Tommaso Dell’Era, Augusto Del Noce. Filosofo della politica, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2000, pp. 420.
A poco più di dieci anni dalla scomparsa, e dopo un lungo periodo di oblio, il filosofo cattolico Augusto Del Noce sembra vivere una stagione di rinnovato interesse tra gli studiosi italiani. Figura certamente complessa e problematica e tra le più originali del secondo dopo guerra, Del Noce si presenta ancora oggi come un pensatore difficilmente comprensibile in chiave unitaria. La vastità della sua produzione, l’ampio arco delle tematiche affrontate, l’apparente mancanza di sistematicità, e soprattutto il «metodo» del filosofare delnociano: sono tutti fattori che spiegano, da un lato, la difficoltà di chiunque voglia confrontarsi con il suo pensiero; dall’altro essi giustificano gli sforzi che sono stati compiuti (a dire il vero non sempre dettati da un genuino interesse scientifico) al fine di risolvere il «caso Del Noce».
In tale prospettiva deve essere situato il lavoro di Tommaso Dell’Era. Due sono gli obbiettivi dichiarati dall’autore: la ricostruzione del percorso compiuto da Del Noce dagli inizi fino agli anni ’50 e del contesto culturale in cui si colloca la sua opera, e l’analisi delle principali categorie politiche della filosofia politica dello studioso cattolico. La scelta di restringere l’ambito della ricerca ponendo come limite superiore i primi anni del secondo dopo guerra non è casuale. Essa mostra, da un lato, la consapevolezza dell’impossibilità di ripercorrere l’intero percorso del filosofo torinese; dall’altro è giustificata, secondo l’autore, dal fatto che tutti i successivi sviluppi del pensiero delnociano sono già contenuti in nuce nel periodo considerato.
Due sono anche le novità dell’opera di Dell’Era. La prima consiste nella presentazione di un vasto materiale inedito, tratto dagli archivi privati del filosofo, che l’autore ha potuto consultare e riordinare. La seconda, di carattere più specificamente metodologico, riguarda l’adozione del metodo dell’analisi contestuale, che Dell’Era ritiene «il più appropriato nello studio storico della filosofia politica e del pensiero politico in generale, ad un autore contemporaneo» (p. 9). Ma il metodo dell’analisi contestuale non è stato l’unico ad essere utilizzato; l’autore ha infatti adottato anche il metodo dell’analisi concettuale, quest’ultimo usato nella parte conclusiva del libro.
Il volume si compone di quattro capitoli, con una struttura che ricalca, quanto ai primi tre, le tappe del cammino compiuto da Del Noce. Infatti Dell’Era sostiene che vi sono tre periodi della riflessione delnociana fino al ’50: «il primo caratterizzato dalle categorie di dissociazione, dualismo e illusione profascista; il secondo è identificato dalla formula della sinistra cristiana e della fedeltà all’eterno; il terzo dalla fedeltà creatrice e dalla democrazia cristiana» (p.12).
Il quarto capitolo è invece dedicato all’analisi critica delle categorie fondamentali del pensiero politico delnociano. Ed è proprio quest’ultimo capitolo che presenta gli elementi di maggior interesse. Ciò non è dovuto ad una presunta assenza di spunti di riflessione nella prima parte dell’opera (che, anzi, è da ritenersi la migliore ricostruzione fin qui fatta della vicenda di Del Noce e che pertanto costituisce un sicuro e imprenscindibile punto di riferimento per gli interpreti delnociani), quanto piuttosto alle conclusioni critiche cui perviene Dell’Era.
Dopo la prima fase segnata dall’illusione profascista e la seconda caratterizzata dall’esperienza della sinistra cristiana, Augusto Del Noce approda, tra il ’44 e il ’50, alla terza fase del suo iter filosofico. In questi anni il filosofo torinese elabora una filosofia della politica centrata sul principio della fedeltà creatrice. A partire dall’analisi del linguaggio politico dell’epoca egli si propone di indicare la via per la costruzione di una democrazia autentica, cioè cristiana. I perni attorno ai quali ruota tutta l’impostazione democratica delnociana — in antitesi radicale ad ogni totalitarismo — sono tre: il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione. Questa concezione della democrazia presuppone un’antropologia ben precisa. La politica è per Del Noce il luogo dove si esplica il rapporto tra gli individui. Ma l’individuo non è una monade isolata: egli ha un rapporto connaturale e costitutivo con Dio (relazione verticale), da cui discende il rapporto con gli altri e il principio del suo agire nella società e nella storia (relazione orizzontale). In tal senso la politica «non è solo o semplicemente il luogo dei rapporti di potere, ma l’ambito tout court dei rapporti tra individui, l’ambito relazionale per eccellenza, in cui il fondamento spirituale riceve la possibilità della propria esplicazione e si realizza l’unità della persona umana» (pp. 258-259); affinché ciò avvenga è necessario il riconoscimento della libertà del singolo nei suoi molteplici aspetti.
