La politica come affare di coscienza

1. Etica e politica nella riflessione di Joseph Ratzinger

L’interesse per la politica del Papa Emerito Joseph Ratzinger è antico e si è espresso in numerosi incontri pubblici. Come quello tenuto al Parlamento tedesco in occasione del Viaggio Apostolico in Germania, nel 2011. Il discorso che è qui oggetto di analisi è stato pronunciato da Ratzinger il 22 settembre 2011 al Reichstag di Berlino. Il titolo dell’intervento di Ratzinger è: Affermare il diritto e combattere l’ingiustizia. Lo possiamo oggi leggere integralmente nel volume «Liberare la libertà. Fede e politica nel Terzo Millennio», edito da Cantagalli nell’aprile 2018. I saggi e discorsi contenuti in questa raccolta di testi sono caratterizzati da una componente etica molto forte, che si coniuga sempre con la precisa intenzione di individuare modalità di espressione e finalità che lo Stato intende, nella sua esistenza, perseguire. Il problema della scelta nelle questioni politiche è assai avvertito dal Papa Emerito. Ad esempio, in un altro intervento, tenuto a Westminster nel 2010, Ratzinger, parlando del popolo inglese, sottolinea «il senso istintivo di moderazione presente nella Nazione», nonché il «desiderio di raggiungere un giusto equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti»1. A tale proposito Sua Santità ricorda la figura di Tommaso Moro, «buon servitore» dello Stato, il quale in ogni scelta fu sempre capace di seguire la propria coscienza anche a costo di dispiacere al sovrano, perché l’intento che questa grande figura di statista e di studioso esse sempre davanti a sé la precisa distinzione tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio. È proprio il concetto di «antropologia della coscienza» ad essere sviluppato lungo tutti i discorsi etico-politici tenuti da Benedetto XVI e nei suoi saggi. La presenza di una voce della coscienza si evidenzia, secondo lui, attraverso due criteri: essa non coincide con i propri desideri e coi propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente più vantaggioso, col consenso di gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale.2 Così, quando il cardinal Newman brinda prima per la coscienza e subito dopo per il Papa, dà l’esatta dimensione di una grande verità: il Papa non può imporre ai fedeli cattolici dei comandamenti, solo perché egli lo vuole o perché lo ritiene utile. Una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato del papato.3 È del resto inevitabile che in una riflessione come quella di Ratzinger, chiaramente orientata alla centralità della coscienza in tutti i modi e i momenti della nostra vita, vi siano continui richiami a campioni della riflessione e della pratica sulla coscienza: Socrate, Agostino, il già citato Tommaso Moro ed anche Tommaso d’Aquino, il quale, nel porre la coscienza come actus, più che come habitus, non esita a conferirle tre funzioni: recognoscere (riconoscere), testificari (rendere testimonianza), iudicare (giudicare)4.

Altro riferimento interessante è quello a J. G. Fichte, il quale è stato il primo ad affermare: «La coscienza non sbaglia mai e non può mai sbagliare, perché essa stessa è giudice di tutte le convinzioni e non riconosce alcun giudice superiore a sé. Essa decide in ultima istanza e il suo giudizio è inappellabile»5. È però certamente vero che un obnubilamento della coscienza, o meglio, il suo ammutolirsi, «porta ad una deumanizzazione del mondo e ad un pericolo mortale»6. Se viene a crollare il senso di colpa, altrettanto necessario all’uomo come il dolore fisico, come sintomo che permette di riconoscere i disturbi nel normale funzionamento dell’organismo, si generano mostri. Come dice Görres7: chi non percepisce la colpa «è un cadavere vivente, una maschera da teatri. Sono i mostri che, tra gli altri bruti, non hanno nessun senso di colpa. Forse ne erano totalmente sprovvisti Hitler o Himmler o Stalin. Forse non ne hanno nessuno i padrini della mafia, ma forse le loro spoglie sono solo ben nascoste in cantina. Anche i sensi di colpa abortiti […] Tutti gli uomini hanno bisogno di sensi di colpa»8. Un altro ottundimento del senso morale si è storicamente verificato nei Paesi dell’Europa orientale dove si è implementato il sistema marxista e tale «immane devastazione spirituale», come la chiama Ratzinger, è stata denunciata in maniera impressionante dal nuovo patriarca di Mosca all’inizio del suo ministero, nel 1990. Secondo il patriarca, «la capacità di percezione degli uomini, vissuti in un sistema di menzogna, si era oscurata. La società aveva perso la capacità di misericordia e i sentimenti umani erano andati perduti»9. La generazione perduta aveva bisogno di essere ricondotta ai valori morali eterni.

