Sicurezza, territorio, popolazione. Il corso di Michel Foucault del 1978

1. Il corso Sicurezza, territorio, popolazione al Collège de France (1978)

Il pensiero di Michel Foucault, anche a distanza ormai di quasi venticinque anni dalla morte del grande filosofo francese, non smette di stupire per la lucidità, la preveggenza e l’attualità. Ne offre un’ennesima prova Sicurezza, territorio, popolazione, il saggio pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2005 che comprende però le lezioni tenute da Foucault presso il Collège de France nel 1978. Stiamo parlando quindi di un testo che, seppur relativamente nuovo per il lettore italiano, risale a trent’anni fa. Esso tuttavia, sia per la tematica che viene affrontata che per le riflessioni che ne scaturiscono, sembra meditato non più tardi di oggi, sullo sfondo del nostro inquietante e ineludibile presente.

Michel Foucault ha insegnato al Collège de France dal gennaio 1971 fino alla morte, nel giugno 1984 (ad eccezione del 1977 in cui beneficiò di un anno sabbatico). Il titolo della sua cattedra era «Storia dei sistemi di pensiero». Tale cattedra era stata istituita due anni prima del suo arrivo dall’assemblea generale dei professori in sostituzione di quella di «Storia del pensiero filosofico», che era stata tenuta da Jean Hyppolite fino alla sua morte. La stessa assemblea elesse Michel Foucault come titolare della nuova cattedra. Era il 12 aprile 1970 e Foucault aveva quarantatré anni.

Il corso, così come tutti gli altri tenuti da Foucault, si svolgeva ogni mercoledì, dall’inizio di gennaio alla fine di marzo, e aveva un pubblico assai numeroso — composto da studenti, insegnanti, ricercatori e curiosi, molti dei quali stranieri — che occupava due anfiteatri del Collège.

Analogamente a tutti gli altri corsi, constava di 26 ore di insegnamento che era possibile dividere in seminari di 13 ore al massimo (divisione che Foucault adottò sino agli inizi degli anni Ottanta) e doveva concludersi con una ricerca originale. È stato pubblicato prima in francese dall’editore Seuil/Gallimard nel 2004 e poi in traduzione italiana, come già ricordato, da Feltrinelli nel novembre 2005 (prima e finora unica edizione in «Campi del sapere», traduzione di Paolo Napoli).

La pubblicazione ha favorito moltissimo, in particolare, la divulgazione della problematica della governamentalità che, anche per le sintesi che Foucault ne aveva già fatto nel 1979 per una serie di conferenze, ha prodotto da una decina d’anni a questa parte un vasto campo di ricerche nei paesi anglosassoni e, più di recente, in Germania: i governmentality studies.

In alcune università questi studi hanno persino acquisito il rango di discipline nei dipartimenti di sociologia e di scienze politiche.

Il punto di partenza di tutto questo movimento è stato la pubblicazione nel 1991 del libro The Foucault Effect: Studies in Governmentality (a cura di G. Burchell, C. Gordon e P. Miller), in cui è stata approfondita dai curatori la nozione di rischio ricavata dalle nozioni foucaultiane.

Il risultato è stata la produzione di una letteratura considerevole nel campo delle scienze sociali, dell’economia politica e della teoria politica, per la valutazione complessiva della quale rimandiamo al libro Governmentality: Power and Rule in Modern Society di Mitchell Dean.

Ma la fortuna delle idee del filosofo francese, così come trattate a partire proprio dal corso Sicurezza, popolazione, territorio del 1978, continua oggi anche in altri campi del sapere nuovi o comunque distanti da quelli che erano centrali per lui come, per esempio, la gestione delle risorse umane o la teoria delle organizzazioni, a dimostrare ancora una volta e ancora di più la duttilità dello schema di analisi da lui proposto e la sua capacità di circolazione e penetrazione negli ambiti più distanti anche rispetto a quelli originari.

2. Il Riassunto

Il testo del corso è seguito, anche nell’edizione italiana, dal riassunto fattone dallo stesso Foucault e pubblicato nell’Annuaire du Collège de France. Il filosofo lo redasse presumibilmente, come sempre, nel mese di giugno. Quella era la migliore occasione per lui per fare il punto retrospettivamente su tutto quanto aveva «scoperto» durante ogni corso dato che la caratteristica di Foucault, per sua esplicita ammissione, era proprio quella di sviscerare e attualizzare a tal punto le sue lezioni da trovarvi egli stesso spunti anche diversi da quelli che inizialmente aveva avuto intenzione di trattare. Egli infatti affrontava il proprio insegnamento come un ricercatore.

