Wilhelm Schapp, Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa, a cura di Daniele Nuccilli, Mimesis Edizioni, Milano, 2018.
Reti di storie. L’essere dell’uomo e della cosa, redatto nel 1953 da Wilhelm Schapp, costituisce la prima parte di una trilogia (Geschichtentrilogie) che Daniele Nuccilli consegna alla tradizione fenomenologica italiana, grazie ad un accurato lavoro di traduzione, nonché ardito, dato il profilo aporetico sotto cui il testo si presenta.
Un primo elemento di tipo biografico-formale emerge nel saggio introduttivo in cui il traduttore e curatore fornisce un’interessante chiave di lettura dello scritto, favorendone al contempo una comprensione unitaria. Reti di storie non è il frutto di una stesura sistematica e lineare, fu redatto sotto dettatura e in un lasso di tempo molto esteso, nel quale Schapp era per lo più dedito alla sua attività di avvocato, raccogliendo gli spunti di incontri privati che si tennero nel suo studio, e che coinvolsero, tra gli altri, O. Marquard ed H. Lübbe. La distinzione o la compresenza dell’essere uomo e l’essere avvocato si riflette in una dinamica fenomenologica giudice-imputato che rivela come la «praxis dell’avvocatura» abbia inciso «nel modo più puro e simbiotico, con le acquisizioni teoriche e più prettamente filosofiche che avevano contrassegnato la crescita accademica di Schapp» (p. 10). In un capitolo dal titolo La storia sta per l’uomo (pp. 127-129) Schapp fa infatti ricorso alla dimensione giuridica mostrando come l’uomo, prima di essere soggetto materiale, è un “Sé” che emerge dalla storia alla quale un giudice e un avvocato accedono in prima istanza attraverso gli atti del caso trattato.
Un secondo aspetto concerne prettamente la struttura formale del testo che, proponendosi più come un dialogo tra l’autore e il lettore che come un’opera sistematica, incide sulla fruibilità del contenuto. Questo elemento comporta all’atto del tradurre un ulteriore sforzo concettuale, volto a mantenere il senso generale dell’impianto fenomenologico e la peculiarità del pensiero di Schapp. Le scelte linguistiche di Nuccilli fanno infatti da tramite alle diverse esigenze speculative, volte da un lato a non tradire la coerenza interna del contenuto, dall’altro a far emergere il filo rosso di un’esegesi tutt’altro che evidente.
Reti di storie consta di due parti di cui la prima, in particolare, risente del problematico connubio forma-contenuto cui abbiamo accennato, che esprime al tempo stesso l’originalità dell’approccio di Schapp. Il discorso sulla storia è il discorso sull’umanità. Esso non concerne un particolare aspetto dell’uomo e del mondo ma la loro interconnessione e coappartenenza originaria, da cui né l’uomo né il mondo possono prescindere. Ogni individuo è la propria storia, custode della capacità di ricordare, di pensare e di immaginare. Nell’esser consapevoli della propria storia risiede non solo ciò che ci distingue dagli animali ma la nostra peculiare posizione rispetto alle altre storie e alla storia del mondo in cui siamo irretiti. La Verstrickung, che Nuccilli traduce con il termine “irretimento”, costituisce il nucleo teoretico di questo lavoro. Essa esprime l’imprescindibile nesso tra l’uomo e il mondo, mettendo in luce per un verso, la nostra appartenenza ad una stessa stirpe, per un altro, la molteplicità delle storie, dunque, l’unicità che segna ogni individuo.
L’essere irretito, attraverso il duplice senso che esso dispiega, coglie l’essenza dell’essere uomo. Questo inedito concetto di eide, rifiutato in favore di “essenze individuali”, permette a Schapp quel distacco dalla fenomenologia tradizionale, in particolare da Husserl, che segna l’originalità delle sue ricerche. Su tale critica poggia infatti la fondamentale distinzione schappiana tra specie (Gattung) e stirpe (Geschlecht). Non esistono specie ma solo individui: «In nessun luogo emerge qualcosa come una specie, compaiono solo cose singole in una rigida associazione» (p. 87). Le storie sono dunque un insieme di connessioni particolari che concernono individui e non oggetti universali, in questo senso ogni cosa può definirsi una “cosa-per” (Wozuding), la quale isolata dal contesto in cui è inserita non può essere compresa e analizzata. Si potrebbe parlare della stessa cosa-per in termini di specie, non nel senso di unicum universale ma alla luce delle diverse connessioni che la attraversano. L’indagine sulle storie lascia emerge la necessità di comprendere ogni fenomeno all’interno delle connessioni nelle quali esso si dà; al di fuori dell’intero nulla si dà, «poiché nel momento in cui qualcosa si “dà”si offre immediatamente anche l’orizzonte narrativo-istoriale che lo avvolge» (p. 20).
