La pandemia e una riflessione sulla storia

1. «Prima»

Le catastrofi come la pandemia che ha nome Covid-19 o Coronavirus, per quanto strano possa sembrare, hanno l’immensa capacità di fare chiarezza sul mondo e sull’esistenza e di mettere in discussione tutto quello che ci riguarda come abitanti del pianeta Terra. In questi mesi di morte, sofferenza, reclusione forzata, fior di osservatori hanno affermato che questo evento epocale ci consegnerà un mondo non più uguale a prima, anche se, al momento, non sappiamo se migliore o peggiore di prima.

Il sociologo Pietro Piro su «Vita» di aprile 2020, in piena pandemia e relative misure restrittive, per esempio, scrive:

«Questa pandemia ci costringe a pensare. Ci costringe a fare delle valutazioni sulla qualità della nostra vita. Ci costringe a guardarci negli occhi. A passare molto tempo con mogli e figli. Carne della nostra carne ma, molto spesso, anche sconosciuti tra gli sconosciuti. La pandemia ci costringe a stare in compagnia di noi stessi. Non possiamo fuggire nella distrazione organizzata, non possiamo affogare nell’acquisto compulsivo, non possiamo nasconderci nella folla. Questa situazione-limite, mette a dura prova il nostro sistema nervoso, sempre più drogato dagli stimoli in eccesso e dalla velocità dettata dalla produzione continua di spettacoli. In questi giorni torniamo a sperimentare l’angoscia della morte collettiva, il naufragio delle identità costruite sul lavoro, la fragilità della salute, il dolore della lontananza, la privazione della libertà di movimento (tanto cara ad Hannah Arendt). Non abbiamo neanche il conforto delle cerimonie religiose, che hanno un potere enorme di consolazione – per chi crede - nelle tribolazioni della vita. Chi muore in questi giorni non ha neanche il diritto a un funerale. Sono giorni durissimi, che avranno conseguenze su tutti gli aspetti della nostra vita e che sedimenteranno nell’inconscio, paure da cui non sarà facile svincolarsi così facilmente. Eppure, in tutta questa desolazione, io vedo anche una promessa. Una speranza che indica la via d’uscita. Ogni crisi, per quanto terribile, è sempre anche un suggerimento, un segno, una precisa indicazione. Questa pandemia ci dice che dobbiamo mettere in discussione la “vita di prima”. Dobbiamo rifondare la società in cui viviamo riscrivendo il patto sociale».1

2. La pandemia nell’era globale

Il mondo ha conosciuto l’ultima pandemia esattamente cento anni fa, quando la «spagnola» ha ucciso tra i cinquanta e i cento milioni di individui. Tuttavia, rispetto alle catastrofi e alle pandemie del passato, lo scenario che si presenta sotto i nostri occhi è inedito, perché la globalizzazione ha fatto sì che, a tutte le latitudini, l’umanità abbia vissuto questo avvenimento unita, per la prima volta nella Storia. Nella società globale e iperconnessa, dall’inizio di questa tragedia negli archivi cartacei e multimediali di tutto il mondo si sono già depositati milioni di file di testo e di immagine. Laddove, invece, ai tempi della «spagnola», per una sorta di «rielaborazione del lutto» collettiva ed anche per vari motivi legati alla censura, di quella immane tragedia resta una letteratura tutto sommato irrisoria, con una ricaduta insignificante anche nei manuali di storia ad uso delle scuole.2 L’informazione in tempo reale ha permesso di conoscere giorno per giorno e momento per momento l’entità dei contagi ai vari angoli del mondo, le esternazioni dei politici, la lotta contro il «mostro» del personale medico, l’affanno dei commercianti e dei liberi professionisti, la disperazione di chi è rimasto senza lavoro. C’è stata una crescita esponenziale del consumo dei social media. «Comscore», impresa che agisce a livello mondiale per le sue attività di pianificazione, gestione e valutazione delle campagne mediatiche su diverse piattaforme, ha fornito una serie di dati, espressi in una serie di tabelle esplicative, relative al consumo di Internet durante il lockdown marzo-giugno 2020, dai quali emerge che alcune delle categorie maggiormente cresciute a marzo erano, ad esempio, «General News», «Instant Messaging», «Food/Groceries Retail», and «Entertainment». Ad aprile il maggiore calo si era registrato nel settore «Education», in relazione, forse, alle vacanze pasquali. È cresciuto il numero totale di visite ai siti generalisti di News (web o app che forniscono ragguagli in tempo reale sugli accadimenti nel mondo), come anche l’utilizzo dei social media. Dalla fine di gennaio il traffico verso i siti del Travel Online è notevolmente calato, e ciò è l’indice che il comparto turistico è tra quelli maggiormente danneggiati dalla pandemia.3 È chiaro che il consumo online di news sia stato dovuto alla necessità delle persone di essere costantemente aggiornate sull’evoluzione della pandemia e sul bollettino quotidiano di morti e contagiati a livello nazionale e planetario. Mentre invece i social media hanno permesso di veicolare le informazioni tra gli utenti in modo colloquiale. L’«agcom» ha fornito dei grafici molto dettagliati sui comportamenti degli italiani durante il lockdown4. La scuola è diventata un’esperienza da fare a casa, in smart working, e questo argomento ha fatto versare fiumi di inchiostro a studiosi ed a coloro che operano nel mondo scolastico. Il cantare dai balconi è divenuto per qualche tempo un gesto di resistenza collettiva, prima che l’aumento esponenziale dei morti e quella teoria di bare che si vedevano sfilare di sera in tv arrestasse anche questo gesto di solidarietà e di aiuto reciproco, avvertito come fuori luogo, come anche, da più parti, lo slogan «andrà tutto bene». Mai come in questo periodo la morte è diventata la più solitaria delle esperienze, perché i primi mesi di questo flagello, vietati i funerali e le funzioni religiose, le persone soprattutto più anziane (e più colpite dal virus), hanno lasciato questa terra mestamente, silenziosamente, senza neppure potere avere il conforto dei propri familiari. Dunque una vera e propria frattura epocale, tra un «mondo di prima» – imperfetto, violento, pieno di disuguaglianze sociali ed economiche – e un «mondo dopo», del quale ancora non sappiamo nulla. Dal punto di vista delle politiche sociali si impone una riorganizzazione complessiva della vita dell’uomo e dei sistemi di produzione. È bastato un virus per far crollare le menzogne di un sistema liberistico che ha ammantato di retorica ogni settore dell’economia, di pari passo con i tagli effettuati su settori vitali del welfare: la sanità e la scuola.5 «Abbiamo bisogno di ricerca scientifica e di educazione», afferma Pietro Piro nell’articolo succitato, ed ha sicuramente ragione. La filosofia, agganciandosi con il presente, di cui è analisi onesta e non facile profezia (come insegnava Hegel), ha la necessità di generare modelli interpretativi nuovi, in grado di confrontarsi con la complessità del presente. La prima cosa che questo periodo ci presenta, a guardarlo in faccia onestamente, è che ci troviamo in una «poli-crisi», come giustamente afferma il sociologo Edgard Morin, padre del «pensiero complesso», il quale alle soglie dei cento anni ci offre una lettura lucidissima del momento presente:

Stiamo vivendo una tripla crisi: quella biologica di una pandemia che minaccia indistintamente le nostre vite, quella economica nata dalle misure restrittive e quella di civiltà, con il brusco passaggio da una civiltà della mobilità all’obbligo dell’immobilità. Una policrisi che dovrebbe provocare una crisi del pensiero politico e del pensiero in sé. Forse una crisi esistenziale salutare. Abbiamo bisogno di un umanesimo rigenerato, che attinga alle sorgenti dell’etica: la solidarietà e la responsabilità, presenti in ogni società umana. Essenzialmente un umanesimo planetario.6

E, a proposito delle lezioni che vengono dalla storia, osserva:

C’è una gran parte d’ignoto e d’inaspettato: è a mio avviso una delle lezioni. Il movimento hitleriano negli anni 20 sembrava condannato alla sterilità. Ma la congiunzione tra la crisi del 29, una Germania umiliata dal trattato di Versailles, la divisione tra socialisti e comunisti, i poteri finanziari che pensavano di manipolare Hitler senza sapere che lui avrebbe manipolato loro, ha fatto accadere l’impensabile: che il Paese più colto d’Europa affondasse nella barbarie. La storia, dunque, ci insegna a essere vigili e a pensare che i periodi che appaiono progressisti possono essere seguiti da regressione e barbarie, e che nemmeno questa è eterna. Prima della guerra, la dominazione nazista in Europa sembrava generale e che cosa ha fatto cambiare le cose? Il Duce. Perché ha voluto attaccare la Grecia ma è stato fermato dal piccolo esercito greco, allora ha chiamato Hitler in aiuto, che ha dovuto rimandare di un mese l’at- tacco all’Urss previsto a maggio del ’41, perché si è scontrato con la resistenza serba prima di arrivare a piantare la bandiera con la svastica sull’Acropoli. Così, arrivato alle porte di Mosca, l’esercito tedesco è stato congelato da un inverno precoce. Ma, se avesse attaccato a maggio, avrebbe preso Mosca e il destino sarebbe cambiato.7

Secondo Morin nelle vicende storiche:

Il caso interviene spesso, ma è la complessità dei fattori che operano nella storia a modificarla di più, avvenimenti che fermentano e lavorano sulla realtà. Gorbaciov, per esempio, chi se lo aspettava? O il precedente re di Spagna, che era stato nutrito dal franchismo… Scaturiscono conversioni psicologiche, se così si può dire, uno spirito sotterraneo che rovescia le parti: la storia è anche questo.8

Dunque la complessità ci porterà verso l’autodistruzione? Per Morin

La storia insegna anche come a un certo punto tutto sembri crollare, la romanità per esempio; poi da un processo multisecolare scaturisce qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Siamo in un mondo incerto e possiamo immaginare un avvenire in cui intervengono forze catastrofiche, ma la probabilità non è mai certezza.9

Morin auspica una coscienza planetaria al servizio della comune umanità, ma per adesso vede che il sentimento prevalente è l’angoscia, con la conseguente chiusura sull’identità etnica e sul nazionalismo. Non un’apertura vitale della coscienza, bensì una chiusura mortale e pensa che nella storia tutto possa regredire. Ogni progresso che non si rigeneri degenera.10