Da questo riassunto conclusivo emerge che Foucault ha trattato la genesi di un sapere politico che ha messo al centro delle sue preoccupazioni la nozione di popolazione e i meccanismi capaci di assicurarne la regolamentazione, spostando in tal modo l’accento da uno «stato territoriale» a uno «stato di popolazione» (con la concomitante comparsa di nuovi obiettivi, nuovi problemi e nuove tecniche) per la cui comprensione ha adottato come criterio-guida la nozione di «governo», nozione cui è collegata anche quella di «governamentalità».

3. «Governo degli uomini»

Il «governo», inteso come «tema del potere pastorale», ovvero come «l’attività che si incarica di condurre gli individui lungo tutta la loro vita, sottomettendoli all’autorità di una guida responsabile di ciò che fanno e che può capitare loro», ed estrinsecantesi nell’idea di un sovrano-pastore, di un re o di un magistrato-pastore del gregge umano, sembra essere sorto in Oriente.

È in Oriente che il tema del potere pastorale ha trovato la sua più ampia trattazione, soprattutto nella società ebraica.

Il potere del pastore non si esercita tanto su un territorio fisso quanto su una moltitudine che si sposta verso una meta.

Questo tipo di potere è stato introdotto in Occidente dal cristianesimo e ha assunto una forma istituzionale nel pastorato escclesiastico.

Nei secoli XV e XVI, però, nasce e si sviluppa una crisi generale del pastorato, «non solo e non tanto come rifiuto dell’istituzione pastorale» quanto come «ricerca di altre modalità di governare e di governarsi», più adeguate alla coeva «nascita di nuove forme di rapporti economici e sociali e di nuove strutturazioni politiche». Nasce allora la «governamentalità».

4. «Governamentalità»

La «governamentalità» è un concetto politico che discende da quello di «governo», è «la maniera in cui la condotta di un insieme di individui è stata coinvolta, in maniera sempre più accentuata, nell’esercizio del potere sovrano».

Nasce tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XVII ed è «senza dubbio legata all’emergere della ‘ragion di stato’», che comporta una radicale trasformazione delle «arti di governo». «Si passa da un’arte di governo i cui principi erano ricavati dalle virtù tradizionali […] o dalle abilità comuni […] a un’arte di governo la cui razionalità ha i suoi principi e il suo campo di applicazione specifico nello stato.» Il che significa che il principe deve esercitare la sua sovranità governando gli uomini.

Lo sviluppo della ragion di stato è determinata da una nuova percezione storica, «aperta su un tempo indefinito in cui gli stati devono lottare gli uni contro gli altri per assicurarsi la sopravvivenza». Per competere nel nuovo «spazio (insieme europeo e mondiale) di concorrenza tra stati» occorrono infatti nuove conoscenze, di sapere e di tecnologia politici.

Nascono così «due grandi insiemi di sapere e di tecnologia politici»: una «tecnologia diplomatico-militare», che assicura e sviluppa le forze dello stato verso l’esterno, e la «polizia», intesa come «il complesso dei mezzi necessari per far crescere, dall’interno, le forze dello stato». Nel punto di convergenza si collocano il commercio e la circolazione monetaria interstatale.

Oggetto privilegiato della nuova ragione di governo diventa quindi la coppia popolazione-ricchezza, in quanto più commercio e più ricchezza fanno aumentare la popolazione, la manodopera, la produzione, l’esportazione e la forza degli eserciti. Questo è lo sfondo dell’epoca mercantilistica.

È la popolazione poi che in seguito fa entrare in crisi il sistema, poiché essa non può continuare a crescere in maniera coercitiva solo per aumentare le risorse.

Sono i fisiocrati (cioè i mercantilisti) a porre in maniera diversa il concetto di popolazione, intesa da loro non più come una semplice somma dei soggetti autoriproducentisi che abitano un territorio ma come una variabile dipendente da un certo numero di fattori, molti dei quali non sono naturali bensì modificati artificialmente anche se si può far apparire come «naturale» la dipendenza da essi. È ciò che si intende con «problema politico della popolazione»: non più «sudditi di diritto», non più «insieme di braccia destinate al lavoro», ma «insieme di elementi che da un lato si ricollega al regime generale degli essere viventi […] e dall’altro può fungere da supporto a interventi concertati».

