiente, tutto ciò che cerchiamo di intrecciare in una rete complessa a sostegno della cura» (cit. p. 43).
Forse è proprio questa la nozione di cura che può reggere la prova del tempo. Essa contempla i diversi ambiti dell’attività umana, che esplica i suoi effetti non soltanto sulla vita delle persone, ma anche, e in misura sempre più rilevante, sulla biosfera. Intesa in questa accezione, la cura è l’attitudine umana che ispira ogni azione volta a difendere e promuovere la vita, degli uomini e degli altri esseri viventi. Talvolta, e sempre più di frequente, la cura è chiamata anche a “riparare”, laddove l’attività dell’uomo mette in pericolo la vita stessa sulla terra. E si tratta non soltanto della vita di questa generazione, ma anche di quelle future. La cura guarda lontano, individua e corrobora il rapporto tra una generazione e l’altra. La prima è responsabile nei confronti della seconda poiché l’«ha messa al mondo».