AA.VV., Il futuro del «nuovo pensiero». In dialogo con Franz Rosenzweig, ETS, Pisa 2008, pp. 242.
Il volume raccoglie i contributi dei principali studiosi rosenzweighiani, sia italiani che stranieri, che hanno partecipato al Convegno Internazionale della Rosenzweig-Gesellschaft tenutosi a Chieti il 26-27 aprile 2007 dal titolo: Il futuro del «nuovo pensiero». In dialogo con Franz Rosenzweig (1886-1929) . La pluralità di voci e le diverse linee interpretative di cui si strutturano gli interventi costituisce un aspetto di sicuro interesse per quest’opera che si propone di ripercorrere la linea speculativa del «nuovo pensiero» inaugurata da Rosenzweig all’inizio degli anni Venti: una messa in discussione radicale delle pretese autofondative e totalitarie caratterizzanti alcuni filoni dominanti della tradizione filosofica. Naturalmente in questa sede si cercherà di fornire alcuni spunti di riflessione emersi nei vari contributi, puntando l’attenzione su quegli elementi più generali che denotano l’originalità e l’attualità della riflessione rosenzweighiana.
Nel primo intervento di Myriam Bienenstock dal titolo Franz Rosenzweig sul mito e la religione viene posto il problema del rapporto tra Rosenzweig e la Qabbalah che richiede in prima battuta un approfondimento del suo rapporto con il mito. Viene ripercorso il dibattito intercorso tra Buber e Cohen sul problema del mito nella religione ebraica. Mentre il primo risponde affermativamente riscontrando nel mito un fattore vitalizzante per l’ebraismo, Cohen negava l’esistenza stessa dei miti e delle mitologie. Cohen nello specifico distingue tra religione e mito rifacendosi alla distinzione kantiana tra Sein e Sollen. La domanda che funge da filo rosso dell’intero articolo è: quali rapporti bisogna stabilire fra il mito e la religione. Rosenzweig non rimette in discussione questa distinzione tra religione e mito, piuttosto la rafforza e la rende sempre più radicale: critica le idee innate e più in generale rigetta ogni conoscenza che si riferisce all’interiorizzazione a beneficio della Rivelazione che si caratterizza proprio per la sua assoluta esteriorità.
Nel secondo contributo intitolato Da Dio-Uomo-Mondo a Storia-Linguaggio-Sé di Eveline Goodmann-Thau si mette a confronto lo schema tradizionale della metafisica occidentale Dio-Uomo-Mondo con quello moderno di Storia-Linguaggio-Sé attraverso la riflessione sul linguaggio operata da Rosenzweig il quale tenta di stabilire una nuova relazione tra pensiero e fede. Il compito dell’uomo sta nel costituire la relazione fra Dio, uomo e mondo e tra-durla nel linguaggio: «La prestazione creativa del tradurre non può trovarsi in alcun altro luogo se non là dove si trova la prestazione creativa del parlare stesso. […] Chi ha qualcosa da dire, lo dirà in modo nuovo. Egli diventa un creatore di lingua. Dopo che lui ha parlato, la lingua ha un volto diverso da prima» (Cit., p. 19). Rosenzweig si allontana dall’idealismo tedesco, egli rimanda al mondo l’esperienza del mondo, a Dio l’esperienza di Dio e riconosce il mondo, l’uomo e Dio come tre elementi autonomi della realtà, nella relazione fra i quali si manifesta la realtà. Attraverso la riproposizione della filosofia della rivelazione di Rosenzweig si arriva a prendere in considerazione nel Nuovo Pensiero il metodo del parlare: «Nel dialogo vero qualcosa accade sul serio […] . Il «pensatore parlante» non può prevedere nulla in anticipo; deve saper attendere, poiché egli dipende dalle parole degli altri; egli ha bisogno di tempo» (Cit., p. 21). Questo passaggio esplicita la relazione tra tempo e parola: ciò significa che si viene a manifestare una nuova dimensione temporale, un evento atteso e imprevedibile che diventa punto di partenza del pensiero storico (Mitte der Zeit). Rosenzweig si distacca dalla dialettica hegeliana e scinde l’identità di essere