Recensione a Francesca Brencio, La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri

Francesca Brencio (curatore), La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri, Aguaplano, Perugia 2015, pp. 392.

Tra i testi di Martin Heidegger proprio i Quaderni Neri che si stanno pubblicando anche in Italia sono quelli che dovrebbero essere letti con maggiore attenzione al contesto. E ciò non soltanto perché essi coprono un arco temporale molto lungo, dal 1930 al 1970, ma anche e soprattutto perché più di altri testi essi non sono un’«opera» nel senso di scritto finito autorizzato dall’autore e tale da potersi inquadrare anche con grande approssimazione in un genere. Anche soltanto dando uno sguardo ai Quaderni chiamati «neri» solo perché la copertina di essi è di tale colore, ci troviamo di fronte a un insieme fisico di scritture disparate, talvolta veri e propri esperimenti che persino all’interno dello stesso testo, e ciò anche volutamente, risultano linguisticamente non coerenti, non coesi, ambivalenti e persino ambigui fino all’autoparodia. (Già anche in questo elemento stilistico, prima che nel contenuto, si può apprezzare la forte presenza di Nietzsche negli Hefte). Appunti preparatori per i corsi universitari, cioè scrittura destinata all’oralità del colloquio in classe, note telegrafiche, liste, versi poetici, abbozzi più estesi che spesso documentano il laboratorio di altri testi per conferenze eventualmente revisionate e pubblicate anche a distanza di anni, brogliacci di passi di libri postumi e incompleti come ad esempio quello dei Contributi alla filosofia (dall’evento). Benché non fossero stati redatti per essere pubblicati, Heidegger prende in considerazione di far uscire postumi anche i Quaderni Neri soltanto in seguito alla decisione, negli ultimi suoi anni, di dare vita all’opera omnia di tutti gli scritti, in modo tale da raccogliere così tutta la documentazione del pensiero del filosofo e non solo testi esplicitamente autorizzati in vita.

Nonostante non abbiamo uno status ermeneutico neanche comparabile a quello di altri scritti di Heidegger — e anche molti di questi ultimi scontano comunque, in un certo grado, a propria volta precarietà e occasionalità — i Quaderni Neri non sono soltanto stati trattati come un’opera a sé, ma anche fatti attenzione riguardo temi specifici che si troverebbero soltanto in essi o, meglio, in alcuni lacerti testuali lungo le migliaia di pagine di essi. Qui ci si riferisce ai passi ritenuti antisemiti che hanno monopolizzato l’attenzione di alcuni commentatori e dell’opinione pubblica.

Se finora c’è un libro che si è sottratto a questa lettura decontestualizzata e sensazionalistica non solo dei passi in questione, ma dei Quaderni nel loro insieme e nel loro rapporto con le altre opere di Heidegger, questo libro è quello curato da Francesca Brencio, La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri (Aguaplano, pp. 392, € 20,00). Gli interventi che il volume raccoglie non affrontano soltanto gli Hefte e non soltanto le frasi imputate di antisemitismo in essi, ma anche altre questioni e altri libri e momenti del pensiero e della vita di Heidegger. Soprattutto, come scrive Francesca Brencio nell’Introduzione, il volume da lei curato si è posto dalla prospettiva della ricerca del significato prima che dell’attribuzione di verità dirette agli Hefte. «In altre parole», scrive Brencio

Prima ancora che pronunciare giudizi intorno alla verità filosofica dei Quaderni heideggeriani, occorrerebbe insistere sulla comprensione del significato che essi occupano sia nella produzione dell’autore che nel suo itinerario speculativo.

L’attenzione all’itinerario speculativo in La pietà del pensiero si è ad esempio persino spinta ad analisi psicologiche che tentano di spiegare, come fa Francisco Gómez-Arazapalo y V. nel suo saggio, come fra Heidegger e il nazismo ci siano potute essere seduzione e delusione di un percorso erotico. Per Gómez-Arazapalo y V. «Heidegger fu prigioniero del suo stesso desiderio e pagò più del dovuto la tentazione del desiderare, a causa del consenso richiesto: la solidarietà, il riconoscimento e l’accettazione sono necessari per l’auto-affermazione e l’auto-riconoscimento dell’uomo».