Secondo Dell’Era questa impostazione ha un duplice aspetto aporetico. La prima e più importante difficoltà del pensiero politico delnociano consiste proprio nella relativa autonomia della politica dalla religione. In siffatta concezione l’individuo vive una sorta di dissociazione tra l’appartenenza alla comunità politica e il suo essere membro di una comunità spirituale, cioè la Chiesa; «inoltre — nota dell’Era — il riferimento alla verità, intesa come fondamento della libertà, non viene quasi mai esplicitato in Del Noce. Ossia, il contenuto di questa verità non viene indicato: dai testi emerge l’ulteriore problematica dell’autorità che deve definire tale verità, autorità che nella concezione delnociana non può non essere la Chiesa cattolica» (pp. 404-405). Il risultato del tentativo di superare quella dissociazione non può che essere una certa instabilità tra le due appartenenze, religiosa e politica; «instabile perché la libertà non è componibile con un’autorità religiosa di carattere dogmatico» (p. 405). Ma ad un esame più attento questa presunta aporia non sussiste. Per Del Noce infatti l’autorità ha un connotato prettamente metafisico e non va confusa con il potere. Se quest’ultimo può essere definito come la manifestazione esteriore di una forza temporale contingente, l’autorità, al contrario, è di natura spirituale e ha un carattere, per l’appunto, trascendente o metafisico. In sintonia con il pensiero di Capograssi, Del Noce elaborò un concetto di autorità che si ricollega all’evidenza dell’essere; in tale prospettiva l’individuo, anzi ogni individuo, è capace di aprirsi alla e accogliere la verità che gli si manifesta per via intuitiva. L’autorità, intesa come evidenza dell’essere, è anzitutto della verità, non della Chiesa; dei valori eterni e trascendenti (e perciò sempre validi), non del potere o di chi lo gestisce, sia esso un soggetto laico o ecclesiale. Non vi è dunque alcuna opposizione tra autorità e libertà. La sovrapersonalità del vero fa sì che l’apertura all’essere rende l’uomo indipendente dagli altri soggetti, quindi libero. Se da un lato la libertà è richiesta per accogliere la verità che si «impone», dall’altro la libertà (in questo caso di natura civile) è il risultato della trascendenza della verità rispetto ad ogni potere temporale e ad ogni sua secolarizzazione. Insomma per Del Noce i due termini di autorità e libertà non solo non si oppongono escludendosi a vicenda, ma anzi coincidono, ed è il venir meno del riconoscimento del carattere metafisico della prima che conduce alla sostituzione del potere all’autorità, con la conseguente scomparsa della libertà.
La mancata percezione di questo fondamentale aspetto del pensiero delnociano è alla base anche della seconda critica che Dell’Era muove alla filosofia politica di Del Noce, quella relativa alla sua concezione della democrazia. L’aspetto aporetico sarebbe qui rinvenibile nella contemporanea affermazione, da una parte, della libertà delle idee e del rispetto della persona, e della necessaria identificazione dei valori che dovrebbero informare il vissuto democratico con quelli cristiani, dall’altro. Se il rispetto delle idee del singolo comporta l’implicita accettazione del principio del pluralismo etico, come si concilia questa prospettiva con il riferimento univoco ai valori cristiani? «Ciò che il filosofo non spiega — nota Dell’Era — è come sia possibile comporre l’affermata pluralità in campo spirituale con una verità religiosa che, in quanto tale, è dogmatica; inoltre, non è chiaro cosa accadrebbe qualora, in ragione del dialogo, non vi fosse persuasione dei valori religiosi. […] Rimane dunque insoluta questa aporia del pensiero delnociano: infatti nella sua riflessione si è in presenza di una concezione della democrazia intesa come discussione razionale sui valori e di un’altra visione che la definisce come regime politico che rifiuta il pluralismo dei valori e tende all’uniformazione verso un unico tipo di valore, quello cristiano […]» (pp. 407-408). A dire il vero anche questa critica, legittima e indiscutibile per chi si pone da una prospettiva laica, non ha però molto fondamento se si analizza il pensiero delnociano a partire dalla prospettiva che gli è propria, cioè quella di fede. Giustamente Dell’Era sottolinea la distanza che separa Del Noce da Maritain sulla concezione della democrazia: di origine evangelica per il secondo, regime storico e contingente, per il primo. Ciò nondimeno per Del Noce sono di origine evangelica, quindi trascendente ed eterna, i valori morali che ogni uomo è chiamato a riconoscere e praticare. Tali valori, detto altrimenti, «parlano» alla coscienza di ogni uomo. Ecco allora che la democrazia si configura come il luogo politico dove devono essere garantite le condizioni che consentono l’accoglimento e il riconoscimento dei suddetti valori, e in tal senso, cioè come condizioni, sono da considerare il rispetto della persona, il metodo della persuasione e il rifiuto della violenza: se il rispetto di questi principi non rende certo cristiana una democrazia (come d’altra parte riteneva lo stesso Del Noce), esso tuttavia fornisce, nell’ottica delnociana, tutte le garanzie perché l’individuo possa liberamente aprirsi alla verità e ai valori che da questa discendono.