e sapere. Si viene a creare un rapporto nuovo tra Dio, uomo e mondo che si traduce attraverso una relazione di Dio e uomo come rivelazione. La traducibilità del mondo in linguaggio umano costituisce il ponte tra essere e sapere, che precede ogni discorso umano. Nella Stella della redenzione viene indagato il rapporto tra Sé e vita irrompe l’uomo nel tempo: avviene un incontro unico del singolo, in quanto Sé autonomo, con la vita. Rosenzweig cerca di preservare la fattualità dell’uomo come compito del Sé: solo la vita è in grado di confermare la teoria, la dimostrazione della verità si produce nel contesto della vita concreta. Il problema ricorrente di Rosenzweig è il tempo. La morte apre alla conoscenza circa il Tutto. Il nulla non è nulla, è qualcosa. La critica di Rosenzweig alla ragione ruota attorno a quattro motivi fondamentali: la rilevanza della situazione concreta; l’importanza della parola parlata e del dialogo; l’esperienza del tempo; il profondo significato del nome come proprio. La situazione concreta viene formulata nei termini di una creazione. L’uomo sente il mondo come creato per sé, in cui si realizza la sua vita e che nello stesso tempo corrisponde, tramite Dio, al mondo. La parola parlata e il dialogo corrispondono alla rivelazione, slegata dallo spazio e dal tempo, ma esperibile come parte della vita nella sua interezza. L’esperienza del tempo corrisponde alla redenzione, nell’istante dell’individuo vivente, quando tempo ed eternità vengono esperiti come unità. Il significato del nome chiama l’individuo alla sua unicità nella vita, in cui, nell’incontro con l’altro, ogni conoscenza è la sua conoscenza.
Nel terzo contribuito di Paul Mendez-Flohr dal titolo Tra amore sensuale e amore celeste si prende in considerazione il Cantico dei Cantici alla luce della lettura offerta da Rosenzweig, che lo considera il libro centrale della rivelazione. Il Cantico infatti ha un grande importanza dialettica per la componente sensuale presente nel testo. Secondo Rosenzweig esiste un’omologia intrinseca tra l’amore umano dialogico e l’amore divino (Cfr. p. 34). L’eros umano e quello divino coincidono: l’amore umano è una semplice metafora della rivelazione divina e la teoria della rivelazione è una teoria dell’eros. L’amore diventa un contrappeso alla morte e la rivelazione divina è di fatto storica ed esistenziale. Passando per la sensualità la critica di Rosenzweig è rivolta alla filosofia che non guarda a un singolo individuo vivente che ha un nome e cognome e si interessa di verità necessarie e universali. Nella rivelazione Dio si rivolge a ognuno di noi con il nostro nome e cognome, riconosce la particolarità della nostra finitudine. Da questo punto di vista la rivelazione è amore e come tale è analoga e omologa all’amore mondano. L’amore è per forza di cose sensibile e dunque forte quanto la morte. L’amore non conquista o non elimina la morte: l’amore vive al presente, la morte punta al passato perfetto. Tuttavia la morte è la corona della creazione e manifesta il fondamento ontologico dell’amore nel quale si intravede l’Altro non ancora deviato dalle considerazioni temporali e si riesce a toglierlo dalla moltitudine indifferenziata dell’umanità celebrandone la sua particolarità.
Il contributo di Wolfdietrich Schmied-Kowarzik intitolato Essere e Pensare pone l’accento sul problema dell’idealismo hegeliano e più nello specifico dell’unidimensionalità della dialettica hegeliana che parte da un presupposto non problematizzato: l’essere è un momento del pensare. Questo è il nucleo attorno a cui gravita la critica di Schelling nei confronti dell’idealismo hegeliano.
Nel saggio successivo, che si intitola Dieci tesi sul nuovo pensiero in dialogo con Franz Rosenzweig, Bruno Forte si occupa di una testimonianza che ripercorre in dieci punti lo scritto intitolato Das neue Denken.