2. Affermare il diritto

A questo punto, dopo avere brevemente esaminato l’impianto complessivo dell’opera Liberare la libertà, possiamo pervenire ad una disamina del testo su cui la nostra attenzione vuole, in questa sede, soffermarsi. Il discorso, come detto, è quello tenuto nel 2011 davanti al Bundestang. Il testo si chiama Affermare il diritto e combattere l’ingiustizia.10 Il Papa inizia il suo intervento sui fondamenti del diritto richiamandosi alla Sacra Scrittura. Ed in particolare al Primo Libro dei Re, in cui si narra la storia dell’intronizzazione del giovane Salomone, al quale Dio concesse di avanzare una richiesta. Avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa umana: ricchezza, fama, lunga vita o eliminazione dei nemici. Ma, saggiamente, decise di andare al fondo della sua essenza umana, chiedendo qualcosa di profondamente radicato nella sua coscienza: «Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male»11. In tal modo la Bibbia, che, come ricorda anche il filosofo olandese Baruch Spinoza (Tractatus Theologico-Politicus (1673), ma si potrebbe citare anche Galileo, che sosteneva esattamente la stessa cosa. O Abelardo), contiene insegnamenti non di carattere morale ma scientifico, indica in modo semplice e immediato quale deve essere il criterio che guida l’azione ed il lavoro di ogni politico. Non il successo né tanto meno il profitto materiale, ma impegno per creare la giustizia, cioè le condizioni di fondo per la pace. È chiaro che ogni politico cercherà anche il successo personale senza il quale la sua azione non potrebbe neppure esplicarsi, ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla voluntas di agire sempre per il meglio, cioè nell’ottica di applicare sempre il diritto. D’altronde il successo può essere così seducente da aprire la strada alla distruzione della giustizia, piegata a scopi puramente umani e puramente egoistici. A tale riguardo, Ratzinger cita Sant’Agostino, che così sentenzia: «Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?»12.