Il concetto di Verstrickung schiude una nuova prospettiva fenomenologica che, se per certi versi allontana Schapp da quella tradizionale, per altri non comporta «la rinuncia dell’autore ad una propria postura fenomenologica» (p.14). L’analisi che occupa la prima parte del libro identifica nella cosa-per il «punto di sutura tra le storie e il mondo esterno» (p. 37). Essa viene in tal senso definita come “formazione” (Gebild), in quanto, emergendo come connessione, deriva da qualcosa e rimanda a qualcos’altro. Si esclude dunque la possibilità di una definizione materiale dell’oggetto, la stessa materia di per sé non è nulla, ma «compare e può comparire solo nel circolo che abbiamo descritto, e, perciò, non può neanche divenire una parte autonoma di questo circolo» (p. 63). Il mondo in quanto mondo delle cose-per non è un mondo materiale, e i corpi che lo compongono sono solo momenti dell’intero (pp. 75-83).
In questo quadro, la percezione stessa è intesa in termini di connessione tra l’uomo e il mondo, e i sensi sono considerati solo a partire dal contesto cui appartengono. Ciò che viene udito o visto non concerne il suono o il colore in sé; essi non sono fenomeni isolati dall’oggetto a cui si attribuiscono: «Per noi è impossibile dividere il suono della vettura in corsa dalla vettura, o dividere il colore della casa dalla casa» (p. 101). In questo senso Schapp può definire il percepire come la partecipazione dell’anima al mondo, dunque alle connessioni che ne riflettono le dinamiche. Le qualità sensibili perdono la loro collocazione tradizionale di base fissa da cui partire, e vengono ripensate come momenti che si alternano nell’unico movimento dell’intero che li comprende.
All’esigenza di stabilire determinazioni capaci di delineare i fenomeni nel loro alternarsi in relazioni e differenze, si sostituisce, nell’indagine schappiana, la necessità di porre l’accento sull’unità stessa che consente questo alternarsi, e attraverso la quale il mondo ci si presenta come un tutto. Il nuovo approccio fenomenologico impone, all’autore e al traduttore, di considerare le diverse implicazioni logico-linguistiche: «se non esiste un oggetto universale non possono esistere neanche proposizioni universali» (p. 12). La riflessione sul linguaggio prende le mosse nel breve capitolo nono, a conclusione della prima sezione di Reti di storie, sezione che risente fortemente della complessità metodologica che il pensiero schappiano manifesta.
Le diverse argomentazioni dal carattere aporetico, tuttavia, trovano un più ampio respiro nella seconda sezione del testo in cui la stessa esegesi linguistica assume un maggiore spessore speculativo. Partendo dalla dimensione della praxis che la storia rievoca, la proposizione viene pensata come la rappresentazione dell’unità in cui le cose-per si trovano: «L’io-irretito», sottolinea Nuccilli, «è il soggetto grammaticale delle storie» (p.18). Il soggetto, e l’intera proposizione, non si costituiscono nella loro fissità ma vedono il loro senso rinnovarsi a seconda del contesto dal quale emergono. Riprendendo un esempio proposto da Schapp, la proposizione «La regina è malata» può non riferirsi ad uno stesso stato di cose, poiché «la stessa regina può essere più volte malata nello stesso romanzo. Tuttavia il senso della proposizione, all’interno della storia o all’interno del complessivo stato di cose, è sempre diverso» (p.194).
Da questo breve accenno alla dimensione unitaria e al tempo stesso eterogenea che caratterizza la storia e, dunque, le cose-per, si possono trarre due considerazioni. In primo luogo, la proposizione isolata dal contesto istoriale da cui emerge è priva di senso: la frase «”La regina è malata” può derivare solo da una storia, comparire e trovare sostegno solo in una storia. […] al di fuori della storia è solo un fodero o un guscio» (ibidem). In secondo luogo, ad una frase semplice possono appartenere molteplici significati, e la varietà implicita nella dimensione linguistico-formale deriva dalla sua coappartenenza alla dimensione pragmatica della storia.
A seguito di queste brevi considerazioni, si può concludere che Reti di storie si pone come uno sguardo sull’umanità nelle sue molteplici sfumature. Esso abbraccia dimensioni tenute spesso separate dalle precedenti indagini filosofico-fenomenologiche, come quella onirica e immaginaria, di cui in questa sede non si è potuto trattare. Se l’approccio schappiano ha avuto l’audacia di accogliere senza «pretese di sistematicità» (p. 20) la totalità del reale emergente da un contesto istoriale originario, a Nuccilli dobbiamo il merito di aver compreso l’importanza di questa ricerca e di averla trasmessa nella sua unità ed eterogeneità.
L’impostazione dialogica, la mancanza di sistematicità — compensata tuttavia dai numerosi esempi che Schapp elabora —, e le note difficoltà di un’adeguata resa in italiano di alcuni termini tedeschi, non hanno impedito dunque a Nuccilli di restituire al lavoro di Schapp il suo alto valore speculativo e fenomenologico, senza tradire l’unitarietà cui aspirava la sua impresa.