5. Tre concetti per un unico problema

Il titolo del corso Sicurezza, popolazione, territorio descrive perfettamente il problema posto da Foucault. Si tratta di tre concetti interdipendenti, come sempre in lui «aperti» a qualsiasi ulteriore e diversa concettualizzazione possa emerge dalla loro analisi, che concorrono a parità di importanza intellettuale a delineare il problema unitario della «sicurezza dell’insieme in relazione ai suoi pericoli interni». «Qualcosa come un’omeostasi», la definisce Foucault. Tecnologia di sicurezza, che egli oppone ai meccanismi attraverso cui il sovrano, fino all’età classica, si sforzava di garantire la sovranità del suo territorio.

«Territorio» e «popolazione» sono quindi i due concetti antitetici tra i quali inserire il terzo, quello della «sicurezza», per cercare di rispondere alla domanda che inevitabilmente ne consegue: «Come si è passati dalla sovranità sul territorio alla regolazione delle popolazioni?» «Si può parlare oggi di una ‘società di sicurezza’?» E, ancora: «Possiamo allora sostenere che, nelle nostre società, l’economia generale del potere si sta trasformando nell’ordine della sicurezza»?

Domande non solo penetranti ma anche inquietanti, se si pensa che sono state poste nel 1978 e se si riflette a ciò che da allora ad oggi, in termini di «sicurezza-popolazione-territorio», è avvenuto sulla faccia del pianeta. Domande che, nella loro preveggenza, confermano l’assoluta importanza della riflessione filosofica di Foucault.

Nelle nuove tecniche di governamentalità «si tratta di integrare i paesi stranieri in meccanismi di regolazione che opereranno all’interno di ogni paese». Attenzione, però: la concorrenza che si vuol lasciar libera di giocare non è più quella tra stati, bensì quella tra «privati». È questo gioco, la ricaduta di questo gioco sulla collettività che permetterà allo stato o all’intera popolazione di ricavare dei benefici. Per dirla con Foucault: «Il bene di tutti sarà assicurato dal comportamento di ognuno dal momento in cui lo stato, il governo, sapranno lasciar giocare i meccanismi dell’interesse privato, che finiranno così per servire a tutti grazie a un fenomeno di accumulazione e di regolazione».

Nella nuova governamentalità delineata dagli economisti si notano alcune «trasformazioni della ragion di stato», come la riapparizione della «naturalità». Ma di «una naturalità specifica ai rapporti che gli uomini intrattengono tra di loro». In breve, una naturalità che non esisteva ancora. È la «naturalità della società».

La società così intesa, cioè come campo specifico di naturalità propria dell’uomo, farà a sua volta apparire la «società civile», che costituisce una sorta di «interfaccia dello stato».

Di che cosa deve occuparsi allora lo stato? «Lo stato ha in carico una società, una società civile, ed è la gestione di questa società civile che è chiamato ad assicurare.»

Correlata di questi nuovi concetti è una nuova «conoscenza» che presenta procedimenti analoghi a quelli della conoscenza scientifica, ed è proprio questa scientificità che viene rivendicata dagli economisti. Anche all’economia vanno quindi applicare le regole dell’evidenza. «Questa conoscenza è l’economia politica.»

È una conoscenza assolutamente necessaria per un buon governo, ma «è necessario che non sia una conoscenza del governo stesso, interna al governo». Assistiamo dunque alla comparso di «un particolare tipo di rapporto tra potere e sapere, tra governo e scienza». È una «scienza che gareggia quasi da pari a apri con l’arte di governo, una scienza esterna che si può perfettamente fondare, stabilire, sviluppare, provare da cima a fondo anche se non si è governanti, anche se non si partecipa all’arte di governo».

Un’altra trasformazione è data dalla «comparsa del problema della popolazione sotto forme nuove». Si afferma l’idea di una «naturalità intrinseca della popolazione», che finora era stata considerata soprattutto in termini di popolamento o spopolamento. La popolazione invece rivela dei meccanismi interni di regolazione che la rendono molto più complessa di quanto non fosse stata considerata fino a quel momento. Tutto ciò finirà per determinare «una nuova funzione dello stato: la presa in carico della popolazione nella sua stessa naturalità».

Quale ulteriore conseguenza ne deriverà? Che, poiché si è in presenza di fenomeni naturali, «non solo non ci sarà una giustificazione, ma neppure un interesse» a imporre dei sistemi di regolamentazione imperativi. D’ora in poi, «bisognerà gestire e non più regolamentare».