Emilio Baccarini è l’autore del sesto contributo intitolato Pluriverso. In questo contributo l’autore intende esibire la struttura plurale del «nuovo pensiero» di Rosenzweig a partire dalle reazioni di due interlocutori di Rosenzweig alla pubblicazione della Stella della redenzione: Margarete Susman e Hans Ehrenberg. La Susman rileva nel testo di Rosenzweig una nuova interiorità, che oltrepassa quella della pura coscienza: siamo di fronte alla manifestazione di una nuova certezza spirituale che segna un punto di svolta rispetto alla degenerazione della filosofia del puro pensiero che ha dominato l’Occidente da Parmenide a Hegel e che rispetto alle domande ultime e decisive poste dalla vita e dalla morte, non ci ha lasciato nessuna forza per risolvere la vita e redimerci dalla morte. L’opera di Rosenzweig a suo avviso si origina dal desiderio di afferrare vita e morte nella loro concreta e viva pluralità; afferrare la vita in tutta la sua ampiezza, altezza e profondità dichiarando guerra all’idealismo unidimensionale di tutte le epoche. La vita diventa un potere, una forza di rivelazione. Questi elementi pongono questioni e innescano processi di riflessione che consentono di operare una svolta nel pensiero, ci consentono si smontare la struttura dell’uni-verso pensabile e conoscibile. Ehrenberg pone al centro del suo intervento l’incapacità del pensiero sistematico di fornire risposte adeguate ai tormenti e alle ferite esistenziali e svincola la Stella da qualsiasi «-ismo» che riconduce inevitabilmente a prospettive totalizzanti. Allo stesso tempo Ehrenberg riconosce un’altra grande intuizione di Rosenzweig: il legame inscindibile tra filosofia e teologia. Il saggio prende come riferimento essenziale due termini: vom Tode… ins Leben. Nel mezzo di queste due parole si sviluppa e prende forma l’originalità e l’avventura di senso della proposta di Rosenzweig. La riflessione sulla morte operata da Rosenzweig apre a un confronto con Heidegger: l’affinità tra i due consiste nel considerare la morte come momento di autenticità dell’esistenza singolare; la differenza è detta dalle preposizioni che accompagnano il sostantivo Tod che caratterizzano le divergenti interpretazioni sulla temporalità. Vom Tode (dalla morte) è proprio di Rosenzweig e significa l’estroversione, il superare questo timore della morte nel rimanere in questo timore; l’esistenza diventa compito obbedienziale di redenzione ins Leben. Zum Tode (verso la morte) di Heidegger significa destinazione, finalità e l’esistenza appare come una manifestazione segmentata della temporalità in cui l’Essere viene a manifestazione. Il pensiero della morte come pensiero della singolarità ci mette nella direzione del pluriverso che significa anche prendere sul serio il tempo che a sua volta implica nel Nuovo Pensiero «aver bisogno dell’altro». Il punto di partenza analizzato in chiave fenomenologica dall’autore sono le fattualità originarie: Dio, uomo e mondo. Si tratta di dati assolutamente eterogenei. Non si può applicare secondo Rosenzweig a questi termini la logica della determinazione, la Stella è posizione e subito rovesciamento della questione trascendentale, intesa come interrogativo sulle condizioni di possibilità. Segue una analisi dei tre termini fondamentali per la filosofia in generale e per comprendere a pieno l’originalità di Rosenzweig: Erkennen-Erleben-Erbeten (Conoscere-Vissuto-Spazio dell’eternità). Alla fine di questi tre momenti si raggiunge una prospettiva di verità non più teoretica, bensì da realizzare: la stessa categoria di esperienza risulta necessariamente multipla, plurivoca e permette di fondare una cultura della pluralità.
Nel contributo di Gianfranco Bonola vengono fatte alcune considerazioni sulla gnoseologia messianica di Rosenzweig che prendono corpo a partire dal saggio del 1925 Das neue Denken.