Da tedesco, Ratzinger fa un riferimento alla storia del proprio Paese, in cui, in una certa fase della storia che tutti i tedeschi hanno sperimentato sulla propria pelle, il potere si è posto contro il diritto, lo Stato si è posto come arma di distruzione del diritto e come un covo di briganti molto ben organizzati, che poteva minacciare il mondo intero e «spingerlo sull’orlo del precipizio». Come sempre, la storia maestra di vita, deve ricordarci che, nel momento in cui l’uomo ha acquistato un potere di distruzione enorme, inimmaginabile, tale da distruggere il mondo, il compito fondamentale del politico resta proprio l’affermazione del diritto. Ecco perché Papa Ratzinger trae dall’esempio di Salomone l’ispirazione migliore per esplicitare questo suo concetto. Perché, come spiega più avanti, nel mondo nel quale viviamo, proprio la richiesta salomonica risulta decisiva per l’uomo politico e la politica di oggi. E che cosa prevale, nelle questioni di diritto: la maggioranza o il singolo? Ratzinger non ha dubbi: il criterio della maggioranza, che pure è utile per regolare i rapporti giuridici, non sempre risulta un criterio sufficiente, soprattutto nelle questioni fondamentali del diritto, quelle relative alla dignità e all’umanità. Ecco allora che entra in gioco un criterio che potremmo definire prevalente nel regolare le questioni giuridiche: quello della responsabilità personale.13 Ogni persona ha la responsabilità precisa di cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento. È pertinente, perciò, il successivo richiamo a Origene: «Se qualcuno si trovasse presso il popolo della Scizia che ha leggi irreligiose e fosse costretto a vivere in mezzo a loro […] questi senz’altro agirebbe in modo molto ragionevole se, in nome della legge della verità che presso il popolo della Scizia è appunto illegalità, insieme con altri che hanno la stessa opinione, formasse associazioni anche contro l’ordinamento in vigore»14. D’altra parte, sottolinea Ratzinger, sono proprio forme di resistenza al nazismo e ad altri totalitarismi che hanno reso un servizio all’umanità. La resistenza all’oppressione, all’ingiustizia palese, da parte dei combattenti a queste forme di prevaricazione, ha lottato contro le storture del diritto vigente. Tuttavia, stranamente, a dispetto di tutte le nostre attuali conoscenze e forse, proprio perché oggi conoscenze e capacità sono in abbondanza, ieri come oggi è stato difficile trovare una risposta definitiva alla domanda: che cosa è veramente giusto? Anche perché nella storia gli ordinamenti giuridici sono sempre stati motivati in senso religioso.15 Si fa riferimento alla Divinità per decidere ciò che è giusto. Per quanto concerne il cristianesimo, contrariamente alle altre religioni, esso non ha mai imposto alla società e allo Stato un diritto rivelato o un ordinamento giuridico fondato sulla rivelazione. Ha invece riposto nella ragione e nella natura le vere fonti del diritto, quali sfere provenienti dalla Ragione creatrice di Dio. Il papa emerito, nel sottolineare questo punto di forza del cristianesimo, ricorda che la tradizione giuridica occidentale, vero faro e punto di riferimento per la cultura giuridica dell’intera umanità, affonda le sue radici in un passato ricco e notevole. Infatti già nel II secolo a.C. si verifica un incontro tra il diritto naturale sociale sviluppato dagli stoici e l’autorevole diritto romano. Questo legame precristiano tra diritto e filosofia apre la strada, attraverso la mediazione del Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei Diritti umani ed alla Legge fondamentale tedesca che, nel 1949, riconosce «gli inviolabili e inalienabili diritti dell’uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo»16.

La cosa notevole è che lo sviluppo del diritto e dell’intera umanità ha richiesto che i teologi cristiani abbiano deciso di sganciarsi dal diritto religioso ed abbiano invece di porre le basi del diritto sulla filosofia. Del resto anche San Paolo17 afferma che anche i pagani che non conoscono la Legge di Israele (la Torà), per natura agiscono secondo Legge. La Legge è quindi nei loro cuori. È testimonianza della loro coscienza. In questo passo, pertanto, è evidente la comparsa dei concetti di natura e coscienza, laddove «coscienza» altro non è che il «cuore docile» di cui parlava Salomone. Tuttavia, bisogna ammettere che mentre i fondamenti della legislazione erano ben chiari e definiti fino all’epoca dell’Illuminismo, dei Diritti umani nel secondo dopoguerra, nonché della Legge Fondamentale dello Stato tedesco, nell’ultimo mezzo secolo «è avvenuto un drammatico cambiamento della situazione»18. La situazione è la seguente: parlare di diritto naturale è come parlare di una dottrina cattolica, per cui sembra che non valga la pena di discuterla al di fuori dell’ambito cattolico. Vi è stata, secondo Ratzinger, l’avanzata delle concezioni positiviste della vita e del mondo, certo posizioni importanti, alle quali non possiamo rinunciare, che danno conoscenza, a patto, però, di non considerarle esaustive e rispondenti ai bisogni e agli interrogativi umani in senso pieno. Ebbene, in base a questa concezione positivista, causalistica e meccanicistica. A tale proposito Ratzinger cita Hans Kelsen, il quale considera la natura «un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti»19, che ha la pretesa di avere una conoscenza scientifica e oggettiva del mondo, l’ethos e la religione, non essendo verificabili o falsificabili, non rientrano nella ragione in senso stretto e pertanto vengono fatti ricadere nella sfera soggettiva. Ecco perché «dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista (…) le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco»20. Su questo, il pontefice invita ad una riflessione e ad un dibattito pubblico, osservando: «Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità»21. Infatti, prosegue, al livello europeo, vasti ambienti cercano di riconoscere solo il positivismo come cultura comune e come base del diritto, riducendo tutte le altre convinzioni e valori a livello di sottoculture. Nell’economia del discorso, a parere di chi scrive, questo è il nodo centrale. Anche perché l’autore subito dopo sottolinea che l’Europa, ponendo la ragione positivista in modo esclusivo, si chiude alla comprensione piena delle altre culture, suscitando al contempo correnti estremiste e radicali, finendo per assomigliare a edifici di cemento armato senza finestre, impossibilitati a ricevere luce e aria dal «vasto mondo di Dio».