Ciò significa che gli elementi che costituiscono i fenomeni naturali della popolazione e dei processi economici devono essere lasciati liberi di giocare e di giocare tra di loro, limitandosi l’intervento dello stato allo stretto necessario affinché il gioco possa avvenire. Per questo, «bisognerà mettere a punto dei sistemi di sicurezza».

Da adesso in poi anche la libertà acquista un nuovo significato come elemento della nuova governamentalità: essa non è più solo un diritto legittimamente opposto od opponibile ad un abuso, ma è a sua volta un elemento di un processo naturale. «D’ora in poi è possibile governare bene solo a condizione di rispettare la libertà o un certo numero di forme di libertà.»

Da tutto questo, considera Foucualt, deriva un «sistema doppio»: da un lato, un insieme di meccanismi che dipendono dall’economia e dalla gestione della popolazione e che avranno la funzione di far crescere le forze dello stato; dall’altro, un apparato o una serie di strumenti che assicureranno che il disordine, le irregolarità, le illegalità e le delinquenze saranno impedite o represse. Ed è questo secondo significato, esclusivamente negativo e marginale, che viene ora ad assumere la polizia, il cui unico scopo da adesso in poi sarà «l’eliminazione del disordine».

La riflessione finale che sta a cuore a Foucault, e a cui aveva accennato anche in precedenza, è che

è perfettamente possibile fare la genealogia dello stato moderno e dei suoi apparati, senza partire da un’ontologia circolare dello stato, come si dice spesso, che si autoafferma e cresce come un grande mostro o una macchina automatica, ma a partire da una storia della ragion di stato». Una nuova governamentalità, «di cui ancora adesso conosciamo le forme delle sue modificazioni contemporanee.

Prima di congedarsi, Foucualt vuole tornare però sul problema delle controcondotte e dell’eventuale possibilità di farne un’analisi in corrispondenza con quella della governamentalità, dato che hanno in comune gli stessi elementi, basati sempre sulla ragion di stato. Che cos’è, allora, che le differenzia rispetto alla ragion di stato?

Foucualt individua quattro forme di differenza. La prima è costituita dal fatto che, secondo la ragion di stato, «l’uomo deve ormai vivere in un tempo indefinito», per cui «di governi ce ne saranno sempre, lo stato esisterà sempre e non sperate in un punto di arresto»; quindi «escludeva l’impero degli ultimi giorni e il regno dell’escatologia»; secondo le controcondotte, invece, si ribalta questo assunto, per cui «verrà il momento in cui il tempo sarà finito». Si pone la «possibilità di un’escatologia, di un tempo ultimo, di una sospensione o di una conclusione del tempo storico e del tempo politico». Ma da che cosa potrà essere arrestata la governamentalità indefinita dello stato? Dall’«emergere di qualcosa che sarà la società stessa». Quindi: «l’affermazione di un’escatologia in cui la società civile prevarrà sullo stato».

Ci sarà inoltre un momento in cui la popolazione romperà tutti i legami di obbedienza, cioè di quel principio che la ragion di stato aveva posto come fondamentale per il proprio esistere. «Avrà effettivamente il diritto, non in termini giuridici, ma in forma di diritti essenziali e fondamentali, di rompere tutti i legami di obbedienza che ha potuto avere con lo stato e, ergendosi contro di esso, potrà dirgli: è la mia legge.» Sarà «il diritto alla rivoluzione».

Al tema dello stato come detentore della verità, le controcondotte «oppongono quella della nazione», che diventa quindi «titolare del proprio sapere» (ma potrebbe trattarsi anche di un elemento della popolazione oppure di un’organizzazione o di un partito, ma comunque rappresentativo di tutta la popolazione). In ogni caso, puntualizza Foucault, «la storia della ragion di stato, la storia della ratio di governo, la storia della ragione di governo e la storia delle controcondotte che le si sono opposte non possono essere dissociate l’una dall’altra».

Interessantissime sono anche le due ultime pagine del manoscritto del corso, che Foucault tralascia durante la lezione e che riguardano i «movimenti rivoluzionari», per i quali egli fa riferimento al possibile retroterra di un’«eredità religiosa». In ogni caso si tratta di una filiazione non diretta e non ideologica, che va ricercata piuttosto «sul versante delle tattiche antipastorali» che in qualche caso hanno portato anche a far assumere «la forma ‘arcaica’di una nuova pastorale».