3. La lezione del passato

Nel secolo scorso, a indagare sul senso della storia e del procedere delle vicende umane, è stata la politologa Hannah Arendt, la quale ad un certo punto si interroga sulla storia e l’immortalità terrena.11 È significativa, a tale proposito, la lezione che ci viene dal passato, in quanto la storiografia greca e romana, pur tanto diverse tra di loro, accettano entrambe senza discussione il significato o la lezione che ogni singolo caso, fatto o evento reca in sé. Erodoto si serviva della scrittura storica per creare una memoria degli eventi. Sant’Agostino, nel De civitate Dei, afferma come la storia stessa possa venire distinta dalle singole vicende riferite in ordine cronologico. La storiografia cristiana, di cui egli è l’iniziatore, rifiuta le teorie dei cicli cronologici a causa dell’evento unico della vita e della morte di Cristo, in forza del quale l’eternità irrompe nella mortalità terrena. I pagani erano convinti che la caduta di Roma fosse un evento decisivo nella storia umana, e Agostino impiegò tredici anni della sua vita per confutare questa convinzione. Il suo disinteresse per la storia secolare era tale che egli affidò al suo discepolo Paolo Orosio il compito di scrivere una storia del mondo, che Agostino riteneva un «veritiero elenco di tutti i mali del mondo». Per lui la storia secolare è storia di potenze che nascono e che crollano, senza rivelare alcuna novità. Vi sono due modi di porsi nei confronti della storia: quello improntato all’etica cristiana e quello che poggia sull’agonismo greco, ignaro di qualsiasi considerazione etica. Invece, per la storia moderna, sottolinea la Arendt, è lontano il concetto, proprio della nozione cristiana, secondo cui l’umanità abbia un principio e una fine e che il mondo, creato nel tempo come tutte le cose, sia destinato un giorno a perire. L’idea di storia, secondo la filosofa tedesca, si impone relativamente tardi sulla coscienza dell’età moderna, eppure si afferma con rapidità, sfociando nella filosofia di Hegel. La storia è, infatti, l’idea centrale della metafisica hegeliana e, come tale, si pone in contrasto con le metafisiche precedenti. Nel senso che queste ultime, da Platone in poi

avevano cercato la verità e la rivelazione dell’Essere ovunque, ma non nel regno delle cose umane ( ), descritto con tanto disprezzo da Platone proprio perché non poteva contenere nulla di permanente e quindi non prometteva di svelare la verità.12

Invece, nella modernità succede quello che la Arendt spiega di seguito:

la coscienza storica moderna pensa, con Hegel, che la verità risieda e si riveli proprio nel processo cronologico.13

I progressi nella ricerca storica hanno fatto sì che mentre prima si faceva cominciare l’età moderna col rinascimento, ora l’inizio di quest’epoca si fa risalire al cuore stesso del medioevo. L’accentuazione più forte su questa continuità interrotta, benché valida, non risolve l’enigma dell’improvvisa ascesa del secolarismo, lontano dalla civiltà religiosa che lo ha preceduto. Se per «secolarizzazione» intendiamo «un fatto localizzabile in un dato periodo storico», più che un semplice cambiamento di idee, non si tratterà più di stabilire se «l’astuzia della ragione» di Hegel sia una secolarizzazione della divina provvidenza oppure se la lotta di classe di Marx rappresenti una secolarizzazione dell’idea messianica. La separazione tra stato e chiesa è un fatto. Un dato di fatto che ha eliminato la religione dalla vita pubblica ed ha svuotato la religione di quell’elemento politico che essa aveva acquisito nei secoli in cui la chiesa romana agiva come erede dell’impero romano. Le radici di questa secolarizzazione vanno individuate nel pensiero di uomini come Hobbes e Cartesio: il primo che morì nel terrore del «fuoco infernale», il secondo che pregava Maria Vergine. Loro spianarono la strada ai pensatori dell’Illuminismo, i quali realizzarono la secolarizzazione scindendo la filosofia politica dalla teologia e sottolineando con forza come le leggi naturali fornissero un fondamento alla politica indipendentemente dall’esistenza di Dio.14 Grozio era della stessa idea quando affermava che «neppure Dio può far sì che due più due non faccia quattro». Con ciò non si negava l’esistenza di Dio, bensì si scopriva una autonomia del regno secolare, un senso immanente che non poteva essere modificato neppure da Dio. Smarrita, con questo processo di secolarizzazione, quella grande forza di coesione politica esercitata dalla fede nell’immortalità dell’anima, divenne inevitabile che la speranza degli umani fosse diventata quella di una posterità terrena. Per Arend tale processo faceva sì, in realtà, che il problema politico riacquistasse all’interno dell’esistenza umana quell’importanza persa con il tramonto della civiltà classica, perché inconciliabile con il concetto rigidamente secolare della sfera secolare. A questo punto la Arendt passa in rassegna una serie di correnti ed autori che si sono posti il problema della fondazione di un corpo politico, e che cerchiamo in questa sede di sintetizzare. Innanzitutto, la Arendt fa presente che greci e romani, pur nelle loro reciproche differenze, sostenevano che la fondazione di un corpo politico fosse dovuta all’esigenza di superare la finitezza della vita umana e la vanità degli atti dell’uomo. Fuori dall’organizzazione politica la vita dell’uomo era insicura in quanto esposta alla violenza altrui, nonché priva di significato e dignità. Non a caso Cicerone nel De republica diceva che creare e conservare comunità politiche fosse il modo per attingere i sentieri degli dei. Aristotele parlava di un’attività volta ad immortalare le azioni umane (athanatizein), anche se noi, dice la Arendt, intendiamo l’immortalità legata alle grandi opere d’arte (per inciso Nietzsche usava la parola «eternare» in riferimento all’arte e alla religione). Del resto Pericle, come riporta lo storico Tucidide, sosteneva che gli ateniesi non avessero bisogno di Omero e dell’arte poetica, perché grazie alla polis avrebbero lasciato ovunque monumenti imperituri. Trasferendo questo ragionamento nel tempo in cui viviamo, potremmo quasi affermare che tutte le opere costruttive portate avanti in un periodo luttuoso come quello del Coronavirus, per la situazione tragica e luttuosa nella quale sono state realizzate, bastano per essere tramandate ai posteri. Sia pure con tutti i loro limiti ed i loro fallimenti. Ma ancora più eroici, più degni di ricordo, proprio per essere state concepite in un momento storico di estrema fragilità per la già fragile condizione umana. Tutti i punti di riferimento sono saltati. L’uomo, in un certo senso, deve reinventarsi. Ed è proprio in tale caotica situazione che bisogna osare. Senza paura e senza indugio. Riprendiamo ancora il ragionamento della Arendt. Nei primi secoli del cristianesimo la caducità delle cose terrene era materia di dispute religiose e di coloro che non volevano immischiarsi nella politica. Ma la caduta dell’Impero Romano, con il saccheggio della Città Eterna, nessuno volle più credere che quanto viene prodotto dall’uomo sia eterno, e una struttura politica meno delle altre cose. E fu soltanto merito di Agostino se il cristianesimo, con le sue tendenze antipolitiche, poté dare vita ad una istituzione stabile e grandiosa come la Chiesa, sola istituzione giustificabile in ambito secolare, senza stravolgere il messaggio evangelico. Questo perché il vescovo di Ippona poté sovrapporre alla tradizione romana, cui era saldamente legato, la nozione cristiana di una vita eterna: l’idea di una civitas Dei, nella quale gli uomini avrebbero vissuto in comunità dopo la morte (socialis vita sanctorum, diceva Agostino). Appartiene alla modernità la teoria del Leviatano di Hobbes, il quale, pur temendo il fuoco dell’inferno, si peritò di descrivere un dio mortale che intimidisce tutti. Ma la caratteristica principale della concezione moderna della storia, secondo la Arendt, è il fatto che essa si espanda tra il passato e il futuro, assicurando l’immortalità terrena «quasi allo stesso modo in cui la polis greca e la repubblica romana garantivano alla vita e alle azioni dell’uomo […] un’esistenza permanente in senso prettamente umano e terreno. Tale concezione presentava un grande vantaggio: l’infinità bipolare del processo storico definisce uno spazio-tempo nel quale l’idea stessa di una fine è virtualmente inconcepibile, e insieme un grande inconveniente, rispetto alla teoria politica più antica: la durevolezza sembra affidata a un processo che scorre, distinto da ogni struttura stabile. L’immortalare si è reso indipendente da città, da stati o da nazioni, per abbracciare l’umanità intera; per cui Hegel poteva vederne la storia come lo sviluppo ininterrotto dello Spirito»15. L’uomo non è una delle tante specie del mondo animale, ma l’essere dotato di parola e di ragione, e la sua vita lo distingue dalle altre creature (cioè proprio quella vita che le dottrine tradizionali gli facevano avere in comune con gli animali). Tanto che Droysen poté affermare: «Ciò che la specie è per gli animali e le piante… per gli esseri umani è la storia»16.