3. Per un’ecologia dell’uomo

Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto.22 Si pone di fronte all’uomo contemporaneo una sfida di non poco conto: riacquistare la grandezza della ragione senza scivolare nell’irrazionale. Ritornare alla natura nella sua profondità, senza storture e senza forzature. Il discorso di Ratzinger qui si fa ecologico: occorre, egli dice, riacquistare il rapporto con la natura. Ascoltare il linguaggio della natura. Il richiamo ad un movimento ecologico tedesco a partire dagli anni Settanta è molto breve e teso solo a riportare l’attenzione sul fatto che la terra porta in sé la propria dignità e nostro compito è seguire le sue indicazioni. Ma, cosa che preme ancora di più all’autore, è che esiste anche un’ecologia dell’uomo. Il discorso entra vagamente nell’ambito bioetico, infatti il Papa Emerito afferma: «Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana».23 In buona sostanza, deponendo i sogni di onnipotenza, spesso tentacolari nel cammino storico dell’uomo, e riconoscendo la propria dipendenza dal Creatore, seguendo il corso naturale delle cose, l’uomo si ritrova e si libera. Viene così a infrangersi quell’edificio di cemento armato che ha irrigidito la visione della vita europea rispetto alle altre culture e le ha impedito, perché troppo carica di una sovrastruttura di stampo razionalista-positivista, di volare alto, di vedere la vastità del mondo e di usare tutto questo in modo giusto.

Citando il grande teorico del positivismo giuridico, Kelsen (che Ratzinger trova citato in W. Waldstein, Ins Herz geschrieben, Sankt Ulrich, Augusta 2010, pag. 19), il Papa Emerito ricorda che costui diceva che le norme possono derivare solo dalla volontà. Ma lo stesso Kelsen affermava che la natura potrebbe racchiudere in sé delle norme solo che una volontà avesse messo in essa queste norme. Il che presupporrebbe un Dio creatore, la cui volontà si è inserita nella natura. Ma, secondo Kelsen, discutere della verità o falsità di questa fede è cosa assolutamente vana. Ratzinger, ovviamente, non è d’accordo, in quanto non trova vano presupporre un Creator Spiritus. È proprio sull’idea di Ragione creativa, di Dio creatore, che si è sviluppata l’idea dei diritti umani, l’idea che gli uomini siano uguali davanti alla legge, l’idea di inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona, l’idea che gli uomini sono responsabili del loro agire. Occorre non smarrire questa memoria culturale, perché facendolo la nostra cultura risulterebbe manchevole di una sua parte essenziale. L’identità europea è frutto di un triplice incontro: Gerusalemme e la fede in Israele, Atene e la ragione filosofica, Roma e la grande tradizione del pensiero giuridico. La grande cultura giuridica europea ha fissato dei criteri validi in ogni tempo, che è nostro compito oggi preservare. Per due motivi: perché l’uomo è responsabile davanti a Dio e perché vige il criterio della dignità inviolabile dell’uomo. Anche i legislatori di oggi dovrebbero, pertanto, avere presente l’esempio di Salomone, che nel chiedere a Dio «un cuore docile», ha pienamente attuato un criterio di giustizia: la capacità di distinguere il bene dal male, di stabilire un vero diritto, di servire la giustizia e la pace.