6. Un nuovo modo di ragionare

Che cosa voleva dimostrare Foucault, alla fin fine, con questo suo corso Sicurezza, popolazione, territorio? Questo: che «la storia dello stato deve potersi fare a partire dalla pratica degli uomini, non da una realtà trascendente». Ciò significa anche che «non esiste alcuna frattura tra il livello del micropotere e il livello del macropotere».

7. I corsi del dittico (1978-1979)

Il corso Sicurezza, popolazione, territorio, del 1978, pur costituendo un nuovo ciclo nell’insegnamento di Michel Foucault al Collège de France, va per altro analizzato anche in relazione con il corso dell’anno successivo, Nascita della biopolitica, con il quale forma per l’appunto un dittico incentrato sul tema comune della genealogia del biopotere, ovvero sulla genesi e lo sviluppo di quel «potere sulla vita» nella cui comparsa, a partire dal XVIII secolo, Foucault vedeva una trasformazione capitale, probabilmente una delle più importanti nella storia delle società umane.

8. Il corso precedente (1976) e il corso successivo (1980)

Il corso del 1978 va però anche analizzato in confronto al corso dell’anno precedente, rispetto al quale costituisce l’avvio di un nuovo ciclo. O, meglio, rispetto ai corsi dell’intero periodo 1970-1976, i quali avevano unitariamente un diverso obiettivo: quello di studiare i meccanismi attraverso i quali, dalla fine del XIX secolo, si è preteso di «difendere la società». Va rimarcato che il corso precedente, Bisogna difendere la società, è del 1976, in quanto nel 1977 Foucault non ne tenne alcuno. È proprio a partire da questo corso 1976 che egli introduce per la prima volta, accanto alla nozione di popolazione, la problematica del biopotere, della quale il dittico 1978-1979 costituisce quindi una prosecuzione, anche se in parte solo apparente (nel senso che, in realtà, lo porterà su strade diverse e, soprattutto, collocate in una prospettiva più ampia, come dimostrerà il focalizzarsi dell’attenzione sul concetto di «governo» che comunque da quello di biopotere deriva direttamente).

Il corso successivo, del 1980, sarà intitolato Il governo dei viventi e proseguirà sulla stessa strada tracciata dal dittico.

9. Il rapporto con gli altri studi: la storia della sessualità

Il tema della genealogia del biopotere non è tuttavia autonomo, in quanto è inseparabile dal lavoro sulla storia della sessualità che Foucault prosegue parallelamente ai corsi del Collège de France e al di fuori di questi. Questa storia della sessualità si colloca «proprio nel punto in cui si intersecano il corpo e la popolazione». Ed è ancora una volta dal 1978, da Sicurezza, popolazione, territorio (per arrivare fino al 1984, a L’uso dei piaceri e La cura di sé), che la storia della sessualità acquista un nuovo significato non rappresentando più soltanto il punto di articolazione dei meccanismi disciplinari e dei dispositivi di regolazione, ma anche il filo conduttore di una riflessione etica orientata sulle tecniche di sé, i cui tratti generali trovano le loro radici in quella problematica della governamentalità emersa dal corso Sicurezza, popolazione, territorio.

10. Il contesto storico-politico-intellettuale

Siamo nell’ambito del «pensiero di sinistra» e, in particolare, della «seconda sinistra», quella che dopo aver preso le distanza dal marxismo si apre a nuove questioni quali la vita quotidiana, la situazione delle donne, l’autogestione. Foucault ne è ben consapevole quando dice: «Scrivo e lavoro per […] persone nuove, che sollevano questioni nuove».

Questa consapevolezza si accompagna anche al rifiuto di prendere posizione nelle elezioni politiche del 1978, a meno che non si voglia considerare tale la questione da lui sollevata sulla cultura politica della sinistra, così puntualmente riassumibile: «C’è nei socialisti una problematica del governare o sono sensibili solo a una problematica dello stato?».

Due momenti storici di fondamentale importanza nella vita di Foucault sono, in quel periodo, il movimento di dissidenza sovietico e l’affaire Croissant.

Rispetto al primo, egli stesso nel giugno 1977 organizza insieme con alcuni dissidenti una serata pubblica di protesta contro la visita in Francia del premier sovietico Leonid Breznev, teorizzando qualche mese dopo il «diritto dei governati».