4. Una frattura tra due epoche

Per rimanere nel solco dell’impostazione arendtiana, è significativo notare che il deflagrare del Covid 19 nell’anno 2020 rappresenti una cesura tra un «prima» e un «dopo» scritto dalle vicende storiche nell’era globalizzata. Come ho scritto in un articolo su Gli Stati Generali, la differenza più evidente con il 2019 è che, mentre quello è stato l’anno dei grandi assembramenti nelle rivendicazioni di piazza, l’inizio del nuovo decennio, per la bimestrale clausura forzata e poi il progressivo allentamento delle misure restrittive, ci consegna una inedita prova di resistenza, mentre immagini cariche di dolore scorrono sotto i nostri occhi e si vive nell’ansia dei bollettini serali, in cui vengono quotidianamente comunicati contagi e decessi.17 Come c’era quasi da aspettarsi, si sviluppano dibattiti e tavole rotonde virtuali sulla virtù della resilienza, ovvero la capacità di resistere alle avversità e di sapersi reinventare quando il peggio è passato. Si parla molto del «dopo» e della necessità di fare ordine in tante cose, quando la vita scorrerà per un tempo indefinito tra distanziamento sociale e sanificazione degli ambienti di vita e di lavoro. Nel dibattito pubblico si parla dei tagli che nel tempo hanno subito servizi come la sanità e la scuola, si discute di lavoro flessibile e di nuovi bonus da erogare per favorire stili di vita più sostenibili. Qui voglio evidenziare che a livello sociologico e filosofico ci sono almeno tre aspetti che offrono materia di confronto e di discussione: 1) il valore pressoché inedito della scienza e della ricerca scientifica in questa fase della storia; 2) il Paese salvato dagli ultimi, ovvero dalle categorie di lavoratori che non hanno posizioni di rilievo e vivono nell’ombra, generando servizi essenziali per la comunità; 3) la necessità di rivedere il welfare e la riorganizzazione della società a partire da servizi essenziali quali gli ospedali e l’istruzione, soggetti a tagli forsennati direttamente proporzionali alla retorica ed alle vuote narrazioni che li hanno visti coinvolti in questi ultimi venti anni. Per quanto concerne il primo aspetto, va rilevato che questa emergenza sanitaria ha mostrato con evidenza di offrire un complesso di conoscenze di cui gli uomini delle epoche passate non disponevano. Nel Medioevo le ricorrenti crisi epidemiche erano attribuite a strane congiunzioni astrali o a corruzione dell’aria. Con le odierne conoscenze, invece, ci addentriamo nella spiegazione delle cause, dei tempi e i modi della trasmissione, della possibile evoluzione e cura del contagio. Con una mobilitazione prima di oggi mai vista per la messa a punto di un vaccino ed al contempo con una domanda di conoscenza scientifica come mai prima d’ora. Non opinioni, ma scienza (come direbbe il premier Conte facendo una colta citazione: non «dòxa», ma «epistème»). Con tutto ciò che ne consegue. Virologi ed infettivologi autorevoli mai come in questo momento storico sono stati così mediaticamente sovraesposti, anche con polemiche tra questo e quell’esperto. Eppure, anche fra le polemiche, o forse proprio grazie a queste, il lavoro scientifico è proseguito, consentendo l’espandersi delle conoscenze in nostro possesso.