4. Conclusione

Sembra che l’intero discorso di Joseph Ratzinger sia imperniato su due grosse facoltà umane: la vista e l’udito. Ratzinger parla di «spalancare finestre» e «vedere di nuovo la vastità del mondo». La percezione dell’uomo moderno è stata obnubilata da un utilizzo della ragione di stampo causalistico-meccanicistico, che pare rispondere alla totalità degli interrogativi umani, ma in effetti incastra l’uomo in una dimensione a senso unico, in un mondo in cui tutto è funzionale all’utilizzo pratico, finanche le «risorse» di Dio. Il Papa Emerito insiste sul concetto di «manipolazione» e sull’utilizzo smisurato della volontà umana, che costituiscono i presupposti di un nuovo tipo di schiavitù nell’uomo contemporaneo. La volontà giusta è quella di rispettare la natura, non di piegarla a tutti i costi ai propri desiderata. Pertanto, bisogna recuperare anche l’altra facoltà alla quale accennavamo. Occorre che l’uomo si ponga in ascolto del linguaggio della natura, in cui, è convinto Benedetto XVI, Dio creatore ha inscritto la propria volontà. Il discorso del rispetto, intimamente correlato con l’ascolto, con il porsi in ascolto, è presente con particolare forza nella penultima pagina del discorso/saggio di cui stiamo discutendo. È da notare che il Papa coglie l’identità europea non nella ragione positivista, anche se questo è stato uno sviluppo del pensiero e della storia di questo continente, bensì nella tradizione giudaico-cristiano-romana, sul quale più di una volta è tornato nel corso dei suoi incontri pubblici. L’invito a non smarrire il senso di questa identità e del ricco patrimonio che essa costituisce per l’umanità, costituisce il messaggio più alto che possiamo cogliere nel discorso del Papa Emerito, soprattutto nell’ottica di un recupero dell’ethos che sempre deve guidare le nostre azioni, in particolare di chi ha responsabilità di governo.


  1. Ratzinger, 2018, 132. ↩︎

  2. Ratzinger, 2018, 98. ↩︎

  3. Ratzinger, 2018, 104. ↩︎

  4. Tratto da Reiner See H, Gewissen, in J. Ritter, «Historiches Wörtebuch der Philosophie», vol. III, pagg. 574-592. ↩︎

  5. Ratzinger, 2018, 88, nota 9. ↩︎

  6. Ratzinger, 2018, 95. ↩︎

  7. Ratzinger, 2018, 92-93 ↩︎

  8. Görres Albert. 1984. Schuld und Schuldbewältigung, in «Communio». Ostfildern: Schwabenverl. ↩︎

  9. Ratzinger, 2018, 94. ↩︎

  10. Ratzinger, 2018, 137-144. ↩︎

  11. 1Re 3,9. ↩︎

  12. De civitate Dei IV, 4, 1. ↩︎

  13. Ratzinger, 2018, 139. ↩︎

  14. Contra Celsum, GCS Orig. 428 (Koetschau). È la più completa e completa apologia del cristianesimo dei primi secoli. ↩︎

  15. Ratzinger, 2016, 139. ↩︎

  16. Ratzinger 2018, 140. ↩︎

  17. Rm 2,14s↩︎

  18. Ratzinger 2018, 141. ↩︎

  19. Ratzinger 2018, 141, nota 4. ↩︎

  20. Ratzinger 2018, 141. ↩︎

  21. Ratzinger 2018, 142. ↩︎

  22. Ratzinger, 2018, 142. ↩︎

  23. Ratzinger 2018, 143. ↩︎