A testimonianza dell’approccio largo contestuale tenuto in questo volume, uno dei saggi più illuminanti de La pietà del pensiero non prende neanche in esame i Quaderni Neri. È lo scritto di Luis Alejandro Rossi, La comunità come problema politico in Essere e tempo nel quale si evidenzia come sin dal libro degli anni ’20, il pensiero dell’essere in Heidegger sia inscindibile da quello politico. E ciò senza che questo rapporto abbia avuto bisogno di passaggi intermedi di tipo culturale o sociologico o di altra forma che non sia quella ontologica. In Essere e tempo, secondo Rossi, nel rivelarsi che la domanda fondamentale è quella sull’essere, il Dasein si assegna già anche il compito di essere il proprio «ci», cioè di «con-essere», di assumersi come comunità. Rossi mostra che in Essere e tempo Heidegger non descrive le forme di questa comunità. Ciò non di meno però Heidegger qui solleva la questione che diventerà tema cruciale nel prosieguo del suo itinerario filosofico, sin dentro i Quaderni Neri. Scrive Rossi:

la problematica politica e quella del «con-essere» sono profondamente collegate, e solo a partire da quest’ultima ha luogo la socialità e con essa la comunità che sposta il modo d’essere dell’«uno» o inautentico, predominante nella vita quotidiana.

La coralità del libro curato da Francesca Brencio si evidenzia anche dal fatto che alcuni dei saggi del volume non vanno nella stessa direzione. Ad esempio quello di Marco Casucci, Ancora su Heidegger e il nazismo? Inutile apologia dell’inattualità del filosofare, a partire dagli Schwarze Hefte (1931-1941), risulta essere in contrasto con quello di Rossi. A differenza di quest’ultimo, secondo Casucci la politica sarebbe per Heidegger una dimensione irricevibile del pensiero dell’essere, ragione per la quale rispetto a ogni forma storica che assume la stessa politica — ivi inclusi i fallimentari tentativi dello Heidegger uomo — la filosofia sarebbe sempre inattuale. Quanto di politico ha tentato di fare e scrivere Heidegger, secondo Casucci, è filosoficamente poco rilevante e in un certo qual modo inimputabile allo Heidegger filosofo, soprattutto dopo il tentativo della breve esperienza della guida del rettorato. Per Casucci anzi «se si vuole comprendere la filosofia di Heidegger — o meglio la filosofia «in» Heidegger — bisogna lasciar parlare il filosofo e non certo l’uomo del suo tempo». Secondo Casucci i Quaderni Neri rappresentano soprattutto la voce del pensiero di Heidegger filosofo, le cui alte vette meditative, anche volendo, non riescono a stabilire un legame con il terreno basso della politica, dell’antropologia, della cultura. In tal senso, il problema del presunto antisemitismo metafisico di Heidegger, proprio perché pretende di legare un tema politico a quello filosofico, si smonta da sé sul piano del pensiero.

Per certi versi, una simile opposizione fra pensiero e politica nel senso della centralità del primo e della minor importanza della seconda nell’itinerario di Heidegger, si trova anche nel saggio di Michael Kraft, L’essere e la politica nei Quaderni Neri di Heidegger. A tal proposito Kraft sostiene:

Heidegger scrive estesamente di politica, ma il suo punto di vista è del tutto ostile alla politica moderna come noi la conosciamo. Piuttosto, si potrebbe affermare che Heidegger ha una prospettiva politica che è quasi anti-politica.

