Amartya Sen, The Idea of Justice, Penguin Books (Allen Lane), London 2009, pp. 468.
The Idea of Justice di Amartya Sen è unanimemente considerato uno dei contributi filosofici più influenti nel contesto dell’attuale dibattito sulle teorie della giustizia, inaugurato dalla pubblicazione, nel 1971, del noto volume di John Ralws, A Theory of Justice. La brillante e stimolante analisi della giustizia proposta in questo volume s’iscrive nella più ampia cornice delle erudite riflessioni di carattere filosofico ed economico sull’argomento, che l’autore sviluppa attraverso il confronto con le posizioni di altri pensatori, primo tra tutti Rawls, interlocutore fondamentale al quale Sen riconosce il merito di aver ispirato la sua riflessione in quest’ambito. Tuttavia, come si evince già dalla stessa titolazione del volume, la proposta seniana non si riduce all’elaborazione di una teoria completa, o anche parziale, della giustizia. Nel ricco orizzonte teorico di questa monografia, l’idea di giustizia è indagata nelle sue varie dimensioni soprattutto attraverso un’onesta e brillante esplorazione dei requisiti fondamentali dell’individuo, dunque delle sue capacità di fare e di essere, della sua libertà di agire, del suo star-bene, della sua possibilità di realizzarsi propriamente come essere umano.
Tre sono le premesse fondamentali che distinguono la portata dell’approccio seniano dalla maggioranza delle contemporanee teorie della giustizia. In primo luogo l’autore sostiene che «una teoria della giustizia che deve servire come base del ragionamento pratico deve includere i modi per giudicare come ridurre l’ingiustizia e far progredire la giustizia, piuttosto che mirare soltanto alla caratterizzazione di società perfettamente giuste» (p. ix). Ciò sarebbe possibile grazie ad un esercizio comparativo in grado di individuare quali dispositivi potrebbero dirsi propriamente giusti e, al contempo, di stabilire se un particolare cambiamento sociale possa condurre ad un miglioramento della giustizia. Non si tratta, dunque, di interrogarsi sulla natura della giustizia perfetta, ma di focalizzarsi sulla capacità di valutare e decidere in merito alle istituzioni e agli altri elementi determinanti della giustizia, al fine di accordarsi sul che cosa potrebbe esser fatto.
Da questa premessa consegue il secondo presupposto fondamentale, ovvero il riconoscimento del ragionamento e dello scrutinio imparziale come prerogative essenziali della decisione stessa. Tuttavia, poiché ogni esercizio valutativo è inevitabilmente influenzato dalle diverse esperienze personali e tradizioni culturali a cui ciascun individuo fa riferimento, è evidente che nel confronto possono insorgere convinzioni tra loro conflittuali. La possibilità di convenire ad un punto d’accordo, pur nella coesistenza di opinioni fortemente competitive, sarebbe giustificato dalla pluralità costitutiva della ragione, la quale garantisce l’eventualità di un compromesso tra priorità e/o posizioni differenti attraverso il confronto ragionato.
In terzo luogo, Sen fa propria l’urgenza di assumere un approccio valutativo plurale alla giustizia sociale; approccio che si fonda sul riconoscimento della ricchezza della ragione umana e sulla consapevolezza della pluralità dei reali modi di vivere delle persone (cfr. pp. x-xii).
Nella prima parte del volume, dal titolo The Demands of Justice, Sen discute il rapporto tra ragionamento, oggettività e imparzialità attraverso un confronto con Rawls, che si conclude con una critica alla presunta oggettività della «giustizia come equità». Da una parte l’autore riconosce almeno «sei lezioni positive» dell’approccio rawlsiano: il valore dell’oggettività della ragion pratica; il presupposto dell’imparzialità; la centralità dei «poteri morali» che le persone hanno relativamente alla capacità di maturare un senso di giustizia e una propria concezione del bene; l’importanza della libertà personale e la sua rilevanza nella valutazione sociale, oltre che nella vita reale e, infine, l’estensione della considerazione della diseguaglianza oltre le disparità socio-economiche (cfr. pp. 62-64). Dall’altra parte, però, Sen mette in luce alcune problematicità sollevate da tali requisiti: l’assoluta priorità della libertà rispetto ulteriori agevolazioni per la realizzazione della fioritura umana; l’insistenza sul possesso dei beni primari piuttosto che la capacità di convertire tali beni in libertà e, in ultimo, l’inadeguatezza della «posizione originaria».