Il saggio di Francesco Paolo Ciglia, Fra Atene e Gerusalemme, viene pone sotto esame il progetto audace di Rosenzweig di gettare un ponte di collegamento tra l’orizzonte di ragione logico-argomentativo e l’esperienza della fede religiosa vissuta e testimoniata esistenzialmente: in altri termini un collegamento tra il pensiero di matrice greca e la rivelazione biblica, sia ebrea che cristiana. Rosenzweig si propone di ripensare il senso stesso complessivo del pensare e il collegamento tra Atene e Gerusalemme può assolvere un ruolo chiave da un punto di vista speculativo in grado di evitare vicoli ciechi e secche concettuali in cui erano rimaste vittime sia la riflessione filosofica che quella teologica tra XVII e XIX secolo. Il nodo problematico Atene-Gerusalemme viene rivisitato in chiave dinamica: occorre, seguendo il nuovo pensiero di Rosenzweig, tenere ben presenti le relazioni reciproche esistenti tra i due poli che l’autore del saggio paragona a poli energetici in grado di formare un produttivo campo di forze. Si parlerà di sinergia costitutiva, di collaborazione massiva e a tutto campo fra le due città simbolo. Nel seguito del saggio si prendono in considerazione e si descrivono in maniera più dettagliata le due sponde ideali — quella greca e quella biblica — entro cui si muove il progetto speculativo di Rosenzweig. Il termine che proviene da Atene è differenza. La differenza che abita l’abisso dell’essere greco apre a una realtà multidimensionale e a un orizzonte ontologico costitutivamente pluralistico. In altri termini si tratta di una ontologia della differenza.
La sponda biblica offre invece la possibilità di mettere in comunicazione le figure elementari e irriducibili che la cultura greca aveva saputo pensare. Il problema principale del «nuovo pensiero» è quello di cogliere e pensare in maniera dinamica e vivente l’intreccio, l’incastro e l’articolazione reciproca dei rispettivi orizzonti di senso. Questa la ricchezza di prospettive aperte dalla riflessione di Rosenzweig, una traiettoria speculativa molto ambiziosa che però include anche dei nodi problematici estremamente complessi: le figure elementari sono realmente in grado di rispettare fino in fondo il carattere di autonomia delle stesse figure in questione? Questo l’interrogativo proposto dall’autore nella parte finale del suo contributo.
Emiliana D’Antuono si pone come obiettivo una riflessione sul che cosa resta oggi del «nuovo pensiero» di Rosenzweig, dal momento che le esperienze del Novecento sembrano far presagire a un disconoscimento dell’altro che sempre più frequentemente diventa esclusione o riduzione all’unum.
Il decimo saggio è a cura di Pietro De Vitiis e si occupa della lettura offerta da Jacob Taubes su Rosenzweig. Viene posto al centro dell’analisi l’ambito storico-culturale in cui maturano tutta una serie di autori appartenenti al nuovo pensiero, neues Denken, tra cui rientra anche Rosenzweig e su cui viene rilevata l’influenza del pensiero di Kierkegaard.
Nel testo di Donatella Di Cesare si ritorna al tema del linguaggio. Il filosofo personale che esperisce e narra quello che ha esperito: il pensatore ora sa di pensare nel linguaggio e a partire dal linguaggio. L’autrice pone al centro del suo intervento la differenza tra un pensiero logico ostile al linguaggio e il nuovo pensiero grammaticale che accetta tutte le conseguenze ovvero accetta l’altro e il tempo: il linguaggio secondo l’autrice porta nel nuovo pensiero questi due elementi. Si dispiega quindi una grammatica del parlare che si articola in un pronome e in un verbo. Se il vecchio filosofo non parla a nessuno e pretende di parlare per tutti, il nuovo filosofo parla come io a un tu che ha non solo orecchie, ma anche una bocca, e attende che l’altro gli risponda. Nel seguito dell’analisi offerta da questo intervento si prende in considerazione in modo più approfondito la grammatica della Stella, definito un libro grammaticale; seguono una analisi sul verbo e il pronome e la riflessione che su questi temi aveva già intrapreso Humbolt; la questione del pronome e la relativa filosofia dei pronomi; infine il «noi tutti» come messianico della redenzione.
Adriano Fabris nel suo contributo L’esperienza del «nuovo pensiero» pone l’accento sul pensiero in relazione elaborato da Rosenzweig: la relazione viene sperimentata, approfondita e messa in opera concretamente. Altro punto interessante è l’analisi dell’esperienza: nell’uomo la rivelazione accade, si fa, nelle forme dell’esperienza; un’esperienza che può essere rivolta a Dio, al mondo o all’uomo stesso, ma solo in quanto essa è esperienza mia, vissuta personalmente da me. Questo significa che la verità si radica nell’individuo: diventa la mia verità. Più in generale si sottolinea come la filosofia dell’esperienza di Rosenzweig assomigli alla categoria dell’ebraismo che è chiamata esodo, qualcosa che non tornerà più su i suoi passi, configurandosi come una via d’uscita al di fuori di qualsiasi circolarità.