Inquadra i passi ritenuti antisemiti nel contesto interno dei Quaderni e in quello esterno delle dinamiche della mentalità e della cultura del tempo il saggio di Ángel Xolocotzi Yáñez, Pubblico e privato. Il posto dei Quaderni Neri negli scritti di Martin Heidegger. Per l’autore i passi incriminati non costituiscono componenti cruciali del pensiero di Heidegger, ma solo un elemento in fieri della sua riflessione privata alla quale forse non è stato ancora accordato consenso pieno da parte dell’autore. E ciò ad esempio perché a differenza di altri passaggi anche molto ampi degli Hefte, quelli imputati di antisemitismo non vengono poi riutilizzati e nemmeno menzionati nelle opere pubblicate da Heidegger. Inoltre, secondo Xolocotzi Yáñez, nei passi incriminati si vede invece la chiara eco dell’antisemitismo popolare di cui qui il filosofo utilizza le espressioni per sondarne filosoficamente la mera possibilità di svilupparne il senso in un contesto più ampio, ma non per definire lo stigma di un argomento specifico del suo pensiero.

Affronta varie questioni, tra cui quella del presunto antisemitismo filosofico l’ampio saggio di Sonia Caporossi, Il silenzio di Heidegger e la sua ricezione in Italia: una proposta di lettura. Caporossi si pone dall’interessante punto di vista di quello che, ricorrendo all’inglese, potremmo definire negative space e cioè appunto la reiterata questione della mancata presa di parola di Heidegger riguardo soprattutto la condanna esplicita del nazismo e della Shoah dopo la guerra. L’autrice mette in evidenza due diversi modi di «far parlare» Heidegger da parte dell’opinione pubblica italiana. Da un lato quello di rendere significativo il silenzio di Heidegger considerandolo non solo come un’assenza di parola di per sé accusatrice; e dall’altro lato invece, dopo la pubblicazione dei Quaderni Neri, come il palinsesto dal quale far risaltare i passi antisemiti che confermerebbero in positivo ciò che prima invece si poteva desumere soltanto indirettamente, appunto dal silenzio. Più proficuo di tale atteggiamento, per Caporossi, sarebbe quello di sapere quanto spessore storico del loro tempo ci sia negli scritti di Heidegger, invece di trasferirgli quello del nostro odierno orizzonte culturale, compiendo così un cattivo lavoro filologico. Scrive Caporossi:

una delle chiavi di lettura attraverso cui comprendere le motivazioni dell’antisemitismo di Heidegger, senza gli opposti estremismi della falsa idolatria e della facile requisitoria, è proprio l’interpretazione in senso storico del suo pensiero, attraverso cui si avverte pienamente la necessità del contingente: se si comprende che i motivi dell’antisemitismo heideggeriano sono storici, e non semplicemente metafisici.

Affronta anche la questione dell’antisemitismo dei Quaderni portandosi sullo stesso terreno teoretico e metafisico utilizzato dai critici dello Heidegger presunto pensatore antisemita, il saggio di Paolo Beretta, Essere in errore. Beretta fa giocare simultaneamente due necessità del pensiero di Heidegger: quella del radicamento terrestre nel mondo e quella dell’erramento e dell’apertura al mondo. Beretta ha il merito di contestualizzare in una dimensione più ampia e problematica l’idea del presunto diretto legame metafisico negativo fra sradicamento e ebraismo nella dimensione aperta della verità e in quella ontologica dell’apertura in Heidegger. Proprio tra queste due dimensioni, sottolinea Beretta, in Heidegger si insidia il pericolo estremo della «macchinazione metafisica» che sfrutta persino il nietzscheano oltrepassamento di quest’ultima per continuare ad affermarsi come ultra-metafisica sotto mentite spoglie. Implicitamente con ciò Beretta mostra che qualsiasi antimetafisica — ivi inclusa quella presunta antisemita — in Heidegger è sospetta, specie quando si tratta di trasferire di essa la dimensione ontologica in quella politica. Scrive Beretta, «La metafisica non si lascia archiviare come una convinzione che non abbia più corso; che l’animal rationale si trovi a «errare attraverso i deserti della devastazione della terra», e che faccia questo necessariamente, è un segno dell’accadere della metafisica a partire dall’essere stesso: l’oltrepassamento della metafisica ha luogo come “accettazione approfondimento [Vervwindung] dell’essere» e non, aggiungiamo, come semplice rovesciamento.