L’importanza a cui assurge la scienza in questo periodo si ritrovano anche nelle parole dell’astronauta Samantha Cristoforetti che, intervistata da La Stampa, dice:

«Ogni crisi ci obbliga a ripensare le priorità, a chiederci che cosa è davvero importante, che cosa è superfluo, che cosa è deleterio. Una crisi dissoda il terreno per una nuova semina. Se porterà a un maggiore apprezzamento per la ricerca scientifica e quindi anche maggiori risorse, sarò la prima a gioirne. A ogni modo, spero che tra le conseguenze positive ci sia una maturazione del rapporto del grande pubblico con la scienza»18.

Il tema delle verità sommerse in relazione alle quali le catastrofi hanno capacità rivelatrici ci introduce al secondo aspetto che sollevo in questa mia riflessione: il Paese salvato dagli ultimi. Ovvero da quelle categorie di lavoratori che, come dice l’acuto intellettuale francese Dennis Maillard, fanno parte del back office. Mentre il front office è costituito da professionisti che lavorano «nella luce», invidiabili per visibilità e retribuzione, quali manager, campioni sportivi, archistar, consulenti e operatori finanziari, pubblicitari ed operatori dello spettacolo, gli altri di cui parla Maillard lavorano «nell’ombra». Sono invisibili perché svolgono mansioni cosiddette umili eppure tanto necessarie alla nostra vita di tutti i giorni: i venditori ambulanti o a posteggio fisso, i commessi dei supermercati, gli artigiani, gli scaffalisti, gli operai, i netturbini, gli autisti, i precari, i riders, e ancora infermieri, badanti, personale paramedico, operatrici dell’assistenza agli anziani ed addetti alla cura alla persona. Ed è proprio questa parte del mondo del lavoro che ha pagato un prezzo alto in termini di vite umane, in quanto ha dovuto interfacciarsi con la malattia senza protezioni adeguate.