Rispetto al secondo, si impegna ancor più personalmente prendendo nettamente posizione a favore del riconoscimento del diritto d’asilo in Francia per Klaus Croissant, che verso la fine del 1977 stava per essere estradato in Germania (come poi avvenne). Croissant era l’avvocato della c. d. banda Baader (RAF, Rote Armee Fraktion), l’organizzazione paramilitare tedesca protagonista di vari episodi di sangue di matrice politica.

In quell’occasione Foucault introduce anche l’idea di un «patto di sicurezza» ormai esistente tra lo stato e la popolazione:

Che accade allora oggi? Il rapporto tra stato e popolazione avviene essenzialmente nella forma di quello che si potrebbe chiamare ‘patto di sicurezza’. In passato lo stato poteva dire: ‘Vi offro un territorio’oppure ‘Vi garantisco di poter vivere in pace all’interno delle frontiere’. Era il patto territoriale, quando la garanzia delle frontiere rappresentava la grande funzione dello stato.

È sempre in quest’occasione, allora, che egli utilizza i tre termini — sicurezza, popolazione, territorio — che poi riprenderà nel suo corso del 1978, cioè appena qualche mese dopo.

Questo concetto innovatore del «patto di sicurezza» è anche alla base del suo rifiuto di continuare a pensare con i vecchi concetti politici, sia di estrema sinistra (alla quale per altro egli fu vicino per parecchio tempo) sia del terrorismo stesso (che non aveva quindi niente a che fare con la sua difesa libertaria del diritto d’asilo a Croissant) che di qualsiasi tipo di totalitarismo.

La conseguenza è la rottura dei rapporti politici precedenti e il suo avvicinamento ideologico alla cd. «questione tedesca», che egli fa coincidere con la possibilità di una governamentalità neoliberale all’interno del processo di costruzione della Comunità Europea.

Viaggia molto: a Berlino ma anche, dopo la conclusione del corso del 1978, in Giappone, dove tiene una serie di conferenze in cui affronta pure il ruolo del filosofo come «moderatore del potere»:

Forse la filosofia può ancora avere una funzione di contropotere […] a condizione che smetta di indagare la questione del potere in termini di bene o di male, per porla in termini di esistenza.

È probabilmente quest’ultima riflessione che lo spinge a ricercare, nello spazio fisico, la realizzazione stessa delle idee, realizzazione concreta, materiale, per la quale egli progetta dei «reportages di idee» in cui intellettuali e giornalisti si uniscono in approfondite inchieste sul campo.

Comincia egli stesso, sempre nel 1978, con un reportage dall’Iran sul Corriere della Sera, in cui si interessa all’idea di «buon governo» del movimento islamico scrivendo anche la sua celebre frase sulla «spiritualità politica», stimolata dall’incontro con l’ayatollah liberale Shariati Madari:

Che senso ha, per gli (iraniani), cercare, al prezzo della vita stessa, quella cosa che noi altri abbiamo dimenticato completamente, dopo il Rinascimento e le grandi crisi del cristianesimo: una spiritualità politica. Sento già i francesi ridere, ma so che hanno torto.

Insisterà poi sulla possibilità del sacrificio di sé in un’intervista rilasciata nello stesso periodo ricordando gli scioperi studenteschi del 968 in Tunisia, dove allora era professore. Parlerà dell’

evidenza della necessità di un mito, di una spiritualità; il carattere intollerabile di alcune situazioni prodotte dal capitalismo, dal colonialismo e dal neocolonialismo.

Saranno frasi che successivamente, dopo la vittoriosa rivoluzione politico-religiosa degli ayatollah guidati da Khomeini, gli varranno molte critiche per quello che sarà considerato il suo appoggio morale all’avvento dell’integralismo. Ma Foucault non si tirerà indietro e così risponderà:

mi è indifferente che lo stratega sia un politico, uno storico, un rivoluzionario, un partigiano dello scià o dell’ayatollah. La mia morale teorica è opposta. E ‘antistrategica’: essere rispettosi quando una singolarità si solleva, intransigenti appena il potere viola l’universale.

Quello che egli sosteneva, infatti, non era una rivoluzione al posto di un’altra o una forma di potere piuttosto che un’altra, ma l’irrompere nella storia della dimensione della «soggettività» che la storia stessa aveva emarginato fino all’annullamento e che adesso il riscoperto sacrificio di sé sublimava nella sua estrema resistenza al potere. Un’affermazione di senso, insomma, là dove il senso era ormai andato perduto.