Tale espediente normativo, infatti, diversamente dallo «spettatore imparziale» di Smith, si caratterizza come una sorta di «imparzialità chiusa» che poggia su un esclusivismo negligente e su un’incoerenza interna del gruppo focale, perché non solo esclude la «voce» di coloro che non sono parte di esso e che sono comunque condizionati dalle sue decisioni, ma non dà neanche conto dell’influenza che le decisioni prese hanno sulle dimensioni e sulla composizione del gruppo stesso. La «posizione originaria», inoltre, pecca di un «proceduralismo parrocchiale» che non tiene in considerazione i pregiudizi e le avversioni che si formano all’interno del gruppo stesso (cfr. pp. 65-66; 138-139). A detta di Sen, il problema fondamentale di questa procedura risiede proprio nell’assunzione di un’astratta «società chiusa», che impedisce tanto la comprensione delle reali esigenze delle persone che vivono nel mondo, quanto una riflessione normativa svincolata da confini geografici, politici o culturali (cfr. pp. 149-152).
La seconda parte dell’opera, dedicata alle forme di ragionamento, si presenta come un’ampia e puntuale trattazione della razionalità. L’economista indiano mostra come la «pluralità della ragione imparziale» garantisca contemporaneamente l’esercizio della libertà e la possibilità ultima della realizzazione personale. Egli analizza, poi, il rapporto tra posizione, rilevanza e illusione e, confutando la versione classica dell’invarianza necessaria dell’oggettività, chiarisce la sua concezione di «oggettività posizionale», per la quale viene rispettata la dipendenza parametrica delle credenze, delle decisioni e delle osservazioni individuali, senza che l’esercizio si riduca all’essere un fenomeno totalmente soggettivo (cfr. pp. 156ss).
Nella formulazione di una teoria della giustizia, dunque, questa visione dell’oggettività svolge un compito decisivo sia per la comprensione di vari fenomeni sociali, — come le discriminazioni di genere o le diseguaglianze nel sistema di assistenza sanitaria di molti Paesi poveri — sia per la comprensione dei processi di formazione delle credenze personali all’interno di un determinato contesto di riferimento (cfr. pp. 164-168).
Inoltre, un simile approccio dimostra l’importanza del ragionamento consequenzialista nella valutazione etica, specialmente delle scelte e dei comportamenti individuali. Contro la visione ristretta della teoria economica mainstream — che circoscrive la razionalità entro la rigida formula della massimizzazione dell’interesse personale, secondo il paradigma standard di homo oeconomicus orientato al solo perseguimento del proprio vantaggio — Sen argomenta che le motivazioni dell’agire possono anche essere di natura altruistica, senza per questo violare le norme della razionalità (cfr. pp. 101-103; 178-183).
Nella terza parte vengono ripresi e specificati i materiali della giustizia: le capacità di fare e di essere piuttosto che le risorse; lo star-bene individuale piuttosto che il benessere welfaristicamente inteso; la felicità come human flourishing piuttosto che come happiness; l’eguaglianza di capacità e la reale libertà (cfr. pp. 227ss).
Il volume si chiude con una sezione dal titolo Public Reasoning and Democracy, dove viene argomenta la coincidenza tra democrazia e discussione pubblica, estendendo l’idea di «government by discussion» avanzata da Mill alla capacità, per l’individuo, di arricchirsi progressivamente grazie alla flessibilità della discussione interattiva. In questa direzione, le istituzioni svolgono un ruolo essenzialmente strumentale rispetto al perseguimento della giustizia, in quanto possono contribuire direttamente alla vita che gli esseri umani effettivamente conducono, nonché alla loro capacità di una discussione informata. È compito delle istituzioni, infatti, garantire e facilitare quanto più possibile le capacità di scrutinio dei valori e delle priorità che ciascun individuo ha ragione di perseguire affinché la «voce dei cittadini» abbia risonanza su scala globale. «Il lavoro delle istituzioni democratiche, come quello delle altre istituzioni, dipende da come le attività degli agenti umani utilizzano le opportunità per una realizzazione ragionevole» (cfr. p. 354).
Concludendo, in questo volume Sen ci offre, ancora una volta, un’ideale sofisticato, ma incarnato dell’essere umano, invitandoci a riflettere sui limiti di una teorizzazione astratta, completa e monodimensionale della giustizia.