Il terzo aspetto della questione riguarda la necessità di ristrutturare profondamente la società a partire dalla revisione delle politiche che negli ultimi vent’anni hanno condotto ad un depauperamento generalizzato del nostro Paese. Ne citiamo solo alcune, a titolo puramente indicativo: 1) il contenimento della spesa pensionistica e sociale e lo spostamento sempre più in avanti dell’età pensionabile; 2) i tagli o gli sprechi relativi alla sanità e all’istruzione, che hanno portato, nel primo caso, alla chiusura o all’affanno di presidi di eccellenza, e nel secondo al complessivo depauperamento e mortificazione dell’istituzione scuola e di chi ci lavora (sul tema c’è una vastissima letteratura sulla quale in questo spazio non è il caso di soffermarsi); 3) il ridimensionamento di tutti i settori della pubblica amministrazione. Non bisogna altresì dimenticare che la pandemia ha determinato impoverimento e disperazione tra quelli che vivono già in una condizione di fragilità non solo nel nostro Paese, ma anche in altre realtà, ben più ricche della nostra. Emblematico è il caso di New York, la città più ricca del mondo dove, secondo i dati diffusi a fine aprile 2020 dal NYC Department of Homeless Service,19 quasi sessantamila persone, di cui circa ventimila bambini, hanno dormito in uno dei 450 rifugi gestiti dalla città, il che significa che oltre ventimila homeless hanno passato la notte per strada oppure in metropolitana. Le stime hanno evidenziato che gli Usa per decessi sono i primi al mondo con un numero molto alto di vittime, per di più sballate di almeno 60.000 casi. La metropolitana di New York (subway), gestita dalla Metropolitan Transportation Authority (MTA) non dorme mai, con le sue 472 stazioni, 1370 chilometri di binari, 5,4 milioni di passeggeri al giorno nel 2018 e quasi due miliardi all’anno. Fino a fine aprile era rimasta aperta 24 ore al giorno, ma poi verso la fine di aprile, a causa dell’elevato numero di contagi, il totale degli utenti è sceso al 10% e per garantire il suo servizio ha pagato un prezzo elevato, in quanto oltre ottanta dei suoi dipendenti sono morti di Coronavirus. È notoria la battaglia condotta dal presidente americano Donald Trump per mettere Pechino di fronte alle sue responsabilità nella diffusione del virus. Come anche la sua dichiarazione circa il fatto che «la pandemia è la fine della globalizzazione»20. Il presidente americano in quell’occasione ha affermato che non avrebbe rinegoziato l’accordo commerciale con la Cina. La crescita dell’antagonismo tra Usa e Cina, il recupero, a livello europeo, della centralità dei concetti di Stato e di nazione al posto di entità sovranazionali, la paralisi alla circolazione delle merci sono, secondo alcuni osservatori, l’ultimo capitolo della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta dagli anni Ottanta ad oggi.21 Tornerà in auge la nazione, l’unica in grado di fornire un riparo nelle situazioni di pericolo, e non le entità sovranazionali. Inoltre, da più di un anno la stampa usava il termine de-globalizzazione, con la possibilità che il processo sia accelerato dal Coronavirus, attraverso lo spostamento di imprese che tornano in Europa o lasciano la Cina. La crisi in atto ha smascherato il mito dell’onnipotenza dell’economia. Su quest’ultimo punto della questione è utile ricordare un recente libro dello storico britannico Donald Sasson, dal titolo Sintomi morbosi (Garzanti, 2019), nel quale cerca di interpretare i segnali che i tempi nei quali viviamo ci stanno indicando. Sasson è convinto che siamo entrati in un’epoca nuova, diversa dalle precedenti. Nel raffrontare la situazione attuale con quella in cui si verificò la Spagnola degli anni Venti, Sasson dice che la crisi economica di oggi, che si sovrappone alla pandemia, sarà molto più globale. Vede come probabile un rafforzamento della Cina a discapito degli Stati Uniti, in particolare in due campi: l’industria manufatturiera e la tecnologia. Dal canto suo l’epidemiologo Frank Snowden, della Yale University, intervistato dal New Yorker, dice: «Le epidemie sono una categoria di malattie che sembrano reggere lo specchio degli esseri umani su chi siamo veramente. Vale a dire, ovviamente hanno tutto a che fare con il nostro rapporto con la nostra mortalità, con la morte, con le nostre vite. Riflettono anche le nostre relazioni con l’ambiente: l’ambiente creato che creiamo e l’ambiente naturale che risponde. Mostrano le relazioni morali che abbiamo tra di noi come persone e lo stiamo vedendo oggi».22 Per Snowden le differenze con la Spagnola sono almeno tre. E proprio queste differenze ci mostrano come il Covid-19 sia lo specchio di quello che siamo come civiltà. La prima è che oggi siamo diventati quasi otto miliardi di persone. La seconda è che il virus ha smontato il mito della crescita economica e dello sviluppo infinito. La terza è il nostro rapporto problematico con l’ambiente e con le altre specie di vita, la costruzione di megalopoli collegate dal sistema di trasporti aerei, e questo provoca ripetuti spillover, cioè il passaggio dei virus da una specie all’altra, e questo proprio per la vulnerabilità intrinseca al mondo «iperconnesso» che abbiamo creato. Insomma, i miti della globalizzazione si stanno sgretolando sotto i colpi di un virus aggressivo che è proprio lo specchio di questa società globalizzata: con la distruzione dell’ambiente che essa ha perpetrato, il mito della crescita illimitata, una crescita demografica senza precedenti, città grandi e perennemente collegate. Tutto è connesso. Anche il virus. E nella società globalizzata esiste la disuguaglianza globale. Vale a dire che la malattia colpisce i più poveri e i più fragili. Come dicevamo, gestire questa crisi sarà l’atto più politico che dovremo imparare e fare. Già delimitare uno spazio è un atto politico e, come ricordiamo, nella fase 1 dell’emergenza le trasgressioni al distanziamento sociale erano sanzionabili.

5. Insegnamento e comunicazione ai tempi della pandemia del mondo globale

Altri due aspetti della questione che vorremmo passare in rassegna in questa sede riguardano: 1) il flusso comunicativo nei mesi del lockdown; 2) la valenza dell’insegnamento della storia ai tempi della DAD (nuova formula entrata nell’uso per indicare la didattica a distanza, resasi necessaria con la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado).

5.1. Il consumo di Internet

Per quanto riguarda il primo aspetto, un interessante articolo della digital strategist Francesca Columbro su Symbola.it,23 evidenzia un aumento esponenziale della comunicazione su Internet, con un aumento del traffico del 40%. E ciò significa un fatto: che il digitale non ostacola le relazioni, le favorisce. Non avremmo immaginato che il 2020 sarebbe stato l’anno di TikTok, con 800 milioni di utenti nel mondo e con un pubblico composto soprattutto da appartenenti alla generazione Z, cioè i nati tra il 1995 ed il 2010. La piattaforma consente di caricare brevi video che possono anche essere esportati altrove e le aziende se ne sono servite a piene mani. Dice infatti l’articolista: «la Skoda, per esempio, ha pubblicato delle immagini interattive per spiegare come guidare al sicuro durante l’epidemia, ma pensiamo anche ai loghi modificati per diffondere il concetto di il distanziamento sociale, come per McDonald e Coca Cola, ma anche per aziende italiane come la torinese Kappa, che da sempre ha quei suoi omini appoggiati l’uno alla schiena dell’altra, separati per l’occasione». E come è andata, invece, per il consumo di news. Secondo Frank Mungeam, data scientist di Chartbeat (piattaforma usata da moltissimi quotidiani online nel mondo), il numero di articoli pubblicati giornalmente a tema coronavirus è arrivato a 86mila. Le notizie sul coronavirus equivalevano ad un terzo del totale a livello globale. A livello di social media abbiamo passato il 30% in più del tempo, con punte del 70% per quanto riguarda Facebook, dove i live, anche per Instagram, sono raddoppiati. I messaggi sono aumentati del 50% e le chiamate di gruppo sono aumentate del 1000%. La formula dello smart working si è diffusa nelle aziende e, chiaramente, quelle più attrezzate sotto il profilo di sistemi e competenze di comunicazione si sono mosse prima e meglio: «C’è chi si è fatto trovare pronto, come, Vodafone, una delle prime realtà a introdurre già nel 2014 lo smart working su larga scala, allungato a tutte le giornate di lavoro e per tutti i dipendenti sin dal 24 febbraio a scopo precauzionale. Zurich Italia, azienda di assicurazioni, invece, usa da tempo l’app Workplace per il coordinamento a distanza dei contenuti della comunicazione: nell’azienda i dipendenti sono anche co-creatori di contenuti e lo strumento messo a disposizione da Facebook si è rivelato un abilitatore fondamentale della strategia di comunicazione condivisa». Ci sono imprese culturali italiane, dai musei alle case editrici, che preso atto di questi cambiamenti hanno proposto ai propri utenticontenuti di altissima qualità da consumare «a casa». L’articolo su Symbola elenca diversi casi, come la Triennale di Milano, Tlon, Radio 3, Repubblica, Yahoo!, Museo Lavazza, Fondazione Pirelli ed altri ancora. Tra dirette streaming, visite virtuali, webinar quotidiani di informazione, staffette filosofiche, visite ad archivi digitali, appuntamenti con influencer, la reclusione forzata ha liberato una quantità indescrivibile di energie e di creatività, in alcuni casi finalizzate non solo a riempire giornate altrimenti vuote, ma anche realizzate per solidarietà, «come il format lanciato da Emiliano Ponzi per connettere contemporaneamente 19 artisti italiani e a lavorare con loro ad una serie di ritratti messi all’asta per raccogliere fondi per la Croce Rossa». C’è stata poi l’azione di aiuto portata avanti dall’agenzia social globale We are social (con un team di oltre 180 professionisti in Italia), la quale ha pubblicato un report con «undici comportamenti per gestire la crisi»: dall’ascolto alla valorizzazione della community, rivedendo il tono di voce alla luce di quello che stiamo vivendo, mettendo sempre le persone al centro. Insomma, conclude il rapporto di Symbola, le tante esperienze positive nel digitale costituiscono un patrimonio che ci portiamo a casa ad emergenza finita.