Il concetto di Vertrauen nella Stella della redenzione è il titolo del contributo di Irene Kajon. L’analisi si concentra sulla valenza di fiducia (Vertrauen) nell’impianto filosofico della Stella. La fiducia è intesa da Rosenzweig come capacità dell’uomo di migliorare se stesso nel corso del tempo: è questa fiducia che anima la fede nella rivelazione. La fiducia non riguarda in primo luogo Dio ma il linguaggio: colui che ha fiducia nella parola che gli esseri umani si scambiano tra loro, ha anche fiducia in Dio. La fiducia è del tutto indipendente da ogni rivelazione storicamente avvenuta: la fiducia è rivolta innanzi tutto alla parola, si crede che essa abbia un senso. La fiduccia per Rosenzweig è una virtù semplicemente umana. Il Vertrauen accade nell’esistenza stessa dell’uomo, invera la verità che è in Dio, la fiducia in Dio è fiducia nella vivente realtà umana. Nell’ultima parte del contributo l’autrice rileva un’affinità tra Rosenzweig e Spinoza a proposito della loro valutazione dell’uomo come essere formato da affetti morali e ragione, della Scrittura come fonte da interpretare alla luce di queste qualità umane, della Sinagoga e della Chiesa come comunità che diffondono virtù facenti capo alla fiducia o certezza morale. Rimane comunque una profonda differenza tra i due filosofi: mentre Spinoza nel Tractatus separa nettamente la filosofia dalla teologia, Rosenzweig in Der Stern der Erlösung pone una connessione tra le due.
Lo stato, la chiesa e il problema della verità è il titolo del contributo proposto da Stefano Semplici in cui l’autore accosta alla lettura della Stella la Disputation di Hans Ehrenberg per tentare di superare il punto di stallo in cui versa il rapporto tra stato e chiesa. Il nodo centrale da sciogliere riguarda il tema sotteso dal paradigma della res publica christiana, dell’autonomia della dimensione e del potere temporale della chiesa: questa la leva che genera conflitto. La chiesa si trova nel mondo. Essa non può rinunciare a costituirsi in un ordinamento giuridico, ma allo stesso tempo il suo diritto viene a toccare, seppur indirettamente, ogni uomo. Il cortocircuito tra le due legislazioni è così sempre in agguato. Il conflitto fra lo stato e la chiesa non si risolve né incrociando una contrapposta pretesa di dominio né con una rigida separazione (Cfr. p. 180). La tesi proposta è quella di Ehrenberg di una convergenza mondana fra l’agire del politico e il pensare del filosofo mediata dal contributo di Schelling (l’idea della filosofia dell’arte) che permetterebbero di insistere sul valore intrinsecamente simbolico ed escatologico della chiesa. La chiesa significa l’infinito, la chiesa diventando esperienza di comunità si sottrae alla cristallizzazione ideologica del bisogno di totalità. La fede in questa chiesa intercetta secondo l’autore il bisogno di universalità della ragione in almeno due punti strategici per le verità della metafisica e della morale. La parte conclusiva del saggio fa riferimento alla chiesa invisibile di Kant e alla riflessione sui monoteismi di Cohen.
Gli ultimi contributi di Luca Bertolino, Michel Del Prete, Cristina Guarnieri, Paola Mancinelli, Claudia Milani, Pierluigi Plata e Oreste Tolone affrontano in maniera più sintetica ancora altre questioni aperte dalla riflessione di Franz Rosenzweig e contribuiscono a chiarire e ampliare il quadro attuale degli studi su questo autore che, come emerge in maniera più o meno evidente nel testo, pone radicalmente in questione le pretese autofondative e totalizzanti della filosofia occidentale.
Per questo il volume risulta di estremo interesse e attualità; per questo Rosenzweig ancora oggi rappresenta una voce importante che lascia aperte ancora nuove letture sicuramente feconde nel contesto contemporaneo e nel dibattito filosofico.