Proprio la curatrice de La pietà del pensiero, Francesca Brencio, sia nel saggio «Heidegger, una patata bollente» sia nell’Appendice. La «fuga» dell’essere, esplicita il passaggio tra il piano ontologico e metafisico analizzato da Beretta e quello storico politico dei Quaderni Neri con particolare riferimento ai passi ritenuti antisemiti. La prospettiva nella quale Brencio inquadra il lungo itinerario degli Hefte non è soltanto importante sul piano generale della collocazione di essi nell’ambito degli altri scritti di Heidegger, mostrando fra quelli e questi convergenze e scarti, ma anche riguardo più specifiche questioni di ordine filologico, linguistico ermeneutico e, soprattutto, speculativo. La questione di metodo e merito dei passi ritenuti antisemiti degli Hefte, nella persuasiva lettura che ne dà Brencio riguarda il rapporto tra questione dell’essere e teologia. Heidegger proviene, per ambiente e studi, dalla teologia cattolica dalla quale lo stesso filosofo, sin da quand’era un giovane ricercatore, prende le distanze. Distanze che si manterranno tali e che anzi si accresceranno nel futuro svolgimento del suo pensiero. Nella ricostruzione effettuata da Brencio si evince come Heidegger riconosce nella teologia, soprattutto in quella cattolica, una delle dimensioni più potenti dell’oblio dell’essere e dell’affermazione dell’ente. La teologia soprattutto nella forma della tradizione scolastica è, per molti aspetti, l’antesignano analogico di ciò che per Heidegger sarà sempre di più, dopo Essere e tempo, la tecnica. Interpretando quanto scrive Brencio, in Heidegger la teologia monoteistica e biblica che ha trovato forma mondana e universale soprattutto nella chiesa cattolica costituisce uno dei modi ontologici e politici più potenti del dominio planetario delle varie forme di sradicamento tecnico e culturale. Soprattutto l’idea scolastica della causa incausata, della veritas come adeguamento alla cosa intesa come causa sui, il dispositivo della creazione ex nihilo e tutti gli altri tratti dell’aristotelismo riformulato dal cristianesimo sin dai padri della chiesa sono per l’Heidegger dei Quaderni le pietre ontiche che spietatamente (per giocare con il titolo del volume) bloccano il domandare del pensiero e permettono il dominio dell’ente. Brencio ha buon gioco a mostrare nel suo saggio che la critica di Heidegger a questa teologia politica ontica e cristiana non può non includere anche la sua genealogia biblica e dunque anche ebraica. Ed è proprio all’interno di questo inscindibile legame con il cristianesimo e soprattutto con il cristianesimo romano imperiale e cattolico che vanno compresi anche i passi ritenuti antisemiti dei Quaderni. Fuori dalla tradizione cristiana, non vi è in essi niente di specifico che li qualifichi come questione essenziale del percorso speculativo di Heidegger. Farne dunque una o la chiave d’accesso per comprendere il nesso tra ontologia e politica, metafisica e antropologia in Heidegger, secondo Brencio, non rischia soltanto di decontestualizzare di quei passi il merito testuale, ma può anche compromettere la comprensione di una cruciale componente che informa tutto l’itinerario del pensiero di Heidegger. E cioè quella che la stessa Brencio chiama, nel sottotitolo del suo primo intervento, «critica alla cristianità e Seinsgeschichtlichkeit». Anche per questo motivo, scrive Brencio:

In assenza di una cornice ermeneutica che aiuti il lettore a comprendere i complessi temi contenuti nelle Überlegungen, essere inclini all’immagine di un Heidegger convito antisemita non è corretto. Così come pensare alla Judenfrage come il centro dell’attenzione del filosofo tedesco non solo non corrisponde a verità, ma rischia di consegnare al lettore italiano un’immagine del filosofo foriera di pregiudizi.