5.2. L’insegnamento della Storia ai tempi della DAD

Concludiamo questa nostra ricerca che ha riguardato una riflessione sulla storia ai tempi del coronavirus con alcune considerazioni che riguardano il modo in cui questa materia, la storia appunto, è stata insegnata nei mesi che hanno visto l’attivazione della didattica digitale (Dad) sia a livello scolastico che universitario, da marzo a giugno 2020. Non è certo nostra intenzione affrontare l’argomento didattica a distanza in tutta la sua portata, visto che ci addentreremmo in un argomento molto vasto, sul quale è già stata prodotta un’abbondante letteratura, anche perché perderemmo di vista il tema principale di questo saggio.24 C’è un interessante articolo di Monica Di Barbora su Amici di passato e presente, dal titolo «L’epoca Dad della Storia».25 L’autrice si interroga su che cosa non funzioni in dad relativamente ad una materia già poco amata dagli studenti perché considerata mnemonica e noiosa, nonché sterminata per sua natura, con una complessità di approcci che si amplia nel tempo e richiede una selezione da parte del docente. Un primo aspetto positivo colto dall’autrice è che la riduzione dei tempi impone giocoforza una selezione degli elementi da insegnare, anche se al contempo si pone il problema di come mantenere coerente una narrazione saltando delle fasi. Chi insegna storia sa che nel corso degli anni questa disciplina ha subito anche un taglio del monte ore negli istituti scolastici e questo ha ulteriormente penalizzato una disciplina già considerata secondaria. Per di più è penalizzante demandarne l’apprendimento ai singoli studenti, come se tutto si possa ridurre ad uno studiare da pagina a pagina, mentre invece è un discorso che richiede una buona dose di passione, fornisce degli strumenti di analisi critica e di ragionamento in termini di causa-effetto. La sostituzione, in molti casi, del manuale con i tanti materiali presenti in rete, ha richiesto ai docenti un accurato lavoro di selezione, che richiede tempo e che è stato attuato in una fase emergenziale. La Barbora pertanto si chiede se questo utilizzo così ampio del digitale, con la comodità di accesso che lo caratterizza, non possa far altro che sostituirsi al documento originale, facendo in tal modo smarrire il senso della storia come qualcosa di vivo e reale e ponendola come una costruzione fredda e astratta. A questo proposito, c’è un passaggio molto interessante che vi propongo. La Barbora afferma: «Quelle stesse classi che considerano la storia una noia e in cui non troviamo futuri archivisti o future storiche (o viceversa) si appassionano davanti ai nostri documenti originali, che hanno secoli di vita e che ne mostrano le tracce. La storia non è più semplicemente “un contenuto” astratto come un altro, ma un frammento che si può guardare, toccare, che ha uno spessore, un odore, che è stato tenuto da altre mani che gli hanno affidato un pezzetto della propria esistenza. L’emozione, innegabile, che questa scoperta porta con sé è una scintilla di cui mi pare difficile sovrastimare l’importanza». L’autrice auspica che la Dad sia un’occasione per riflettere e rilanciare una didattica della storia più efficace.