Ma da questa concezione della democrazia non discende una presunta uniformità o appiattimento escludente il pluralismo; o meglio, lo esclude se si tiene fermo il principio che esistano tante verità quante sono gli individui (e da questo punto di vista il contrasto tra visione religiosa e visione laica è davvero irriducibile), mentre al contrario lo implica qualora si sostituisca al termine di pluralismo quello di policentrismo. Questa categoria riassume e spiega l’esatta prospettiva delnociana. Secondo il filosofo torinese la verità, ancorché sia una, è tuttavia «centrata» sulla persona, nel senso che «il problema metafisico è quello che nessun altro può aver risolto per me e che quindi mi si presenta in termini sempre nuovi […]. Non ho davanti a me una sorta di elenco di problemi già risolti, che possano venire raccolti in un trattato: è al contrario nel processo personale di soluzione del problema metafisico, che riconosco nella mia tesi l’esplicazione di una “virtualità” di un’affermazione già sostenuta nel passato; ed è proprio in questa «esplicazione di una virtualità» che la tesi metafisica mi diventa «evidente», liberandomi dalla sempre contingente forma che aveva assunto nelle formulazioni storiche». Alla luce di questo passo risulta chiaro che per Del Noce il perseguimento del fine di rendere cristiana la democrazia non solo non implica alcuna omologazione di carattere etico, ma anzi favorisce lo sviluppo del vero «pluralismo» e di un autentico liberalismo.
Il saggio di Tommaso Dell’Era si conclude con alcune osservazioni sull’interpretazione di Bobbio della concezione delnociana, precedute dal rilievo di alcuni aspetti della filosofia politica del filosofo torinese suscettibili di sviluppi significativi. In particolare l’autore sottolinea la concezione della politica del filosofo cattolico, ossia di una politica come luogo della relazione degli individui tra loro e non come ambito in cui si dispiega la forza e il potere. Quanto al concetto di democrazia viene evidenziata l’impostazione stessa del discorso delnociano, svolto a partire dalla nozione e dal rovesciamento della categoria di totalitarismo, così come la possibile applicazione dell’analisi compiuta da Del Noce alla questione delle eventuali involuzioni totalitarie dei regimi democratici. Notevole interesse suscita anche il tema del consenso e la critica del marxismo: «la sua interpretazione della filosofia di Marx rimane una delle più appropriate del dopoguerra, in particolare per il legame che pone tra marxismo e comunismo» (pp. 409-410). E a proposito dell’interpretazione del fascismo, nota ancora Dell’Era, «non si può non sottolineare che Del Noce anticipa in molti punti alcune conclusioni raggiunte anni più tardi da De Felice, fermo restando il carattere transpolitico della sua interpretazione» (p. 410). Infine, uno degli elementi che costituiscono l’originalità del filosofo torinese viene rintracciato nell’analisi del linguaggio politico come strumento di indagine del mutamento in atto della situazione politica.
In conclusione, il lavoro svolto da Dell’Era è da considerarsi come uno dei tentativi più riusciti degli ultimi anni di analizzare e comprendere il pensiero di un filosofo decisamente «ostico» come Del Noce. Pur con i limiti interpretativi che esso presenta, tutti riconducibili all’implicita assunzione di una prospettiva di fondo in netto contrasto con quella delnociana, il saggio in questione è senza dubbio un contributo critico di notevole spessore, peraltro arricchito da una mole considerevole di materiale inedito, e allo stesso tempo uno stimolo alla conoscenza e all’approfondimento del pensiero di Augusto Del Noce.