  1. Prima, in La fine di un mondo. Coronavirus. La società civile e la sfida della ricostruzione, “Vita”, Aprile 2020, pp. 48-49, https://www.academia.edu/42868605/Prima_in_La_fine_di_un_mondo._Coronavirus._La_società_civile_e_la_sfida_della_ricostruzione_Vita_Aprile_2020_pp._48-49↩︎

  2. Su questo punto si veda l’ottimo saggio di Roberto Bianchi, “La “spagnola”. Appunti sulla pandemia del Novecento”, Amici di Passato e presente, 20 marzo 2020, https://amicidipassatoepresente.wordpress.com/2020/03/31/la-spagnola-appunti-sulla-pandemia-del-novecento-roberto-bianchi/↩︎

  3. Nel periodo che va dal 17 febbraio al 15 marzo il numero di visite di General News w social media è aumentato del +14% in Francia, +11% in Germania, +30% in Italia, +55% in Spagna e +18% nel Regno Unito. Tabelle e percentuali su: https://www.comscore.com/ita/Public-Relations/Blog/La-Pandemia-di-coronavirus-e-i-cambiamenti-dei-comportamenti-online; https://www.comscore.com/ita/Public-Relations/Blog/Pandemia-di-Coronavirus-e-consumo-dei-media-online-assestarsi-su-una-Nuova-Normalita; https://www.comscore.com/ita/Public-Relations/Blog/Coronavirus-e-nuovi-comportamenti-online-aggiornamento-del-30-marzo-2020↩︎

  4. http://www.agcom.it/documents/10179/4691489/Documento+generico+29-06-2020/3b8d1a2d-61fc-4865-b5b0-bb6343933465?version=1.0. È molto interessante il discorso circa la circolazione di fake news, attacchi informatici, reazioni emotive degli italiani rispetto alle notizie online durante l’epidemia. A proposito di fake, viene ad esempio smontata la correlazione tra la tecnologia 5G ed il Covid-19, in quanto, considerando la dimensione del virus e la lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica, un’interazione tra i due sarebbe impossibile, come afferma la comunità scientifica. ↩︎

  5. Sulla scuola consiglio l’articolo di Antonio Viale, https://www.glistatigenerali.com/scuola/cosa-fare-della-scuola-pubblica/. Sui tagli alla sanità l’analisi fatta da Milena Gabanelli: https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/covid-19-tagli-servizio-sanitario-nazionale-chi-li-ha-fatti-perche/b18749f6-736d-11ea-bc49-338bb9c7b205-va.shtml↩︎

  6. http://www.avvenire.it/agora/pagine/per-luomo-tempo-di-ritrovare-se-stesso↩︎

  7. Ibidem. ↩︎

  8. Ibidem. ↩︎

  9. Ibidem. ↩︎

  10. Sicuramente la fascia più giovane della popolazione è quella maggiormente colpita da una duplice crisi che è cominciata nel 2008, con una grande recessione, ed ora esplosa con il Covid-19 nel 2020. In poco più di un decennio il prezzo da pagare in termini economici e anche psicologici ha avuto una maggiore ricaduta sulle giovani generazioni. In termini economici, perché i giovani non hanno, come i loro padri e i loro nonni, situazioni lavorative stabili e possibilità di risparmio, in quanto la globalizzazione e la competizione internazionale hanno generato forme di mercato di lavoro flessibile, che si è tradotto in precarietà permanente, con la relativa impossibilità di progettare il proprio futuro familiare. La risposta a questo stato di cose è stata l’emigrazione verso altri Stati, per mancanza di prospettive in Italia: negli ultimi dieci anni dal Bel Paese sono emigrati 250mila giovani. Il prezzo psicologico da pagare, secondo un’indagine condotta da Eurofound nell’aprile scorso, ha dimostrato che il livello di soddisfazione della vita si è ridotto a causa della pandemia, ma nel caso dei giovani europei è precipitato, collocandosi a livello più basso di quello degli anziani. ↩︎

  11. Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti 2017, pp. 97-111. ↩︎

  12. Op. cit., p. 103. ↩︎

  13. Ibidem. ↩︎

  14. Op. cit., p. 105. ↩︎

  15. Op. cit., p. 111. ↩︎

  16. In Historik, 1882. ↩︎

  17. http://www.glistatigenerali.com/inquinamento_paesaggio/a-riveder-le-stelle-4-maggio-2020/ ↩︎

  18. La Stampa del 17 maggio 2020, p. 10. ↩︎

  19. http://www.1.nyc.gov/site/dhs/index.page ↩︎

  20. La dichiarazione è rimbalzata su tutti i media. Si veda, ad esempio: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Trump-la-pandemia-ha-messo-fine-alla-globalizzazione-non-rinegoziero-accordo-con-la-Cina-0ce2acdf-29d1-4b0e-a39f-c2283640c321.html, https://www.affaritaliani.it/esteri/trump-la-globalizzazione-e-finita-non-rinegoziero-l-accordo-con-la-cina-672208.html, https://www.ilriformista.it/trump-minaccia-laccordo-commerciale-con-la-cina-il-coronavirus-e-la-fine-della-globalizzazione-98717/↩︎

  21. Su questo si veda l’instant book di Corrado Ocone e Marco Gervasoni, dal titolo: è la fine della globalizzazione? ↩︎

  22. http://www.newyorker.com/news/q-and-a/how-pandemics-change-history ↩︎

  23. Il contributo fa parte della rubrica #iosonocultura, parte del Decimo rapportoIo sono culturarealizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo. ↩︎

  24. Anche io ho scritto a proposito della didattica a distanza, facendo alcuni riferimenti a riflessioni di studiosi. Si veda: http://www.glistatigenerali.com/scuola_societa-societa/didattica-a-distanza-facciamo-il-punto-della-situazione, https://filosofiaenuovisentieri.com/2020/05/03/dignita-e-vergogna-reato-e-umiliazione-pubblica-in-martha-nussbaum-2/↩︎

  25. https://amicidipassatoepresente.wordpress.com/2020/05/08/9-lepoca-dad-della-storia-monica-di-barbora/↩︎